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Autore: Mary P_Stark    22/04/2020    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alekos – 1 –

 

 

 

La lama serpeggiò ferale nell’aria, emettendo un sinistro sibilo di morte. Alekos immaginò sarebbe stato l’ultimo suono che avrebbe udito prima di venire assorbito dalla spada, che altro non era se non l’emanazione della divinità che aveva innanzi.

In un istante, mille e più immagini balenarono nella sua mente terrorizzata e, nel chiudere gli occhi prima di prepararsi al dolore della morte, mormorò: «Addio, madre.»

Il clangore del metallo che cozza contro altro metallo, però, lo portò a riaprire gli occhi e, sgomento quanto sorpreso, si ritrovò a fissare la schiena alata di una donna che, coraggiosa, si era interposta per salvarlo.

L’attimo seguente, risalendo con lo sguardo fino a sfiorare il volto a lui ben conosciuto di colei che lo aveva strappato alla morte, Alekos esalò: «Eris!»

«Stai bene, agápi?» mormorò la donna, reggendo bene il colpo inferto dalla divinità di Alekos.

Lui assentì prima di notare altro, in lei.

Sul volto di Eris erano evidenti strani simboli nerastri, apparentemente tatuati sulla sua bianca pelle e, meglio osservando, Alekos li scorse anche sui suoi avambracci e sulle mani.

Le ali, nere e imponenti, ricordavano quelle di Deimos e Phobos, pur se erano molto più ampie e lucenti e, anche in quel caso, per Alekos furono un’autentica novità.

Nel complesso, Eris appariva vendicativa e pericolosa, esattamente come i miti l’avevano sempre descritta.

Distogliendo lo sguardo da quello di Alekos, Eris mormorò spiacente: «Scusa. Non volevo mi vedessi così, ma…»

«Mal trovata, Eris. Cosa ci fai qui?» intervenne la divinità di Alekos, strappandoli al loro gioco di sguardi.

Accigliandosi, la dea replicò caustica: «Prova a indovinare, pallone gonfiato che non sei altro!»

Ciò detto, scacciò con un abile gesto del braccio la spada del giovane dio, scostandosi poi all’indietro e sempre tenendo dietro di sé l’Alekos uomo.

Scoppiando a ridere, la divinità di Alekos asserì: «Gli dèi hanno davvero puntato tutto su di te? Talmente in basso, si sono spinti? O pensavano di cogliermi di sorpresa, mandando a combattermi la creatura più infida ed egoista del pantheon?»

Eris si accigliò un poco, a quelle parole e, tra sé, cercò di rammentare a se stessa che, colui che le stava innanzi, non era il giovane a cui si era affezionata, ma solo l’emanazione nuda e cruda del potere divino in suo possesso. Scevro di controllo, scevro di pietà, scevro di amore.

Pura potenza, senza alcun pensiero umile a consigliarlo, a portarlo a più miti decisioni.

«Dovrai fare meglio di così, ragazzino, poiché io ho alle spalle millenni di nefandezze e di cattiverie e, prima che tu possa intaccare il mio amor proprio, ce ne vorrà» replicò beffarda la dea, falciando l’aria con la sua spada di nero acciaio siderale.

La divinità di Alekos, però, le rise in faccia, replicando sardonico: «Credo, invero, di aver fatto l’unica cosa in grado di indebolirti, invece. Costringerti a mostrare il tuo vero volto a questo ragazzo, a cui tu vuoi tanto bene, potrebbe significare la tua sconfitta.»

Eris strinse i pugni per la rabbia, ben sapendo quanto, quell’affermazione, fosse vera ma l’Alekos-uomo, prevenendo qualsiasi risposta da parte della dea, esclamò: «Eris non mi spaventa! Non mi ha mai spaventato!»

La divinità di Alekos lo fissò serafico, ribattendo: «Sei troppo debole per poter impicciarti di questa faccenda. Lascia che sia io a guidare il corpo che Érebos salvò dall’oblio e credimi, tutto andrà per il meglio. Riporterò l’equilibrio nel mondo, grazie alla giustizia che donerò agli uomini.»

«Ma a che prezzo?!» protestò l’Alekos-uomo. «Ora che ho i pensieri sgombri dal tuo chiacchiericcio continuo, posso vedere dove mi avresti portato! Non puoi pensare davvero che la giustizia possa fare tutto quello che vuole!»

«La giustizia è luce, e la luce predominerà sempre! Senza ombre, senza oscurità, essa porterà il bene supremo ogni dove!» esclamò per contro la divinità di Alekos, levando nuovamente la spada per colpire.

Eris, allora, allontanò con una spinta l’Alekos-uomo e, nel parare nuovamente il colpo dell’altro, ribatté sarcastica: «Sei troppo superbo, per essere giusto. Mi sa che hai perso qualche lezione di educazione civica, a scuola.»

«A te non è concesso parlare, Discordia! Tu sei l’antitesi stessa di tutto ciò che io sono e diverrò, perciò non meriti di vivere nello stesso mondo che io illuminerò con il mio sapere e la mia giusta mano!» esclamò la divinità, ingaggiando con la dea una furiosa battaglia a fil di spada.

Eris lasciò perdere le parole e replicò ai colpi della divinità di Alekos, stando ben attenta a tenerlo sempre lontano dal giovane che stava tentando di proteggere.

Le era occorso molto per riuscire a domare i marosi psichici che l’avevano tenuta lontano dalla parte più profonda dell’inconscio di Alekos ma, alla fine, era giunta ove lui aveva più bisogno.

Vedere quei due Alekos, l’uno smarrito e tremebondo, l’altro bellissimo ma glaciale, l’aveva lasciata senza parole per alcuni istanti, prima di porle di fronte il problema in tutta la sua triste realtà.

Il subconscio di Alekos si era infine scisso, e le due parti del giovane erano entrate in conflitto per il predominio.

Facendo ricorso a tutte le sue energie, e lasciando che la parte più oscura e pericolosa di lei fuoriuscisse per darle la forza necessaria, si era lanciata tra i due per parare il colpo di spada dell’Alekos-divinità. Così facendo, aveva però esposto allo sguardo dell’Alekos-uomo ciò che, da sempre, lei aveva voluto tenere nascosto.

Ogni glifo sulla sua pelle, ogni solco che ne segnava le carni, era il retaggio di ciò che aveva commesso nel corso della sua lunga esistenza ma forse, proprio ciò che l’aveva sempre fatta vergognare, ora li avrebbe salvati.

Se fosse stata meno forte, meno consapevole del sapore della sconfitta e della solitudine, avrebbe probabilmente fallito. Lei era Eris, la dea della Discordia, certo, ma altresì colei che spronava al raggiungimento dei propri ideali.

Ora, doveva soltanto ricordare le parole di Dioniso, e spronare se stessa a non cedere.

«Non hai la più pallida idea di cosa voglia dire avermi sfidato, pivello!» ringhiò a un certo punto Eris, levando la mano libera dalla spada per colpire la divinità di Alekos con la sua oscurità.

Il giovane dio gridò irritato quanto terrorizzato ed Eris, approfittando di quel momento, si volse a mezzo per controllare che l’altro Alekos stesse bene.

Lei era ciò che era, e non doveva più nascondersi dietro a false illusioni o assurdi pregiudizi. Luce e tenebra dovevano convivere, perché il mondo potesse esistere, perciò lei aveva tutto il diritto di camminare a testa alta, al pari degli altri.

«Stai bene?»

Alekos assentì, lo sguardo turbato e puntato sull’altro se stesso, ancora impegnato a districarsi dalle fiamme nere in cui era stato avvolto da Eris.

«Si libererà, vero?» mormorò il giovane, tornando a guardare Eris.

La dea non vide repulsione, nei suoi occhi, né paura, solo un profondo sollievo all’idea di non essere più solo e in compagnia di quell’essere che non rassomigliava affatto all’Alekos di sempre.

«Certo che si libererà. La sua luce è indispensabile, per l’universo» replicò Eris, sgomentandolo.

«Io, però, non voglio che sia così. Preferirei morire, piuttosto che vedere ogni cosa soggiogata dalla sua visione distorta del mondo» scosse con veemenza il capo Alekos.

«Se tu morissi, morirebbe anche lui, perché l’uno non può vivere senza l’altro. Inoltre, daresti un dolore a troppe persone, anche a me, e non credo che tu lo voglia davvero» sottolineò per contro Eris.

Alekos storse il naso, replicando: «Dovrei lasciarlo fare, allora? Da quel poco che ho compreso, ha tutta l’intenzione di prelevare tutto il potere insito nel filato di Érebos per portare avanti le sue intenzioni.»

Sospirando, Eris scosse il capo e mormorò: «Te lo ha dunque detto.»

Il giovane assentì spiacente, replicando: «Ha sacrificato moltissimo, per me, e io non credo di avergli mai fatto capire quanto gli volessi bene.»

La dea allora lo irrise, ribattendo: «Ora sembri un bambino delle elementari. E’ davvero così poca la stima che hai di te stesso, e del rapporto che hai con tuo padre? Devo dunque dare ragione al pallone gonfiato, e pensare che tu non hai il diritto di parlare in questa diatriba metapsichica?»

Alekos poggiò sulla dea due occhi pieni di risentimento, prima di rendersi conto di ciò che Eris aveva sapientemente fatto.

Sbuffando, perciò, disse: «Adesso capisco quale fosse il tuo gioco, quando punzecchiavi le persone perché dessero il meglio di loro… ma, onestamente, fa anche un po’ male.»

«Deve fare male, altrimenti non ti sentiresti spinto a smentirmi in tutto e per tutto, e non daresti un peso reale a ciò che devi compiere» sottolineò la dea.

Alekos assentì, sollevò una mano per sfiorare il viso di Eris in corrispondenza dei glifi oscuri e, nel sentirli turbinare sotto le dita, mormorò: «Sono una rappresentazione fisica della discordia?»

«Sì» disse soltanto lei. Nonostante tutto, il suo giudizio le faceva ancora paura.

Lui però le sorrise, seguì con un dito la linea scura che le solcava la gota e scese fino alla sua spalla, ove si fermò. Lì, la mano si allargò per poggiarsi delicata e, contrito, il giovane disse: «Scusami, per quello che è successo al tempio. Non ero evidentemente in me.»

«Credo di iniziare a capire cosa stessi cercando di fare» replicò la dea, lanciando un’occhiata alla divinità di Alekos che, nel frattempo, si era quasi del tutto liberata dalle fiamme oscure.

Annuendo, Alekos asserì mesto: «Il mio subconscio sapeva che la tua oscurità lo avrebbe rallentato, ma ho scelto davvero il modo più sbagliato, per ottenerla.»

A quel punto, Eris ammiccò e disse per contro: «Non mi sarebbe spiaciuto… ma solo se fossi stata certa del fatto che eri tu, a volerlo, e non il tuo subconscio disperato.»

Il giovane si liberò in una risata, rasserenato dalle parole di Eris e, nell’osservare il se stesso pervaso dall’energia Ctonia di Érebos, mormorò: «Come posso dominarlo, io che sono solo uomo?»

«Lo faremo insieme. Sono qui per questo, ora l’ho capito» replicò la dea, sorridendogli. «Soltanto… dovrai accettarmi nella tua vita, così che luce e tenebra siano finalmente in equilibrio.»

Alekos sgranò lentamente gli occhi, di fronte a quelle parole e al loro reale significato e, nell’osservare il suo lato divino, dichiarò: «La luce ha bisogno dell’oscurità, per prosperare…»

«…e l’oscurità ha bisogno della luce, per sopravvivere. Più la luce è vivida, più le ombre diventano forti. Se tu combini queste due cose al fatto di avere a disposizione i poteri Ctoni di Érebos, ottieni una bomba a orologeria pronta a esplodere. Questo ha creato disequilibrio, ma noi lo riporteremo sulla retta via» terminò per lui Eris, sollevando nuovamente la spada quando la divinità di Alekos si liberò dalla fiamma.

Il giovane umano annuì alle sue parole, mormorando: «Per operare nel bene, devo conoscere anche il male in tutte le sue sfaccettature, e accettarlo per quello che è.»

Eris assentì, aggiungendo: «La tua Pallade può essere sia una cacciatrice che un’adorabile amica, no?»

«Sì» sussurrò soltanto Alekos, stringendole la mano libera. «Posso ringraziarti, Eris?»

«Fallo, e ti prenderò a calci nel sedere» replicò la dea, facendolo scoppiare a ridere.

«D’accordo, eviterò. Cosa devo fare, ora?» le domandò a quel punto.

«Dovrò recidere il filo della tua vita, e farà un male dell’inferno, sappilo. Ma durerà poco, te lo prometto» gli disse lei, lasciandogli il tempo di digerire il significato più profondo di quelle parole.

Lui assentì lentamente, deglutendo a fatica e, nel tornare a fissare il suo alter ego, disse: «Tratterrò il respiro più che potrò.»

«Ti converrà, o ti perseguiterò a vita nell’Oltretomba, e non credo che Ade mi voglia come coinquilina» ghignò Eris prima di attirarlo a sé per sussurrargli: «Lasciati colpire dalla sua spada. Ella ti assorbirà, così potrò recidere meglio il filo.»

«Non voglio che lui ti faccia del male, però» protestò Alekos, abbracciandola.

Lei accettò l’abbraccio, ne trasse forza ma replicò: «Siete due pivelli, al mio confronto. Vi batterò senza problemi.»

Ciò detto, Eris lo lasciò andare ed esclamò: «Vediamo se riesci a battermi, smidollato che non sei altro!»

«Quando non avrò più lui tra i piedi, sarai la prima vittima dell’epurazione che andrò a mietere!» replicò la divinità di Alekos, falciando l’aria per colpire l’Alekos-uomo.

Eris dovete fare appello a tutte le sue forze per trattenersi dall’urlare, quando vide il giovane a cui lei era così affezionata svanire sotto il colpo dell’altro Alekos.

Il fulgore della divinità di Alekos si fece quindi più grande, una volta riavuto il suo lato umano e averlo schiacciato dentro di sé perché non lo infastidisse più. Ora, era ciò che aveva sempre desiderato; un essere completo senza più inibizioni.

Il ghigno di Alekos si fece via via più grande ed Eris, nonostante tutto, ne ebbe paura. Dopotutto, si parlava pur sempre del potere di un dio Ctonio, pur se dimezzato, e lei era nettamente inferiore a esso.

Avrebbe dovuto giocare d’astuzia e sfruttare la sua vanità, oltre che la sua inesperienza.

«Non hai più scampo. Qualsiasi cosa vi siate detti, qualsiasi piano abbiate congegnato, non funzionerà, perché io ti sono superiore in tutto, ed eliminerò ciò che non avrebbe mai dovuto nascere. L’oscurità non può albergare nei cuori delle genti, perché la luce prosperi, così io eliminerò te prima di chiunque altro, e riporterò l’ordine» dichiarò Alekos, puntando la propria spada contro Eris.

«E’ tutto da vedersi, sbarbatello. Se non hai ancora capito che ogni cosa, nell’Universo, deve avere un suo eguale e contrario, allora non meriti la divinità che ti è stata donata con tanto amore» replicò la dea, attaccandolo per prima e cercando di non pensare che, dinanzi a sé, si trovava colui che era venuta per salvare.

D’altronde, l’unico modo che aveva, e che doveva essere fatto, era quello di recidere il suo filo della vita, così che potesse sostituirlo con un altro, meno potente ma più gestibile da un semidio quale Alekos era.

Per farlo, però, doveva avvicinarsi a sufficienza per reciderlo e, al tempo stesso, non doveva venire uccisa dall’unica creatura in grado di farlo; una divinità Ctonia con i poteri di Érebos.

***

La stella che era Alekos era diventata ormai brillantissima, e pulsava come una creatura vivente in procinto di nascere. Dioniso la osservava con l’orrore negli occhi, ben conscio che quell’abominio non era il tenero ragazzo che tutti loro avevano conosciuto, ma qualcosa di mani visto né conosciuto.

Quell’essere dai poteri immensi era la personificazione di una nuova divinità fuori controllo, di un potere primigenio così forte che, al solo contatto con la superficie terrestre, avrebbe portato distruzione ogni dove.

Un autentico diluvio universale, un’estinzione di massa come al tempo dei dinosauri, un cataclisma tale da cambiare per sempre gli equilibri sul pianeta.

Quello non era Alekos.

«Cosa sta succedendo? Perché avverto sempre più potere?» domandò preoccupato Dioniso.

«Alekos ha inglobato la sua parte umana, schiacciandola dentro di sé e asservendola al proprio dominio» gli spiegò Chaos, sgomentandolo.

«Dunque… Eris non è riuscita a salvarlo?» esalò sgomentò il dio.

Chaos scosse il capo, replicando: «Affatto. Credo che Eris abbia colto perfettamente ciò che deve fare, ma ora viene la parte più difficile. Per quanto Alekos possegga solo metà del filato di Érebos, stiamo comunque parlando del potere di una divinità Ctonia, che è immensamente più grande rispetto a quello di Eris, che è una dea minore.»

«Dea… minore? Eris è la dea più potente, cazzuta e infida che io conosca! Non venirmi a dire che è inferiore!» sbottò Dioniso, piccato.

Chaos, allora, lo fissò pieno di divertimento e replicò: «Non riesco davvero a capire se siano insulti o complimenti, i tuoi.»

«Assolutamente complimenti» sottolineò Dioniso, come se non valesse neppure la pena di spiegarlo.

Chaos si limitò a scuotere il capo, chiaramente perplesso, e dichiarò: «Hai un modo davvero contorto di esprimente il tuo apprezzamento per lei.»

«Perché non stiamo parlando di Afrodite, o di una qualsiasi altra dea del pantheon. Qui si parla di Eris» specificò Dioniso, tornando a scrutare la stella luminescente con espressione turbata. «Visto che Alekos ha il potere di una divinità Ctonia, potrebbe… ucciderla?»

«Sì.»

Chaos non disse altro, e a Dioniso non servì. Persino uno come lui sapeva fare due più due… anche se aveva sempre preso tre in matematica.

«Giuro che, se ti fai ammazzare, troverò il modo di assillarti per sempre, Eris» brontolò a bassa voce Dioniso, stringendo le mani a pugno fino a farsi sanguinare i palmi a causa delle unghie conficcate nella carne.

***

Atropo osservava turbata i filati di coloro che erano impegnati nella battaglia finale e, nello sfiorare il fuso di Alekos, la dea avvertì chiaramente un cambiamento sostanziale.

Cambiamento che attirò lo stesso Érebos nella stanza ove la figlia aveva riposto quei particolari filati, a cui lei stava prestando un’attenzione maniacale ormai da giorni.

«Padre, perché non sei con Athena?» sospirò la dea, scuotendo il capo e ponendosi prudenzialmente dinanzi al filato di Érebos.

L’attimo seguente, la dea della guerra fece a sua volta capolino nella stanza e Atropo, spiacente, mormorò: «Venire qui vi farà soltanto soffrire di più.»

«Preferisco seguire la vicenda da qui» replicò la dea, osservando i filati con aria stanca e preoccupata assieme. «Ancora nulla?»

Atropo indicò un filato in particolare, dalla brillante trama dorata divisa su due spolette diverse. Una delle due spolette stava convogliando sempre più filo verso la propria parte, mentre l’altra stava progressivamente diminuendo.

La dea non dovette dire nulla, in merito. Il significato era più che mai eloquente.

Érebos annuì debolmente, a quella vista, vedendo confermate unicamente le sensazioni avvertite fin lì in quei giorni così concitati.

«E’ Alekos che sta prosciugando il mio potere. Giusto?»

Atropo assentì sotto lo sguardo sconcertato di Athena che, sconvolta, esalò: «Come può pensare di farti del male?!»

Lachesi li raggiunse silenziosa all’interno della saletta e, nell’osservare spiacente la dea della guerra, disse: «Lui pensa soltanto ad accumulare potere per la sua missione sulla Terra, ora come ora. Non ha più scrupoli di alcun genere, poiché la fiamma umana dell’animo di Alekos è stata soffocata.»

Ciò detto, le indicò il filato incriminato, mostrandole un filo in particolare, divenuto particolarmente opaco e flebile.

«Érebos… non puoi fare nulla per fermarlo?» mormorò preoccupata Athena, afferrando a un braccio l’amato.

Ecco dunque spiegato il suo pallore crescente! Athena se n’era chiesta i motivi ma, troppo turbata per le sorti del figlio, non aveva chiesto lumi.

Scoprire che proprio suo figlio stava causando la morte del suo amato, la metteva nella difficile condizione di non sapere che dire, né che fare.

«Se usassi il mio potere per forzare a mia volta il filo, potrei reciderlo nel momento sbagliato, causando la morte di Alekos» replicò lui, spiacente.

La dea aggrottò la fronte, di fronte a quella risposta, ribattendo confusa: «In che senso… nel momento sbagliato

«E’ solo un’ipotesi, seguita ai tanti studi che ho fatto ma credo che, in un modo o nell’altro, Alekos dovrà morire» sospirò il dio Ctonio, sorreggendo preventivamente l’amata.

Athena si aggrappò a lui con tutte le forze, cercò di non lasciarsi andare al panico più nero – ben sapendo che, molte delle parole dette da Érebos, non andavano prese alla lettera – e mormorò roca: «Come? E perché?»

La divinità Ctonia si limitò ad abbracciarla e Atropo, nel carezzare la schiena della dea tremante, sussurrò: «Nessuno di noi può saperlo. Il filato si sta dipanando lungo una nuova via, e neppure io ne conosco la fine. Ma so che c’è un solo modo per salvare la situazione, e questo evento non si è ancora verificato.»

Ciò detto, divenne muta e Athena dovette accontentarsi di quella risposta nebulosa. Se neppure le Tessitrici di Destini conoscevano l’esito della battaglia, lei non poteva che attendere in silenzio, stretta nell’abbraccio consolatorio dell’uomo che amava.

Ammesso e non concesso che Alekos le permettesse almeno questo.


 

  
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