2.
Nella settimana del Sangue
L’odore era inconfondibile.
Lo stesso, intenso profumo che aveva percepito
nell’aria quando quella ragazza era sbucata fuori
dalla strada.
Era raro imbattersi in esemplari come lei, se
non addirittura impossibile. Mannari.
Ne erano rimasti davvero
pochi in tutto il mondo, spinti sull’orlo dell’estinzione per quel loro sangue
così vitale, così straordinariamente vicino a quanto ci fosse di più immacolato
al mondo. Era l’essenza stessa della natura, l’essenza
stessa della vita. Quella stessa vita che i vampiri come Santiago non
possedevano più, e che bramavano disperatamente riavere.
La sete era la loro maledizione per un’esistenza
dannata che li vedeva vagare come parassiti lungo i secoli, con il solo scopo
di rubare agli altri la vita nel vano tentativo di riavere indietro la propria.
Un punto di vista che Santiago, però, non
condivideva.
Quelli come lui, appartenenti al clan dei Sangre, i
sanguinari, non facevano mistero di ciò che pensavano
riguardo al dono oscuro: per loro era motivo di vanto, addirittura di gloriosa
superbia. Lo ritenevano un privilegio, che in quanto tale conferiva loro molti
diritti, primo tra tutti quello di ritenersi superiori a qualunque altro essere
non fosse vampiro.
Avevano una lunga tradizione fatta di riti,
caccia di gruppo, sangue. Come unico scopo, quello di
lasciarsi andare alla bestia che portavano dentro.
Cedere alla bramosia, desiderare, prendere,
possedere: tutto senza alcun freno. Tutto ciò che poteva soddisfarli, che fosse
sangue, sesso, o qualunque altra cosa che potesse
saziare quella voglia cupida che provavano… Potevano avere tutto. Bastava
prenderlo.
Perché loro discendevano dalle
divinità, e la tradizione del clan gli aveva insegnato che a loro era concessa
ogni cosa.
Così, questo precetto veniva
esaltato e portato alle estreme conseguenze durante la settimana del Sangue:
sette giorni di puro piacere, in cui collezionare una vittima dopo l’altra era
la glorificazione della natura bestiale dei Sangre.
Per l’ultima notte, chiamata la notte del Sabbath, era previsto
che tutti i vampiri portassero un trofeo alla loro Domina, colei che reggeva le
fila del clan. Dovevano portarle in dono un essere umano, l’esemplare migliore
che riuscivano a trovare in una notte di caccia.
Avevano sette giorni di tempo per farlo.
E Santiago, che vagava in cerca del suo trofeo,
aveva trovato decisamente di meglio.
*
Cloe camminava veloce, con le mani sprofondate
nelle tasche del cappotto e l’udito all’erta. Sapeva di essere seguita, se
n’era accorta da un pezzo.
Purtroppo, però, non poteva fare altro che
cercare di arrivare il più in fretta possibile nel maniero di proprietà di Axel.
Aveva l’orrenda sensazione che il suo
inseguitore non fosse umano, il che la rendeva una facile preda per chiunque la
tenesse d’occhio nell’ombra. L’unico luogo che le
offriva protezione era il territorio degli Eraclea, il clan guidato da Axel.
Fai in
fretta,
si ripeteva, ma nonostante camminasse piuttosto
velocemente, le sembrava che ogni passo la allontanasse sempre di più dalla
meta.
Aveva paura, ma non voleva lasciarsi sommergere
da quell’emozione, né tanto meno darlo a vedere al
suo inseguitore.
Così, quando lo vide sbucare dalle ombre a una decina di metri da lei, cercò di apparire sicura. Non
abbassò lo sguardo, e mantenne la testa alta. Lo aveva già visto quella sera
stessa, assieme ad Axel.
Santiago, l’aveva chiamato lui.
Non rimase affatto impressionata dalla sua
avvenenza: era abituata al fascino soprannaturale di quelle creature, al punto
da non rimanerne più colpita così facilmente. Ciò che la mise a disagio,
invece, era lo sguardo impudente e sfrontato che gli leggeva negli occhi scuri.
A quello non era affatto preparata, e capì subito che
non lo sarebbe mai stata.
La guardava con insistenza, con un sorrisetto sottile e beffardo che la mise a disagio e la
fece innervosire. Stava tentando di sedurla, ma lei avrebbe
fatto di tutto per resistere e non cadere nella sua rete così
facilmente.
Continuò a camminare, sempre più vicina a lui,
quando all’improvviso se lo ritrovò accanto. Fu una frazione di secondo: quando
se ne accorse, lui l’aveva già afferrata per un
braccio e l’aveva fatta voltare. Era intrappolata contro il
suo petto, lo sentiva solido e freddo contro la sua schiena.
«Dove scappi…» le
mormorò all’orecchio, facendole battere il cuore furiosamente. Lo sentiva vicino,
terribilmente vicino. Il suo respiro gelido si infrangeva
contro la pelle morbida del collo di Cloe, facendola rabbrividire.
L’avrebbe potuta schiacciare con estrema
facilità. Gli sarebbe bastato così poco per ucciderla… Quel pensiero la
raggelò, ma non avrebbe mai, mai
permesso ad uno della sua razza –un sanguinario, per giunta- di
averla in pugno, spaventata e sottomessa.
«Ti consiglio di lasciarmi andare, vampiro…»
sibilò con quanta più autorità poteva racimolare nel brodo informe che era la
sua paura. Si dimenò, scalciò, lottò con tutte le sue forze, ma senza alcun
risultato. La presa di Santiago era salda, fin troppo per la sua misera forza.
Lo immaginò sogghignare alle sue spalle, e poi…
poi sentì il suo alito solleticarle l’orecchio. Le gambe le tremarono.
«Perché dovrei,
mannara?»
«Perché Axel non sarà contento…»
A quelle parole Santiago la strinse ancora di
più a sé, allacciandole un braccio attorno alla vita. Il suo corpo era solido e
massiccio contro quello di Cloe, e le dava
l’opprimente sensazione di essere invischiata in una trappola dalla quale non
poteva scappare.
«Ma non ti farò alcun
male, ragazzina. Almeno non io…»
Chiuse gli occhi
imponendosi di rimanere lucida, di non perdere la calma. Aveva bisogno di
tutta la sua prontezza se voleva sperare di uscire da quella situazione.
Certo, la vicinanza con il suo corpo –il
corpo di un predatore- non facilitava le cose: era una macchina progettata per
uccidere, perfetta in ogni linea, realizzata apposta come specchietto per le
allodole. Una trappola che prometteva lussuria e perdizione, ma che donava
soltanto l’oblio eterno.
Le scostò i capelli dal collo: una carezza
leggera che le sfiorò la pelle, mandandola in fiamme. E
il tuffo al cuore che Cloe provò la sconvolse, letteralmente.
«Che buon odore hai…»
le mormorò all'orecchio. La sua voce, profonda e roca, era la cosa più sensuale
che Cloe avesse mai sentito.
Stava cadendo nella sua trappola, stava facendo esattamente ciò che lui desiderava: stava
abbassando le difese. Gli stava aprendo una breccia, ciò di cui lui aveva
bisogno per vincerla.
Provò odio per se stessa.
«Fottiti»
sibilò a denti stretti, e lo sentì prorompere in una risata roca.
«Non ti facevo così sboccata.»
«I vampiri come te mi ispirano,
che ci vuoi fare…» si rese conto solo l’istante successivo che non era nella
condizione di fare del sarcasmo.
Santiago la caricò in spalla, e nonostante lei
si dimenasse e cercasse in tutti i modi di guadagnare
la fuga, la presa del Sangre era terribilmente
forte. Mai come in quel momento capì quanto fosse nei guai.
«Lasciami andare!»
«Non lo darei per scontato, se fossi in te…»
«LASCIAMI ANDARE!» cominciò a gridare insulti, a
scalciare e a tempestargli la schiena di pugni. Era fuori di sé, la paura e la
rabbia le stavano facendo perdere il controllo.
Santiago sospirò, e quando la mise a terra le rivolse un sorrisetto
sottile, per nulla rassicurante.
«Ci tieni a camminare sulle tue gambe, o
preferisci che te le spezzi?»
Non gli rispose.
Si sarebbe aspettata una qualunque reazione
rabbiosa, non certo quella fredda ironia che rasentava l’indifferenza. In un
certo senso le fece ancor più paura.
«Brava, vedo che impari in fretta» sogghignò,
divertito dalla paura che le leggeva negli occhi. Poi la spinse avanti, rude e
sgarbato. «Ora cammina.»
«Non occorre che mi
spingi» sibilò Cloe, rabbiosa e incapace di trattenersi. La paura stava
cominciando a passare in secondo piano, in favore dell’irritazione che
l’atteggiamento del vampiro le provocava.
«Zitta e cammina.»
«Parlo quanto mi pare e
piace, ficcatelo in testa…» gli lanciò un’occhiataccia.
«Zitta. Sei cibo. Il cibo non parla, quindi comportati come tale.»
Lo guardò di sottecchi.
Avrebbe voluto rispondergli e metterlo a tacere, ma
non poteva ribellarsi a lui, non ora che le consentiva di camminare con le sue
gambe.
Poteva sperare in un suo
momento di distrazione, e tentare una fuga.
Si limitò a ribattere
con una risposta sottile ed ironica.
«Fidati…»
E forse avrei fatto meglio a rimanere in silenzio.
Lui l’afferrò
bruscamente per i capelli, e l’avvicinò a sé. La costrinse ad alzare il viso e
a guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi
magnetici, profondi e penetranti che la guardavano come se fosse poco più che
un insetto.
Cloe non poteva muovermi, la sua presa era troppo forte. Le faceva
male.
Era totalmente in suo
potere.
«Vedo che con te bisogna
andare subito al nocciolo della questione… Bene, allora ti farò capire cosa
vuol dire essere cibo.»
*
La
spalla le faceva dannatamente male.
Pulsava,
e Cora aveva la spiacevole sensazione che il maglione fosse
zuppo di sangue. Lo sentiva appiccicarsi alla ferita ad ogni movimento e quando
la pelle tirava, l’irrefrenabile desiderio di levarsi subito ogni indumento di
dosso faceva capolino promettendo sollievo da quel supplizio.
Una
tentazione allettante a cui era difficile resistere.
«Ti
dovremmo far vedere da qualcuno…» Ice sembrava
preoccupato. Cora fece spallucce, fingendosi dura e baldanzosa nonostante i
canini di Santiago fossero
penetrati piuttosto in profondità.
«Figurati,
è un graffio!»
Un'espressione
irritata rabbuiò il volto di Ice.
«Non
abbiamo idea delle conseguenze che potrebbe avere quel graffio! Perché non puoi
essere un po’ più coscienziosa ogni tanto?» sbottò, lasciando Cora incredula: suo fratello non si arrabbiava mai, né le
riservava grandi dimostrazioni di affetto. Eppure, le
sue condizioni sembravano davvero turbarlo.
Stupefacente…
«Ragazzi,
io vi lascio» Amber indicò la strada che svoltava a
destra. Eravano arrivati all’incrocio e Cora non se
n’era neppure resa conto. Aveva davvero bisogno di
riposo…
«A
domani» Ice salutò Amber con
un buffetto scherzoso sulla guancia. Le fece l’occhiolino, una smorfia che
doveva renderlo affascinante secondo le sue aspettative
ma che a Cora faceva venire il voltastomaco.Vedere il proprio fratello in pieno flirt era uno spettacolo che le
faceva venire la pelle d'oca. Un po' come vedere i propri genitori farsi le
coccole e chiamarsi con vezzeggiativi affettuosi: erano pratiche sociali che
per D.N.A. creavano imbarazzo ai parenti più
prossimi, quali figli e fratelli. E Cora rientrava a
pieno titolo nella categoria.
«Cerca
di riposarti, mi raccomando» Amber le diede un bacio
e dopo un ultimo cenno di saluto si allontanò. Quando svoltò l’angolo, Cora scoccò
a Ice uno sguardo ammonitore.
«Potresti
per favore lasciar fuori dal tuo territorio di caccia
le ragazze che lavorano in squadra con te?»
«Non
le stavo facendo una proposta di matrimonio, infatti…» ridacchiò lui.
Cora
sospirò scocciata. Si aspettava una risposta del genere. Era decisamente
tipico di suo fratello glissare in questo modo quando l'argomento riguardava la
sua vita sentimentale.
Come
se per lui fosse tutto un gioco.
«Tanto
non sei il suo tipo…»
«Stai
dicendo che non sono abbastanza attraente per lei?!»
la guardò, dubbioso. Probabilmente si aspettava un sì come
risposta, almeno a giudicare dalla sua espressione. Sembrava che volesse
dire scegli bene le parole.
La
minaccia, in tutto ciò, era implicita e decisamente
ben visibile.
Cora
fece spallucce. Se ne pentì quando sentì il maglione
incollato alla ferita tirare la pelle.
«Se
ti metti d’impegno e fossi meno scimmia, magari…»
«Se
non fossi ferita ti prenderei a calci.»
Eccolo,
il suo fratellino colpito sull’orgoglio. Sghignazzò.
«Tanto
ti faresti male solamente tu.»
Era
da un po’ che stavano camminando, ormai non erano molto lontani da casa. E –la cosa la rendeva inquieta- aveva notato che più si
avvicinavano, più la strada era affollata di persone in pigiama, vestaglia e
cappotto.
I
loro sguardi sembravano stupiti, preoccupati, allarmati.
Borbottavano
frasi sommesse, parlottavano tra di loro quando
vedevano passare i due fratelli. Un atteggiamento che Cora
non comprendeva, sicuramente bizzarro. Perché
queste persone non erano dentro le loro case, al sicuro nel confortevole tepore
dei loro letti?
Cora
lo capì con orrore subito, non appena svoltarono l’angolo.
Una
folla di curiosi era riunita davanti la loro casa o, almeno, davanti a ciò che ne era rimasto: la graziosa villetta di periferia, una casa
a due piani in cui Cora ed Ice avevano passato la loro infanzia, era avvolta
dalle fiamme.
Le
lingue di fuoco erano ovunque: guizzavano dalle finestre, corrodevano i muri, e
una densa cortina di fumo nero usciva da ogni spiraglio.
Era
un ammasso di legno, fiamme e mattoni.
«…
Mio dio…»
Cora
era impietrita. Svuotata, letteralmente.
Non
riusciva a pensare a nulla, completamente risucchiata dalla catastrofe che si
stava consumando davanti ai suoi occhi. Ice, ancora al
suo fianco, schizzò letteralmente attraverso la folla.
Gridava, gridava come un matto. Cora non si rese conto
immediatamente del perché, ma quando vide ciò che aveva attirato la sua
attenzione sentì tutto il suo mondo cadere a pezzi:
tre uomini in divisa stavano uscendo dalla casa in fiamme, e reggevano un corpo
ricoperto di fuliggine.
Erano
vigili del fuoco e quel corpo esanime abbandonato tra le loro braccia lo avrebbe riconosciuto ovunque.
Era
sua madre.
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Eccoci qui con il secondo
capitolo. Un po’ cruciale a dire il
vero, perché darà inizio ad una serie di eventi che…
beh, direi che non è il caso di raccontarvi di più, sennò che gusto c’è a
leggere la storia? :P
Spero di riuscire ad aggiornare entro sabato: sono in vacanza, e tra un
bagnetto al mare e l’altro c’è la possibilità che non riesca a tuffarmi anche
nella scrittura u.ù
A parte questo, mi sento in dovere di ringraziare _Mew_ che ha
messo Slayer’s tra le storie seguite *__* Il che mi
ha resa ESTREMAMENTE felice *O*
Ho poi un annuncio da fare: se andate sul forum di EFP,
nella sezione fan art -> originali troverete una cartella aperta da me, in
cui ho già inserito un paio di disegni che feci qualche anno fa riguardanti Slayer’s. Ne aggiungerò man mano altri. Mi raccomando, ditemi che ne pensate ^__*
E ovviamente, vabbè… inutile dire che se volete lasciare qualche commento farete la
felicità di questa povera autrice XD
A presto, sempre su questi schermi
Brin