Alekos
– 1 –
La lama serpeggiò ferale
nell’aria, emettendo un sinistro sibilo di morte. Alekos
immaginò sarebbe stato
l’ultimo suono che avrebbe udito prima di venire assorbito
dalla spada, che
altro non era se non l’emanazione della divinità
che aveva innanzi.
In un istante, mille e
più immagini balenarono nella sua mente terrorizzata e, nel
chiudere gli occhi
prima di prepararsi al dolore della morte, mormorò:
«Addio, madre.»
Il clangore del metallo
che cozza contro altro metallo, però, lo portò a
riaprire gli occhi e, sgomento
quanto sorpreso, si ritrovò a fissare la schiena alata di
una donna che,
coraggiosa, si era interposta per salvarlo.
L’attimo seguente,
risalendo con lo sguardo fino a sfiorare il volto a lui ben conosciuto
di colei
che lo aveva strappato alla morte, Alekos esalò:
«Eris!»
«Stai bene, agápi?»
mormorò la donna, reggendo bene
il colpo inferto dalla divinità di Alekos.
Lui assentì prima di
notare altro, in lei.
Sul volto di Eris erano
evidenti strani simboli nerastri, apparentemente tatuati sulla sua
bianca pelle
e, meglio osservando, Alekos li scorse anche sui suoi avambracci e
sulle mani.
Le ali, nere e
imponenti, ricordavano quelle di Deimos e Phobos, pur se erano molto
più ampie
e lucenti e, anche in quel caso, per Alekos furono
un’autentica novità.
Nel complesso, Eris
appariva vendicativa e pericolosa, esattamente come i miti
l’avevano sempre
descritta.
Distogliendo lo sguardo
da quello di Alekos, Eris mormorò spiacente:
«Scusa. Non volevo mi vedessi
così, ma…»
«Mal trovata, Eris. Cosa
ci fai qui?» intervenne la divinità di Alekos,
strappandoli al loro gioco di
sguardi.
Accigliandosi, la dea
replicò caustica: «Prova a indovinare, pallone
gonfiato che non sei altro!»
Ciò detto,
scacciò con
un abile gesto del braccio la spada del giovane dio, scostandosi poi
all’indietro e sempre tenendo dietro di sé
l’Alekos uomo.
Scoppiando a ridere, la
divinità di Alekos asserì: «Gli
dèi hanno davvero puntato tutto su di te?
Talmente in basso, si sono spinti? O pensavano di cogliermi di
sorpresa, mandando
a combattermi la creatura più infida ed egoista del
pantheon?»
Eris si accigliò un
poco, a quelle parole e, tra sé, cercò di
rammentare a se stessa che, colui che
le stava innanzi, non era il giovane a cui si era affezionata, ma solo
l’emanazione nuda e cruda del potere divino in suo possesso.
Scevro di
controllo, scevro di pietà, scevro di amore.
Pura potenza, senza
alcun pensiero umile a consigliarlo, a portarlo a più miti
decisioni.
«Dovrai fare meglio di
così, ragazzino, poiché io ho alle spalle
millenni di nefandezze e di
cattiverie e, prima che tu possa intaccare il mio amor proprio, ce ne
vorrà»
replicò beffarda la dea, falciando l’aria con la
sua spada di nero acciaio
siderale.
La divinità di Alekos,
però, le rise in faccia, replicando sardonico:
«Credo, invero, di aver fatto
l’unica cosa in grado di indebolirti, invece. Costringerti a
mostrare il tuo
vero volto a questo ragazzo, a cui tu vuoi tanto bene, potrebbe
significare la
tua sconfitta.»
Eris strinse i pugni per
la rabbia, ben sapendo quanto, quell’affermazione, fosse vera
ma l’Alekos-uomo,
prevenendo qualsiasi risposta da parte della dea, esclamò:
«Eris non mi
spaventa! Non mi ha mai spaventato!»
La divinità di Alekos lo
fissò serafico, ribattendo: «Sei troppo debole per
poter impicciarti di questa
faccenda. Lascia che sia io a guidare il corpo che Érebos
salvò dall’oblio e
credimi, tutto andrà per il meglio. Riporterò
l’equilibrio nel mondo, grazie
alla giustizia che donerò agli uomini.»
«Ma a che
prezzo?!»
protestò l’Alekos-uomo. «Ora che ho i
pensieri sgombri dal tuo chiacchiericcio
continuo, posso vedere dove mi avresti portato! Non puoi pensare
davvero che la
giustizia possa fare tutto quello che vuole!»
«La giustizia
è luce, e
la luce predominerà sempre! Senza ombre, senza
oscurità, essa porterà il bene
supremo ogni dove!» esclamò per contro la
divinità di Alekos, levando
nuovamente la spada per colpire.
Eris, allora, allontanò
con una spinta l’Alekos-uomo e, nel parare nuovamente il
colpo dell’altro,
ribatté sarcastica: «Sei troppo superbo, per
essere giusto. Mi sa che hai perso
qualche lezione di educazione civica, a scuola.»
«A te non è
concesso
parlare, Discordia! Tu sei l’antitesi stessa di tutto
ciò che io sono e diverrò,
perciò non meriti di vivere nello stesso mondo che io
illuminerò con il mio
sapere e la mia giusta mano!» esclamò la
divinità, ingaggiando con la dea una
furiosa battaglia a fil di spada.
Eris lasciò perdere le
parole e replicò ai colpi della divinità di
Alekos, stando ben attenta a
tenerlo sempre lontano dal giovane che stava tentando di proteggere.
Le era occorso molto per
riuscire a domare i marosi psichici che l’avevano tenuta
lontano dalla parte
più profonda dell’inconscio di Alekos ma, alla
fine, era giunta ove lui aveva
più bisogno.
Vedere quei due Alekos,
l’uno
smarrito e tremebondo, l’altro bellissimo ma glaciale,
l’aveva lasciata senza
parole per alcuni istanti, prima di porle di fronte il problema in
tutta la sua
triste realtà.
Il subconscio di Alekos
si era infine scisso, e le due parti del giovane erano entrate in
conflitto per
il predominio.
Facendo ricorso a tutte
le sue energie, e lasciando che la parte più oscura e
pericolosa di lei
fuoriuscisse per darle la forza necessaria, si era lanciata tra i due
per
parare il colpo di spada dell’Alekos-divinità.
Così facendo, aveva però esposto
allo sguardo dell’Alekos-uomo ciò che, da sempre,
lei aveva voluto tenere
nascosto.
Ogni glifo sulla sua
pelle, ogni solco che ne segnava le carni, era il retaggio di
ciò che aveva
commesso nel corso della sua lunga esistenza ma forse, proprio
ciò che l’aveva
sempre fatta vergognare, ora li avrebbe salvati.
Se fosse stata meno
forte, meno consapevole del sapore della sconfitta e della solitudine,
avrebbe
probabilmente fallito. Lei era Eris, la dea della Discordia, certo, ma
altresì
colei che spronava al raggiungimento dei propri ideali.
Ora, doveva soltanto
ricordare le parole di Dioniso, e spronare se
stessa a non cedere.
«Non hai la
più pallida
idea di cosa voglia dire avermi sfidato, pivello!»
ringhiò a un certo punto
Eris, levando la mano libera dalla spada per colpire la
divinità di Alekos con la
sua oscurità.
Il giovane dio gridò
irritato quanto terrorizzato ed Eris, approfittando di quel momento, si
volse a
mezzo per controllare che l’altro Alekos stesse bene.
Lei era ciò che era, e
non doveva più nascondersi dietro a false illusioni o
assurdi pregiudizi. Luce
e tenebra dovevano convivere,
perché
il mondo potesse esistere, perciò lei aveva tutto il diritto
di camminare a
testa alta, al pari degli altri.
«Stai bene?»
Alekos assentì, lo
sguardo turbato e puntato sull’altro se stesso, ancora
impegnato a districarsi
dalle fiamme nere in cui era stato avvolto da Eris.
«Si libererà,
vero?»
mormorò il giovane, tornando a guardare Eris.
La dea non vide
repulsione, nei suoi occhi, né paura, solo un profondo
sollievo all’idea di non
essere più solo e in compagnia di quell’essere che
non rassomigliava affatto
all’Alekos di sempre.
«Certo che si
libererà.
La sua luce è indispensabile, per
l’universo» replicò Eris, sgomentandolo.
«Io, però, non
voglio
che sia così. Preferirei morire, piuttosto che vedere ogni
cosa soggiogata
dalla sua visione distorta del mondo» scosse con veemenza il
capo Alekos.
«Se tu morissi,
morirebbe anche lui, perché l’uno non
può vivere senza l’altro. Inoltre,
daresti un dolore a troppe persone, anche
a me, e non credo che tu lo voglia davvero»
sottolineò per contro Eris.
Alekos storse il naso,
replicando: «Dovrei lasciarlo fare, allora? Da quel poco che
ho compreso, ha
tutta l’intenzione di prelevare tutto il potere insito nel
filato di Érebos per
portare avanti le sue intenzioni.»
Sospirando, Eris scosse
il capo e mormorò: «Te lo ha dunque
detto.»
Il giovane assentì
spiacente,
replicando: «Ha sacrificato moltissimo, per me, e io non
credo di avergli mai
fatto capire quanto gli volessi bene.»
La dea allora lo irrise,
ribattendo: «Ora sembri un bambino delle elementari.
E’ davvero così poca la
stima che hai di te stesso, e del rapporto che hai con tuo padre? Devo
dunque
dare ragione al pallone gonfiato, e pensare che tu non hai il diritto
di
parlare in questa diatriba metapsichica?»
Alekos poggiò sulla dea
due occhi pieni di risentimento, prima di rendersi conto di
ciò che Eris aveva
sapientemente fatto.
Sbuffando, perciò,
disse: «Adesso capisco quale fosse il tuo gioco, quando
punzecchiavi le persone
perché dessero il meglio di loro… ma,
onestamente, fa anche un po’ male.»
«Deve
fare male, altrimenti non ti sentiresti spinto a smentirmi in
tutto e per tutto, e non daresti un peso reale a ciò che
devi compiere»
sottolineò la dea.
Alekos assentì,
sollevò
una mano per sfiorare il viso di Eris in corrispondenza dei glifi
oscuri e, nel
sentirli turbinare sotto le dita, mormorò: «Sono
una rappresentazione fisica
della discordia?»
«Sì»
disse soltanto lei.
Nonostante tutto, il suo giudizio le faceva ancora paura.
Lui però le sorrise,
seguì con un dito la linea scura che le solcava la gota e
scese fino alla sua
spalla, ove si fermò. Lì, la mano si
allargò per poggiarsi delicata e,
contrito, il giovane disse: «Scusami, per quello che
è successo al tempio. Non
ero evidentemente in me.»
«Credo di iniziare a
capire
cosa stessi cercando di fare» replicò la dea,
lanciando un’occhiata alla
divinità di Alekos che, nel frattempo, si era quasi del
tutto liberata dalle
fiamme oscure.
Annuendo, Alekos asserì
mesto: «Il mio subconscio sapeva che la tua
oscurità lo avrebbe rallentato, ma
ho scelto davvero il modo più sbagliato, per
ottenerla.»
A quel punto, Eris
ammiccò e disse per contro: «Non mi sarebbe
spiaciuto… ma solo se fossi stata
certa del fatto che eri tu, a
volerlo, e non il tuo subconscio disperato.»
Il giovane si liberò in
una risata, rasserenato dalle parole di Eris e,
nell’osservare il se stesso
pervaso dall’energia Ctonia di Érebos,
mormorò: «Come posso dominarlo, io che
sono solo uomo?»
«Lo faremo insieme. Sono
qui per questo, ora l’ho capito» replicò
la dea, sorridendogli. «Soltanto…
dovrai accettarmi nella tua vita, così che luce e tenebra
siano finalmente in
equilibrio.»
Alekos sgranò lentamente
gli occhi, di fronte a quelle parole e al loro reale significato e,
nell’osservare il suo lato divino, dichiarò:
«La luce ha bisogno dell’oscurità,
per prosperare…»
«…e
l’oscurità ha
bisogno della luce, per sopravvivere. Più la luce
è vivida, più le ombre diventano
forti. Se tu combini queste due cose al fatto di avere a disposizione i
poteri
Ctoni di Érebos, ottieni una bomba a orologeria pronta a
esplodere. Questo ha
creato disequilibrio, ma noi lo riporteremo sulla retta via»
terminò per lui
Eris, sollevando nuovamente la spada quando la divinità di
Alekos si liberò
dalla fiamma.
Il giovane umano annuì
alle sue parole, mormorando: «Per operare nel bene, devo
conoscere anche il
male in tutte le sue sfaccettature, e accettarlo per quello che
è.»
Eris assentì,
aggiungendo: «La tua Pallade può essere sia una
cacciatrice che un’adorabile
amica, no?»
«Sì»
sussurrò soltanto
Alekos, stringendole la mano libera. «Posso ringraziarti,
Eris?»
«Fallo, e ti
prenderò a
calci nel sedere» replicò la dea, facendolo
scoppiare a ridere.
«D’accordo,
eviterò.
Cosa devo fare, ora?» le domandò a quel punto.
«Dovrò
recidere il filo della
tua vita, e farà un male dell’inferno, sappilo. Ma
durerà poco, te lo prometto»
gli disse lei, lasciandogli il tempo di digerire il significato
più profondo di
quelle parole.
Lui assentì lentamente,
deglutendo a fatica e, nel tornare a fissare il suo alter ego, disse:
«Tratterrò il respiro più che
potrò.»
«Ti converrà,
o ti
perseguiterò a vita nell’Oltretomba, e non credo
che Ade mi voglia come
coinquilina» ghignò Eris prima di attirarlo a
sé per sussurrargli: «Lasciati
colpire dalla sua spada. Ella ti assorbirà, così
potrò recidere meglio il
filo.»
«Non voglio che lui ti
faccia del male, però» protestò Alekos,
abbracciandola.
Lei accettò
l’abbraccio,
ne trasse forza ma replicò: «Siete due pivelli, al
mio confronto. Vi batterò
senza problemi.»
Ciò detto, Eris lo
lasciò andare ed esclamò: «Vediamo se
riesci a battermi, smidollato che non sei
altro!»
«Quando non
avrò più lui
tra i piedi, sarai la prima vittima dell’epurazione che
andrò a mietere!»
replicò la divinità di Alekos, falciando
l’aria per colpire l’Alekos-uomo.
Eris dovete fare appello
a tutte le sue forze per trattenersi dall’urlare, quando vide
il giovane a cui
lei era così affezionata svanire sotto il colpo
dell’altro Alekos.
Il fulgore della
divinità di Alekos si fece quindi più grande, una
volta riavuto il suo lato
umano e averlo schiacciato dentro di sé perché
non lo infastidisse più. Ora,
era ciò che aveva sempre desiderato; un essere completo
senza più inibizioni.
Il ghigno di Alekos si
fece via via più grande ed Eris, nonostante tutto, ne ebbe
paura. Dopotutto, si
parlava pur sempre del potere di un dio Ctonio, pur se dimezzato, e lei
era
nettamente inferiore a esso.
Avrebbe dovuto giocare
d’astuzia e sfruttare la sua vanità, oltre che la
sua inesperienza.
«Non hai più
scampo.
Qualsiasi cosa vi siate detti, qualsiasi piano abbiate congegnato, non
funzionerà, perché io ti sono superiore in tutto,
ed eliminerò ciò che non
avrebbe mai dovuto nascere. L’oscurità non
può albergare nei cuori delle genti,
perché la luce prosperi, così io
eliminerò te prima di chiunque altro, e
riporterò l’ordine» dichiarò
Alekos, puntando la propria spada contro Eris.
«E’ tutto da
vedersi,
sbarbatello. Se non hai ancora capito che ogni cosa,
nell’Universo, deve avere
un suo eguale e contrario, allora non meriti la divinità che
ti è stata donata
con tanto amore» replicò la dea, attaccandolo per
prima e cercando di non
pensare che, dinanzi a sé, si trovava colui che era venuta
per salvare.
D’altronde,
l’unico modo
che aveva, e che doveva essere fatto,
era quello di recidere il suo filo della vita, così che
potesse sostituirlo con
un altro, meno potente ma più gestibile da un semidio quale
Alekos era.
Per farlo, però, doveva
avvicinarsi a sufficienza per reciderlo e, al tempo stesso, non doveva
venire uccisa
dall’unica creatura in grado di farlo; una
divinità Ctonia con i poteri di
Érebos.
***
La stella che era Alekos
era diventata ormai brillantissima, e pulsava come una creatura vivente
in
procinto di nascere. Dioniso la osservava con l’orrore negli
occhi, ben conscio
che quell’abominio non era
il tenero
ragazzo che tutti loro avevano conosciuto, ma qualcosa di mani visto
né
conosciuto.
Quell’essere dai poteri
immensi era la personificazione di una nuova divinità fuori
controllo, di un
potere primigenio così forte che, al solo contatto con la
superficie terrestre,
avrebbe portato distruzione ogni dove.
Un autentico diluvio
universale, un’estinzione di massa come al tempo dei
dinosauri, un cataclisma
tale da cambiare per sempre gli equilibri sul pianeta.
Quello non
era Alekos.
«Cosa sta succedendo?
Perché avverto sempre più potere?»
domandò preoccupato Dioniso.
«Alekos ha inglobato la
sua parte umana, schiacciandola dentro di sé e asservendola
al proprio dominio»
gli spiegò Chaos, sgomentandolo.
«Dunque… Eris
non è
riuscita a salvarlo?» esalò sgomentò il
dio.
Chaos scosse il capo,
replicando: «Affatto. Credo che Eris abbia colto
perfettamente ciò che deve
fare, ma ora viene la parte più difficile. Per quanto Alekos
possegga solo metà
del filato di Érebos, stiamo comunque parlando del potere di
una divinità
Ctonia, che è immensamente più grande rispetto a
quello di Eris, che è una dea
minore.»
«Dea… minore? Eris è la dea
più potente,
cazzuta e infida che io conosca! Non venirmi a dire che è
inferiore!» sbottò
Dioniso, piccato.
Chaos, allora, lo fissò
pieno di divertimento e replicò: «Non riesco
davvero a capire se siano insulti
o complimenti, i tuoi.»
«Assolutamente
complimenti» sottolineò Dioniso, come se non
valesse neppure la pena di
spiegarlo.
Chaos si limitò a
scuotere il capo, chiaramente perplesso, e dichiarò:
«Hai un modo davvero
contorto di esprimente il tuo apprezzamento per lei.»
«Perché non
stiamo
parlando di Afrodite, o di una qualsiasi altra dea del pantheon. Qui si
parla
di Eris» specificò Dioniso, tornando a scrutare la
stella luminescente con
espressione turbata. «Visto che Alekos ha il potere di una
divinità Ctonia,
potrebbe… ucciderla?»
«Sì.»
Chaos non disse altro, e
a Dioniso non servì. Persino uno come lui sapeva fare due
più due… anche se aveva
sempre preso tre in matematica.
«Giuro che, se ti fai
ammazzare, troverò il modo di assillarti per sempre,
Eris» brontolò a bassa
voce Dioniso, stringendo le mani a pugno fino a farsi sanguinare i
palmi a
causa delle unghie conficcate nella carne.
***
Atropo osservava turbata
i filati di coloro che erano impegnati nella battaglia finale e, nello
sfiorare
il fuso di Alekos, la dea avvertì chiaramente un cambiamento
sostanziale.
Cambiamento che attirò
lo stesso Érebos nella stanza ove la figlia aveva riposto
quei particolari
filati, a cui lei stava prestando un’attenzione maniacale
ormai da giorni.
«Padre, perché
non sei
con Athena?» sospirò la dea, scuotendo il capo e
ponendosi prudenzialmente
dinanzi al filato di Érebos.
L’attimo seguente, la
dea della guerra fece a sua volta capolino nella stanza e Atropo,
spiacente,
mormorò: «Venire qui vi farà soltanto
soffrire di più.»
«Preferisco seguire la
vicenda da qui» replicò la dea, osservando i
filati con aria stanca e preoccupata
assieme. «Ancora nulla?»
Atropo indicò un filato
in particolare, dalla brillante trama dorata divisa su due spolette
diverse.
Una delle due spolette stava convogliando sempre più filo
verso la propria
parte, mentre l’altra stava progressivamente diminuendo.
La dea non dovette dire
nulla, in merito. Il significato era più che mai eloquente.
Érebos annuì
debolmente,
a quella vista, vedendo confermate unicamente le sensazioni avvertite
fin lì in
quei giorni così concitati.
«E’ Alekos che
sta
prosciugando il mio potere. Giusto?»
Atropo assentì sotto lo
sguardo sconcertato di Athena che, sconvolta, esalò:
«Come può pensare di farti
del male?!»
Lachesi li raggiunse
silenziosa all’interno della saletta e,
nell’osservare spiacente la dea della
guerra, disse: «Lui pensa soltanto ad accumulare potere per
la sua missione
sulla Terra, ora come ora. Non ha più scrupoli di alcun
genere, poiché la
fiamma umana dell’animo di Alekos è stata
soffocata.»
Ciò detto, le
indicò il
filato incriminato, mostrandole un filo in particolare, divenuto
particolarmente opaco e flebile.
«Érebos…
non puoi fare
nulla per fermarlo?» mormorò preoccupata Athena,
afferrando a un braccio
l’amato.
Ecco dunque spiegato il
suo pallore crescente! Athena se n’era chiesta i motivi ma,
troppo turbata per
le sorti del figlio, non aveva chiesto lumi.
Scoprire che proprio
suo figlio stava causando la
morte del suo amato, la metteva nella difficile condizione di non
sapere che
dire, né che fare.
«Se usassi il mio potere
per forzare a mia volta il filo, potrei reciderlo nel momento
sbagliato,
causando la morte di Alekos» replicò lui,
spiacente.
La dea aggrottò la
fronte, di fronte a quella risposta, ribattendo confusa: «In
che senso… nel momento sbagliato?»
«E’ solo
un’ipotesi,
seguita ai tanti studi che ho fatto ma credo che, in un modo o
nell’altro,
Alekos dovrà morire» sospirò il dio
Ctonio, sorreggendo preventivamente
l’amata.
Athena si aggrappò a lui
con tutte le forze, cercò di non lasciarsi andare al panico
più nero – ben
sapendo che, molte delle parole dette da Érebos, non
andavano prese alla
lettera – e mormorò roca: «Come? E
perché?»
La divinità Ctonia si
limitò ad abbracciarla e Atropo, nel carezzare la schiena
della dea tremante,
sussurrò: «Nessuno di noi può saperlo.
Il filato si sta dipanando lungo una
nuova via, e neppure io ne conosco la fine. Ma so che
c’è un solo modo per
salvare la situazione, e questo evento non si è ancora
verificato.»
Ciò detto, divenne muta
e Athena dovette accontentarsi di quella risposta nebulosa. Se neppure
le
Tessitrici di Destini conoscevano l’esito della battaglia,
lei non poteva che
attendere in silenzio, stretta nell’abbraccio consolatorio
dell’uomo che amava.
Ammesso e non concesso
che Alekos le permettesse almeno questo.