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Autore: Blue_Rainbow592    13/04/2020    1 recensioni
Tanti millenni or sono, Unilia madre di tutti gli dei, creò dalla Luce da cui era stata generata, la Terra, la plasmò in modo che le montagne s'innalzassero verso le nuvole con le loro teste canute, che i fiumi scorressero impetuosi come il sangue nelle vene, che l'erba fosse rigogliosa e di un verde così ricco da sembrare smeraldo, che le foreste fossero piene di ogni albero di ogni forma e grandezza, che le colline si innalzassero come dolci rigonfiamenti della terra stessa, che i deserti fossero delle magnifiche distese di sabbia arancio scuro, ricche di oasi sotto cui far riposare i cammelli ormai stanchi e che i mari fossero privi di tempeste. Finita la propria opera, Unilia piantò quattro alberi sacri, uno per ogni punto cardinale e li mise a guardia della propria creatura
Genere: Avventura, Dark, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 3

Altaik


Le catacombe erano deserte, l'oscurità era la sua unica compagna di ronda e l'unica cosa ad inghiottire ogni cosa fino alle viscere più nascoste del palazzo. A volte si chiedeva perché gli orchi mandassero i soldati a pattugliare quei maledetti corridoi. Il Palazzo era inespugnabile e, di sicuro, se non lo fosse stato, nessuno si sarebbe mai messo in testa di entrare da quelle catacombe fatte solo di muri ed ossa. Non esistevano altri passaggi verso l'esterno se non qualche condotto d'aria così piccolo che neppure gli insetti vi riuscivano ad entrare e l'ingresso principale pattugliato sia di giorno che di notte da due soldati.

Mentre camminava, diede un calcio ad un cranio che rotolò qualche metro più in là, puntando le proprie orbite vuote su di lui. Era un elfo morto chissà quanti secoli prima. Le leggende narravano che, molti secoli prima, il suo casato aveva costruito il Palazzo e che la prima contessa Zornir fosse proprio nata, cresciuta e morta tra quelle mura. All'idea che il proprietario di quel cranio potesse essere un suo qualche antenato, lo prese delicatamente da terra e lo depositò in una delle nicchie: - Mi dispiace. - mormorò sperando di non aver dato un calcio allo scheletro di qualche nobile Zornir o addirittura del fondatore stesso del casato: - Veloce! - esclamò un voce femminile, squarciando il silenzio di quel luogo sacro. Si voltò lentamente verso la fonte di quel suono, sorridendo feroce, era arrivato il momento di un po' d'azione: - Forza. - mormorò un'altra voce. Avanzò piano, in modo da non far rumore, tenendo la mano stretta attorno all'elsa della spada. Erano vicinissimi, probabilmente erano nascosti dietro alla prima svolta. L'importante era non allarmarli subito. Appoggiò la schiena al muro e lanciò un'occhiata nel corridoio successivo. Erano lì. Due ombre illuminate appena dalla luce tenue delle fiaccole: - Chi va là? - domandò. Di solito gli schiavi non erano mai inclini alle ribellioni, però sapevano rubare come pochi esseri viventi in assoluto. Sembravano attratti dagli averi degli orchi, li desideravano e a volte riuscivano ad ottenerli, pur rischiando la vita. 

Si guardarono attorno, confusi: - Guardia! - urlò la voce della donna. Lasciarono andare il loro bottino ed iniziarono a correre. Sospirò. Non avevano nessuna possibilità di scampo con lui. Erano ormai dieci anni che inseguiva i ladri, nessuno era veloce quanto lui. Infatti, li raggiunse dopo neppure cento metri. Si scagliò sul primo che gli capitò a tiro, il più anziano. Il volto era solcato da una ragnatela di rughe e gli occhi erano velati dalla cataratta. Tra le mani stringeva un tozzo di pane ammuffito. L'altro ladro, una ragazza dai capelli cortissimi, si lanciò all'attacco, urlando. Prima ancora che quella potesse prendergli la spada dalla schiena, le puntò contro un pugnale. Quella fece qualche passo indietro, con il volto deformato dalla paura: - Vi prego, non fatele del male. - lo implorò il vecchio. Il giovane, con un sospiro, si alzò da terra e lo liberò: - Mangiate quel pane in fretta e non dite a nessuno che vi ho lasciato andare. Siamo intesi? - domandò dando una spinta al vecchio e abbassando lentamente il pugnale. Poco prima di prendere il vecchio a braccetto, la ragazza si voltò verso Ataik ed annuì: - Grazie. - mormorò correndo via.
 
A volte non poteva fare a meno di chiedersi come facessero gli schiavi a vivere a quel modo. Nessuno in tutta Un sarebbe mai riuscito a sopravvivere ad una vita simile. Erano privi di qualsiasi diritto, di qualsiasi cura e di qualsiasi rispetto. Se eri uno schiavo eri destinato a perire di fame e di stenti, oppure a causa della collera dei padroni. 

I Signori di Un erano tutti orchi e tutti diversi. L'unica cosa che li accomunava era il desiderio di appropriarsi delle ricchezze del pianeta che avevano conquistato. La loro società era una piramide al vertice della quale vi era l'imperatore, Thornin. Personalmente, lo aveva sempre odiato, era una creatura sempre concentrata sulla mossa successiva e sul suo obiettivo finale, sostituire in tutto e per tutto Unilia, la dea madre. Il suo animo iniziava e finiva nello stesso posto, la sala dei tesori. Dopo Thornin  c'era il suo braccio destro Gartor, il comandante assoluto dell'esercito, una creatura così rabbiosa da fare venire i brividi a chi osava sfidarlo in duello, sullo stesso piano di Gartor si trovava il braccio sinistro dell'imperatore, nessuno poteva definire la sua posizione, non era né un soldato e neppure uno studioso, molti la chiamavano solamente la Spia. Nessuno conosceva veramente il suo aspetto, però circolavano moltissime leggende sul suo conto. C'erano coloro che erano sicuri che fosse un elfo, altri addirittura una dea in grado di leggere nel pensiero. L'unica cosa su cui erano tutti d'accordo era che lei o lui conosceva tutti i segreti del Palazzo dal più semplice al più scabroso, anzi, sembrava a conoscenza di un tradimento ancor prima che si compisse. Dopo questi tre individui, c'erano l'imperatrice e tutte le sue cortigiane. Loro erano le più capricciose della corte, le uniche che non facevano altro che chiedere, chiedere e ancora chiedere, pretendendo che servi e soldati facessero tutto ciò che volevano senza battere ciglio. Alla fine della scala gerarchica vi erano i letterati, i maghi, i mistici e tutti coloro che facevano parte dei clan elfici. Molti di questi vivevano ai margini di quella piccola corte, sperando di non essere presi di mira dagli altri.

Altaik, con gli anni, aveva imparato a fare di quella scelta di vita  una religione, vivacchiava in giro per i corridoi e quello gli bastava. Non pretendeva né la gloria e neppure la ricchezza. Con questi pensieri, tornò indietro: - Comandante? Siete qui? - gridò una voce a lui familiare, sembrava agitato: - Sì, Bastian. - rispose avvicinandosi all'amico, un elfo robusto dalla pelle così scura da perdersi nell'oscurità. Molti tendevano ad evitare Bastian, perché era stato cacciato dal proprio clan, mentre per Altaik era stata amicizia fin da subito. Lo aveva conosciuto quando era ancora un ragazzino impertinente. Si ricordava ancora quel giorno come se fosse stato quello prima. Aveva appena sfidato Gartor ed era stato rovinosamente sconfitto. Giaceva a terra con due costole rotte e la testa che gli vorticava. Tutti avevano deciso di lasciarlo a terra, mentre Bastian si era avvicinato e l'aveva portato via, accudendolo come se fosse stato suo figlio: - Finalmente, ti ho cercato da ogni parte. - mormorò quello prendendolo per le spalle. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. Non lo cercavano mai se non per casi gravi: - Che è successo? - domandò. L'altro lo lasciò andare: - Abbiamo un problema ai piani superiori. Degli schiavi hanno deciso di ribellarsi. - rispose l'altro iniziando a correre. 

Quelle parole caddero a terra con la forza di un martello. Per quanto le loro condizioni di vita fossero orribili, gli schiavi non si erano mai ribellati, perché avevano deciso proprio quel momento? Non c'erano orchi se non l'imperatrice e le guardie erano dimezzate, perché mettere nei guai i propri simili solo per un momento di libertà? Perché rovinare la vita a centinaia di soldati per nulla? L'imperatrice aveva ancor meno pietà del marito, perché fare una cosa così stupida? Tra quelle domande, seguì Bastian fino all'atrio del Palazzo, luogo in cui si era consumata quella piccola rivolta. 

I soldati si erano messi tra la folla urlante di schiavi e una decina di soldati sanguinanti, mentre uno schiavo poco distante continuava ad incitare gli altri a combattere per la libertà: - Non fatevi intimidire, miei compagni! I soldati non sono elfi, ma orchi con il nostro aspetto! - sbraitava gesticolando animatamente anche se due guerrieri lo stavano tenendo: - Lasciatelo! Gli alti hanno bisogno di aiuto! - ordinò avvicinandosi al prigioniero. Quelli che stavano tenendo il capo dei rivoltosi si allontanarono. Non appena fu libero, l'uomo si lanciò all'inseguimento dei due soldati, ma fu bloccato prima ancora di poter fare un passo: - Dove pensi di andare? - domandò Altaik costringendolo a voltarsi. Quello non appena se lo trovò di fronte sbiancò iniziando a parlottare nel proprio dialetto. Il giovane gli prese il mento tra il pollice e l'indice e lo costrinse a guardarlo negli occhi: - Sai cosa non sopporto? - domandò a bassa voce, in modo che solo il capo dei rivoltosi potesse sentire. Quello spostò freneticamente lo sguardo da una parte all'altra della stanza: - No. - rispose dopo un lungo istante di silenzio. Dopo quella risposta tentò di liberarsi, ma Altaik gli bloccò le braccia dietro la schiena: - Quelli che incitano la folla a mettere nei guai i propri simili e loro stessi. Pensi che l'imperatrice ve la faccia passare liscia, prima punirà voi, poi i soldati e infine ti torcerà il collo e, ti giuro, starò a guardare mentre quella ti sgozzerà. - rispose lasciandogli andare le braccia. Lo schiavo, approfittando di quel momento, tentò di dargli una gomitata al basso ventre, ma si ritrovò con il gomito fermo a mezz'aria e una lama puntata alla gola: - Fallo per loro. Di' a tutti di smetterla e di darsi una calmata! - gli ordinò, però quello in tutta risposta sputò a terra: - Va bene, te la sei cercata. - sospirò. Fu tutto così veloce che lo schiavo non capì neppure cosa fosse accaduto finché non sentì il dolore e non vide il sangue colargli sulla casacca. Il guerriero gli sorrise pulendo la lama del pugnale: - Sappi che questa volta hai perso un orecchio, ma la prossima non sarò così clemente. - lo minacciò: - Medicatelo e portatelo in prigione! - ordinò ai propri soldati. 

Mentre quello veniva portato via ancora urlante, gli altri si immobilizzarono, terrorizzati: - Tornate a lavorare! - urlò. A quell'ordine, tutti tornarono al proprio lavoro. Solo una ragazza era rimasta al centro del salone. Sembrava frastornata, come se non sapesse cosa fare. Le si avvicinò, riconoscendo la giovane delle catacombe: - Cosa fai? Aspetti la prossima rivolta? - le chiese rimettendo il pugnale nel fodero. Quella sorrise scuotendo il capo: - Gli altri schiavi ti temono perché hai sconfitto un orco, però non sanno che alle spalle dei signori ci aiuti. - rise quella guardandosi attorno, come se volesse assicurarsi che non ci fosse qualcuno nelle vicinanze. Non c'era nessuno se non loro due: - Vi ho salvato anche adesso. - rispose lui osservandola avvicinarsi. In mano teneva un bracciale d'oro: - Dove lo hai rubato? - le chiese prendendola per un polso. Lei scosse il capo mostrandogli la rosa dei venti incisa sopra: - So che la riconosci. La nostra contessa mi ha mandata a Palazzo proprio per dartelo. Mi ha detto di dirti che Baya di Isaer è stata uccisa dall'imperatore proprio la settimana scorsa. - annunciò la ragazza mettendogli il bracciale al polso: - Qual è il vostro nome? - le chiese. Quella si lasciò sfuggire un sorriso: - Anyal, una settimana fa facevo parte della scorta di Amania di Zornir. - rispose divincolandosi dalla stretta: - Spero che tu te ne possa andare da questo Palazzo. - furono le sue ultime parole prima di fuggire. Rimasto solo, abbassò lo sguardo sul bracciale. Era un codice. Gli Zornir ne avevano creati a centinaia, dai più ai meno originali, in modo da comunicare con coloro che si infiltravano tra le file nemiche. Nessun casato oltre al loro conosceva quei codici e quelle magie. Strinse l'oro e si diresse verso la terrazza. 

Era una giornata di sole, i raggi scaldavano la terrazza panoramica e il terreno privo di qualsiasi tipo di vegetazione che circondava il Palazzo di Cristallo, neppure il deserto era così morto come quel luogo. Ignorò quel panorama che ormai conosceva a memoria e posò il polso sul parapetto, dove un raggio di sole andò ad illuminare la rosa dei venti che iniziò a mutare. Le linee cambiarono diventando parole. " Le montagne di Un sentono la tua mancanza. La nostra stirpe si prepara a marciare e vuole te al proprio fianco. " 

Rilesse varie volte quel messaggio, sperando si aver letto male, ma ogni volta il messaggio era sempre il solito. La contessa lo stava chiamando alle armi. Voleva che lui tornasse. Erano anni che non vedeva l'ora di rivedere casa, però temeva l'ira dei Signori di Un e temeva di ritornare nel luogo in cui aveva perso tutti i suoi famigliari dal primo all'ultimo: - Che ti succede? Sembra che hai visto un fantasma! - scherzò Bastian dandogli una pacca sulla spalla. Altaik si voltò di scatto nascondendo il bracciale: - Devo tornare a casa. La mia contessa ha bisogno di me. - esordì. L'altro sembrò confuso: - Mi abbandoni così. Quella donna non sa neppure chi sei. Non è stata sua madre a mandarti in questo buco perché non sapeva come accudirti? - gli chiese. Il più giovane si morse un labbro: - Gli Zornir sono leali al proprio clan. Comunque non ho detto che ti abbandono. Verrai con me. In questa faccenda è coinvolto pure il tuo casato. - rispose. L'altro aggrottò le sopracciglia facendosi più attento: - Perché? - ringhiò. Bastian non parlava mai del suo vecchio clan, cercava di evitare il proprio passato, però in quel momento era costretto: - Baya, la contessa degli Isaer, è stata uccisa dall'imperatore. - 

A quelle parole Bastian sbiancò, privo di parole. Altaik si sarebbe aspettato moltissime reazioni, ma non quella: - Quando? - urlò il soldato: - Abbassa la voce, maledizione! - lo sgridò tappandogli la bocca. Quando fu sicuro che quello si fosse calmato, allontanò la mano e sospirò: - Una settimana. Non so altro. Bastian, so che è strano che una contessa venga uccisa sono cento anni che non succede... - cercò di dire, ma l'altro lo prese per le spalle: - Non è per quello. Io non sono stato esiliato per aver ucciso qualcuno, o meglio, un uomo molto potente ha costretto la mia contessa ad esiliarmi perché ho ucciso suo figlio che stava organizzando un colpo di stato ai danni di Baya. - gli spiegò passandosi una mano tra i capelli: - Dovevo sposare Baya. - aggiunse dopo un lungo momento di silenzio. Lo Zornir abbassò lo sguardo fissando il complicatissimo disegno che formava il mosaico sotto ai loro piedi: - Stai dicendo che tu dovevi essere il loro conte? Allora devi venire a Fajsha pure tu. - 
   
 
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