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Autore: MaikoxMilo    11/04/2020    9 recensioni
Sulle note di "Parallel Hearts", l'opening di Pandora Hearts, ecco una breve storia di tre capitoli che tratta del rapporto tra Camus, Hyoga e Isaac, le vicissitudini, i ricordi, le emozioni, i silenzi, le frasi non dette. Non c'è vento benefico per il marinaio che non sa dove andare, ma, spesso, comunque, la strada che scegliamo di percorrere non è agevole, non ti porta dove vorresti, oppure, è ostruita. Tre strade partite in comune, tre destinazioni diverse, a volte inaspettate, ma finché i loro cuori continueranno a rimanere paralleli, non si perderanno mai del tutto, qualsiasi cosa accada.
ATTO I: Camus (4 giugno del 2011)
ATTO II: Hyoga (11 giugno del 2011)
ATTO III: Isaac (In un luogo indefinito, in un tempo imprecisato)
La storia fa parte della mia solita serie: "passato... presente... futuro!", ma è fruibile a tutti perché si situa prima dello svolgere degli avvenimenti della "Guerra per il dominio del mondo". Buona lettura a tutti!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Gemini Kanon, Kraken Isaac
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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N.B: questa parte della canzone si collega direttamente alla prima con protagonista Camus. Quindi, sì, maestro e allievo, pur separati, sono uniti! Mi sono presa delle piccole licenze per renderla un po’ più funzionale ai temi trattati. Credo si capisca, ma “amore” è inteso nel significato più ampio del termine.

 

 

Nel mezzo del frastuono, odo il tuo canto,

ora posso vedere la forma che avevo perso.

Per favore, dammi la forza di cambiare il futuro

(quel futuro) che avrei attraversato da solo.

Tu mi sorridi, e proprio grazie a questo

posso volare in alto.

Noi desideriamo il coraggio di (ri)connettere i nostri cuori,

quindi ci perdiamo nell’amore,

fino a quando non ritorno al mio vero me stesso

che sorride con te

 

 

 

 

Quel calore gli era stato infine sottratto.

Quel calore, a lui tanto caro, gli era stato strappato con foga inaudita.

Sradicato.

Estirpato.

Lasciando lui lì, nudo, privo di radici. A brandelli. Totalmente diruto.

Sentiva freddo, come mai prima di allora. Un freddo che penetrava nelle ossa e si irradiava nei muscoli, irrigidendoli.

Non aveva mai provato un gelo simile in vita sua.

Mai.

Non in Finlandia, sua terra di origine.

Non in una landa ghiacciata come la Siberia.

Non nel freddo del Mar Glaciale Artico.

Mai.

Non lo rammentava neanche più il calore, il calore del sorriso del maestro, il calore del suo corpo... assurdo, se si pensava che proprio lui, Camus, detenesse il pieno controllo delle energie fredde.

Il calore dei suoi parchi gesti che lasciava trapelare fuori da sé. Le carezze, quei leggeri contatti che celavano un mondo meraviglioso, tenuto a stretto sotto controllo; quella sua piega delle labbra quando era fiero di lui, i suoi occhi, che lo fissavano orgogliosi. Sempre.

Aveva sempre pensato che fossero qualcosa di imperituro ed eterno dentro di lui, invece...

Li aveva persi per sempre. E ora andava alla deriva, senza più forze in corpo.

Improvvisamente una stilettata all’occhio sinistro, come se qualcosa di rovente lo perforasse da parte a parte, penetrandogli prepotentemente nel cervello. Si sentì di impazzire.

Cacciò un urlo, alzandosi di scatto, piegato in due, gli occhi… l’occhio… sbarrato, che tuttavia non vedeva niente, niente, di quello che gli accadeva intorno. Non vi era altro che il dolore, insopportabile.

Fu accompagnato a forza giù da mani brusche, che lo schiacciarono lì, impedendogli ogni più piccolo altro movimento. Si divincolò, gridò ancora, con tutte le energie che aveva in corpo, prima di strozzarsi. Gli mancava l’aria…

Dragone Marino, non… non c’è un altro modo per… sì, insomma, salvarlo evitando di… di...”

Thetis, vedi altre soluzioni, qui? Pensi che avremo il tempo per cercare e trovare un’alternativa? Si sta dissanguando...”

Vi erano delle voci intorno a lui, un frastuono assordante, insopportabile, da spaccargli il cervello, già pressato da quell’immane dolore.

C’erano delle voci intorno a lui… una maschile, sardonica, possente, quasi spietata; l’altra, di donna, un cinguettio appena accennato, a tratti freddo, che però accennava una sorta di premura nei suoi confronti.

Non… non è che un ragazzo, Dragone Marino, sai cosa possa significare, per lui, risvegliarsi e scoprire di essere guercio? Portarsi dietro quella menomazione per sempre, ben visibile sul suo volto?”

Oh, ma come siamo sensibili, Thetis, devo ammettere che, pur essendo metà pesce, hai sentimenti del tutto umani e femminili!” la canzonò l’altro, quasi ghignando.

Isaac percepiva appena quanto dicessero fra loro, la loro voce trafiggeva da parte a parte i suoi timpani, risultando a tratti ancora più opprimente che il dolore medesimo, che stava cominciando a scemare… come la sua vita.

S-state zitti...”

Credeva di essere stato chiaro, con la sua voce, forse per la sua coscienza, sempre più labile, era stato davvero così, ma non per la realtà degli eventi.

Ha… ha detto qualcosa...” sussultò la voce femminile, sbigottita.

Detto?! Ma se sta solo rantolando come un cane in agonia?! E’ più di là che di qua, Thetis, dobbiamo agire subito, o sarà troppo tardi!”

Qualcosa gli premeva l’occhio sinistro, che non percepiva se non come tizzone ardente, sussultò a quel contatto, dimenandosi nuovamente, trovando nella disperazione le ultime risorse alle sue energie.

Non c’è quindi altro modo che cavare l’occhio… ma questo gli aumenterà di molto l’emorragia...”

L’orbita oculare sinistra è irreversibilmente danneggiata… se non gliela asporto ora e subito morirà tra pochi secondi, non è tempo da farsi prendere da sciocchi sentimentalismi – disse burbera la voce maschile, prima di rivolgersi direttamente al lui, al limite – Ragazzo, l’occhio è irrimediabilmente perso, non hai più speranze di riottenerlo, ma la vita posso ancora salvartela, a te, che sei stato scelto dal Kraken...” lo avvertì, prima di procedere con un pizzico di disumanità, che non guastava mai in quei frangenti. Non c’era, quindi, più speranza?

“C’è ancora speranza, coraggio...”

In quel momento Isaac udì una terza voce aggiungersi alle due precedenti. Avrebbe strabuzzato gli occhi, se solo fosse stato totalmente in sé. Lui, una voce così dolce e comprensiva, in quel ricordo straziante che ogni tanto tornava alla sua mente, non l’aveva mai udita, non c’era mai stata. E di quello era sicuro. Nella scena avevano partecipato solo Dragone Marino, poi riconosciuto come Kanon di Gemini, e Thetis della Sirena. Nessun altro. Allora chi?

Percepì nitidamente una mano accarezzargli il volto, sul lato destro del viso, riuscendo quasi miracolosamente ad acquietarlo, nonostante il dolore sempre più acuto, nonostante il gelo, nonostante… Un secondo! Dove era? Dove si trovava? I ricordi si accavallano, spietati…

“Coraggio… - gli ripeté la voce per infondergli forza e vigore, continuando a lambire la sua pelle con mani calde di velluto, così delicate… - Resisti, c’è ancora speranza di recuperare il tuo occhio, faremo del nostro meglio!”

‘Nostro’? Cosa? Chi? A chi appartenevano quelle dita di piuma che passavano, con gesto gentile sulla sua pelle, non facendolo sentire solo?

Cosa ancora più importante… dov’era?

“D-d...v… s-son...o?”

“Non ti sforzare… tra poco starai meglio… Isaac!”

La voce gentile conosceva il suo nome… perché lui invece, per quanto si sforzasse, al limite della sofferenza, ad un passo dalla voragine del nulla, non riusciva a rammentarla? Eppure sembrava così premurosa, così dolce… gli sovvenne in mente la voce di sua mamma, così lontana nel tempo...

Gli venne da piangere, sebbene avesse abbandonato i ricordi di quella vita, la prima, molto tempo addietro. La sua famiglia, che era stata trucidata da dei volgari assassini, era stata sostituita da Camus e Hyoga, dal calore di loro due. Si era sentito fratturato, ma loro, prima il maestro e poi il compagno di addestramento, lo avevano ricomposto, con cura e dedizione, donandogli una nuova identità, una nuova forma, che credeva incorruttibile.

Ma… l’aveva persa, anche quella, si era smarrito.

Si agitò nell’incoscienza, fremendo, divincolandosi di nuovo.

Lontani.

Irrimediabilmente lontani.

Per sempre.

“N-no… m-stro… Maestro!”

Un’altra mano fu sopra di lui voltandogli garbatamente il volto e premendo sopra la vecchia ferita, che ancora, talvolta, gli faceva male. Per quanto anche quel gesto racchiudesse una gentilezza senza pari, Isaac abbinò quel tocco a quello di un uomo.

“E’ molto agitato...” disse la voce femminile, con una nota melodiosa.

“Ha tutte le ragioni per esserlo...”

“Riusciremo davvero a… recuperarlo, occhio compreso?”

“Farò quanto in mio potere, è una promessa...”

“Maestro...maestro, siete voi? C-Camus!”

Anche quella volta Isaac pensò di essere stato chiaro nell’esprimersi, ma come reazione ottenne solo un sussulto provenire dalla voce maschile, e un sospiro proveniente da quella femminile.

Cosa stava accadendo, là fuori?Era tutto così confuso… Quel cosmo niveo, puro e solenne, lui lo aveva sempre abbinato al suo maestro. Non poteva essere che lui, ma qualcosa non tornava.

“Lo sta invocando...”

“Se gli serve per aggrapparsi a questa vita… che lo continui a chiamare con tutte le sue forze! - affermò la voce maschile, risoluta, prima di tornare a quello che stava facendo – Neanche io esiterò più!”

Sancì, più deciso che mai, posandogli l’indice e il medio sul sopracciglio e il pollice sulla guancia, dopodiché spinse con intensità sempre più crescente, e quell’intensità, quella pressione su di lui, diventarono ben presto insostenibili per il ragazzo.

Isaac urlò, di nuovo, con tutto il fiato ancora contenuto nel suo corpo, la terribile sensazione di essere risucchiato in un vortice scuro e centripete. Si alzò a sedere di scatto, ancora cieco, prima di essere trattenuto da braccia gentili e accompagnato a stendersi.

“Non arrenderti...”

Da qualche parte nella sua mente, anche l’altro Isaac si mise istantaneamente a gridare, sebbene di forze non ne avesse neanche più. Urlò con quanto fiato avesse in corpo, l’ancora più tremenda sensazione di essere stato appena sturato via da una forza infinitamente maggiore di lui. Essa partiva dal cervello, anzi no, direttamente dall’occhio, per poi diffondersi a tutto il corpo, che vibrò pesantemente.

Percepiva un caldo opprimente provenire proprio da quella zona che, proprio come un rubinetto appena liberato dopo essere stato stappato, prendeva a gorgogliare. Una sensazione davvero terribile, unita a quella di un liquido bollente che gli scorreva su tutto il volto, come un gorgo. Credette di morire, ma fortunatamente fu di breve durata. Tutto si eclissò nel soffoco di un respiro, portandogli solo una immane sensazione di stanchezza colossale che faceva defluire, con ancora più velocità, la sua coscienza.

Il rubinetto era stato infine stappato, l’acqua veloce ad essere risucchiata. Lo stesso il suo sangue…

Visto, Thetis? Ha smesso di sanguinare, e… Thetis? - domandò la voce maschile, sardonica, spietata, e con un pizzico di superbia. Attimi di silenzio, Isaac credette di essere completamente svenuto, ma il suono lo raggiunse di nuovo – Per tutti i cavallucci marini… hai sboccato sul pavimento?! Che schifo!”

Un odore acre invase la stanza.

Cose che succedono… quando assisti all’estrazione di un bulbo oculare a mani nude senza anestesia, non trovi?!”

Nonostante l’affanno, la voce femminile aveva dato una risposta pronta; Isaac, in circostanze migliori, l’avrebbe anche ammirata, perché gli avrebbe ricordato un po’ il suo modo di fare ironico, ma era troppo spossato, a stento manteneva un barlume di cosmo per non cedere del tutto. Resistenza vana, perché stava cedendo, sebbene non volesse precipitare. Non voleva, dannazione, non voleva! Non... poteva! Non poteva permettersi di perdere la forma che aveva raggiunto grazie agli allenamenti con il Maestro Camus...

Pulisci tu per terra, non di certo io, e ringrazia che il Sommo Poseidone sia dormiente in questo momento per conservare le energie per la nostra conquista, altrimenti sarebbe indignato da veder insudiciato così il glorioso regno di Atlantide!”

Oh, certo, lo farò… se tu pulirai tutto il sangue del ragazzo sparso dappertutto, a sua volta un tributo oltraggioso per il Sommo Julian Solo, non trovi?”

Lo farò, ma per lui è diverso, era necessario che diventasse interamente parte dei nostri!” sogghignò la voce maschile, toccandolo, con un pizzico di spietatezza sul volto. Isaac sussultò, sempre meno cosciente. Il bruciore stava lentamente calando, avvolto dalle tenebre del sonno. Tuttavia una parte di lui, la sua stessa volontà, rifiutava di cedere… farlo lo avrebbe strappato inevitabilmente da quelle braccia che lo stavano ancora cercando con disperazione sulla banchisa, e non voleva. Soccombere alle tenebre lo avrebbe separato per sempre da loro. Lo percepiva...

Cioé… lo hai fatto dissanguare come tributo?!”

Ma certo che no, sciocca! Ha perso il sangue per le ferite riportate, ma se vogliamo darci una valenza simbolica, questo è un po’ un rito di passaggio, no?”

Un rito… di passaggio?”

Già… - confermò la voce imperiosa di colui che prendeva il nome di Dragone Marino, tornando a toccargli il volto con gesto burbero – Per sancire il passaggio da Camus dell’Acquario alla Bestia Marina chiamata...”

Ca-Camus!”

Isaac era riuscito a pronunciare il nome del maestro in tono strascicato, non sapeva con che forze, non lo sapevano neanche loro. Con ogni probabilità, nel suo lento scivolare verso l’oblio, il suo era un ultimo, disperato, tentativo di resistere.

Avvertì il ghigno sadico su di lui, e capì, poco prima di crollare, che le ultime parole che avrebbe udito, sarebbero state rivolte proprio a lui, come se si conoscessero, o peggio, come se conoscesse, di fama, il maestro.

Chi diavolo sei realmente tu, che ti permetti di pronunciare il nome di Camus in quel tono beffardo? Lo conosci? Ci conosci? Cosa sai di noi?

Molto bene, Isaac, pare che tu sia assai devoto al tuo maestro... - il ragazzo sussultò nell’essere chiamato per nome, fremette, non potendo comunque fare nulla per reagire – Purtroppo però devo dirti che non sei, e non sarai più, suo allievo… qualcun altro ha toccato il tuo corpo con la propria effige, non si può più tornare indietro. Questa sarà una nuova vita per te!”

Isaac non riusciva quasi più a udirlo, mantenere quello stato di sub-coscienza era troppo per la sua fibra di ragazzo, era troppo per essere sopravvissuto alle correnti marine, ed era troppo per tutto il sangue che aveva versato. Infine cedette, ma le ultime parole di Dragone Marino gli si formano nel cervello, come se, al di là della coscienza, lui gliele volesse imprimere a caratteri maiuscoli, decretando così la sua condanna.

“…da ora in poi tu sarai il Kraken, Isaac...”

Kraken… era stato toccato dal Kraken, quello non avrebbe mai potuto essere cambiato.

Mai.

Un tempo si era potuto definire allievo di Camus, lo Sciamano dei Ghiacci, il Cavaliere dell’Acquario, l’uomo più puro e giusto che avesse mai conosciuto; ora c’era solo il Kraken, che aveva compenetrato la sua essenza fino a corromperla del tutto.

Era tardi, tardi per tutto.

“Non è tardi, puoi ancora rinascere...”

Di nuovo quella voce femminile gentile dai toni soavi, melodiosa come non ne aveva mai percepita alcuna.

Era spaventato, ma lei riusciva a tranquillizzarlo.

Ansimava per il dolore fisico, ma il suo tocco era quanto di più simile ad una panacea, che lentamente lo faceva scivolare in un sonno ristoratore.

Aveva freddo, ma la sua voce irradiava talmente tanto calore che era impossibile non esserne coinvolto a sua volta.

Fremette a quel solo pensiero. E si ricordò perché sentiva così tanto freddo fisico, oltre che quello già profondamente radicato nel suo animo.

Rammentò dello scontro avuto con Hyoga, del Regno degli Abissi, dell’Aurora Execution di suo fratello, ereditata dal maestro, che aveva soverchiato in un attimo la sua Aurora Borealis, causandogli un danno mortale… del suo ultimo respiro tra le braccia del compagno e amico di un tempo. Era quindi morto? Eppure era altrettanto sicuro di riuscire a respirare...

Ma, al di sopra di tutti questi frammenti della sua memoria, vi erano loro, gli occhi indispettiti di Camus, la sua ferma presa di posizione, al fianco di Hyoga, la sua delusione, che traboccava dal vaso di luce del suo Colpo Segreto che aveva passato al Cigno come testamento.

Da che Isaac si ricordasse, non aveva mai deluso il suo maestro. Si era sempre adoperato affinché lui potesse essere orgoglioso. Aveva sempre dato il massimo negli allenamenti, poiché voleva renderlo fiero di lui e seguirlo dappertutto. Desiderava ardentemente combattere al suo fianco, dimostrare che il frutto dei suoi insegnamenti, ovvero lui, sarebbe stato un degno Cavaliere di Atena, ben oltre le aspettative, per dimostrare, ancora una volta, che da un maestro eccezionale non poteva che uscire un allievo straordinario. Non in ultimo, forse persino la cosa più importante, avrebbe voluto proteggerlo e prendersi cura di lui, come Camus aveva sempre fatto nei suoi confronti, da quando, all’età di quasi 7 anni, si erano incontrati sulle sponde ghiacciate del Mar della Siberia Orientale.

Invece...

Non era lui. Non era MAI stato lui, quell’allievo eccezionale in grado di compiere imprese eroiche, ben oltre le aspettative.

Gemette, e sentì le lacrime solcargli le guance, in maniera frenetica e del tutto incontrollabile. Quello era senza ombra di dubbio il ricordo più doloroso di quella battaglia che aveva visto due fratelli fronteggiarsi perché appartenenti a due schieramenti diversi. Camus… il suo cosmo, che viveva in Hyoga, il suo sguardo tagliente e amareggiato, l’ostilità dei suoi occhi così impietosi. Non avevano parlato, in quel veloce scambio di occhiate, ma la disapprovazione l’aveva percepita tutta, aveva colpito più a fondo dell’attacco stesso, che gli aveva congelato quasi istantaneamente i polmoni e così il respiro. Lo aveva deluso, e questo, sì, faceva terribilmente male.

“Pe-perdonatemi… n-non… non sono mai stato d-degno di voi...”

Credeva di averlo solo pensato, invece la sua voce, febbricitante, era uscita dalle sue labbra screpolate dal gelo. A stento, ma era uscita.

Subito la mano gentile fu su di lui, carezzandogli i capelli con gesto soffice. Isaac, a quel gesto si sforzò di aprire le palpebre, movimento che gli costò non poca fatica. Ansimò ancora una volta, nello scorgere due iridi azzurre; di un azzurro purissimo, che destava stupore al solo ammirarle, contorniate da dei lunghi capelli argentati che brillavano come neve al chiarore lunare.

Un lago di montagna circondato dal ghiaccio, parevano… e Isaac, mentre la coscienza diventava labile fino a quasi scomparire, se ne meravigliò.

“Non sei una delusione per nessuno, tanto meno per il tuo maestro… - lo rassicurò lei con un ampio sorriso e con le mani di piuma che si ritrovava – A volte capita di fare scelte sbagliate, o di trovarsi schierati in fazioni diverse, capita, è la vita. Ma il bene che ti ha voluto, quello, rimarrà per sempre qui, custodito nel tuo cuore, fino al giorno in cui potrete finalmente riabbracciarvi. Coraggio, Isaac!”

Disse così, posandogli poi le labbra sulla fronte e premendo lì.

Una sensazione di stanchezza colossale lo avvolse, costringendolo a richiudere gli occhi, del tutto stremato, arrendendosi all’oblio che lo stava risucchiando.

L’ultima cosa che riuscì a pensare, prima di perdere i sensi, era che quella misteriosa donna dai tratti nordici, la pelle candita, i capelli del ghiaccio illuminato dalla luna e gli occhi di un azzurro splendente, doveva per forza conoscere Camus, il suo maestro. Si fece cullare da quell’ultimo pensiero; dal pensiero di rivederlo appena riottenute le energie sufficienti. Forse era davvero morto, forse no… ma lo avrebbe rivisto, in un modo o nell’altro. Prima o poi.

Gli mancava troppo…

 

 

* * *

 

 

Aveva smarrito il calore nell’esatto momento in cui, salvando suo fratello Hyoga, le correnti gelide e capricciose della Siberia lo avevano strappato da loro, dalla sua famiglia, facendogli al contempo perdere la forma che aveva difficoltosamente ottenuto. Poi era rinato come lo spietato Kraken per via di Kanon di Gemini, che sembrava orgoglioso di lui, un po’ come un figlioccio da cui ci si aspettava grandi cose. Sotto quella nuova forma contorta aveva vissuto per più di un anno, assumendo così tratti inumani.

Il Kraken, la distruzione primigenia, però giusta. Isaac era ancora fratturato dalla perdita della piccola famigliola siberiana, ma, in fondo, era contento di quell’appellativo, che pure, nell’ultimo periodo, aveva portato lui e il suo maestro a litigare aspramente più volte, mentre Hyoga cercava sempre di fare da paciere tra i due, con scarsi esiti, visto che entrambi, docente e discente, lottavano tra loro per dei principi in cui credevano ciecamente. Il primo vero scontro maestro/allievo...

Camus non aveva mai capito il reale significato intrinseco del Kraken, né tanto meno l’attrattiva che l’allievo provava per quella creatura mitica, per la quale era naturale provare ammirazione. Per lui, i maestro, era semplicemente inconcepibile prenderlo come esempio per assurgere ad un ruolo, quello del Cavaliere di Atena, che era un ideale totalmente agli antipodi.

Il punto era che Isaac non lo vedeva con quella stessa luce, affatto: perché il modo di operare del Kraken doveva essere così diverso da quello di Atena? Per preservare la giustizia sulla Terra, quella giustizia che avrebbe impedito ai deboli di essere sopraffatti dagli spietati, agli innocenti di essere uccisi dai malvagi, come era successo invece alla sua famiglia, non occorreva, forse, il pugno di ferro?! Non occorreva, forse, essere inesorabili a propria volta?! Il male nel mondo non sarebbe stato cancellato solo dalle belle paroline, o da sciocchi ideali privi di pratica, serviva la forza, con quella, solo con quella, si poteva realmente pensare di radiare via tutte le ingiustizie del mondo.

Camus, con il passare degli anni, capiva sempre meno l’allievo, arrivando a pensare che forse non lo aveva mai capito del tutto, sebbene sia per l’uno che per l’altro fossero tutto. Eppure...

Vi era sempre stato un rapporto speciale tra loro, dalla prima volta che si erano visti, come una scintilla, del tutto simile all’infatuazione, poi concretizzatasi in qualcosa di molto più profondo: un legame che non si sarebbe mai spezzato.

Così Isaac credeva.

Ma… quel calore gli era stato tolto, il legame spezzato… e faceva male… dannatamente male! Da togliere il fiato.

Questo era ciò che la mente di Isaac pensava di giorno in giorno, nel coma spietato e denso di vaneggiamenti che lo aveva avvolto dopo aver guardato un’ultima volta quegli occhi incredibilmente azzurri. Le ferite stavano progressivamente guarendo, con esse il male fisico, anche se per quello spirituale non c’erano altri metodi, al di là della tempra e della volontà del ragazzo stesso.

Passarono i giorni, una parte di Isaac ne era consapevole di quell’incedere naturale di cui lui era fuori, perché caduto forzatamente in un altro mondo, quello del suo inconscio. Non partecipava allo scorrere del tempo, ma la sua mente era talmente gremita di cose, persone, sensazioni ed incubi, da non poter essere in alcun modo tollerata da un cervello perfettamente funzionante, ecco quindi il motivo fondamentale del suo non riuscire a riprendersi: non il male fisico, ma quello psichico. Ancora una volta, faceva troppo male.

Il calore gli era stato strappato, eppure… qualcosa ancora c’era, rimanendo intessuto nella sua anima. Un ricordo, una percezione puramente uditiva, un’emozione intensa, una… melodia.

Camus, a onor del vero, non cantava mai, sebbene avesse una voce delicata e cristallina che, all’occorrenza, avrebbe pure potuto intonare i canti angelici, o i suoni della natura, o chissà quale altro prodigio. Tuttavia non cantava mai, farlo lo metteva in forte imbarazzo, lo metteva a nudo, perché esternava la sua stessa anima, scoprendola. E Camus odiava essere scoperto, privo di protezioni.

Così la leggenda della melodia di Camus, che si passavano le genti di Pevek, di Kobotec e della Siberia Orientale, era mutuata in ‘sentito dire’ quasi un mito, come la figura medesima del Cavaliere.

Isaac era giunto in Siberia all’età di quasi 7 anni. In verità ce lo avevano proprio trasportato, dopo l’uccisione dei suoi, ma i ricordi erano sfumati. La cosa più importante però era stata che, sempre all’età di quasi 7 anni, lui aveva conosciuto Camus e, con lui, il rispetto, la devozione che gli abitanti di quelle lande provavano per la sua persona, quasi da tratteggiarla con tratti similmente divini.

Tra tutti quei racconti, di cui il piccolo era stato irrimediabilmente carpito con naturalezza e spontaneità, il più intenso era stato senza ombra di dubbio quello inerente alla voce limpida con cui Camus riusciva ad intonare determinati, sfavillanti, canti sciamanici.

Nessuno poteva vantarsi di averlo udito cantare.

Nessuno. Tranne Isaac.

 

Aveva ancora in testa quella strana melodia ricca di suoni che sembravano onomatopeici e di parole a cui lui non riusciva a trovare un senso, quando il piccolo Isaac, riaprì faticosamente i suoi occhi.

Era confuso, stanco, spossato… si accorse ben presto di non avere neanche le forze sufficienti per sollevare un braccio, né quasi muovere un singolo muscolo. Con l’avanzare del percorso dall’incoscienza, alla veglia, e poi al risveglio, si rese conto di essere adagiato prono su qualcosa di morbido e delicato, che irradiava un tepore del tutto naturale. Ne era cullato, da quel contatto che non riusciva a definire, quasi desiderò ripiombare nelle tenebre del sonno ristoratore, ma qualcosa in lui oppose resistenza. Gli servì diverso tempo ancora per cominciare a catalogare quel giaciglio su cui era stato disteso come qualcos’altro rispetto alle lenzuola del letto che comunque lo avviluppavano per donargli quel calore che gli era stato strappato, anche se non si ricordava ancora nitidamente da chi o da cosa.

Si mosse appena, quasi alla cieca, tastando sotto di sé come meglio concedevano le sue forze, accorgendosi finalmente che quel nido così rassicurante, che irradiava un calore meraviglioso e vitale, era formato dal torace e dalle braccia di Camus, che lo trattenevano a sé con un pizzico di paura. Il segreto, di quel tepore così genuino, era la sua pelle, tenuta nuda proprio per riscaldarlo e scacciare così il gelo che, per un soffio, non se lo stava portando via.

M-maestro...” farfugliò finalmente, notando che tutt’intorno era buio e che la luce naturale di fuori entrava dalla finestra quanto bastava per scorgerne il profilo addormentato, seppur teso.

Al suono della voce del bambino, Camus si riscosse, aprendo a sua volta gli occhi che si incontrarono con quelli nuovamente brillanti dell’allievo, che lo fissavano con stupore. Il piccolo fece per alzarsi, ma lui lo trattenne contro di sé, riadagiandolo sull’ampio petto e avvolgendolo in un nuovo abbraccio.

I-Isaac… rimani sdraiato per il momento, sei ancora molto debole...” biascicò, sospirando appena. Era una manifestazione di sollievo.

Isaac si lasciò condurre nuovamente giù, mentre i ricordi e le domande si accavallavano, non trovando più la sequenza giusta. Cosa era successo? Cosa ci faceva lì, sopra il corpo del maestro, pelle contro pelle? Cos’era quell’arcana sensazione di perdita, di… gelo?

M-maestro… cosa…?” tossì nello sforzarsi di parlare, rannicchiandosi ancora di più contro di lui. Gli mancava l’aria, e non sapeva spiegarsi perché.

Stai tranquillo, è tutto finito ora… sei al sicuro!”

Furono le uniche parole, pronunciate in una tonalità più rassicurante possibile, ma Isaac percepiva la stanchezza dietro quel tono camuffato da conforto, il senso di impotenza dietro le sue premure, la rabbia in mezzo all’apparente tranquillità. Una rabbia non certo rivolta a lui, ma che il piccolo avvertiva pienamente.

Tentò di rilassarsi contro il suo torace glabro, adagiando l’orecchio proprio lì, in modo da avvertirne i battiti del cuore, irregolari e un poco frenetici, malgrado il riposo. Era come se avesse fatto uno sforzo tale, prolungato, da fiaccare l’intero corpo, oltre a quell’organo in questione. Si preoccupò.

Più Isaac recuperava coscienza, più una sensazione di vuoto e di terrore si impadroniva di lui. Tremò, mentre, lentamente, alcuni ricordi tornavano, crudeli.

Camus avvertì il palpito di quel piccolo corpo contro il suo, inesorabile, pertanto si adoperò per scacciarlo via.

Stai tranquillo, piccolo...” ripeté, in tono più affettuoso possibile, quasi come volesse fargli sentire la sua vicinanza anche tramite la voce. Lo strinse, una mano tra i capelli irsuti del bambino, l’altra su quel corpicino ancora sofferente, che aveva già patito fin troppo, per avere solo 7 anni.

Cosa… cosa è s-successo?” riuscì a chiedere Isaac, con un filo di voce, affondando il viso nello sterno del maestro, in cerca di rassicurazioni. Aveva le lacrime agli occhi.

Non ricordi nulla?”

I-io...”

Sgranò gli occhi a quella domanda, e singhiozzò, la mente ormai totalmente vigile per rammentare malauguratamente… tutto! Così le immagini del rapimento del suo compagno di addestramento, della sua rabbia cieca e dell’intervento del maestro, furibondo, gli passarono velocemente in testa, andando infine a cozzare con la consapevolezza di essere quasi morto anche lui. Quel dolore che aveva provato, così vivido, netto, invasivo, prima di accasciarsi sul permafrost a sua volta, in lacrime, senza capirne il motivo, i polmoni che non riuscivano più a trovare l’ossigeno necessario; le ultime immagini del suo compagno di addestramento, in un lago di sangue, l’urlo viscerale di Camus, che teneva quel corpicino straziato tra le braccia, poi rivolto nella sua direzione nel vederselo stramazzare a propria volta sul ghiaccio.

No, Isaac, non anche tu… NO!”

Il nulla che ne era seguito, implacabile.

Rammentò tutto, e di nuovo faticò non poco per tornare a respirare, mentre il suo corpo sussultava, in preda a spasmi incontrollabili, portando Camus ad utilizzare ancora un po’ del suo niveo cosmo per tentare di tranquillizzarlo.

Sono qui, coraggio, respira con calma!” gli sussurrò ancora, sforzandosi di mantenere il controllo nonostante lui stesso fosse scosso dagli ultimi avvenimenti. Inspirò ed espirò diverse volte, trattenendo Isaac contro di sé, in modo che percepisse i movimenti naturali del suo torace per potersi così acquietare tramite quelli. Il piccolo aveva preso a singhiozzare, impiegò diverso tempo per convincersi a lasciarsi cullare dai respiri sempre più profondi del maestro, che lo accompagnava passo per passo, con premura. Alla fine riuscì nel suo intento.

L-Lisakki, lui è...”

Non ho potuto fare nulla per lui."

Gli occhi di Camus erano tristi mentre pronunciava quelle poche, difficoltose, parole, discostando lo sguardo dolente dal corpicino di Isaac, di nuovo intento a guardarlo, sgomento. Fremette a sua volta, in uno spasmo, ma si sforzò di tornare presto alla calma, ne andava della salute del piccolo, che aveva appena ricordato gli avvenimenti e ne era rimasto sconvolto.

Lisakki, omonimo di Isaac, non c’era più… il suo secondo allievo morto… in maniera peggiore del primo, se possibile, anche se, nella sua esperienza, non aveva mai visto qualcuno lasciare il calore della vita in maniera, per così dire, indulgente. Non era davvero come addormentarsi, non lo sarebbe mai stato, erano solo frottole che raccontavano ai bambini per non farli piombare nella più nera disperazione. La morte non era mai dolce, mai… anche quando sembrava assumere connotati più umani, anche quando subentrava dopo una lunga vita… Non poteva esserci nulla di dolce in tutto quello!

Si morse il labbro con intensità, quasi rischiando di farselo sanguinare. Il Grande Tempio di Atene aveva preso ad affidare a lui alcuni sventurati bambini che avrebbero potuto diventare Cavalieri della dea… che idiozia! Per quanto esponente della Cerchia Dorata, la sua età, la sua inesperienza, la sua stessa ingenuità, aveva causato già due dipartite, altri non ci erano nemmeno arrivati in Siberia. Era umanamente intollerabile, non solo come difensore di una presunta giustizia alla quale doveva attenersi, ma anche e soprattutto come essere umano.

Svetlan, Lisakki… c’era mancato poco, davvero poco, che anche il piccolo Isaac non seguitasse la stessa sorte.

Ma era riuscito a salvarlo, pregando in tutte le lingue che conosceva, effettuando riti che aveva visto attuare dal suo maestro e intonando una melodia che sentiva nel suo cuore; una melodia in cui aveva profuso tutta la sua energia, tutto il suo respiro, per salvarlo. Ne era uscito fisicamente e psicologicamente distrutto, spossato, ma alla fine vi era riuscito, la respirazione e i battiti del piccolo si erano regolarizzati, permettendogli così di prenderlo tra le braccia, adagiarselo sul petto e riscaldarlo, perché le gelide dita della morte lo avevano sfiorato, quindi occorreva calore corporeo, la discrepanza tra la vita e la Nera Signora.

E’ stata colpa mia, Maestro...”

Il bambino, tra una lacrima e l’altra era riuscito finalmente a parlare in un tono un po’ più alto, anche se comunque stentato.

Non è colpa tua in alcun modo, Isaac, asciugati quei lacrimoni che inzuppano il tuo volto stremato. Non ha senso piangere, fatti coraggio, le cose non cambieranno...”

Provò a rassicurarlo, avvertendolo agitato e sconvolto. Era ancora febbricitante, non gli faceva bene reagire così, avrebbe solo dovuto dormire per recuperare le forze. Scese con la mano destra lungo i suoi capelli, passandogli poi il dito sulle guance e solleticandogliele, come a voler scacciare via il liquido, la sinistra era ancora posata sulla schiena.

A quel punto Isaac gli acciuffò la mano in movimento, tenendola contro di sé: aveva bisogno di lui, di percepirlo.

Avrei dovuto proteggerlo… proteggere il mio compagno di addestramento. Era più piccolo di me, aveva solo 6 anni… invece non ci sono riuscito!” si colpevolizzò ulteriormente, inconsolabile.

Camus avrebbe dovuto meravigliarsi della frase pronunciata da uno scriccioletto di appena 7 anni, perché sentirsi responsabile di un simile fatto, imprescindibile dalla sua volontà, era troppo per un corpicino così piccolo, ancora non del tutto avvezzo a quel clima e alla rigidità della sorte, ma Isaac era un bambino speciale, se ne era reso conto appena lo aveva guardato negli occhi il primo giorno; occhi del colore dei pascoli di montagna, occhi che racchiudevano una grande determinazione e una spumeggiante voglia di vivere, di farcela ad ogni costo, superando tutte le difficoltà. Isaac gli era entrato nel cuore dal primo scambio di sguardi e, anche se in principio aveva cercato di rimanere il più distaccato possibile, non era riuscito a proibire a sé stesso di volergli bene.

I-Isaac, era una mia responsabilità, non tua. La colpa è stata mia e… - prese un profondo respiro, accorgendosi che aveva ricominciato a tremare più intensamente di prima, come se il trattenersi fosse sempre più impossibile – Sei ancora molto debole, ora r-riposati, avremo tempo di parlare meglio dopo, quando ti sarai ristabilito”

E tacque, chiudendo gli occhi e serrando le labbra, che altrimenti, lo sentiva, avrebbero prodotto a loro volta una sorta di singhiozzo. Strinse ancora di più a sé Isaac, ancora spaventato alla sola idea di perderlo, ma lui era lì, il peggio era passato, ce l’aveva fatta… tremò ulteriormente.

Il bambino intanto era tornato a posare l’orecchio sul torace del maestro, sforzandosi di smettere di piangere come gli era stato raccomandato. Fu allora che lo avvertì, più intenso dei battiti del cuore e dei respiri, più difficilmente sopportabile: il peso della colpa e del fallimento, il suo malessere, tenuto strenuamente ancorato al suo petto, impossibilitato ad uscire per volere stesso della volontà di Camus, che non si perdonava alcuna manifestazione di debolezza.

Isaac le percepì nitidamente, quelle lacrime alla ricerca di uno sbocco, che il suo maestro non voleva far trapelare fuori da sé, probabilmente per non far aggravare l’ansia e la preoccupazione che già provava lui. Rabbrividì, ammirandone la forza psichica. Camus rifiutava le lacrime non perché non fosse in grado di riprodurle, tutt’altro, le rifiutava per non mostrare tutta la sua fragilità interna, tutta la friabilità della montagna che lui si era prefissato di essere per gli altri. Un sostegno sicuro, certo, ma frangibile alle intemperie della vita, questo era… e faceva commuovere al solo pensarlo.

Si rannicchiò ancora di più contro di lui, portando faticosamente le braccia davanti come a volerlo abbracciare, fargli sentire che lui era lì, vivo, al suo fianco. Perché il maestro era a sua volta molto agitato, anche se non lo lasciava trasparire. Isaac chiuse istintivamente gli occhi, come a volersi appisolare, ma dalle sue labbra fuoriuscirono, quasi inconsciamente, pochi, semplici suoni che, concatenandosi, formarono la strofa di una melodia.

Ha la la ha se la ha la le lu...”

Cosa stai canticchiando adesso, soldo di cacio?” gli chiese Camus, aumentando la stretta su di lui nell’udire la sua vocina flebile intonare una sorta di ninna nanna.

La vostra canzone, Maestro...”

A quelle parole il corpo di Camus si irrigidì, tremando un poco a quella rivelazione. Avrebbe voluto guardarlo in faccia, ma il piccolo era appoggiato con l’orecchio destro sopra il suo cuore, il viso nascosto tra il braccio e l’avambraccio.

L’hai… udita?” domandò, incredulo, il respiro corto.

Sì, me l’avete cantata quando stavo male, vero? Per dirmi di non arrendermi, per farmi reagire… era calda e accogliente, mi è entrata dentro e non se ne è più voluta andare… - farfugliò il piccolo, assonnato – Avete una voce bellissima, maestro, mi chiedo perché l’adoperiate così poco per cantare...”

Camus tacque per una serie di secondi, buttando uno sguardo fuori dalla finestra, verso l’orizzonte. La luna era bassa, il cielo era limpido, creando un’atmosfera di una bellezza senza pari.

Sì… è una canzone che, non so bene come spiegarlo, è intessuta nella mia anima. Non so nemmeno cosa significhi pienamente, ma… quando mi sento solo, confuso e spaventato la utilizzo per tranquillizzarmi… - cominciò a narrare lui, in tono crescente – Sembravi così debole, Isaac… avevo paura che non riuscissi più a percepire la mia presenza e allora… allora l’ho cantata, mentre mi prendevo cura di te...” gli rivelò, il petto tangibilmente sconquassato, facendo così percepire, ancora una volta, il suo stato al piccolo.

Isaac sorrise tra sé e sé, stringendo le manine sul petto del maestro, poco sotto le due clavicole.

E’ per questo che ora… io la canto a a voi.”

I-Isaac, cosa…?”

Come è che faceva? Si vi bi le shi dhina… oh, non la ricordo interamente, accidenti!”

Isaac, non c’è bisogno di sforzarti in questa maniera, io sto bene… riposati, sei stremato.”

Lo siete anche voi… e triste… e spaventato! Por questo continuerò a canticchiare questo motivetto finché non starete meglio!” rispose pronto il piccolo, tornando a concentrarsi su quella melodia che però gli sfuggiva.

Oh, Isaac...”

Non aggiunse altro, si limitò a sistemarlo meglio sul torace e a regalargli, con dolcezza, carezze durature, che partivano dai folti e ispidi capelli per poi scendere sulla schiena, lì fermarsi, aspettare un attimo, e poi riprendere dalla chioma. Lentamente, con costanza, come a volerlo cullare.

Il bambino intanto si faceva in quattro per recuperare la melodia perduta, gli era sopraggiunta la seconda parte della strofa, pertanto riprese il suo canto.

...how we le la la le la hanezeve caradhina...”

Di nuovo il seguito gli sfuggiva, i ricordi erano labili, sfumati, non la rammentava completamente, ma non si diede per vinto, ripetendo e canticchiando quel pezzo senza stancarsi, con intonazione sempre più dolce, desideroso di far star meglio anche il suo maestro, come quest’ultimo aveva fatto precedentemente con lui.

Il respiro di Camus, così come il suo corpo, a quel contatto e a quella melodia si era di molto rilassato. La respirazione era diventata leggera e perfettamente regolare, probabilmente anticamera del sonno; la mano, con il quale accarezzava il piccolo, si era fatta più pesante, quasi non la percepiva più come parte del corpo. Compì ancora due giri prima di restare, immota, sopra le scapole del bambino.

I-Isaac, i-io ti v-v… - sospirò, affranto, sprofondando nel cuscino – grazie...” riuscì infine a sussurrare, addormentandosi completamente poco dopo.

Anche Isaac era molto stanco, lo avrebbe accompagnato volentieri nel mondo dei sogni, sperando quasi che tutti i fatti avvenuti non fossero altro che un incubo, ma prima si permise di scostarsi un poco per guardare, ancora una volta, il viso del maestro, rischiarato dai raggi lunari.

L’espressione non era del tutto serena, difficile che lo fosse pienamente, la pelle rifletteva quella luce come se fosse acqua, dando la sensazione di qualcosa di etereo e di concreto allo stesso tempo; le labbra erano dischiuse, semiaperte, cosa che accadeva di rado, solo quando Camus era del tutto rilassato, o ancora, quando era particolarmente esausto. Chissà quante energie aveva dovuto adoperare per salvargli la vita, per quanto tempo, una volta messolo fuori pericolo, si era preso cura di lui. Era distrutto, non solo per la perdita subita, ma anche per la perenne tensione che, molto probabilmente lo aveva avvolto fino al suo risveglio.

Isaac si sollevò appena, avvicinandosi ulteriormente al suo volto addormentato, prima di circondargli il collo con le braccine in una sorta di abbraccio, il viso nascosto tra le due clavicole. Finalmente chiuse gli occhi, a sua volta sfinito.

Ho… ho capito il messaggio, Maestro Camus… - sussurrò flebilmente, prendendo un profondo respiro – A-anche io vi voglio bene!”

E si addormentò lì, cullato dal suo respiro, cuore contro cuore.

 

Il calore gli era stato violentemente strappato, le proprie radici perse, così come la forma che era destinato ad acquisire… smarrita anche quella.

Quel calore che per lui era tutto gli era stato estirpato con spietatezza, ma quella canzone accarezzava ancora il suo cuore, non facendolo sentire completamente solo. Quella melodia, la voce cristallina del maestro… poteva percepirle nel frastuono più assordante, lontano anni luce da casa.

Era parte di lui, lo sarebbe stato per sempre, persino lì, al confine tra la vita e la morte, mentre mani gentili, delicate, asciugavano tutto il suo corpo bagnato di sudore.

 

 

* * *

 

 

Al coma erano seguiti giorni di sonno agitato, a metà strada tra la veglia e l’incubo. L’incedere del tempo continuava a scorrere, piano piano le sue forze tornavano, anche se non sufficienti per muoversi. Le ore e i minuti non avevano più un significato per lui, semplicemente trascorrevano, mentre i colori e le forme, prima sfumate, assumevano contorni mano a mano sempre più definiti.

Cominciò a riaprire gli occhi e a mantenersi vigile sempre più spesso, meravigliandosi di aver riacquistato la piena vista, quasi stupefacendosene, perché si era ormai abituato a vedere solo da un’unica parte. Eppure… non si era ancora visto allo specchio, non riusciva ancora ad alzarsi, ma la consapevolezza di riuscire a vedere e di essere vivo prendeva sempre più piede in lui.

Quel giorno si sentiva meno tremante del solito, al punto di reggersi seduto da solo, senza sostegno. Aveva preso a guardarsi ogni più piccola parte di corpo, sorprendendosi ancora di più nel constatare che era stato medicato con erbe medicinali essiccate e poco altro, talmente miracolose che le vecchie ferite subite nello scontro con Hyoga, si erano completamente rimarginate. Non ne sarebbe rimasto neanche più il segno. Forse.

Purtroppo, alla pari con il ritorno alla coscienza e allo sbigottimento, il suo cervello si poneva domande sempre più frequenti; domande per le quali non otteneva che deboli, fugace risposte, unite ad occhiate indicative ad opera della persona che si era preso cura di lui per tutto quel tempo.

Sospirò affranto, scostandosi le coperte e provando a muovere le gambe, che rispondevano bene alle sue direttive, nonostante l’inedia in cui erano state costrette. Isaac non aveva idea se sarebbero state in grado di sorreggerlo, ma se non ci avesse provato non avrebbe potuto mai scoprirlo, pertanto, puntellando le braccia, fece per alzarsi, ma in quel momento qualcuno bussò e una voce da fuori, melodiosa, lo raggiunse.

“Permesso?”

Isaac sussultò, ricomponendosi immediatamente e recuperando le coperte, con il quale si cinse il grembo. Quella giovane donna lo aveva già visto nudo, in quei giorni di incoscienza profonda, ma l’idea di mostrare le proprie grazie anche da sveglio non lo allettava per niente, pertanto si premunì di non lasciar vedere nulla, prima di rispondere.

“Avanti! - disse, in tono più alto del normale, aspettando che lei entrasse, cosa che fece immediatamente – Non dovrebbe chiedermi il permesso, la casa è sua… Signorina Seraphina!” farfugliò, arrossendo nel riconoscere la sua figura sinuosa.

“Oh, per favore, Isaac, dammi pure del tu e chiamami solo Seraphina, mi imbarazza essere appellata così. – lo sgridò bonariamente, con un largo sorriso, prima di posare il vassoio sul comodino – Ti ho portato la cena, piccolo!” gli spiegò poi, arruffandogli dolcemente i capelli con fare protettivo e naturale.

‘Piccolo’ era un soprannome che lo destabilizzava, per tanto Isaac discostò lo sguardo per celare il disagio. Poteva essere chiamato ‘piccolo’ dal Maestro Camus, nei momenti intimi, e soprattutto quando era veramente un soldo di cacio, non certo all’età di 15 anni compiuti, era tremendamente imbarazzante! Tuttavia si sforzò di non darci peso, sporgendosi per afferrare il piatto, che conteneva una minestra di color verde piuttosto densa, e del pane scuro.

“Riesci a mangiare da solo?” gli chiese premurosa Seraphina, sedendosi a bordo letto, temendo di essere troppo invadente.

“S-sì, sono abbastanza in forze!”

E poi anche quello era tremendamente imbarazzante, essere imboccato perché troppo debole per nutrirsi, che vergogna! Anche quella era una cosa tipica da Camus, ma solo quando lui era un marmocchio di sette, otto, o nove anni, non certo dopo!

Rimase in silenzio ad assaporare la zuppa, constatando che, a dispetto di quella del maestro, Seraphina le faceva molto più leggere e molto meno salate, anche se ugualmente piene di nutrienti. La minestra andava giù come l’acqua, riscaldandogli immediatamente lo stomaco e regalandogli nuovo vigore.

“Sei bravo, Isaac… scusami se è tutto quello che possiamo offrirti, non ti sei mai lamentato di nulla, sebbene il menù sia quasi sempre lo stesso, ma… - sospirò, affranta, guardando in direzione delle finestra – Le scorte stanno per finire...”

Si lasciò sfuggire, in tono tremante. Sembrava davvero amareggiata e dispiaciuta. Isaac se ne accorse ma decise di non darci peso, anche se le domande, nella sua testa, stavano cominciando a traboccare. Seraphina si lasciava spesso fuggire frasi, più propriamente mezze frasi, avvolte dal mistero. All’inizio era troppo debole e frastornato per chiedere chiarimenti, poi, mano a mano che il tempo trascorreva e che le forze tornavano, mille e più quesiti, desiderosi di risposta, avevano preso a ronzargli frenetici in testa. Dove si trovava? Quanto tempo era passato? Chi era lei, veramente? Perché quel cosmo niveo e candido, il suo, sembrava nascondere più di quanto manifestava? Ancora una volta, si trattenne su quell’argomento, come se l’intuito lo fermasse dal venire a scoprire una verità dolorosa, come se l’istinto avesse già compreso di trovarsi in una situazione del tutto fuori dall’ordinario.

“Non si… volevo dire, non ti preoccupare! Anche da dove vengo io vi erano periodi di magra e periodi migliori, amo mangiare di tutto, ma sono altresì abituato a resistere ai morsi della fame, e comunque le zuppe sono buone!” provò a tranquillizzarla, buttando a sua volta un occhio fuori dalla finestra: notte, era di nuovo notte, possibile che si svegliasse sempre con il buio?Che iella!

Seraphina non disse niente, indovinò la direzione del suo sguardo e trasse un profondo sospiro, recuperando poi il vassoio con il piatto.

“Riposati ancora un po’, stai recuperando le forze, ma sei ancora debole… è prematuro per te alzarti” gli consigliò prima di accomiatarsi, dirigendosi verso la porta. Isaac però desiderava continuare il dialogo, in un modo o nell’altro. Finalmente riusciva a mantenersi cosciente per più tempo, gli mancava non discorrere con qualcuno.

“Quanto manca all’alba?” chiese, d’istinto.

“E-eh?”

“Quanto manca all’alba? - ripeté Isaac, sistemandosi il cuscino e rimboccandosi le coperte, non aveva fatto che pochi movimenti, ma era già stremato – Pensavo: mi sveglio sempre con il buio fuori, un giorno di questi mi piacerebbe rimanere vigile per assistere al sorgere del sole...”

Le braccia di Seraphina ricaddero molli, pur mantenendo comunque la presa ferrea sul vassoio. Tremò impercettibilmente, ma abbastanza per destare l’interesse di Isaac, che si voltò verso di lei, stranito. Credeva di aver posto un quesito naturale, ma così non sembrava vista la reazione.

“Ma-manca ancora molto… per stanotte ti consiglio di dormire, Isaac, avrai tempo per vedere l’alba quando starai meglio!”

Il suo tono di voce era strano, spingendo così il ragazzo a deviare ancora argomento, su un qualcosa che aveva percepito fin dal primo barlume di coscienza formatasi in quel luogo, ma che non aveva avuto altresì il coraggio di chiedere, un po’ per viltà sua, un po’ perché le increspature di quel cosmo, vicino ma lontano, famigliare ma sconosciuto, lo avevano confuso ancora di più. All’inizio aveva provato lui stesso ad avvicinarsi, con gli occhi della mente, ma l’essenza gli sfuggiva e, del resto, non si era mai palesato davanti ai suoi occhi vigili… perché? Che ancora… che ancora fosse così furibondo con lui?

Se lo meritava, certo, ma… Ingoiò a vuoto, stringendo i pugni. No, quel giorno avrebbe rigettato tutte le sue incertezze e avrebbe trovato il coraggio di porre la domanda. Non esitò più, non poteva più soprassedere sull’argomento.

“Tu… conosci il mio Maestro Camus dell’Acquario, vero?” chiese, tutto d’un fiato. A Seraphina mancò poco di non lasciar cadere tutto per terra. Si appoggiò alla parete, vicino alla porta di uscita, gli occhi ancora sfuggenti, quasi annebbiati.

“Rispondimi, ti prego… tu ti sei presa cura di me per tutti questi giorni, ma non eri sola, vero? Dentro queste mura vive un’altra persona, che si allontana in determinate ore per poi tornare a sera, credo. Io… lo so, l’ho avvertito, sento il suo cosmo e… e...”

Il suo tono era salito fino a strozzarsi. Serrò le palpebre, preda di una sofferenza tangibile e che però non aveva più nulla a che fare con le vecchie ferite. Sbarrò gli occhi davanti alle lacrime, che avvertiva pizzicare tra le ciglia, trattenendo a stento un singhiozzo. Mantenere la calma in qualunque circostanza… non stava affatto adempiendo a quell’insegnamento che gli aveva aveva impartito il suo venerato maestro. Una delusione… continuava a pensare di essere stato una delusione per lui, ma forse Camus era lì con loro, del resto avvertiva un cosmo del tutto simile, anzi, perfettamente calzante con quello che aveva da sempre imparato ad amare e riconoscere.

Forse non era tardi per chiarirsi… anche se la logica di quel posto gli sfuggiva.

Forse non era tardi per riconciliarsi.

Forse, semplicemente, la sua vita era stata prolungata allo scopo di non avere più alcun rimpianto.

Forse…

“Non ti fa bene agitarti così...”

“Tu rispondi solamente… lo conosci?”

“Sì… e no...”

Gli occhi di Isaac, improvvisamente brillanti, si erano nuovamente spenti al suono di quelle ultime due lettere.

“Come sarebbe a dire…?”

“Ascoltami… avrai le risposte che cerchi al momento giusto, ora pensa solo a rimetterti in forze, non sei ancora pronto per affrontare una simile verità...”

“N-non sono così debole, il… il maestro Camus mi ha insegnato a...”

Non terminò la frase, sentendosi nuovamente stremato. Un capogiro lo aveva colto. E capì. Capì che quelle zuppe leggere che scendevano già nello stomaco e nell’esofago con naturalezza, non servivano solo rimetterlo in forze, ma anche per indurlo in un o stato di sonno allo scopo di concentrare tutte le sue energie psico-fisiche verso la guarigione completa, come dei veri e propri narcotizzanti.

Seraphina, capendo che la medicina stava per fare effetto, si avvicinò nuovamente al letto, posando il vassoio sul comodino e permettendosi di accarezzargli i capelli con fare materno, come a volerlo coccolare e accompagnare piano piano verso l’incoscienza. Isaac cedette, accasciandosi sul letto, sempre più intontito. Tuttavia riuscì ancora a parlare un’ultima volta.

“A me… manca tantissimo… sento i-il suo cosmo, qui vicino, così niveo e immenso, ma… ma non si è mai avvicinato a me, tranne quando mi avete curato e… - prese un profondo respiro, chiudendo stancamente le palpebre – E’ ancora così arrabbiato con me?” chiese, in tono supplichevole, abbandonandosi all’oblio.

Seraphina sorrise mestamente, accarezzandolo ancora un po’, fino a quando il suo respiro non diventò regolare e giustamente cadenzato. Si era completamente addormentato.

“Non può essere arrabbiato in alcun modo con te, Isaac. Sei il suo orgoglio, questo non dimenticarlo mai, e… - si sforzò di rendere il suo tono meno tremante – Vedrai che prima o poi potrete riabbracciarvi!” gli ripeté, per fargli forza, rimanendo lì a coccolarlo ancora un po’, come avrebbe fatto con suo figlio.

 

Era difficile comprendere lo scorrere del tempo dentro le nebbie oscure dell’incoscienza. Parevano passati secoli dallo scontro con Hyoga, eppure quelle immagini, quella sensazione di essere soverchiato, quegli occhi che emanavano una delusione profonda, non smettevano di rimbalzargli in testa, dando l’impressione che fosse accaduto appena ieri.

Quando Isaac aprì nuovamente le palpebre, la prima cosa che fece istintivamente fu quella di gettare lo sguardo fuori dalla finestra, scorgendone il buio imperituro.

Notte, era di nuovo notte, assurdo! Quasi soffiò fuori il suo fastidio, mentre, concentrando le sue forze, si alzò a sedere. Seraphina non era nella stanza, le energie però erano quasi pienamente tornate. Si meravigliò nel constatare di riuscire a stringere a pugno le mani più volte senza tremare, come invece accadeva i giorni precedenti. Socchiuse gli occhi, concentrandosi sui cosmi nelle vicinanza. Vi era solo l’aura della Signorina Seraphina, l’altra emanazione non era presente in quelle quattro mura, ma gli era talmente famigliare da riuscire a scorgerla in avvicinamento. Ne provò un tuffo al cuore.

Seraphina gli aveva detto che avrebbe avuto le risposte al momento giusto; Isaac scelse che quel momento giusto era appena arrivato e sarebbe stato quella sera, o notte, stessa.

Puntellò le braccia e mise i piedi fuori, toccando il pavimento nudo con la punta dell’alluce e successivamente con le altre dita. Attese un po’, il tempo per rabbrividire un poco a quella sensazione ritrovata. Anche il pavimento dell’isba della sua famiglia era sempre stato freddo, eppure la casa che li accoglieva era sempre stata piena di calore. Per certi versi, la sensazione provata da quando aveva recuperato quel barlume di coscienza, era la medesima, sebbene un poco più attutita.

Isaac aveva riconosciuto quel cosmo così famigliare, nonostante ai suoi occhi non si fosse mai fatto vedere. Certo, era un poco diverso da quello che rammentava nei tempi dell’addestramento, ma non poteva essere altri che lui, il suo adorato Maestro Camus. Non si sapeva spiegare perché, al dire il vero, neanche gli importava, ad essere onesti. Poteva trattarsi di un nuovo incubo, di una landa misteriosa, di un tempo diverso, ma il suo cosmo era percettibile, lo avrebbe riconosciuto tra mille.

Aveva un bisogno disperato di ricongiungersi a lui, supplicandogli perdono, nella speranza di essere riaccettato come allievo dopo l’ingerenza del Kraken. E Hyoga poi… dov’era? Per quanto si sforzasse, non percepiva il suo cosmo. Occorreva indagare.

Questo pensava il giovane Isaac, la mente ancora febbricitante persa in mille congetture, mentre freneticamente le sue mani andavano a raccogliere le lenzuola per avvolgersi dentro, come una tunica che gli coprisse il corpo e che arrivava fino a sopra le ginocchia. Non c’erano vestiti puliti lì intorno, ma quello non bastava di certo per fermarlo.

Aveva ancora freddo, non stava ancora bene, ma si accorse di avere energie sufficienti per camminare, e così fece. Uscì dalla stanza, socchiudendosi la porta dietro. Le luci soffuse del corridoio, ugualmente distanziate tra loro, le accolsero, dandogli il primo, vero, senso di straniamento. Zampettò incerto a vederle, constatando che si trattava di lampade ad olio vecchissime. Si guardò sbigottito intorno, chiedendosi perché in quella casa non sembravano esserci lampadari. In ogni caso, liquidò la faccenda ad un secondo momento, trovando nel desiderio di rivedere il volto del maestro le forze per continuare.

Era lui, doveva essere assolutamente lui, quell’entità in avvicinamento e in possesso di un cosmo candido e niveo, come i ghiacciai solenni della Siberia dell’Est.

Il cuore perse un battito, la sua testa fu presa d’assolto da un capogiro, ma si trattenne, posando il piede destro sul primo scalino, seguito dal sinistro, un poco più traballante, poi di nuovo il destro, un po’ più sicuro, e così via.

Voleva vederlo… doveva vederlo. Assolutamente.

 

Siete qui, Maestro, vi siete preso cura di me, l’ho percepito nitidamente tra gli spasmi dell’incubo. Non importa se siete ancora arrabbiato con me, non importa se vi ho deluso… se siete qui, da qualche parte, se mi riaccetterete, malgrado tutto… vi dimostrerò che posso ancora essere degno di voi. Lo prometto, C-Camus!

 

La mente del giovane Isaac era affollata di questi pensieri, mentre, perseguendo il suo istinto si recava, sulla scia delle luci soffuse, verso una stanza rischiarata anche da dalle candele. La casa doveva essere bella grande, ma non aveva il tempo per indagare ulteriormente, troppo pressato da scoprire la verità su quel cosmo niveo.

Si affacciò a quella porta socchiusa, vi era un bel profumino di erbe essiccate appena passate al setaccio, e si udiva il bollire di un qualche liquido contenuto in una pentola. Isaac rimase lì in attesa per una serie di minuti, intento a guardare le manovre di Seraphina atte, con ogni probabilità, a preparare la cena. Si chiese che razza di stagione fosse e a che latitudine si trovassero per essere buio così spesso, ma ricacciò indietro quell’ennesimo quesito futile, rimanendo in attesa. E attese. Attese.

Per minuti, che a lui parvero un’eternità.

Con il cuore che gli scoppiava in petto, fuori controllo.

Con il respiro rotto.

Attese per lungo tempo, finché…

La chiave della serratura girò. Il suono secco di una porta che si apriva. Isaac sussultò nel riconoscere, ancora una volta, il cosmo candido del suo maestro nel pieno del suo fulgore. Ingoiò a vuoto, trepidante.

Seraphina intanto, concentrata sui fornelli, si raddrizzò, andando a dare il benvenuto al nuovo arrivato. Il ragazzo quindi si sporse più che poté senza essere visto, stringendo la presa sul legno della porta con foga inaudita. Finalmente… finalmente avrebbe potuto rivederlo! Gli era mancato così tanto...

“E’ andato tutto bene?” chiese titubante la giovane donna alla figura incappucciata che era appena passata dall’ingresso alla cucina con passo leggero.

“Uhm, sì… ho fatto quanto ho potuto.”

Il cuore di Isaac perse un altro battito nel riconoscere una leggera patina francese in quelle poche parole. Quello, unito alle orecchie ancora tappate per via della febbre, gli diede la conferma definitiva che fosse proprio lui, ignorando però, purtroppo, che il tono della voce era nettamente diverso.

Il giovane allievo non avvertiva altro, fuori da sé, solo le gambe, che facevano ‘giacomo giacomo’, come quando era piccolo e attendeva trepidante il ritorno del maestro, poi i battiti irrefrenabili del suo cuore e, in ultimo, la cosa più importante, quei lunghi ciuffi della figura incappucciata, che gli ricadevano davanti. Più nessun dubbio.

Vinto da quella consapevolezza, sovrastato da quell’onda anomala di emozioni, riuscì infine ad aprire completamente la porta, accennando qualche passo all’interno.

I suoi occhi erano lucidi e ricolmi di speranza, che tuttavia declinò in fretta in qualcos’altro quando, scacciata l’ultima bruma della febbre, le iridi verdi di Isaac non riconobbero la figura di chi aveva davanti. Si immobilizzò, il petto nuovamente cavo. Si immobilizzarono anche gli altri due. Sia Seraphina, appena corsa ad abbracciare l’ultimo arrivato con un gentile fronte a fronte, sia l'altro, il quale, avuto appena il tempo di togliersi il cappuccio, forse nel rendersi conto della situazione, aveva mutato l'espressione da serena a sgomenta nell'arco di un solo istante.

Non lo era... non era... Camus. Tuttavia gli occhi erano dello stesso colore, la composizione dei capelli pressoché uguale. Eppure NON... ERA.. LUI... NON LO ERA IN ALCUN MODO!!!

Un impostore?!

Una cieca rabbia invase Isaac, unita alla paura, allo spavento, allo sbigottimento e alla più nera delusione. Tutte queste emozioni in un colpo solo avrebbero spezzato chiunque, ma nel corpo del giovane trovarono sbocco in una manifestazione di ira, incontrollata e incontrollabile. Gli partì un colpo.

“Chi diavolo sei, maledetto, non sei lui, non sei Camus!!!” gli urlò, rabbioso, mentre la Diamond Dust scaturiva istantaneamente dal suo pugno.

“No, Isaac, aspetta!” provò a frapporsi Seraphina, ma l’attacco era già stato ampiamente parato dall’altro individuo con il solo ausilio del palmo della mano.

Isaac cadde a terra per il contraccolpo, la debolezza e lo shock. Il sedere sul pavimento freddo, gli occhi spalancati, le labbra tremanti.

Da qualche altra parte, anche il piccolo Isaac cadde a terra, sul permafrost, massaggiandosi il didietro.

Ahi! Ahi! Ahi!” borbottò, plateale, tornando poi a fissare meravigliato il palmo del maestro che aveva fermato con grazia il suo colpo e che lo stava fissando con un mezzo sorrisetto.

Come siete riuscito a…?”

“Come puoi…?”

“Isaac, hai ragione, non sono Camus, ma il mio cuore, nello scorgerti già la prima volta, ha avuto un sussulto. Lui ti ha riconosciuto.”

“C-Cosa?!?”

“La tua Diamond Dust è molto potente, degna di colui che ti ha fatto da maestro, ma non andrai da nessuna parte così accecato dalla rabbia.”

Isaac, i tuoi colpi sono potenti, ma così in balia di sentimenti nefasti, soprattutto per te stesso, non andrai da nessuna parte!”

Isaac gonfiò le guance, rialzandosi in piedi con slancio. Non era vinto, voleva dimostrarglielo, soprattutto voleva fargli capire i suoi sentimenti, i suoi ideali.

Nella foga dell'attacco penso a lui, a Lisakki, all’ingrata fine in cui è dovuto incorrere, agli aguzzini dei miei genitori e a voi, maestro, alla vostra fragilità, trasformata in forza. Come può essere sbagliato, questo? Come si può non provare rabbia per le ingiustizie della vita? Io... non permetterò che lo stesso capiti a voi! Diventerò forte per proteggervi senza incertezza alcuna!” disse deciso il piccolo, risoluto.

Camus gli sorrise, con tenerezza, permettendosi di avvicinarsi e accarezzargli la testa per poi inginocchiarsi davanti a lui e guardare meglio negli occhi quel piccolo prodigio che stava per compiere 8 anni.

Non è sbagliato, Isaac, se vuoi difendere i più deboli, ma un Cavaliere di Atena deve essere in grado di incanalare quelle pulsioni verso un ideale ancora più alto. Deve sublimare gli istinti ed elevarsi, non servirsi di essi per lanciare un colpo!”

Allora non ce la farò... quei sentimenti, quella rabbia... sono identro il mio stesso spirito!” mormorò il piccolo, triste, ma Camus, alzandogli gentilmente il mento con due dita, gli sorrise.

Ce la farai, perché puoi esserne capace anche tu. Io sarò sempre con te, ti guiderò, per impedirti di essere soggiogato dalle tenebre dell’ira che ti porti dietro.”

“E invece non ci siete più... per questo io mi sento così perso, per questo la rabbia è tornata… e mi mancate tremendamente!”

“Isaac!!!”

Seraphina era corsa ad abbracciarlo nel vederlo così a terra, vinto, sull’orlo delle lacrime, quasi singhiozzante.

“Eri troppo debole per compiere sforzi, figurarsi per questo!”

Isaac era ancora sconvolto e tremante sul pavimento, perso nei recessi dei ricordi. Non riusciva a pensare ad altro che l’unica ragione per cui si era imposto di non morire, era di rivedere Camus, cullandosi nella speranza che, stante il cosmo così simile, lui fosse in qualche modo lì vicino. Invece no, era tutto sfumato nell’aria, anche se stava ancora lì a languire nel suo cuore, procurandogli ancora più male.

“C-cosa sta... succedendo?” ebbe infine il coraggio di chiedere, quasi boccheggiando. Era completamente svuotato.

Seraphina scambiò un’occhiata di circostanza con quell’essenza del tutto simile al Maestro Camus senza però esserlo, che le fece un cenno con il capo. Si capivano senza usare le parole.

“Coraggio, riesci ad alzarti?” gli chiese la giovane donna, prendendolo da sottobraccio. Isaac fece sì con la testa, lasciandosi poi accompagnare sulla sedia del tavolo. Quelle luci soffuse gli cominciavano a dare fastidio, così come tutti quei misteri che avevano celato fino a quel momento. Guardava torvamente la figura davanti a lui, vicina ma lontana, famigliare ma estranea, attendendo che dicesse qualcosa.

“Immagino che ti sentirai parecchio sfasato, smarrito, perso...” ruppe infine il silenzio, togliendosi finalmente il mantello che posò sulla sedia, mostrando così i lineamento fini coronati da una cascata di capelli verdi che gli arrivava fino al sedere. Isaac non poté fare a meno continuare a fissarlo con un pizzico di astio. Aveva dei tratti molto delicati e aggraziati, eleganti, proprio come il maestro, ma la parte in assoluto più simile a lui erano gli occhi; quei dannatissimi occhi dello stesso colore di quelli di Camus, taglienti come i suoi quando era arrabbiato e, ancora di più, resi un poco induriti dall’età, o dall’esperienza, o chissà da cos’altro.

Isaac avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa a quell’essenza che lo ammaliava e lo infastidiva al tempo stesso, ma decise di andare al sodo come suo solito.

“Perchè sei così simile a lui?” gli soffiò contro, in attesa di spiegazioni.

L’uomo sospirò, togliendosi la giacca di dosso e rimanendo così in casacca e pantaloni. Si appoggiò al muro laterale, stanco e spossato, incrociando le braccia al petto. Altro atteggiamento simile, troppo simile, al suo maestro.

“Mi duole doverti dire, ragazzo, che sei partito dall’argomento più difficile e che non può essere trattato senza prima tediarti con mille e a più nozioni che, allo stato attuale, ti sconvolgerebbero dal profondo, più di quanto non sia già successo in questo malaugurato primo pomeriggio.”

“P-primo pomeriggio?! - l’occhiata di Isaac andò verso la finestra, avvolta dal buio, per poi tornare nella stanza, rischiarata dalla tenue luce – A che... a che latitudine siamo? In quale stagione?!”

“...”

“E-ehi, senti un po’, bel damerino, c’è qualcosa che mi puoi raccontare, oppure..?”

La mano di Seraphina fu sopra la sua, Isaac sussultò a quel contatto, mentre la rabbia spariva in un colpo. Gli occhi azzurri della donna erano così tristi e dolci allo stesso tempo, il suo tocco così delicato… avrebbe potuto calmare chiunque con quella voce, con la sua sola vicinanza. Isaac ne era carpito.

“Per favore, Isaac, non avercela con Dègel... lui non ti vorrebbe nascondere niente e... e avrebbe voluto prendersi cura di te, oltre che per quell’occhio, ma la situazione è molto delicata, la sua stessa corporeità ti avrebbe sconvolto, per questo si è tenuto alla larga da te, fino ad oggi.”

Isaac la fissò sconcertato, la bocca semi-aperta, il cuore in gola. E capì. Capì che si stava comportando da poppante, come il suo maestro non avrebbe mai voluto. Deglutì, chinando il capo e stringendo i pugni. Doveva calmarsi. Di nuovo la parola passò all’uomo che aveva davanti.

“Grazie, Sefi, la tua dolcezza riesce sempre a raggiungere il cuore di chiunque. Ti sono veramente grato. - sorrise tiepidamente Dègel, infondendo tutto il suo vecchio sé stesso in quel sorriso stentato – Io... ho perso irreversibilmente questa capacità.”

“Non è affatto vero, è dentro di te, so che la ritroverai, prima o poi.”

Si scambiarono uno sguardo di reciproca intesa e sostegno, mentre Isaac, riemergendo ancora una volta dal labirinto del suo cervello, si sforzò di riprendere la parola.

“Quindi ti chiami... Dègel, giusto?”

“Sì, un tempo ero Cavaliere d’Oro dell’Acquario, ora quella carica non esiste più. Poco esiste del tuo mondo, Isaac...”

Parlava per enigmi, un tono incerto e difficoltoso, quasi il solo parlarne gli procurasse un dolore estenuante. Mille e più domande navigavano nella testa del giovane, ma una cosa era chiara: lì, dovunque si trovasse, la situazione era più che disperata, ma… dove era finito di preciso?

Affogò quella domanda in sé, intuendo che non avrebbe ottenuto risposte nell’immediato, per concentrarsi su domande più concrete.

“Il mio occhio sinistro, io... ci vedo di nuovo, come…?”

“Sono stato io, anche se, purtroppo, non ho potuto fare niente per cancellare la cicatrice che ti porti dietro... mi dispiace.” gli raccontò mentre, con andatura leggera, si avvicinò ad uno dei cassetti della credenza, lo aprì, ne trasse fuori uno specchio e, pur mantenendo le distanze, glielo porse.

Isaac prese l’oggetto con le mani tremanti. Era un poco appannato e di vecchia foggia, sembrava quasi rame, oppure ottone, non sapeva dirlo con certezza. Tuttavia, ciò che lo sorprese più di ogni altra cosa, fu vedere sul vetro la sua espressione allibita e quell’occhio sinistro, in quel momento spalancato al limite dell’umano possibile, in tutto e per tutto funzionante. Si ammutolì, continuando a tastarselo diverse volte, ci guardò dentro, sgomento, tracciò il sopracciglio, per poi scendere sulla cicatrice, rimasta intatta, sì, ma con un occhio in più, che credeva di aver perso per sempre.

“Come... come hai fatto?”

“Temo di non poterti rispondere nemmeno a questo.”

“Uff, c’è qualcosa che mi puoi dire?”

Isaac si era calmato grazie all’intervento di Seraphina, ma era comunque infastidito dal trattamento che stava ricevendo.

“Col tempo ti racconterò tutto, se vorrai, ma al momento ho io un quesito da porti.”

Quella era proprio bella! Era lui a trovarsi in un luogo sconosciuto, a parlare con la controparte in tutto e per tutto simile a Camus senza esserlo per davvero e, come se non fosse bastato, fuori dalle finestre, all'esterno, circondati da un buio imperituro che non aveva presunte spiegazioni, se non che si trovassero in uno dei due poli. In un quadro simile, quello che doveva rispondere alle domande doveva essere lui?! Pazzesco!

“Vedrò di fare quello che posso.” acconsentì, in tono basso, rammentando una frase che Camus diceva spesso quando non era convinto di una richiesta, o di un certo fatto.

“L’argomento è delicato, lo comprendo bene, ma... ricordi qualcosa prima di finire qui?”

“Ricordo... tutto!”

“E’ molto importante, Isaac. - la voce di Dégel aveva assunto un tono grave, il ragazzo ne percepì l’enorme peso – Secondo i miei studi, ci sono alcuni modi per finire qui. Vorrei che confermassi questo mio sentore”

“Sei... uno studioso?” domandò il giovane, con l’intento di alleggerire il carico di tensione su quell’argomento.

“Qualcosa di simile, sì. - sorrise tra sé e sé Dégel, allietato all’idea di essere stato chiamato così, prima di continuare – Tra i modi possibili, ce ne è uno che noi Cavalieri dei Ghiacci conosciamo bene...”

“E sarebbe..?” chiese ancora Isaac, inarcando un sopracciglio, prima di trasalire. Aveva capito dove sarebbe andato a parare il discorso.

“Raggiungere e superare lo Zero Assoluto. Dimmi, ragazzo, ti..?”

Ma si fermò nello scorgere la sua espressione quasi livida, i suoi occhi spalancati verso l’infinito e il tremore del suo corpo palpitante come un pulcino nel nido.

“Va tutto bene, Isaac, con calma...” provarono a tranquillizzarlo sia Dégel che Seraphina, stringendogli le mani.

Il ragazzo era impallidito di colpo, sudava freddo, nel ricordare quei momenti e non fu in grado per diversi minuti di parlare ulteriormente. Quella reazione, da sola, bastava come conferma ai loro sospetti.

“Mi dispiace... - si lasciò sfuggire Dègel, sinceramente pentito – Se non ne vuoi parlare va bene comunque, non voglio costringerti!”

“N-no, va bene così, solo... solo c’è qualcosa da bare? Ho la gola secchissima.” biascicò ancora Isaac, mentre Seraphina si alzava per andare a prendere dell’acqua. Dove non lo sapeva, il giovane non la vide uscire fuori dalla cucina e poi rientrare, così sconquassato com’era da quella affermazione. Seppe solo che, ad un certo punto, la brocca d’acqua gli arrivò e lui ci si tuffò dentro, bevendone quasi la metà prima di trovare le forze per tornare a parlare.

“Il mio compagno di addestramento Hyoga, l-lui ha... ha raggiunto, e superato, lo Zero Assoluto. A-abbiamo dovuto combattere, per-perché eravamo in due schieramenti diversi.” si affrettò a liquidare la faccenda che gli doleva alquanto.

“Hyoga, già... l’altro allievo di Camus. Ha di che essere orgoglioso di voi il vostro maestro.” commentò Dègel con un sorriso malinconico.

A dispetto delle parole usate, la frase non era stata pronunciata ironicamente, tutt’altro, anzi, in un tono confidenziale, come di sincera confessione a vivo cuore.

“E... quando ti sei risvegliato, ti sei trovato inspiegabilmente qui.” finì per lui Seraphina, sinceramente coinvolta nel racconto.

“I-io, s-sì... sono morto? O vivo?” chiese smarrito Isaac, in cerca di un appiglio.

Seraphina lo abbracciò dolcemente, con una intensità tale che chiunque, se fosse stato fratturato dall’interno, si sarebbe rimesso come nuovo, grazie al calore irradiante di lei.

“Ascoltami, Isaac... qui, la tua condizione esistenziale non è determinabile, prima o poi capirai, ma se avverti il tuo cuore, le emozioni, allora sei vivo!”

Un’altra frase enigmatica, il giovane allievo si prese a massaggiarsi la fronte, gli occhi fissi sulla figura di Dègel, simile così tanto a Camus, eppure così diversa. Non aveva più un appiglio, gli sembrava di sprofondare in un mare di incertezza sempre più oscura. Solo… totalmente solo…

Ancora una volta fu il ricordo del sorriso del suo venerato maestro a non farlo precipitare nella più nera disperazione.

“Dégel... conosci anche Hyoga, da quanto hai detto, sembra che tu sappia molto su di noi. - ritentò, gli occhi lucidi, sconfortato – Dimmi, per favore, dimmi quale legame hai tu con Camus, è un mio diritto saperlo!”

Gli era uscito un tono strozzato, distrutto, ma la sua espressione determinata non mutò di una virgola. Che cadesse in sordina tutto, ma quello no, assolutamente no. Chi era realmente Dégel? Che legame aveva con il maestro? E con loro?

“Hai ragione, è un tuo diritto! - annuì cupamente Dègel, alzandosi lentamente in piedi e compiendo un breve giro intorno alla sedia, prima di proseguire – Lui è... qui dentro!”

Così disse, posandosi una mano sopra il cuore e socchiudendo malinconicamente gli occhi.

“C-Come sarebbe? D-dentro?! I-intendi..?”

“Compenetrazione di anime. - rispose per lui Seraphina, gli occhi tristi – Anzi, della stessa anima in due tempi storici diversi, nello specifico!”

“Vo-volete dirmi che l’anima del maestro e quella di Dègel si sono...?”

“Condividevamo la stessa anima, sì, in due epoche e in due corpi diversi. La commistione di entrambi ha prodotto me, che mostro i caratteri distintivi e somatici di Dègel ma che mantengo anche i ricordi del fu Camus, della sua vita, che sarebbe poi stata il mio futuro. - si prese una breve pausa, il suo corpo tremava – Proprio grazie a quest’ultima ti ho riconosciuto quando, circa un mese fa, ti abbiamo trovato ad Est della foresta di Norheim.”

Un’ulteriore pausa, più prolungata, le parole faticavano a fuoriuscire.

Isaac era incredulo, costernato, allibito e… sentiva freddo, un freddo micidiale, da dentro. La tiepida mano di Seraphina, che ancora stringeva la sua, non era più in grado di riscaldarlo.

Era tutto così assurdo, così inconcepibile! Cosa aveva spinto Camus ad affogare sé stesso, profondendo tutto in una nuova essenza che non possedeva più i suoi caratteri distintivi? Per chi, o per cosa, Camus dell’Acquario, suo venerato maestro, aveva dato ogni cosa, annichilendo interamente sé stesso? E poi... quando diavolo era successo? A meno che... Isaac trasalì, mentre la verità fu disvelata ai suoi occhi. Singhiozzò, un’unica volta.

Si mise la testa tra le mani, piegandosi su sé stesso per il dolore dilaniante appena provato.

“Isaac, lui è dentro di me, ti ha riconosciuto perchè alcuni 'nodi' sono comuni a tutti i mondi, anche se, vedi, proprio per questo, non sei propriamente il suo Isaac, bensì...”

“...un altro Isaac proveniente da un altro mondo, perché mi ritrovo in una dimensione differente, vero?! Ho superato l’orizzonte degli eventi per finire qui.” asserì con difficoltà, sull’orlo delle lacrime.

“Conosci quindi la teoria del Multiverso?” domandò Seraphina, genuinamente stupita.

“Me ne parlò il mio Maestro Camus, anche se non avrei mai pensato di finirci per davvero: l’accesso tra i vari mondi dovrebbe essere impossibile!”

“Così è, in circostanze fisiche normali, ma questa dimensione è diversa, non ha più leggi sue, non vi è altro che il caos...”

“Pe-Perché?”

“Perché il pianeta è vicino alla paralisi totale.”

Isaac rabbrividì a quell’ennesima affermazione che significava tutto e niente allo stesso tempo. Percepire la gravità della situazione senza però comprenderla del tutto, quello sembrava il mantra di quel dialogo surreale in un mondo altrettanto kafkiano.

“Che diavolo significa? In che razza di mondo sono finito?!”

Dégel prese un profondo respiro, avvicinandosi alla finestra della cucina e discostando un poco le vecchie tendine erose dal tempo. Isaac lo seguì con lo sguardo. Quella casa sembrava datata sotto ogni particolare, eppure -il ragazzo ne aveva avuto da subito la sensazione- era dotata dei migliori servizi atti alla sopravvivenza su un pianeta che si ribellava al concetto stesso di ‘vita’.

“…in un mondo in cui gli esseri senzienti rimpiangono di non appartenere ai morti.” riuscì infine a biascicare l’ex Cavaliere dell’Acquario, raddrizzando la schiena.

A quel punto Isaac si accasciò sul tavolo, sopraffatto. La testa gli doleva alquanto, come se si volesse rivoltare a tutte quelle affermazioni assurde e prive di senso. Per un solo istante, desiderò lasciarsi andare, morire sarebbe stato più semplice. Che davvero il colpo allo Zero Assoluto di Hyoga lo avesse trasportato lì?! Come era possibile?!

“Io... perché non sono morto? Perché sono finito qua?!” si ripeté più volte, sbattendo la fronte contro il tavolo nel desiderio che tutto quello finisse in fretta, in un modo o nell’altro.

Seraphina era lì con lui, gli accarezzava i capelli, ma neanche le sue mani delicate erano più in grado di riscuoterlo.

“Isaac, guardami...”

Il ragazzo trasalì, trovando le forze di farlo in quella esortazione che il maestro Camus proferiva sempre quando le cose si facevano serie e lui aveva bisogno di tutta l’attenzione del suo allievo per andare avanti. Raccomandazioni, richieste... doveva mantenere il contatto visivo con lui in tutti quei frangenti. E lo stesso Dégel, perché, in fondo, erano la stessa essenza, anzi, di più, visto che ne possedeva anche i ricordi.

“Ascoltami, ragazzo, ora non sei in condizioni di trattare simili argomenti, sei spaventato, sconvolto... ed è perfettamente capibile questo, ma ora ho bisogno della tua parola. Pensi di riuscirci?”

Isaac lo guardò; guardò i suoi occhi blu, brillanti, così simili a quelli di Camus, e trovò la forza ancora una volta di sollevarsi e raddrizzarsi con la schiena e ricambiare quell’occhiata densa di significato. Buttò ancora un occhio fuori dalla finestra, verso quel nero imperituro. E arguì.

“Io credo di sì, ma... prima rispondimi, se puoi: questo mondo non ha alba?” chiese, stringendo i pugni.

Inaspettatamente Dégel sorrise, un poco rasserenato.

“No, ci sarà, tra pochi giorni, ma è proprio questa la ragione della mia richiesta.”

Isaac sussultò, facendosi più attento.

“6 mesi di buio, 6 mesi di luce; una sola alba, un unico tramonto. Noi esistiamo per sperare in un domani migliore, anche se il domani stesso ci sfugge, anche se il domani stesso non esiste più, né il passato. Vi è il solo presente, un eterno attimo che si concatena...” disse, enigmatico, riavvicinandosi al tavolo.

“Le tue parole mi sono oscure, Dègel, se vuoi che ti prometta qualcosa, sforzati di essere un po’ più chiaro.” gli fece notare Isaac, recuperando un poco di sicurezza.

“Promettimi che non uscirai da qui fino al sorgere dell’alba. Loro sono più affamati in questo periodo e... più forti, sotto ogni aspetto!”

“Loro... chi?”

La pupilla di Dègel traballò appena, in un lampo di incertezza.

“Coloro che sono precipitati nel Mondo Inverso.”

Altra frase enigmatica, la misura era colma, ancora una volta. Promettere senza sapere bene che cosa, intuire senza però comprendere perfettamente, tremare dalla paura senza conoscere il motivo. Basta!

“Devo... rimanere chiuso qua dentro in un mondo che sfiora la perdizione? E' questo che mi stai chiedendo?” lo interrogò, per conferma, le dita strette a pugno.

“Perdonaci ma sì, è per il tuo bene!” sussurrò Seraphina, sempre più costernata.

Isaac guardò nuovamente Dègel negli occhi, la sua espressione non era serena, sembrava dispiaciuto e addolorato, sinceramente, ma per un qualche gioco delle carte, ciò lo irritò solo di più. Era così... vinto, sconfitto, rassegnato... Camus non era mai stato così; non il Camus che conosceva lui!

“Puoi dirmi almeno perché, nel vostro mondo, a 6 mesi di buio totale si susseguono altri 6 mesi di luce completa? Siamo forse ai poli?”

“La luce non è completa... noi vediamo il sole solo all’alba e al tramonto, per cui due volte all'anno. Nella stagione propizia, quando l’astro sale interamente sopra l’orizzonte, subito dopo, sparisce in una nebbia di bianco imperituro, come se il cielo fosse perennemente ravvolto da una cappa di umido. Nella stagione avversa, invece, come è ora, quando il sole scende interamente sotto l'orizzonte, tutto viene avvolto dalle tenebre.”

“Ah... sempre meglio! Non sono sicuro di voler sapere cose in più su questa meravigliosa... dimensione... - commentò Isaac, mascherando i suoi veri sentimenti con l’ironia, come gli aveva insegnato Kanon – Ma ancora una domanda mi sorge spontanea: perché tutto questo?”

Seraphina si alzò lentamente dalla sedia, avvicinandosi al compagno, ancora ritto in piedi davanti ad Isaac, che lo continuava a fissare sbigottito. La giovane donna intrecciò le proprie dita nella mano di lui, stretta a pugno, che così si sciolse, ricambiando quel gesto, che al ragazzo non sfuggì. Erano forse... una coppia?

“Sei sempre con me... non so cosa farei senza di te!” sorrise tiepidamente Dégel, in tono arrochito. Aveva difficoltà a parlare.

“Sempre... coraggio!”

Dégel prese un profondo respiro, tornando a guardare il giovane ragazzo davanti a lui, la speranza per un futuro migliore, forse, per entrambe le dimensioni parallele, quella in cui si trovavano e… la Terra, da cui proveniva. Tossicchiò, recuperando due toni nella voce.

“Perché, quindi? Cosa è capitato a questo mondo?” gli richiese Isaac, rabbrividendo con forza. La sua risposta avrebbe cambiato tutto, lo sapeva. Tremò convilsamente nel rendersene conto.

“Perché il moto di rotazione di questo pianeta è stato ridotto al nulla. - un’ulteriore pausa, il petto di Dégel fremette con forza, come a mal celare un singhiozzo – E il responsabile di questo scempio... s-sono io!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Lo so, lo so… avevo detto 3 capitoli, per questa storia, e invece saranno 4, ma, a mia discolpa, vi posso dire che, mettendomi dalla parte del lettore qualunque (quindi che non necessariamente conosce le mie long), rendere tutto questo marasma in un unico capitolo era deleterio, cosa che infatti mi ha portato a dividere il capitolo in due.

La prima sensazione nel lettore, sarà comunque un senso di estraniamento, tale e quale ha Isaac in questi due capitoli, che infatti ho “usato” come punto di vista per far immergere meglio nell’atmosfera cupa e illogica. Il lettore si può così immedesimare nel ragazzo, nel suo senso di essere finito in un mondo assurdo, e nella “delusione” di avervi trovato una figura che, pur simile in tutto e per tutto a quella del suo maestro, non è lui.

Spero di aver raggiunto il mio intento…

Il significato della canzone, si ricollega a quella della prima strofa che ha protagonista Camus, e che si può comprendere pienamente solo conoscendo anche questa. Maestro e allievo continuano il loro cammino “sotto due cieli diversi e lontani”, conservando nel proprio cuore i ricordi della vita vissuta insieme… queste vie, così diverse… avranno mai uno sbocco comune?

Per quanto concerne invece questo “nuovo” e disperato mondo, chi segue la mai storia probabilmente ha capito a cosa si riferisca, anche se il nome ufficiale sarà nominato solo nel prossimo capitolo; per tutti gli altri, invece, vi basti sapere che è “un’altra dimensione” parallela e “prossimamente simile” a quella terrestre. E’… disastrata, come avete potuto leggere, ma, di vedrà nel prossimo capitolo, la situazione fuori è fin peggio…

Perché ci sono Dègel e Seraphina in questo mondo? Anzi, è corretto parlare di Dègel? E’ veramente lui? Erk, non proprio… a dirla alla Balto è un’altra essenza che “non è Camus, non è Dègel, sa soltanto quello che non è”. E sarà approfondita in un’altra storia o nel corso della long, non temete.

Ancora una cosa, l’ultima: qui, per la prima volta, escono i nomi dei due primi allievi di Camus, che sono Svetlan e Lisakki (nome finlandese di Isaac, quindi un omonimo, per l’appunto). La (triste) storia di questi due e del rapporto tra Isaac e Lisakki, sarà trattata in una storia a parte (l’ennesima, sì XD).

Dovrei aver finito! Come al solito grazie per chi seguirà, commenterà e tutto… capisco che gli argomenti trattati qui sono molto difficoltosi, se avete dubbi chiedete pure, risponderò per quanto possibile! Alla prossima! :)

  
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