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Autore: Marcuc    25/04/2020    3 recensioni
*Sono tornata*
-Dal primo capitolo-
Lei in quel momento, con gli occhi umidi, col panico e i suoi nervi suscettibili, era diventata la nuova Mirtilla Malcontenta in carne ed ossa. Tutti evitavano quel bagno per colpa sua, la nuova infestatrice insopportabile e piagnucolona. «Fantastico!» le scappò detto ironicamente.
....
Dal 4° capitolo:
« No che non va bene... » singhiozzò « sono rimasta sola! » chiuse gli occhi e si lasciò andare ad una vera e incontenibile disperazione, alle lacrime genuine di chi tira fuori le sue angosce e i suoi guai tutti interi.
La guardò impotente senza cercare alcun altro contatto, temendo ciò che una mano su quel volto deformato dal pianto, un abbraccio di consolazione, un pollice che asciugava le lacrime brucianti, avrebbe cambiato tutto troppo in fretta. « Non sei sola, Granger. » le sussurrò stringendo ancora l'unico pezzo di loro che si mischiava.
La scopro anche io con voi, man mano che scrivo. Con la speranza che non siate stanchi delle Dramione!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Vieni a prendermi
 

 
 
 
 
Durmstrang era sempre stata tetra, ma mai come quel giorno, si agitava una rabbia bestiale che a breve sarebbe esplosa, se ne sentiva il puzzo e la costrizione come una carcassa posata su tutte le pareti dell’edificio. Draco Malfoy era stato convocato nello studio del Preside con assoluta urgenza, lo accompagnava la pressante sensazione che, questa volta, non sarebbe riuscito a schivare una Maledizione senza Perdono spedita dritta alla sua fronte.

Sapeva a cosa era dovuta quella convocazione, o almeno credeva di esserne sicuro: solo il giorno prima uno dei suoi ragazzi si era lamentato per l’ennesima volta del fatto che non insegnasse nessuna pozione letale e, ad ogni lamentela in classe, seguivano puntuali le convocazioni. Conosceva a memoria la trafila: la sera prima il ragazzo denunciava le sue gravi mancanze didattiche al Preside, grande fan delle Arti Oscure, e, come quella mattina, un promemoria perentorio gli ordinava di presentarsi nell’ufficio nell’ala est della scuola dopo le lezioni, nel tardo pomeriggio. Era già la ventottesima volta che veniva ripreso per lo stesso motivo in cinque anni. Non riusciva a capire perchè, nonostante tutte le sue mancanze, continuassero a mantenerlo lì, al suo posto, nelle classi dei primi tre anni, giorno dopo giorno. Non riusciva a capire perchè le sue tante richieste di trasferimento altrove fossero state ignorate dal Ministero della Magia Inglese. Eppure aveva dei diritti, in quanto insegnante straniero. La Granger gli aveva forse mentito spiegandoglielo quel giorno al pub?

Quella scuola non era come la scuola che aveva frequentato, che ricordava con un affetto che non sapeva neanche di poter provare per un luogo. Oltre ad essere tetra e fredda, respingeva il cambiamento profondo e la ricostruzione che dopo la Caduta di Voldemort tutte le società magiche europee avevano saggiato, chi più, chi meno. Durmstrang continuava ad essere la roccaforte delle Arti Oscure e del razzismo, che lui sapesse non un nato babbano era mai entrato da quelle porte possenti, e, anche se illegali, molti suoi colleghi insegnanti si adoperavano nel mettere qualcosa di letale nel programma formativo, sin dal primo anno. Perchè nessuno faceva nulla? Perchè nessuno, lì, cambiava e imparava dagli errori passati? Tutti sembravano decisi a non maturare, tranne lui, che la guerra l’aveva vissuta, che aveva vissuto la ricostruzione e quell’anno ambiguo in compagnia di una nata babbana.

Solo il ricordo dei racconti della Granger in quel bagno lo aiutavno ad andare avanti giorno dopo giorno, a non cedere a quelle spasimanti oscure che facevano capolino in ogni pagina di libro che ripassava nella sua solitudine, per costruire faticosamente la lezione del giorno dopo e rimanere fedele al nuovo sé stesso. Non avrebbe mai ammesso con la Nata Babbana che la compagnia che si erano fatti aveva avuto importanza nel suo futuro, ma in cuor suo sapeva bene che lei, per quanto gli desse sui nervi ammetterlo persino a sé stesso, aveva giocato un ruolo fondamentale per la sua resistenza e, forse, per la sua redenzione. Era quella la sua lotta, la sua vera guerra: dimostrare di aver imparato qualcosa.

Ogni mattina ringraziava sua madre per aver impedito a Lucius di mandarlo a studiare lì. La viscida ambiguità scorreva in ogni anfratto di quei muri in pietra scura, aveva la sensazione che stessero tutti camminando su un filo di legalità molto sottile, era pensiero costante durante ogni minuto delle sue amare lezioni e delle sue infinite giornate, il timore che un giorno molto vicino sarebbe stato tirato dentro ad una nuova condanna e che, questa volta, non ne sarebbe uscito indenne e pulito, lo acompagnava costantemente. Persino il cibo era amaro e quasi immangiabile, dopo anni non si era ancora abituato alla mensa.

Non tornava in Inghilterra da ormai un lustro, dopo i primi due anni di praticantato, il carico di lavoro che gli era stato affidato durante tutte le vacanze era diventato insostenibile e anche le due settimane che riusciva a ritagliarsi d’estate non gli facevano venire voglia di tornare da dove era scappato. Passare così tanto tempo in quella scuola gli aveva portato via anche la speranza. Così lasciava che fossero i suoi genitori ad andarlo a trovare e a soggiornare in una delle villette che affittava quando la scuola era chiusa, passavano giorni silenziosi ad aggiornarsi a malapena su ciò che accadeva o sul tempo, senza pretendere di rifletterci, finchè non se ne andavano e lasciavano alla corrispondenza quel compito.

Prima di bussare alla porta dello studio del Preside, si sistemò il mantello viola sulle spalle, raddrizzò il cappello, trasse un respiro profondo e ripulì la faccia da tutte le sue espressioni.

«Avanti » si sentì dire in inglese con tono aggressivo, al di là della porta. Parlava già in inglese, brutto segno, usava quella lingua solo quando voleva essere del tutto certo che Draco lo capisse nei suoi episodi di rabbia violenta, quando sperava che la sua violenza verbale potesse contribuire ad un cambiamento. Quando erano troppo gravi le sue infrazioni.

Respirò profondamente, ancora, ed abbassò la maniglia in ottone muovendo un passo. Era talmente preparato a dover schivare una possibile Maledizione che trovare dentro l’esiguo ufficio, più persone dell’unica che si aspettava, lo stupì talmente tanto da farlo titubare e, per istinto, indietreggiare. Lo spazio semicircolare era stipato di gente, che, dallo sguardo sollevato che gli rivolsero in coro, lo stavano aspettando. Si ricompose in fretta, fece sparire la sorpresa dalle rughe del volto e, dopo essersi assicurato di conoscere bene molte di quelle persone, richiuse la porta alle sue spalle. C’era il Ministro della Magia Inglese, Shekabolt, con due Auror alle sue spalle a fargli da guardie, accanto a lui Pomona Sprite, vicepreside di Hogwarts, un atterrito Neville Paciock e una misteriosa donna con un elegante completo nero che gli dava le spalle, seduta alla scrivania e china su delle carte su cui scriveva furiosamente con una piuma di fagiano bianco. Ovviamente il Preside era lì, in tutta la sua imponente cattiveria, appoggiato alla parete spoglia, che lo fissava in cagnesco. Si erano quasi tutti voltati a guardarlo, ma non avevano osato salutare il suo arrivo e neanche indugiare su di lui per più dell’accettabile tempo. Draco non sapeva che cosa diavolo stesse accadendo. Per un folle momento pensò che fossero lì per rimproverarlo anche loro.

Qualcuno doveva pur spezzare quel pesante silenzio.

«Mi voleva vedere, Preside?» chiese senza emozioni, stringendosi le mani che aveva portato dietro alla schiena.

Lui alzò gli occhi al cielo scocciato «No, volevo fare a te jokkink, razza imbecille!» lo apostrofò come sempre.

Draco era abituato a quei commenti, non si degnò di rispondere alla provocazione e all’insulto, era inutile e comunque controproducente. Aspettò quindi che qualcuno si degnasse di spiegargli che cosa stesse accadendo. Ma, quasi immediatamente, una voce si levò in sua difesa, l’unica voce che poteva credere di osare tanto.

«Non c’è bisogno di essere così scortesi, Preside. Si rivolga in maniera decente ai suoi insegnanti.» l’acidità e la supponenza strabordavano da ogni sillaba e, nonostante quelle parole fossero in sua difesa e piene di una speranza inaspettata, le trovò insopportabili e fastidiosamente impavide.
Sapeva il suo nome prima che si levasse dalla sedia che occupava e si voltasse a guardarlo. Perché quella donna era così tanto diversa nell’aspetto quanto uguale nell’atteggiamento.

Hermione Granger si aprì in un sorriso radioso alla sua vista. Non se la ricordava decisamente così: era elegantemente fasciata da un complto nero che sembrava le fosse stato cucito addosso, i capelli non erano più cespugliosi e indomabili, ma raccolti sulla spalla destra in delicate onde castano luminoso. Portava del trucco, anche se molto delicato, e quelli erano per caso tacchi alti?

«Granger.» Draco esalò quel nome senza riuscire a trattenersi.

Gli sorrise ancora più apertamente: « Malfoy! » arrossì ma non smise di guardarlo neanche per un secondo.

Seguì un minuto di silenzo carico d’attesa e di tutte le cose che lui avrebbe voluto chiedere a lei e lei a lui, carico della rabbia che voleva urlargli addosso per essere stato ignorato per così tanto tempo, carico della gratitudine per il significato della sua presenza, carico di stupore per vederla cambiata nel fisico ma fedele alla sua indole, carico di paura per quella cosa luccicante infilata al suo dito anulare sinistro.

Fu il Preside a spezzare il silenzio ruggendo: « Allora?» tutti sobbalzarono, gli Auror fecero istintivamente scattare la mano alla fodera della bacchetta.
Il sorriso sornione della Granger si trasformò in un ghigno minaccioso prima di voltarsi verso il docente.

«Allora...» si interruppe volutamente per qualche secondo e con tutta calma procedette «... sarebbe così gentile da spiegarmi perchè qui ho una confessione firmata di un suo ex alunno che spiega, in modo chiaro e conciso, che lei ha dato ordine di non far passare lettere provenienti da Durmstrang al SovraMinistero della Magia Europeo? »

Quella accusa, se colpì il Preside, non si notò. Rimase impassibile, braccia incrociate e viso scuro: «Ha prove di qvello che dice oltre parole di pazzo?» chiese gelido muovendo solo le labbra.

Draco si guardava i piedi da dopo che lei si era voltata. Sapeva anche lui che una dichiarazione firmata non  sarebbe stata sufficiente. Ma sapeva anche che Hermione Granger non era una sprovveduta, che era preparata, coraggiosa e tremendamente determinata ad ottenere ciò che chiedeva.

Hermione fece schioccare le labbra, ridacchiò e tresse un bel respiro che, da solo, era la cosa più miacciosa che Draco sentiva da anni rivolta all’autorità: «Ne ho talmente tante da sotterrarla, e non solo di questo reato. » un pizzico di soddisfazione le incrinò la voce. «Non so come siate abituati qui, ma la Comunità Magica Europea si da molto da fare per tutelare le sue risorse, sia umane che materiali. E non permetto ingiustizie. Verso nessuno. Tantomeno verso un insegnante inglese.»

Ci fu una pausa e il muro di sicurezze dell’uomo si sentì quasi crollare in quel silenzio spettrale: «Draco Malfoy mio insegnante e io non abituato a farmi sottrarre cose mio. » era passato all’intimidazione che era quasi un’ammissione di colpa.

Hermione Granger non si era fatta mai intimidire da nessuno, a parte sé stessa, Draco lo sapeva bene: «Ah, ne sono più che certa. Ma non sono qui solo per sottrarle un insegnante. Quando il suo Ministro della Magia ha firmato gli Accordi Internazionali valevano anche per lei, Draco Malfoy è una risorsa della comunità Europea e ha chiesto di essere riportato a casa sua. Lo ha chiesto con 87 lettere, di cui 34 urgenti, che non sono mai arrivate al Responsabile dei trasferimenti nell’Area Didattica. E non sono arrivate perchè ha corrotto almeno quattro persone. » disse agitandosi, per poi ritrovare una calma inumana, che Draco non credeva le appartenesse «La scuola verrà commissariata, lei subirà un processo a Londra, della giuria faranno parte tutti i Presidi delle scuole Europee e i loro Ministri della Magia. Se risulterà colpevole Nurmergard la ospiterà secondo sentenza, e non potrà più insegnare. La pena prevista è dai 15 a 45 anni, per corruzione, poi ci sono gli altri reati...» Con un colpo di bacchetta radunò i fogli in una cartella che con un tonfo si posò sulla scrivania rivolta verso l’individuo paonazzo lì in piedi « Li leggerà tutti qui. Questi sono i capi d’accusa. Le prove e i nominativi dei testimoni da trasmettere al suo avvocato. La copia delle lettere che siamo riusciti a recuperare, perchè il suo galoppino non ha fatto in tempo a distruggerle. Mi occuperò personalmente del caso in quanto Pubblico Ministero del SovraMinistero. Può fare i bagagli, ci vediamo in tribunale fra due giorni per l’udienza preliminare, nel frattempo Pomona Sprite cercherà di mettere ordine in questo covo di Maghi Oscuri e lei sarà controllato a vista da questi Auror. » li indicò entrambi e fecero un passo avanti. Era stata talmente gelida da assomigliare ad una del posto.

Draco alzò il volto, sorprendentemente il Preside era rimasto senza parole per difendersi o inveire, non poteva crederci, non aveva mai assistito ad un evento di tale portata. Doveva per forza darne merito a quella donna, ma c’era un equilibrio così precario in qull’atmosfera che non avrebbe osato neanche sollevare un angolo della bocca per un accenno di sorriso.

Hermione, in modo molto più cortese, si rivolse a lui voltandosi a guardalo con occhi addolciti: «Malfoy, dovrai rimanere qui fino alla fine dell’anno scolastico, ma credo che sarà un’esperienza migliore guidato dalla professoressa Sprite, anche Neville resterà come Vice Preside, poi.... potrai andare dove vorrai. Domani pomeriggio sarà convocato un consiglio docenti in cui verrà spiegato tutti ai tuoi colleghi e a te. » non gli sorrise, ma seppero entrambi che avrebbe voluto farlo, non gli disse che avrebbe voluto che tornasse a casa, in Inghilterra, con lei, ma sapevano entrambi che avrebbe voluto farlo.

Lui annuì solennemente. Voleva ringraziarla, voleva abbracciarla esultando, voleva imprecare e burlarsi dello stesso uomo che ora guardava le carte posate sulla scrivania con occhi spiritati, lo stesso uomo di cui non aveva più paura. Aveva avuto la stessa sensazione davanti al cadavere di sua zia Bellatrix: euforia mista a spaesamento. Non sapeva che fare, come reagire, che cosa dire e se sentirsi ancora in pericolo. E per sua fortuna non disse nulla. Se avesse mosso un solo muscolo verso di lei, sarebbe diventata concreta quella minaccia inespressa di una Maledizione Senza Perdono a lui destinata che aveva sentito andando in quell’ufficio. Prese congedo e uscì nel cortile senza più dire altro.
 
 
***
 
 
 
Draco passeggiava nel cortile innevato della scuola, respirando la libertà. Gli aspettavano ancora sei mesi in quel tugurio, ma non sarebbero stati così tremendi ed oscuri come erano stati fino a quel momento. La Granger lo aveva salvato, ancora, il pensiero di doverla ringraziare per tutto ciò che stava facendo lo sfiorò per un momento, ma se ne andò subito. Voleva godersi la sensazione di libertà ancora per un po’ prima di lavorare sul disgusto per quell’atto dovuto. Era così freddo, ma non lo sentiva, nonostante fosse sprovvisto del mantello di pelliccia, del basco e dei guanti, che usava di solito per uscire dalla scuola.

Finalmente aveva delle risposte. Non era stato lasciato solo, non lo avevano dimenticato. Anche se ci era voluto tanto tempo. La Granger non si era dimenticata di lui. Se la conosceva almeno un po’, quello non era stato il suo primo tentativo di cercarlo, era sicuro che avesse messo a soqquadro l’intero SovraMinistero per lui, per capire, per la speranza ben riposta che quei giorni lo avevano cambiato.

Non aveva avuto abbastanza coraggio per contattarla direttamente, per raccontarle che tutto andava male, per dirle che gli mancava e che si aggrappava ai loro discorsi in quel bagno per mettere un piede avanti all’altro ogni giorno. Non aveva avto abbastanza fegato per ammettere che aveva bisogno di essere salvato, ancora. Chissà come il suo tormento lei, anche se così lontana, l’aveva avvertito. Aveva trovato il modo di indagare per trovarlo, il tempo, nelle sue impegnate giornate, per trovare una scusa per riportarlo a casa.

Non sapeva se le accuse fossero fondate, se quel processo fosse reale e non gli importava. Non sapeva come agire, che cosa dire per giustificare i suoi deboli tentativi di essere portato via da lì, ma non gli importava, non in quel momento.

Aveva appena cominciato a ridere da solo, le mani nei capelli, la voglia di saltare, quando una voce lo raggiunse: «Perchè non hai scritto a me? »

Si voltò verso l’entrata dell’ala Ovest e la vide sorridente che lo guardava, la valigetta gonfia appesa alla spalla sinistra, il mantello scuro e pesante che l’avvolgeva, le gote e la punta del naso rossi per il gelo che l’aveva investita. Per un momento gli parve di rivederla ai tempi della scuola, quando l’aveva odiata e invidiata, quando l’aveva conosciuta cambiata. Fece qualche passo verso di lei, l’istinto di abbracciarla e poi cambiò idea. Si bloccò nella neve, impaurito dai suoi moti emotivi.

Fu lei ad andargli incontro, coraggiosa come sempre, il vento le scompigliava i capelli, gli occhi vividi lo perforavano e cullavano allo stesso tempo, il sorriso genuino che si apriva sulle labbra scurite dal trucco discreto che si era stesa sul viso.

Quando lo raggiunse, Draco si accorse che la cicatrice imponente che le aveva attraversato il collo nell’ultimo anno di scuola, non si vedeva spuntare da nessuna parte, non c’era più, non sapeva se l’avesse coperta o se semplicemente avesse trovato un rimedio per cancellarla. Notò che quell’abitudine di cercare una falla nella persona della Granger non era sparita negli anni, era un po’ dispiaciuto che apparisse così impenetrabile. Aveva fatto amicizia con quell’imperfezione, era stata un monito, uno spiraglio sulla fragilità di quella ormai donna che lo aveva cambiato.

Erano a qualche decina di centimetri e non avevano il coraggio di pronunciare qualcosa, di riprendere le fila di un discorso che in realtà non era mai nato tra loro, almeno non a voce alta.

«Perchè non hai scritto a me? » chiese ancora lei dopo molti minuti, quando il vento fece una pausa.

Lui non rispose, si limitò a guardare avanti a sé sopra la testa di lei, togliendo gli occhi da quel volto così fiero nel gelido cortile della Scuola. Si raccontò, come un mantra silenzioso, che era il vento gelido che le faceva lacrimare gli occhi e arrossire le gote.

Lei riprese, Draco sentiva lo sguardo sempre puntato sul suo volto: « Ho scoperto che come le tue lettere non arrivavano al SovraMinistero, anche le mie non arrivavano a te. Avrò occasione di spiegarti. Ma so anche che potevi scrivere a tua madre e tuo padre... Tua madre non sapeva nulla di tutto questo.» Hermione sapeva che la sua ultima affermazione avrebbe sortito qualche effetto. Ripensò con un brivido alla sua incursione a Malfoy Manor quando tutta la situazione era venuta a galla, a quelle lettere famigliari dove si scorgeva tanta malinconia ma nessuna parola di richiesta.

Non fu plateale come si aspettava: «Hai parlato con mia madre, Granger?» disse lui lentamente senza spostare lo sguardo dalle pietre dell’edificio.

Ridacchiò: «Come minimo... svolgo bene le mie indagini. » era un’ovvietà prima ancora di essere pronunciata «Ora... posso solo supporre che tu non abbia mai detto nulla a tua madre per non farla preoccupare... o perchè avevi paura che nessuno li ascoltasse... ma ti ho chiesto io di scrivermi, potevi passare da me, anche per vie traverse... chessò... hai già scritto ai miei genitori in passato, no? Potevi indirizzarla a loro che me l’avrebbero data. C’erano milioni di modi per contattarmi. Ti avremmo portato via da qui molto prima e con meno spiragli per la difesa. Credevo che ti fidassi di me, avevi promesso... » gli ricordò limpidamente, con una sola frase, il loro ultimo incontro a Diagon Alley.

Non sapeva come risponderle: «Io...» digrignò i denti. Non voleva dire il reale motivo per cui non si era rivolto a lei nel momento del bisogno, come le aveva promesso. Non voleva dirle che non voleva chiedere aiuto a lei, ogni volta, per essere salvato dalle Arti Oscure. «Io non volevo disturbarti. » Nascose ben più delle mani nelle tasche della giacca. Non voleva dirle che ubriaco di Whisky Incendiario le aveva scritto un centinaio di lettere, ma non ne aveva spedita nessuna. Aveva scritto implorandola di andarlo a prendere, le aveva scritto che gli mancava da morire, poi, un giorno, si era risvegliato con tre parole troppo eloquenti scritte di suo pugno nella pergamena stropicciata che giaceva al suo fianco e, bruciato quel foglio umiliante, non aveva più toccato alcool e piuma per un bel po’.

Non ci cascò: «Vorrei sapere la verità. » disse dolcemente « Non hai mai avuto paura di disturbarmi, anzi, hai sempre fatto in modo di disturbarmi. » non sembrava dispiaciuta nel raccontarlo, ma quasi nostalgica.

Draco tirò fuori le mani dalle tasche del trench, lentamente, guardò in basso, tra loro due, afferrò entrambe le mani di lei con delicatezza, erano gelide e rosse sulle punte, attorno alle unghie corte ma ben curate,  gliele alzò davanti al volto, puntò gli occhi sulle dita che stringeva, su un dito in particolare e disse: «Cosa ne penserebbe il tuo fidanzato se ti scrivesse un Mangiamorte? Cosa ne pensa del fatto che ne vuoi riportare uno in Inghilterra dopo che ve ne eravate liberati?» era solo parte della verità, una scusa per deviare la sua attenzione.

Non seppe dire se gli occhi di lei si fossero inumiditi per la folata di vento che li aveva schiaffeggiati o per la pesantezza delle parole che pronunciò fermamente: «Tu non sei un Mangiamorte e io non ho un fidanzato.»

Il silenzio calò ancora su di loro, lui alzò gli occhi da quel diamante mentre il cuore, inspiegabilmente, gli prendeva il volo. Eppure la posizione di quel luccichio prezioso era così eloquente. Cosa stava succedendo nella vita della Granger? Perchè aveva dovuto abituarsi così velocemente al fatto che l’aveva ritrovata, per perderla ancora, ma che in realtà non l’avrebbe persa?

Fece l’errore di incrociare gli occhi di lei e di non sapere più come sfuggirne, il fantasma di quello che era stata con lui, in quel bagno, scoppiò nelle pagliuzze castane della ragazza, lesse che c’era ancora qualcosa di rotto che avrebbe dovuto e voluto aggiustare. Forse l’universo li stava riunendo per far in modo che si salvassero a vicenda, ancora. Rimasero lì, occhi negli occhi, immobili mentre cominciò a cadere la neve.

«Vieni con me, qui ci vuole qualcosa di forte. » disse poco dopo, circondandole le spalle con un braccio, cominciò a condurla verso il paese immerso nella valle, in cerca di un locale pronto ad accogliere le loro storie.
 
 
 
***
 
 
Dopo un po’ di peregrinazioni nel paese deserto, avevano optato per sedersi ai tavoli della piccola locanda in cui Hermione avrebbe alloggiato per una settimana. Era un bel posto, moderno pur restando magico, e faceva caldo. La signora che lo gestiva aveva il viso dai tratti duri e squadrati, era massiccia con una crocchia di capelli biondissimi stretta e perfetta. Il suo aspetto austero contrastavano con la sincera cortesia e dolcezza che dimostrava verso gli avventori, aveva una voce melodiosa che ogni tanto si sentiva uscire con una canzone dalla cucina mentre preparava le ordinazioni, Hermione si era fermata ad ascoltarla anche quella mattina, dopo la colazione. Draco conosceva il figlio della signora, Iljan, frequantava il secondo anno, era massiccio come la madre e aveva ereditato anche la sua gentilezza; orfano di padre e spesso preso di mira dai più popolari della scuola, lo aveva convocato più di una volta nel suo studio per rincuorarlo dopo i violenti attachi dei bulli che non erano stati puniti dal Preside. Ora che la Sprite avrebbe preso il comando poteva sperare che non vivesse altri episodi terribili. Contava sulle dita di una mano gli studenti che apprezzava quanto quel ragazzino.

Quando Draco era entrato con Hermione la signora lo aveva riconosciuto immediatamente, lo aveva abbracciato e gli aveva chiesto in bulgaro notizie del figlio. L’aveva rassicurata su tutto, ma non le aveva anticipato le novità previste per la scuola. Non era momento e luogo. Li aveva fatti sedere in un tavolo appartato e li aveva serviti immediatamente.

Avevano parlato per qualche minuto di come aveva scoperto Hermione di quello che accadeva lì, sottovoce, anche se la sala ristoro contava un affollamento di circa quattro persone, ben lontane da loro, ma non potevano dire poi molto per non inquinare il processo.

Lei aveva raccontato a Draco della sua vita dopo la scuola, della sua carriera, di quasi tutto quello che aveva scritto in quelle lettere che non erano mai arrivate. Poi la conversazione aveva languito. Non era pronta a parlare, una manciata di minuti dopo, al tavolo di quella locanda. Ma era tempo di farlo.

Fu Draco a spezzare il silenzio, quando erano ormai soli: «Non ho più diciotto anni, Granger, non ho voglia di punzecchiarti per farti raccontare che cosa è successo. Non aspetterò che tu abbia un attacco di panico. Muovi quella bocca. » disse quasi spazientito e autoritario.

Ridacchiò amaramente, abbassando lo sguardo, mentre prendeva un lungo sorso di vino dal calice, poi trasse un sospiro, si tolse l’anello e lo mise al centro del tavolo. «È un duplicato fatto con la magia. Quello vero l’ho restituito all’uomo che mi ha chiesta in sposa meno di sei mesi fa.» prese un altro sorso e continuò, guardando i muri spogli della sala, sapeva che Draco non aveva intenzione di interromperla. «Era un babbano, al cento per cento babbano...Alexander, e, due giorni fa, prima di venire qui, l’ho trovato a letto con quella che mi aveva detto essere “solo una sua amica”. » mimò le virgolette mettendo enfasi sulla citazione « Ero andata da lui per salutarlo la mattina presto, questo è stato un viaggio improvviso. Non avevamo in programma di vederci... Erano addormentati, abbracciati...e... bhé... nudi...» sospirò «Non ho avuto il coraggio di svegliarlo... ero pietrificata. Mi sono limitata a lasciare l’anello vero vicino alla sua tazza di caffè... gli avevo preparato la colazione... ho aggiunto un’altra tazza... e me ne sono andata» Hermione non sapeva dove avesse trovato tutta quella freddezza per lasciargli quel muto messaggio di addio, ma lo aveva fatto. Non ci aveva più ripensato fino a quel momento, era come se lo avesse fatto un’altra al posto suo, in un tempo lontanissimo.

Uscito quel macigno era tutto più facile, le spiegazioni arrivarono come un’onda di parole urgenti: « Molti settimanali e quotidiani si sono rivelati fin troppo interessati alla mia vita privata. Ho pensato... che... visto che il tuo caso è delicato e molto politico, evitare di portarsi dietro la stampa... qualsiasi tipo di stampa per una cosa così futile, sarebbe stato saggio. Ecco il perchè del duplicato, l’assenza dell’anello avrebbe suscitato domande anche dentro il Ministero stesso, prima della partenza. » si morse il labbro e sospirò. Si aspettava risate e scherno, qualche battuta al vetriolo, ma non arrivarono.

Si sentì impreparata al :«Tu come ti senti?» che lui le propose dopo qualche secondo, cercando i suoi occhi.

Ingoiò l’angoscia e lo stupore insieme a un altro sorso di vino e si strinse nelle spalle: «Credo di essermelo sempre aspettata, senza saperlo. Gli ho chiesto troppo... gli ho chiesto... di accettare troppo.» il labbro inferiore le tremò e gli occhi la tradirono, lasciando fuggire una lacrima panciuta e bastarda. Se l’asciugò immediatamente, vergognandosene. Lei non cedeva a quelle cose, lei non avrebbe fatto vincere il dolore ancora una volta.

Ignorò quel gesto repentino e orgoglioso, la guardò in cagnesco: «Non ti lascerò credere che sia colpa tua, Granger. Perchè sei una persona intelligente e sai benissimo da te che stai raccontado un sacco di stronzate. E, soprattutto, che le stai raccontando a me. E non mi piace che mi si raccontino stronzate.» Buttò giù in un sorso il suo bicchiere di Whisky e con una mano ne chiese un altro. Il bicchiere si riempì immediatamente.

Anche la ragazza richiese un altro bicchiere di vino. «Dovevo compiere una scelta prima: lui, la mia vita così come doveva essere da babbana, o la vita come è diventata dopo la prima magia. Ma non volevo scegliere, mi sono sempre convinta che non avrei mai dovuto farlo, che ero abbastanza forte per sopportare due esistenze. E forse lo ero... non lo saprò mai.  Sono stata due persone diverse nello stesso momento, lui non poteva esserlo. Ha deciso per me e, credo, che gliene sarò grata, prima o poi... forse gliene sono grata anche adesso. Non posso saperlo. Non sento nulla. » sorrise meccanicamene e bevve un sorso dal nuovo bicchiere comparso davanti a lei, abbassò lo sguardo su quell’anello tra loro, che luccicava in tutta la sua falsità.

L’aveva ascoltata attentamente, in silenzio, ma reagì all’istante: «Vuoi smetterla di mentirmi per favore? »

«Non ti sto mentendo, Malfoy.» disse risentita, non le piaceva sentirsi dare della bugiarda.

Scosse la testa: «Non mi bevo il fatto che tu non senta nulla, che vada tutto bene, che tu possa accettare un tradimento... che tu possa giustificarlo. Non penso che tu gli abbia puntato la bacchetta alla testa al momento della proposta. Ha deciso scientemente di ferirti per non affrontarne le conseguenze. Ha deciso scientemente di farti affrontare da sola la sua decisione. La sua, non la tua. Questo lo so io e lo sai tu e sarebbe lecito che tu lasciassi uscire almeno un’impecazione, un insulto... qualsiasi cosa. »

Hermione alzò lo sguardo di scatto, le sopracciglia inarcate: «Cosa vuoi che ti dica? Perchè dirti che sono devastata, che sono distrutta, triste e infuriata, sarebbe mentirti. Non ha deciso di tradirmi, non ha deciso che lo avrei scoperto. È successo e basta ed io sto bene. » disse veemente.

Draco la guardava senza tradire espressioni, chino su di lei. Poi allungò una mano verso il suo volto, con il dorso delle dita le accarezzò una guancia per un breve secondo, per poi alzarle davanti ai suoi occhi.  Erano umide. Non disse nulla, il corpo di Hermione reagiva al tradimento, tradendola a sua volta.

«È il freddo...» sussurrò asciugandosi la faccia e notando, per la prima volta, che era zuppa di lacrime.

Draco alzò gli occhi al cielo per poi riportarli su di lei: « Non hai bisogno che ti ricordi come diventi quando cerchi di reprimere il dolore. Devo stare qui altri sei mesi, non posso venire a farti compagnia quando hai paura. Sarebbe poi molto strano se ci trovassero in un bagno di una scuola che non frequentiamo più... puoi, per favore, saltare la parte della paura e passare alla legittima rabbia? » la implorò con stizza.

«Non... » scosse la testa, si morse il labbro cercando di puntare lo sguado altrove. Sapeva che dire tutto avrebbe significato rendere reale il suo dolore, riconoscerne i confini, mostrarsi debole in un momento in cui doveva mantenere una freddezza e un contegno esemplare. Il suo lavoro glielo chiedeva e, per il lavoro, non poteva lasciare che la sua vita privata la travolgesse. Cosa sarebbe successo se si fosse occupata delle nuove ferite? Avrebbe avuto ancora concentrazione per il caso? Lì c’era Draco, che aveva bisogno di lei, lucida e inattaccabile, per salvarsi. Ma era anche lo stesso che le stava dando il permesso di crollare, di far fluire anche la parte di sé fragile che non era mai morta, che avevano imparato a conoscere insieme e insieme a gestire. Le stava chiedendo equilibrio.

La guardava attentamente, pronto ad ascoltarla come lo era stato un tempo. «Andrà tutto bene, Granger,te lo prometto. » disse senza sbilanciarsi in espressioni, fermo e convinto delle sue parole.

E lei gli credette. Credette al suo sguardo risoluto e rassicurante, alle sue mani che l’attendevano aperte sul tavolo, ancora bagnate delle lacrime che lei aveva versato. Non era sola, ancora una volta, grazie a lui. Si aprì, si arrese all’ondata che aspettava di travolgerla da due giorni. Si affidò alla sua stretta. Si appigliò alle sue mani. Le spalle cominciarono a tremare violentemente e si arrese.
 
 
 
***
 
 
 
 
Hermione aveva detto e pianto tutto, aveva raccontato dell’angoscia che stava provando nell’ammettere che non si sentiva affatto bene, che guardarsi dentro e trovare ancora macerie quando tutto doveva essere sistemato, era scoraggiante e di cattivo auspicio. Aveva detto che temeva che non sarebbe mai riuscita a costruire nulla, che i suoi sogni d’amore e di famiglia non potevano realizzarsi, che era un segno che la sua vita doveva attenersi solo a piani professionali, perchè aveva deciso da che parte stare in guerra.

Parlarono talmente a lungo che il portiere di notte fu costretto ad implorarli di lasciare la sala alle quattro e mezza del mattino. Draco decise di rimanere in una delle stanze libere, per quella notte, era troppo tardi per pensare di tornare a scuola.

Si salutarono nel pianerottolo del primo piano, a bassa voce per non disturbare gli altri ospiti, si fecero la promessa di trovarsi a colazione il giorno dopo.

Hermione entrò nella sua stanza, calciò via le scarpe con il tacco e si buttò a letto vestita, prendendo subito sonno.

Si risvegliò la mattina dopo, sotto le coperte, senza ricordarsi come ci fosse entrata, ancora vestita nello stesso modo scomodo con cui era andata a lavorare. Gli incubi l’avevano tormentata tutta la notte e il cuore le batteva all’impazzata quando si svegliò di soprassalto al bussare incessante alla porta della stanza. Si guardò intorno cercando di capire dove fosse. Quando realizzò che si trovava in una locanda in Bulgaria si alzò a fatica dal letto e andò verso la porta dietro la quale, qualcuno, stava ancora bussando violentemente.

«Draco...» disse con la voce impastata dopo aver aperto.

Aveva l’espressione scocciata, vestito di tutto punto sembrava fresco come una rosa: «Alla buon ora Granger, sono dieci minuti che busso. »

Hermione sbadigliò sonoramente:«Scusami... ho dormito male questa notte... » lo lasciò entrare e sfinita si ributtò sul letto ancora disfatto, le mani in volto a stropicciarselo, lui si sedette su un angolo.

«Posso immaginarlo. Ma io devo tornare a scuola, fra due ore ho lezione... vuoi fare colazione?» le chiese brusco.

Sbadigliò ancora: «Penso di sì, devo lavorare oggi... faccio una doccia e poi possiamo andare » si alzò di scatto e andò verso il bagno.

Draco si guardò intorno. La stanza, a parte il letto disfatto e le scarpe lanciate quella notte, era ordinata. Pile di fogli ben allineati sostavano sulla scrivania, stette ben attento a non cedere alla tentazione di leggere tutte le carte, non sapeva che cosa avrebbe comportato il suo immischiarsi e non sapeva se tutte riguardassero lui. In un angolo vide una pila di lettere chiuse, tenute insieme da una cordicella. Riconobbe la calligrafia di Hermione, tonda e nervosa allo stesso tempo. Il destinatario scritto sulle buste era lui.

Sentì l’acqua della doccia scrosciare, capì di avere tempo per leggere solo una di quelle lettere. Comunque lei le aveva spedite, avrebbe dovuto leggerle se non fossero state bloccate da chissà chi. Sciolse il fiocco, prese una busta e, aiutato dalla magia, l’aprì nel modo più discreto possibile. Spiegò le pergamene, erano due, era una lettera lunga e fitta, in alto portava la data di cinque mesi prima. Si sedette alla scrivania e lesse.


Malfoy,

sono arrivata alla lettera 99, un’altra e vinco un premio per Tenacia e Illusione. Penso che mi sia dovuto visto che continuo a scriverti da sette anni e non ho mai ricevuto risposta.

In questi anni non ho mai osato chiedere nulla di te al Ministero, nonostante all’ufficio Didattica Inglese ci lavori un vecchio amico di scuola, Dennis Canon, che sarebbe disponibile a darmi tue informazioni. Comunque so che non sei morto, ed è già una cosa che mi tranquillizza e che mi faccio bastare. Oramai scriverti è diventato come quando da piccola scrivevo nel mio diario segreto: nessuna risposta ma tanto sollievo.

Scrivere mi riordina la vita.

Quindi eccomi qua.

Le cose stanno andando bene, almeno per quanto riguarda il lavoro. Ora sono nel dipartimento di Applicazione Legge Magica, quindi sono un membro del Wizengamot, in più, sono una sorta di avvocato della Pubblica Accusa per quanto riguarda il SovraMinistero. Ho parecchio da fare e da studiare, ma come sai non mi spaventa.

Tutto questo lavoro extra mi sta entusiasmando, da un lato, e mi sta portando a livelli molto alti in poco tempo. Non so se sia per il mio nome o per la mia capacità. Sicuramente diresti il nome...

Dall’altro lato sta cominciando a diventare un peso per la mia vita privata.

Lo scriverò di getto, ed è la prima volta che lo faccio... prima ancora di dirlo ad alta voce: sto per sposarmi.

Eggià... Alexandre ha deciso che vale la pena prendermi nel suo bagaglio emozionale per tutta la vita. Sfortunato, vero? Ma è stata una sua decisione che io sono stata felice di esaudire.

Ma qualcosa non mi torna, del mio sì.

Ho cercato di non dare ascolto alla mia parte razionale ma davvero le cose non vanno propriamente bene. Ti ho già scritto delle difficoltà di intesa con un 100% babbano, ma, da una settimana fa (giorno della proposta di matrimonio) le cose sono molto peggiorate in questa difficoltà d’intesa. Non so che cosa sperasse chiedendomi in sposa, ma le sue allusioni, ora, non sono sempre accompagnate da un sorriso...anzi. Prima sembrava scherzare sul fatto che voleva che facessi un lavoro normale ( lo so, per noi è normale rispetto a quello che ero prima di oggi), in questi giorni lo dice con una sorta di astio e, quando io sottolineo che per me è normalità, preferisce chiudersi in un silenzio ostinato o, come è avvenuto stasera, uscire con i suoi amici.

Non sono una sciocca, so bene che mi sarei dovuta aspettare delle difficoltà di comprensione, però... se è così convinto di volermi al suo fianco per tutta la vita, perchè prendersela così ora? Mi sembra assurdo. Ho la sensazione che odi il mio (altro)mondo e rifiuti la mia parte magica con una ferocia latente, ferocia che temo scoppierà quando farà più danni possibili.

Io sono convinta di volerlo sposare, ma sono anche convinta di non voler rinunciare al nostro mondo per lui. Ho faticato tanto per essere sempre all’altezza, ho sofferto e combattuto per guadagnarmi un posto tra voi maghi per nascita, non voglio rinunciare a tutti i miei sforzi perchè mi sono innamorata di un babbano.

Merlino, mi sembra di essere te!

Non ho mai raccontato ad Alex della guerra nello specifico, non gli ho mai spiegato cosa abbia voluto dire per noi vivere quello che abbiamo vissuto... mi è difficile anche a distanza di anni parlarne...

Sto meditando di farlo stasera, sforzandomi, magari per rendere un po’ più morbidi i suoi giudizi, fargli capire che cosa significhi per me il mio lavoro e la mia vita di adesso, che cosa sia per me la normalità. Spero che sia la strada giusta.

Ti saluto e lo aspetto.
Mi manchi, per Merlino!
                                                                                                                                                                                                                                      Granger 
 
 
L’acqua della doccia si arrestò improvvisamente. Draco ripose la lettera appena in tempo, nell’esatto momento in cui la Granger aprì uno spiraglio di porta per far volare dentro un fagotto di vestiti e richiudersela alle spalle. Non ci volle molto perchè comparisse vestita in abiti comodi e con la sua testa di cespugliosi capelli bruni lì dove l’aveva lasciata sette anni prima. Ed era tornata anche la cicatrice sanguigna che le avvolgeva il collo e si tuffava nello spiraglio generoso lasciato dalla cerniera della felpa azzurra che portava. Draco sorrise nel rivedere la sua vecchia amica ancora lì, al suo posto, per farlo entrare.

«Sono pronta.» annunciò con un mezzo sorriso afferrando le chiavi della stanza e la borsa.

Lui annuì e le aprì la strada verso il corridoio.

Fecero colazione in silenzio per la maggior parte del tempo, sembrava che si fossero detti tutto la sera prima. In realtà Draco meditava su ciò che aveva letto. La Granger aveva avuto dei sentori che la sua storia d’amore non andava come avrebbe dovuto e aveva chiesto aiuto a lui, non ai suoi amici da strapazzo ma a lui. Chissà quante preziose informazioni e confidenze gli aveva rivelato in quell’ammasso di pergamene che non aveva letto, chissà quante cose aveva dato per scontate nell’ultima lettera, chissà se gli avrebbe mai fatto leggere il resto o se ritenesse che non ne valesse più la pena. Era ansioso di sapere e arrabbiato con chiunque gli aveva precluso quelle conoscenze.

Talmente arrabbiato che dovette parlare: «Ieri hai detto che mi hai scritto...»

La colse alla sprovvista, si pulì il volto con il tovagliolo prendendosi tempo per rispondere:« Già... qualche lettera... per sapere come procedeva la tua vita.» disse titubante.

«E cosa hai pensato dopo che non ti ho risposto alla prima?» incalzò.

Si strinse nelle spalle:«Che eri probabilmente troppo occupato per trovare il tempo di rispondermi.» disse tranquillamente.

«Quante lettere mi hai scritto?» bevve un sorso di caffè tenendola incatenata con lo sguardo.

Guardò altrove: « Un paio... forse tre.» minimizzò «Per avere qualche notizia della tua esistenza, ma ho rinunciato quasi subito.» mosse una mano velocemente come per scacciare una mosca.

«Già, tre...» sospirò, era tutto più facile quando conosceva la verità «... paia di decine.» continuò con un sorrisetto impertinente.

Arrossì violentemente: «Cosa te lo fa pensare?» indietreggiò con il busto fino a toccare lo schienale della sedia «Non penserai... insomma... era piuttosto chiaro che il nostro ultimo anno di scuola è stato solo una parentesi. » balbettava per l’imbarazzo.

Il cuore di Draco quasi sussultò e quasi s’incrinò, ma non perse quel sorrisetto impertinente:«Davvero?»

«Lo hai detto tu... o almeno così ho capito dal nostro ultimo incontro a Diagon Alley... quindi non vedo perchè dovresti pensare che io ti abbia scritto così tante lettere.» guardava furiosamente altrove ed era ancora visibilmente rossa e sulla difensiva.

Draco ridacchiò: « Non sei così brava a mentire Granger. Dovrei insegnarti io...» propose cercando di immobilizzare il suo volto con il pensiero.

Provò a reggere lo sguardo di lui ma le risultò quasi impossibile: « Non ti sto mentendo... non devi insegnarmi proprio nulla.»

Si prese tutto il tempo del mondo per mandare giù l’ultimo boccone del suo pasto, lo assaporò completamente e si pulì il volto, prima di dire: «Ho visto le lettere che mi hai mandato e che non sono mai arrivate. Erano un bel mucchio di lettere.»

«Ma...» boccheggiò.

«Cosa pretendi se lasci tutte le cose in bella vista sulla scrivania della tua stanza?» rise di gusto alla vista nella sua difficoltà a trovare un spiegazione valida, gli sembrava quasi di sentire i meccanismi del cervello di Hermione incepparsi.

Lei si mise le mani in volto e lasciò uscire una risata imbarazzata e nervosa, quando finalmente il suo volto fu alla vista, era ancora rossa ma più rilassata: «D’accordo ammetto di averti scritto parecchio.»

«Punto per me Granger.» disse lui alzandosi dalla sedia «Vorrei godermi la vittoria e godermi tutte le patetiche scuse che ti inventerai per giustificare tale apprensione, ma il mio tempo è scaduto. Ho lezione fra mezz’ora e devo ancora arrivare a scuola. » disse guardando l’orologio con un sorriso vittorioso a tagliargli il volto.

Hermione lo guardava dal basso, quasi delusa dal saperlo prossimo alla partenza: « Me la sono voluta.» disse mestamente.

Draco annuì:«Puoi sempre rifilarmi le tue scarse bugie nel pomeriggio, non ho lezioni primadella riunione delle 18.» le stava per caso dando un appuntamento?

Hermione si aprì in un sorriso: «Vorrei tanto accontentarti ma avrò da fare nel pomeriggio, ho una riunione con il Primo ministro Bulgaro e la combriccola che hai visto ieri, ne avrò per ore.» si alzò anche lei per salutarlo «Dopo cena hai impegni?» chiese speranzosa.

«Ho il mio turno di controllo dei corridoi, stanotte. Ma posso raggiungerti domani mattina per un’altra colazione.» propose cercando di sembrare il più noncurante possibile.

Lei annuì: «Va bene, mi trovi qui e... giusto... visto che sei qui devo comunicarti una cosa che credo non ti farà piacere sapere. » si mordicchiò il labbro a disagio.

Draco alzò gli occhi al cielo: « Mi farà meno piacere del pensiero che ho un appuntamento con una Sanguesporco?»

Rise:« Temo...»

Si strinse nelle spalle:« Sputa il rospo, Granger...»

«Ti è stata assegnata una scorta di tre Auror finchè non ci saràil processo. Molti tuoi colleghi eranodevoti al so “stile” e non saranno contenti dopo oggi pomeriggio.» se il Preside era stato tanto sfacciato da provare a corrompere l’intero ufficio didattica del SovraMinistero, non si sarebbe risparmiato di vendicarsi di chi aveva interrotto questo suo hobby illegale, nella fattispecie Draco ed Hermione per primi. Magari non con la morte, ma poteva scommettere su qualche maledizione proibita fatta dai suoi accoliti. Dovevano ancora scoprire il perchè Draco Malfoy fosse per lui così importante da giustificare tale dispendio di forze sia economiche che inventive, per farlo doveva sapere che lui sarebbe stato al sicuro.

Spalancò gli occhi: «Ma... Granger!» protestò animatamente. Gli scocciava già che dovesse essere salvato, le guardie del corpo lo avrebbero umiliato ulteriormente. Senza contare quanto sarebbero state maldisposte pensando di dover proteggere un Mangiamorte.

«E ancora non è niente...» disse sottovoce lei guardando in basso. Stava per scoppiare, quella situazione era insieme tragica e comica.

«Cosa può esserci di peggio delle balie? Vorrei ricordarti che sono adulto e mi so difendere...» cominciò a protestare ma lei lo interruppe alzando una mano davanti al suo volto

Le scappò da ridere dicendo:«Una delle “balie” – mimò il gesto delle virgolette – è Ronald Weasley. » a capo del dipartimento Auror vi era Harry e le aveva messo a disposizione tutte le reclute al secondo anno di studi, fra queste, il primo nome che uscì fu quello di Ron che aveva ormai abbandonato il suo posto ai Tiri Vispi Weasley, per dedicarsi alla sua vecchia scelta di cacciatore di Maghi Oscuri. Non era stato un ordine ben accolto neanche da Ron, ma le sue proteste si zittirono subito davanti agli occhioni supplicanti dei suoi vecchia amici.

A quel punto Draco scoppiò: «CHE COSA?» tuonò alla sua mercé stringendo i pugni, furente.

Hermione rise ancora più forte e quello sembrò calmare, per un momento, il ragazzo. La sua risata era così libera e genuina che illuminò tutta la stanza.

«Sei fortunata che non ho più tempo per insultarti! Sappi solo che me la pagherai con gli interessi.» disse voltandosi verso la porta e facendo per andarsene. Ma la sua minaccia non era così terribile come lui avrebbe voluto.

Hermione lo prese per un braccio e lo costrinse a voltarsi, con delicatezza :«Sii gentile con lui, per favore, sai bene il rischio che corri e lui è qui per tenerti al sicuro.» gli sorrise rassicurante «Mi ha promesso che non ti creerà problemi.»

Draco sbuffò ed alzò gli occhi al cielo:«Sei stata tu a decidere che venisse lui a controllarmi?»

Scosse la testa: «È uno dei più promettenti auror al secondo anno, lo ha assegnato il Diparimento.» sorrise «Per favore, Draco. Si tratterà di averlo lì solo fino alle 20, poi un altro Auror gli darà  il cambio per la notte.» cercò di implorarlo e convincerlo.

«Va bene Granger, posso sopportarlo. »

«Grazie! » fece scivolare la mano sulla sua e la strinse brevemente per poi laciarlo andare.
 
 


 
***
 
 
 


Hermione entrò nella sua stanza poco dopo, aveva talmente tanto lavoro da fare prima della riunione del pomeriggio che non guardò il cellulare fino all’ora di pranzo. Quando firmò l’ultima pergamena il suo stomaco vuoto brontolava già da diverso tempo. Voleva chiamare i suoi genitori e per farlo avrebbe dovuto uscire dalla Locanda. Si bardò di pelliccia e lana e si avventurò nel cortile in cui era stata aperto un sentiero nel manto bianco. La linea era appena comparsa nel display quando il cellulare prese a squillare. Il nome che comparve non la stupì. Ci aveva messo più tempo del previsto a capire, o forse, aveva dovuto trovare coraggio per parlarle, per abbozzare delle scuse o altre bugie.

Spinse sul tasto verde con un groppo in gola e solo dopo molti secondi riuscì a far scivolare via un flebile: « Pronto.» Dall’altra parte la linea era aperta, ma nessuno parlava. E rimasero così, in silenzio, per minuti preziosi e costosi, il paesaggio era silenzioso come loro, freddo come loro.

Fu solo quando il blocco che sentiva in gola si sciolse completamente, nonostante le temperature, che si rese conto di aver pianto. E prima di rendersene conto disse: «Sto lavorando fuori dall’Inghilterra, sistemerò tutto quando torno, fra una settimana.» digrignò i denti.

Lo sentì scoppiare a piangere, guaire come se fosse lui l’animale ferito: «Dove sei?» lo sentì chiedere tra le lacrime.

«Lontano. » disse solo, senza dare spiegazioni, non poteva, e tantomeno voleva, dirlo a lui. Non avrebbe più dovuto giustificare i suoi movimenti ad Alex, spiegargli cose che ripugnava e che non voleva capire, sentirsi in gabbia in una realzione che avrebbe dovuto farla sentire amata.

«Dobbiamo parlarne... non puoi tornare? Trovare un modo...?»

La risata isterica e rabbiosa che gli uscì dalle labbra stupì entrambi: «Scordatelo.» premette il tasto rosso con rabbia e forza che parve quasi cedere.
 
 
 


 
***




 
 
 
 
La porta della camera 102 si aprì subito dopo il secondo percuotere di Draco. Apparve Hermione, vestita di tutto punto, la camicetta bianca che spuntava dalla giacca blu scura fatta calare su un paio di pantaloni del medesimo colore che scendevano giù dritti, ai piedi spuntavano le stesse scarpe col tacco di due giorni prima; i capelli li portava raccolti in una crocchia bassa e rigorosa che assomigliava a quella della locandiera, ma le stava meglio, era truccata quel giorno, gli occhi castani sembravano più grandi e le labbra più desiderabili, non vi era traccia della cicatrice, ma Draco sapeva che, anche se non riusciva a vederla, era presente lì, per farlo entrare.

«Buongiorno! È una fortuna che tu sia in anticipo.... fra un paio d’ore ho un appuntamento in tribunale!» era seria e corrucciata, dopo aver appellato la valigetta e un mantello pesante scese con lui nella sala ristoro.

Andava di fretta, era nervosa e tremava impercettibilmente, voleva sedersi a mangiare il prima possibile e lo chiese con un po’ troppa decisione alla cameriera di turno, per poi scusarsi del tono brusco.

Draco notò la sua premura, non era mai stata così in ansia e non sembrava affatto che i suoi pensieri riguardassero il lavoro:« Va tutto bene Granger?» le chiese dopo aver soppesato le parole e averla osservata contorcersi le mani l’una con l’altra.

Lo guardò stupita: «Certo, tutto bene.» disse con decisione «Tu piuttosto, come è andata con Ron?» rilanciò prendendo attentamente la tazza di caffè che si era fermata a mezz’aria vicino alla sua testa.

Anche Draco prese la sua, ma aspettò il cibo prima di berne un sorso. «Credevo avrebbe fatto la spia lui.»

Si strinse nelle spalle:«Volevo sentire anche la tua versione dei fatti.»

«Quali fatti? Cosa ti ha raccontato quel babbanofilo?» aggrottò la fronte e si aggrappò al tavolo sussurrando minaccioso «Perchè qualsiasi cosa ti abbia detto non è vero. »

Hermione scoppiò a ridere ma non c’era vero divertimento nella sua risata: «Sei spassoso quando ti metti sulla difensiva, Malfoy. Ron è un professionista, mi ha detto che quasi non vi siete rivolti la parola eccetto i saluti, che sei stato stranamente cortese, non lo hai provocato e gli hai pure offerto un bicchiere di vino Elfico, che ha rifiutato perchè era in servizio. Ti trova più pallido del solito, in compenso.» afferrò coltello e forchetta e si dedicò al piatto colmo che era appena arrivato.

Era una mezza verità, Ron aveva passato la sera prima a lamentarsi del compito che gli era stato assegnato da Harry. Entrambi sapevano che quasi nessun’altro tra gli Auror poteva trattenersi da insultare o aggredire Malfoy nonostante fosse la vittima in quel caso, nel Dipartimento si vociferava che alcuni sarebbero stati anche disposti a giocarsi il posto di lavoro pur di restituirgli qualche ingiustizia. L’acredine nei confronti dei Marchiati era ancora molta da far pensare ai maghi inglesi che chiunque portasse il simbolo del male fosse ancora in credito con loro, che si meritasse le ingiustizie. Ron non era mai stato violento in nessuna forma, non aveva sete di vendetta nonostante quello che aveva affermato in passato, e, anche se ce l’aveva ancora con Malfoy, essere amico di Harry e Hermione lo aveva trattenuto dalle provocazioni. Non era ancora pronto a perdonare il suo bullo, ma era pronto a compatirlo.

«Spero che sia anche la tua versione dei fatti. » aggiunse lei con le sopracciglia alzate e un sorriso d’attesa.

Draco era rimasto immobile da quando Hermione aveva cominciato a ridere, il volto gli si era rilassato e aveva ascoltato una descrizione accurata della sua serata con la balia che aveva sempre insultato. «Non ho niente da aggiungere.» disse per poi dedicarsi anche lui alla colazione distogliendo lo sguardo da lei.

Con la coda dell’occhio la vide sorridere: «Bene.»

Le raccontò della riunione che aveva avuto con gl altri insegnati, la Sprite e Neville, di come avessero tutti capito che quella decisone era responsabilità di Draco. Nessuno aveva osato avvicinarlo o minacciarlo apertamente e le gelide proteste si erano limitate alle parole. Si prospettavano sei mesi di solitudine e attentati, era uno dei pochi, se non l’unico, a non apprezzare il metodo didattico della scuola. Metodo che sarebbe stato rivoluzionato in poco tempo. Non osava pensare a cosa sarebbe successo dopo che l’informazione fosse trapelata ai genitori, entrambi si aspettavano un’esponenziale protesta o molti ritiri indignati di ragazzini innocenti.

Rimasero per un po’ in silenzio a gustarsi il pasto. Hermione trasse sospiri profondi più di una volta.

«Ok, mi dici che hai?» disse Draco dopo l’ennesimo respiro sbattendo le posate sul tavolo, ne aveva abbastanza.

Sussultò per il rumore secco provocato dal ragazzo: «Niente.» disse fulminea, troppo fulminea per apparire sincera.

La guardò in cagnesco e a mascella rigida disse: «Non mentirmi, Granger. Perchè il prossimo sospiro che farai potrebbe essere anche l’ultimo che sento.»

Lo guardò con sfida: «Addirittura minacce di morte per un paio di sospiri pesanti?»

La guardò sbigottito dalle conclusioni che aveva tratto: «Non era una minaccia di morte. Ti sei bevuta il cervello?! Intendevo che me ne vado.»

Alzò le mani in segno di scuse: «Mi dispiace, Malfoy. Qualche volta la mia bocca va più veloce del mio cervello. Scusa.» era davvero pentita, glielo si leggeva in faccia.

Si strinse nelle spalle. Se non fosse stata così sconvolta avrebbe preso la sua accusa come un affronto che avrebbe giustificato un silenzio di ere geologiche, ma il suo volto parlava chiaro: «Ok...ora, di grazia, potresti dirmi che cos’hai?» disse riprendendo in mano le posate.  

Hermione si decise e sputò il rospo: «Alexander... il mio ex, mi ha chiamata ieri. » disse solo così, sperando che se lo facesse bastare, ma era una speranza vana.

«E...» la esortò.

Aspettò un po’ poi aggiunse: «Voleva che tornassi in Inghilterra per parlare.» le provocava una rabbia latente che qualcuno potesse anche solo pensare di disporre dei suoi impegni mettendosi al primo posto quando voleva, la faceva infuriare che nonostante tutto ciò che le aveva fatto, Alex pretendesse ancora sacrifici da parte sua. 

«Quindi mi stai per dire che te ne andrai stasera?» ipotizzò arrestando le mani e aspettandosi un sì.

«Certo che no!» esclamò indignata. «Sto lavorando e...» si bloccò appena in tempo perchè stava per dire “ci sei tu.” E non voleva dargli un’arma da utilizzare in quel momento, anche se sapeva bene che non l’avrebbe utilizzata, non era più il vecchio Draco Malfoy.

«E?»

«Se avesse voluto davvero risolvere la situazione lo avrebbe fatto prima di tradirmi.» gli occhi le si inondarono di lacrime che non scesero, rimasero a bordo del precipizio delle sue iridi così a lungo da essere tirate indietro.

Draco annuì e se avesse potuto sarebbe leggermente arrossito: «Grazie!» disse soltanto.

«Per cosa?» lo guardò sbalordita.

«Perchè finalmente riesci a vedere oggettivamente la situazione e per rimanere qui per me.» spiegò lui e anche la sua bocca fu più veloce del suo cervello.

Arrossì, lei che ne aveva le capacità: «Non lo faccio per te... lo faccio per la giustizia.» ma aveva un vago sentore di star mentendo. Aveva fatto salti mortali per trovarlo, per salvarlo, voleva essere lei a farlo, finalmente.

«Era quello che intendevo, Granger, solo che non volevo essere così disgustosamente pomposo.» cercò di riprendere contegno ma era troppo tardi.

E lei lo sapeva: «Mmm d’accordo.» disse «Anche se mi stupisce che tu non abbia voglia di essere un disgustoso pomposo.» si godette un po’ il momento, quel suo ringraziamento.

Alzò gli occhi al cielo ma decise di lasciar perdere la discussione, tornando sull’argomento: «Sai che dovrai comunque affrontarlo vero?»

«Lo so...» sospirò prendendosi il volto tra le mani.

«Sai che proverà a convincerti a perdonarlo.» si pulì la bocca e giunse le mani davanti al volto puntanto il suo sguardo verso di lei, ancora nascosta.

Annuì.

«Sai...» voleva farla indisporre, solo così avrebbe fatto uscire tutto.

«Ok Malfoy, falla finita. Sono infinitamente più intelligente di te da sapere ciò che mi aspetta.» lo guardò, gli occhi stropicciati non avevano perso neanche una scaglia di trucco, ma sembravano più grandi e umidi.

«Allora, Sottuttoio, cosa hai pensato di fare a riguardo?» separò le mani in attesa.

«Ieri sera ho già disdetto un po’ di cose stabilite. Fortunatamente il lavoro mi ha tenuta lontana dai preparativi... quindi la lista è breve.» Era stato quasi terapeutico mandare una decina di lettere – Sendy, la sua civetta, era stata abbastanza contrariata- decidere un piano d’azione per il suo ritorno. I suoi genitori, che aveva chiamato subito dopo la telefonata di Alex, non sapevano ancora nulla, perciò aveva scritto una lunga lettera anche a loro per prepararli alla notizia.

Erano stati così felici, i Granger, per il loro fidanzamento, così felici quando avevano ufficializzato il loro rapporto cinque anni prima, così felici quando lui si era insediato senza chiedere nel suo appartamento, pochi mesi dopo che lei vi si era trasferita, che le si era spezzato ulteriormente il cuore per doverlo spezzare anche a loro.

Alex lo consideravano il figlio –normale- che non erano mai riusciti ad avere, era stato loro dipendente per anni e, quando ad una quindicina d’anni dalla pensione avevano deciso di dimmezzarsi il lavoro, erano stati costretti a mandarlo via. Alex aveva capito la situazione fin da subito e aveva anche provato a rifiutare le entusiastiche lettere di raccomandazione che gli avevano fornito, dicendo che avevano già fatto troppo per lui, ma con i Granger, tutti i Granger, non si discuteva. Gli avevano trovato lavoro in una clinica dentistica privata, di un loro compagno di Università, un posto ben pagato e in un ambiente giovane che lo aveva assunto quasi subito a tempo indeterminato.

Hermione era stata vaga sui motivi della rottura imminente, aveva mentito scrivendo che le cose non stavano andando bene da tempo e che non aveva detto niente per non preoccuparli. Ma sapeva che non se la sarebbero bevuta a lungo. Hermione e Alex erano apparsi una coppia affiatata sin da subito, facevano insieme tante cose ed erano in sintonia nei più disparati argomenti, quando Hermione gli aveva detto che era una strega l’avevano visto stringersi a lei ancora di più. Non sapevano che dentro Alex covava un malessere che era finalmente sfociato. Se lo avessero saputo i genitori di Hermione l’avrebbero aiutato a venire a patti con la natura della figlia, loro che ne erano venuti a patti prima di tutti, gli avrebbero potuto spiegare come fare, come convivere con certe doti, come non lasciarsi spaventare dal Mondo della Magia. Ma Alex non aveva dato occasione a nessuno di provare a ricucire quello che si era rotto.

Distrutta, dopo la cena con Ron, a cui non aveva raccontato niente e che per fortuna non aveva chiesto nulla di Alex- anche se lo trovava particolarmente buffo e simpatico- aveva attraversato una notte di sonno profondo e senza sogni.

Draco spezzò i suoi ricordi malinconici: «Quando...?» non voleva finire la domanda.

Hermione, per fortuna, era molto intuitiva: «Fine maggio, il 28.»

«Ah...» mancavano meno di cinque mesi.

«Non gli darò modo di convincermi che la nostra relazione abbia un futuro. Per me è finita.» aggiunse subito dopo.

Draco voleva domandarglielo per sapere se ci fosse una possibilità che lo perdonasse, come aveva perdonato lui, se avesse dovuto abituarsi all’idea di perderla per un babbano, ma gli uscì solo una provocazione mascherata da ipotesi: «Ma magari... se proverai a perdonarlo il matrimonio sarà solo rimandato.»

«Non credo. Non è stato solo il tradimento a dividerci.» disse pulendosi la bocca e alzandosi lentamente.

La imitò: «E cos’altro?» ma ricordava la sua lettera, i suoi sospetti.

Lei non sapeva che lui sapeva:«Avevo un brutta sensazione sin dalla proposta. Avevo notato che mal sopportava il fatto che io sia una strega.» e come per sfregio a quel sospetto, con la bacchettà ordinò al mantelllo di librarsi in aria e di infilarsi ad avvolgerle il corpo. Fece un ghigno soddisfatta.

«Strano, è l’unica cosa che io sopporto di te.» lui preferì la maniera normale di bardarsi per mascherare un quasi complimento.

«Come vedi sono stata capace di scovare il tuo omologo nel mondo babbano.» si schernì andando verso il bancone all’ingresso della locanda, la valigetta rigonfia che le sbatteva sul fianco.

«Non essere ridicola, Granger, io non ti chiederei mai in sposa.» disse con una finta aria disgustata.

Rise, finalmente con sincerità: «Di questo ne sono più che certa, stai tranquillo!»
  
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