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Autore: Picci_picci    14/04/2020    1 recensioni
"Lo stava guardando con un odio tale da spaccargli la testa. Come si poteva essere così irrazionali? Sarebbe morto, lui, l'Idiota. Annabeth ne era certa. E mentre erano lì, nascosti in un vulcano, Annabeth stava pensando di mollargli un pugno in faccia per farlo rinsavire. Aveva quell'aria convinta e sicura, ma lei sapeva meglio di lui che non aveva un piano."
Conosciamo tutti il punto di vista della storia da parte di Percy Jackson, ma quello di Annabeth?
Insomma, pensava che il suo migliore amico fosse morto, che la profezia si fosse avverata, e che l'amore di cui parlava quest'ultima fosse proprio Percy. Cosa può aver provato Annabeth, in quelle due settimane in cui Percy è rimasto sull'isola di Ogigia e lei, non solo stava elaborando il lutto, ma stava anche elaborando il fatto che Percy fosse qualcosa di più di un amico? E no, non intendo il suo migliore amico. Ed ecco che è nata questa storia, che racconta cosa è successo da quel bacio rubato fino al "funerale" di Percy.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Chirone, Percy Jackson, Poseidone, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Eroi!”, esclamò Chirone dopo la colazione, “dopo dieci giorni di assenza e nessuna notizia di Percy Jackson, mi vedo costretto a dichiararne la morte.”
Lanciò un’occhiata verso il tavolo di Atena, poi continuò, “Perseus Jackson, figlio del dio mare, è morto.”
Il silenzio che regnò dopo era irreale. Persino i mostri e gli spiriti della natura avevano smesso di agitarsi nel bosco.
“Visto che era l’unico abitante della cabina numero tre, io e Argo ci occuperemo del drappo funebre, e appena sarà pronto celebreremo gli adeguati riti funebri.”
“No!” Annabeth non si era nemmeno resa conto di aver urlato e di essersi alzata in piedi. Di nuovo tutti la guardarono come se fosse sul punto di esplodere -grazie, ma, no, grazie. Aveva già dato ieri sera. In grande stile, tra l’altro-.
“Mi occuperò io del drappo funebre. Mia madre è la dea delle arti manuali e colei che ha inventato la tessitura, non c’è nessuno meglio di me che possa farlo.” -Sì, certo, Annabeth, bella scusa-.
Nessuno le fece notare che lei non era l’unica figlia di Atena e che quindi, anche gli altri avrebbero punto tessere un drappo funebre per Percy.

“E sia”, dichiarò Chirone, “svolgete pure le vostre normali attività.”
Tutti lasciarono il padiglione e andarono ai propri addestramenti. Ma nessuno aveva un sorriso sul volto, nessuno scherzava; sembrava che lo stato catatonico provato fino ad ora da Annabeth, avesse contagiato anche tutti gli altri.
Annabeth, per quel giorno, aveva deciso di saltare gli allenamenti, si sarebbe dedicata alla progettazione del drappo funebre di Percy. Dopo ore a studiare colori, simboli e trame, decise che sarebbe rimasta sul semplice. Come avrebbe voluto lui. A fine giornata, aveva scelto di tessere un tridente, simbolo di suo padre, con fili d’oro e gialli, su uno sfondo verde mare. Il colore dei suoi occhi. Ripose tutto ciò che aveva scelto in un cassetto della scrivania nel padiglione delle arti, poi si recò a cena.

Passarono i giorni. Annabeth alternava il tessere con i suoi addestramenti. Mangiava di più e dormiva di più, di nuovo nella sua cabina e nel suo letto. Silena era sempre al suo fianco e, se non c’era lei, c’era Malcolm. Clarisse si era autoproclamata sua guardia personale -non che lei lo avesse chiesto, ma le fece piacere-.
Erano passate due settimane da quando Percy si era disperso, o meglio, morto, a questo punto. E lei aveva praticamente finito il suo lavoro. Si era superata, doveva ammetterlo. Il tridente risaltava sullo sfondo e sembrava fosse reale. Aveva dato il giusto senso di profondità, realizzato le ombre nei punti giusti e con i colori giusti. Anche il filo d’oro, fatto fabbricare ai figli di Efesto, splendeva. Comunicò a Chirone che tempo un giorno, il suo lavoro sarebbe stato concluso. Lui annuì mestamente e le disse che tra due giorni si sarebbero tenuti i riti funebri e che quella stessa sera lo avrebbe annunciato.

***

Il giorno dopo Annabeth dedicò la mattina agli allenamenti, aveva decisamente bisogno di scaricare tutta quell’ansia. Dopo l’addestramento si diresse verso le capanne -aveva avuto un’idea per la costruzione di un edificio, e doveva assolutamente metterla scritta nero su bianco-.
Mentre camminava si accostò al lago. Ricordava le lezioni in canoa con Percy e di quando lei aveva provato ad insegnargli il greco e si erano seduti sul pontile perché ‘se stava vicino all’acqua pensava meglio’. Il suo Testa d’Alghe. Era proprio un
idiota. Ma mentre pensava ciò, sorrise. Si avvicinò e immerse una mano nell'acqua. Per Percy. Doveva essere forte così come era lui. Si alzò e corse verso il padiglione della mensa.

Annabeth aveva programmato di passare il pomeriggio da sola a ricontrollare che il drappo per Percy fosse perfetto. Ma i suoi piedi decisero di portarla da un’altra parte -i piedi si muovono grazie al cervello, quindi stai andando là perché lo vuoi, idiota-.
Appena sentì l’odore di salsedine -che tanto gli ricordava lui-, si tolse le scarpe e camminò scalza sulla sabbia. Il vento muoveva i suoi capelli, tanto che le andavano anche sugli occhi, ma sorrise. Si avvicinò all’acqua e si inginocchiò, con il mare che la sfiorava appena.
“Ti prego, riportalo da me. La prego, divino Poseidone.” 
Non sapeva quanto aveva pregato in quei giorni. Troppo. Aveva pregato tutti gli dei che conosceva, persino il Signor D. Aveva pregato Poseidone, soprattutto, perché c’era qualcosa che in quella circostanza li univa. L’amore per Percy e il volere che lui stesse bene, vivo. Ma non aveva mai ricevuto una risposta, un segno o qualsiasi altra cosa. Era tutto fermo, persino il vento, adesso. 

Pianse, un pianto disperato, con singhiozzi e tutto il resto. Pianse, perché per quanto volesse, sperasse, che Percy fosse ancora vivo, sapeva che ormai era impossibile, che domani si sarebbero tenuti i suoi riti funebri. E solo in quel momento, pensò che Sally, santa donna, andasse avvertita.
“Non ti importa nulla di tuo figlio? Della donna che amavi? Perché non lo hai salvato? Perché!”, quello sfogo era iniziato con un tono piatto, ma era finito con delle urla. E continuò ad urlare un perché verso il mare, una tavola piatta d’acqua, calmo; finché qualcuno non giunse al suo fianco. L’abbracciò da dietro e le fece nascondere il suo viso, arrossato e pieno di lacrime, nell’incavo del suo collo.
“Tesoro, shh. Calmati.”
“Silena, lui è..”, non riuscì a finire la frase perché un singhiozzo uscì dalle sue labbra -o forse perché non riusciva a pronunciare la parola con la ‘m’ vicino al suo nome-.
“Lo so, tesoro, lo so.”
Rimasero là, abbracciate ed in silenzio, a contemplare il mare che Percy tanto amava. Era ormai il tramonto quando Malcolm le venne a chiamare. Ecco, alla fine, come era passato il pomeriggio di Annabeth. Fece un respiro profondo e si alzò. La prima persona che vide fu Clarisse, seduta sulla sabbia, leggermente più indietro da dove erano sedute lei e Silena.
“Da quanto sei qui?”
“Abbastanza da assistere alla tua scenata.”
Annabeth normalmente si sarebbe arrabbiata, ma non aveva più le forze di provare altre emozioni.
“Perché?” chiese semplicemente.
“In caso fosse successo qualcosa o qualche idiota avesse voluto avvicinarsi. Li avrei stesi con la mia lancia”, rispose la figlia di Ares, mostrando orgogliosa la sua arma.
Annabeth sorrise e con un cenno del capo la ringraziò. 
“Annie.”
Talia, la sua Talia, era accanto a suo fratello con un arco sulla spalla e un giacchetto argentato. Corse tra le sue braccia.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu, piccola.”
“Non sono piccola.”
“Certo, credici”, rispose la cacciatrice ridendo.
“Mi dispiace per Testa d’Alghe.”
Le vennero gli occhi lucidi, di nuovo -ma col cavolo che avrebbe di nuovo pianto. Anche perché, pensava che i suoi condotti lacrimali fossero ormai vuoti-.
“Resti qui anche per..”, incredibile che non riuscisse ancora a dirlo, “anche domani?”
“No”, rispose la corvina dispiaciuta, “Artemide mi ha dato qualche ora per venirti a trovare, ma appena la luna sarà sorta, mi verranno a prendere.”
Si allontanarono, ma Talia prese le sue mani tra le sue.
“Mi avevi detto che stavi bene, tramite il messaggio Iride. Sapevo che non era così, ma non immaginavo che stavi davvero.. sì, insomma...così”, disse facendo un gesto con la mano, come se avesse spiegato perché esistono i buchi neri.
“Un discorso da premio nobel, Tals, davvero.”
“Non sto scherzando, Annabeth. Se lo avessi saputo prima, sarei venuta e avrei trascorso questa settimana con te. Ma, invece, no. Ho dovuto aspettare un messaggio Iride da Chirone che mi pregava di venire anche solo per qualche ora.”
E chissà come mai, ma Talia con quel tono serio e il dito puntato verso Annabeth, sembrava una madre che rimproverava la figlia. Poi si aprì in un sorriso, “ma tu sei anche Annabeth Chase, Miss faccio tutto da sola perché sono troppo orgogliosa.”
“Direi che il soprannome è da rivedere.”
La conchiglia suonò in lontananza.
“Dai, andiamo a cena.” 
E con quella esortazione, lo strano gruppo si incamminò verso la foresta, lasciandosi il mare alle spalle.

***

Quando Annabeth si svegliò erano le undici. Prima si diede dell’idiota -perché come aveva potuto non sentire il suono della conchiglia e non svegliarsi?!-, poi si alzò velocemente per andarsi a preparare. Appena finito di pettinarsi i capelli che ora, per fortuna, erano decenti, andò a cercare la sua prima vittima.
“Per le mutande di Ade, perché non mi hai svegliato?” urlò così forte che tutto il poligono di tiro si girò a guardarli.
“Scusa?” domandò Malcolm.
“Perché non mi hai svegliato?” disse in modo lento, come se stesse spiegando le cose ad un bambino, come se le stesse spiegando a Percy.
“Perché dopo una notte insonne e tormentata dagli incubi, io e Chirone abbiamo pensato che era meglio se ti riposavi, visto che oggi ci sono i riti funebri.”
Annabeth rimase in silenzio e lo fissò, ma prima di andarse rispose con secco e debole grazie.
La mattina era praticamente conclusa e tra poco si sarebbe tenuto il pranzo. Era inutile iniziare un addestramento ora e non poteva neanche fermarsi a chiaccherare con Silena o altre persone, visto che stavano partecipando tutti alle proprie lezioni.
Decise di andare nelle stalle a salutare Blackjack. Fu accolta da un nitrito e lo interpretò come un saluto, ma nessuno dei due fu di buona compagnia.
“Anche tu sei triste, eh. Lo so, è dura.”
Rimase in silenzio ad accarezzare il manto del pegaso, poi, ricordandosi dove Percy nascondeva le zollette di zucchero per Blackjack, ne prese una e la porse al pegaso che la mangiò soddisfatto.
“Verrò ogni giorno a salutarti, okay?”
Poi si girò, pensando che c’era ancora un posto dove doveva andare. Però, prima di uscire dalle stalle, disse, “ma non pensare che ti darò una zolletta tutti i giorni!”
In risposta, ricevette un nitrito deluso.

***

“Divino Poseidone, sono venuta a scusarmi. Sono certa che lei tenga suo figlio. Mi sono fatta prendere dalla rabbia e dall’impotenza di fronte a questa situazione.”
Era di nuovo lì, sulla spiaggia, in piedi di fronte al mare. Prima si sarebbe sentita un'idiota, ma ora, era l’unico modo per sentirsi vicino a lui.
“Ti capisco.”
Si voltò sorpresa, convinta di essere da sola. Accanto a lei si trovava un uomo in bermuda e infradito, una camicia hawaiana e un cappello da pescatore. Se avesse avuto dei dubbi su chi era, bastava guardarlo in faccia. I capelli neri e gli occhi color del mare. Non c’era dubbio che Percy Jackson avesse ereditato tutto dal padre.
“Divino Poseidone.”
“Ciao Annabeth. Lo sai che sei una copia bionda e in miniatura di tua madre?”
“Grazie. Penso.”
“Anche a me manca, sai, Annabeth?”
“Riguardo a ieri, io sono..”
“..no, va bene. A volte, fa bene sfogarsi. E tu ne avevi bisogno.”
Rimasero in silenzio, mentre Annabeth stava arrossendo per l’imbarazzo.
“Annabeth, sono vincolato, non posso dirti molto. Ma ricorda, non è mai troppo tardi.”
Si guardarono negli occhi e Poseidone la prese per le spalle, infondendole calma e tranquillità.
“Anche se a te sembra troppo tardi, non vuol dire che lo sia davvero. Se si è abbastanza coraggiosi, possiamo affrontare e dire qualsiasi cosa, anche i nostri sentimenti.”
Annabeth non si imbarazzava facilmente, ma pensò di essere diventata rossa come un fragola matura. Un lampo, poi, illuminò il cielo sereno.
“Mi chiamano. Penso che affronterò una bella lavata di capo dalla Vecchia Gufa. Stammi bene”, e sparì in una nuvola portando con sé l’odore del mare.
Quale dio poteva fare un discorso tanto profondo, per poi finire con uno stammi bene? Era proprio il padre di Percy, in tutto e per tutto. Si girò verso il mare che sembrava salutarla. Lei era abbastanza coraggiosa? 
Contro mostri, profezie ed imprese? Sicuramente.
Contro i propri sentimenti? Era un’altra storia.
Ma in quel momento, in cui tutto era perso -Luke, Percy, la sua impresa- si sentì coraggiosa. 
Prima che fosse troppo tardi, corse verso il padiglione delle Arti. Raccolse dalla tela il drappo per Percy, poi armata di ago e filo, iniziò a cucire.

***

Alle tre esatte, subito dopo pranzo, si riunirono tutti nell’anfiteatro.
Annabeth si trovava in disparte, con il drappo in mano e lo sguardo puntato su l'angolo del tessuto, come ad ammirare un filo sfilacciato.
“Crede che sia una buona idea?” domandò Malcolm a Chirone.
“Penso che lei possa essere l’unica.”
“E io penso che le farebbe bene parlare un po’ dei suoi sentimenti”, si aggiunse Silena.
“Sì, ma non davanti a tutto il campo”, rispose convinto il figlio di Atena.
“Perché sei così convinto che non dovrebbe parlare?”
“Sono solo preoccupato per lei”, rispose Malcolm imbarazzato.
Per prevenire una lite, Chirone rispose che lui glielo avrebbe proposto, e se lei avesse deciso di no, non avrebbe insistito.
“Bambina.”
Annabeth si girò e nascose dietro la schiena il drappo.
“Vorresti dire qualche parola per Percy?”
-Col cavolo che avrebbe aperto bocca. Stava utilizzando tutto l’autocontrollo che possedeva per tenere a freno le lacrime-. Ma si stava parlando di Percy. A parte inverse lui l’avrebbe fatto, senza ombra di dubbio. Con questa mossa, Percy aveva sotterrato il suo orgoglio femminile.
“Va bene”, rispose esitante.
Chirone si incamminò verso il centro dell’anfiteatro, vicino al falò.
“Eroi! Come sapete, Percy Jackson, figlio di Poseidone, è stato dato disperso due settimane fa e, di conseguenza, dobbiamo presumere che sia morto.”
A quelle ultime parole, Annabeth sobbalzò. Ogni parola era come una pugnalata. Chirone, d’altro canto, faceva fatica ad andare avanti con il suo discorso. Ma se la sua bambina si dimostrava così forte, lo avrebbe fatto anche lui. Sarebbe stato la sua roccia, come si era ripromesso tanti anni fa.
“Dopo un silenzio così lungo, è improbabile che le nostre preghiere vengano ascoltate. Ho chiesto ai suoi migliori amici presenti di rendere gli estremi onori.”
Fece un cenno ad Annabeth che avanzò fino ad essere al suo fianco.
Ammirò per un’ultima volta il suo lavoro.

Per Percy Jackson, l’idiota che forse mi ha fatto innamorare

Il ricamo che aveva fatto era semplice e la scrittura che aveva usato era pulita, ma elegante. Gli occhi le vennero lucidi e consegnò il drappo alle fiamme.
Una lacrima scivolò lungo la sua guancia, ma non l'asciugò. Lei era abbastanza coraggiosa.
"Probabilmente è stato l'amico più coraggioso che io abbia mai avuto." -di tutte le cose che potevi dire, Annabeth, proprio questa? Davvero? Sei coraggiosa, no? Quindi, parla di quello che veramente lui è stato per te-
"Lui…", si fermò, non sapendo come esprimersi. Guardò la folla, i suoi amici, le persone di cui si fidava. Poteva parlare liberamente, loro l'avrebbero compresa -o se la sarebbero vista con il suo coltello-.
Poi vide dei capelli neri, sparati in ogni direzione. Sapeva che non era plausibile che fosse Lui, ma lei non aveva mai avuto le allucinazioni. Il cuore iniziò a battere ad un ritmo più veloce, i suoni diventarono ovattati e aveva una stretta allo stomaco grazie alle quale pensava che avrebbe dovuto vomitare. Lo guardò negli occhi e, anche se erano lontani, gli avrebbe riconosciuti anche a miglia di distanza. Occhi verde mare. Gli occhi Percy.
"È qui!"
Tutte le teste si voltarono e rimasero senza fiato. Corsero tutti verso Percy per salutarlo. Il campo aveva nuovamente trovato gioia. 
Annabeth, che in un primo momento era corsa verso di lui, si fermò. Perché sembrava che fosse tornato da una vacanza? E perché ci aveva messo così tanto? E perché quella figlia di Afrodite gli si era avvicinata così tanto?
Si fece spazio tra la folla a spintoni. Non le interessava se stava parlando con Chirone o qualcun altro, se stavano parlando della sua ultima impresa o degli ultimi gossip dell’Olimpo. Era arrivato così, dal nulla, mentre stavano celebrando il suo funerale -e mentre lei stava per mettere a nudo i suoi sentimenti-, e tutti lo salutavano come se fosse tornato da una scampagnata.
“DOVE SEI STATO?”
Annabeth aveva la seria intenzione di dargli un pugno e di farlo soffrire come aveva sofferto il campo -e come lei aveva sofferto, ma nemmeno sotto tortura lo avrebbe detto-.
Quando però se lo trovò davanti, l’unica cosa che fece fu abbracciarlo. Stretto -doveva pur soffrire un pochino, no?-. Aveva avuto così tanta paura di averlo perso per sempre, che non le sembrava vero trovarselo lì davanti. E non le sembrava vero nemmeno il fatto che lo stesse abbracciando in quel modo di fronte a tutti. E che tutti fossero ammutoliti per la scena. Si staccò, recuperando il suo solito atteggiamento.
“Ti… ti credevo morto, Testa d’Alghe!”
“Mi dispiace”, rispose lui. -Mi dispiace?!-.
“Mi sono perso”.
-No, il tuo cervello si è perso.-
“PERSO? Per due settimane, Percy? Dove cavolo…", e avrebbe continuato a fargli la ramanzina (o la sclerata), ma Chirone la interruppe.
“Annabeth. Forse dovremmo discuterne in privato, non credi? Quanto agli altri, tornate tutti alle vostre normali attività!”
Sollevò Annabeth e Percy, li caricò sulla groppa e partì al galoppo verso la Casa Grande.

Il tragitto fu molto breve, ma in quel breve lasso di tempo, con le braccia a circondare la vita di Percy, Annabeth capì quanto le fosse realmente mancato. I capelli spettinati, il costante odore di salsedine, la gioia che lo contraddistingue. Era il suo migliore amico, prima di essere il suo amore. A quel pensiero arrossì e nascose il volto nell’incavo del collo di Percy.
“Tutto  bene?” le domandò lui.
Lei avrebbe voluto rispondere con un ‘Sì, ora che sei qui’, ma era decisamente troppo smielato per Annabeth Chase. Quindi, si limitò a rispondere con un semplice sì, poi si godette il silenzio e la compagnia di lui.

Una volta entrati nella Casa Grande, Percy spiegò tutta la storia. Annabeth e Chirone avevano la stessa identica faccia: seria e inespressiva. 
Quando Percy aveva finito il racconto, Annabeth aveva già tratto tutte le sue conclusioni.
Era stato via per due settimane e nessuno aveva saputo nulla. Era stato sul punto di morire, ma era tornato al campo tranquillo e rilassato, senza nessuna ferita e con dei nuovi vestiti. Come se fosse appena uscito dalle terme. Anche se lui non l’aveva nominata, non ci voleva un genio per capirlo. Soprattutto se il genio in questione era Annabeth. Era stato ad Ogigia. Da lei. Non ci poteva credere. Lei era qui, al campo, che soffriva come una irrazionale, mentre lui era con Calipso a fare la bella vita?!
Almeno era tornato. Sperava per lei, ma sapeva che era tornato per l’impresa. Perché chiunque approdi sull’isola di Ogigia, finisce per innamorarsi della bella Calipso. Tutti lo sapevano. E Annabeth, per una volta, desiderò non essere la figlia di Atena, di non essere così intelligente. -
Per fortuna quel pensiero durò nemmeno qualche secondo-.
Lei era Annabeth Chase; e doveva darsi una svegliata, subito. 

“Sei rimasto via per due settimane. Quando io ho sentito l’esplosione, ho pensato..”, ma le parole le vennero meno. Nonostante tutto, non riusciva ancora a dire la parola morte, se era collegata a Percy Jackson.
“Lo so”, rispose lui, “mi dispiace. Però sono riuscito a capire come attraversare il Labirinto. Ne ho parlato con Efesto.”
Annabeth rimase scioccata...quante sorprese aveva ancora in serbo?
“Ti ha dato la risposta?”
“Mi ha detto che la conoscevo già. Ed è vero. Adesso ho capito”, e spiegò anche a loro la sua idea folle. Sì, folle, perché voleva includere una mortale. E come minimo era quella rossa a cui, l’idiota, aveva parlato del campo, dei semidei e compagnia bella. 
Okay, Percy Jackson, aveva un po’ troppe sorprese.
“Percy”, disse Annabeth cercando di rimanere calma, “è una follia!”, tentativo fallito, ma almeno ci aveva provato.
“In effetti”, iniziò Chirone, “ci sono dei precedenti. Teseo fu aiutato da Arianna..”
Ma Annabeth non stava più ascoltando il suo maestro. Non avrebbe accettato che Rachel Elizabeth Dare, -soprannominata la rossa e finita sulla sua lista nera-, entrasse a far parte della sua impresa e che passasse altro tempo con Percy. Anche se, ovviamente, l’ultima parte non era così importante.
“Ma questa è la mia impresa”, ribatté Annabeth, “sono io a guidarla.”
Chirone si girò verso di lei, imbarazzato, “mia cara” -ah,stavolta niente ‘bambina’?- “l’impresa è senz’altro tua. Però hai bisogno di aiuto.”
Già per lei non era facile chiedere aiuto, figurarsi se lo avrebbe chiesto alla rossa.
“E questo sarebbe un aiuto? Per favore! È sbagliato. È vile. È…”
“...difficile ammettere che ci serve l’aiuto di una mortale”, concluse Percy.
L’idiota aveva deciso un brutto tempismo per palare. Soprattutto interrompendola.
“Ma è la verità”, continuò lui. 
Per Annabeth, questo, era decisamente troppo. Al limite dell’assurdità. Prima Calipso e dopo la rossa. E non si era nemmeno preoccupato di chiederle come stava. Ma ora arrivava qui, come se niente fosse, e voleva consegnare la sua impresa ad una mortale.
“Tu sei la persona più snervante che io abbia mai conosciuto in vita mia!”, ed uscì come una furia dalla stanza.
Non poteva crederci. Era stata male ed in pensiero per due settimane per lui? E come era possibile che in nemmeno cinque minuti aveva provato così tante emozioni e concepito dei pensieri così irrazionali?! 
Si sedette sul molo del laghetto. Nonostante tutto l’acqua la calmava. Per gli dei, com’era possibile che fosse diventata
così idiota?

L’amore era una rogna e capiva perché sua madre ci avesse rinunciato.

E tutto questo era successo per colpa di quell’idiota.

 
   
 
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