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Autore: Saeko_san    26/04/2020    1 recensioni
Un'ombra si risveglia alla Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, a Venezia, qualche giorno dopo l'uccisione di un importante imprenditore della zona.
Un patto di collaborazione viene stretto tra l'ombra e una giovane ragazza, in cerca di vendetta.
| written between 2009 and 2010 |
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12:
La perlina lavorata
 
17 marzo 2002. Isola di Burano, Venezia.
 
La mattinata, già trascorsa, aveva lasciato un filo di umidità; Burano era una graziosa isoletta, che però, come tutti i luoghi di Venezia, aveva il difetto della troppa presenza di acqua nell’aria, di quell’atmosfera quasi asfittica dei luoghi aperti ma strapieni di umidità.
A Burano quel giorno comunque, dopo l’ora di pranzo, sembrava che avesse appena piovuto; la casa di Mirco Lostello era proprio nel centro dell’isola, tra le vie principali, accanto ad una piccola parrocchia. L’entrata dell’edificio, una piccola casa bifamiliare, era affacciata su un piccolo giardino.
Quando Manes, Paolo e Lixa arrivarono a quel piccolo spazio verde erano da poco scattate le due, la campana della parrocchia suonava, ma faceva ugualmente un caldo umido e insopportabile; sembrava che il mese fosse quello di giugno e non quello di marzo.
Trovarono subito la casa del signor Lostello. Non era un semplice condominio come le nuove case che c’erano a Venezia, ma bensì una piccola villetta a un piano, in stile inglese, una bifamiliare, appunto. Il nome del suo padrone era scritto in maniera appena accennata accanto al citofono con il tratto di un pennarello indelebile.
Manes suonò: rispose una voce registrata e poco dopo il cancello si aprì, in maniera decisamente sinistra. I tre amici, dopo essersi guardati incerti sul da farsi, entrarono. C’era qualcosa di strano nell’aria, come se fosse successo qualcosa che loro certamente non si aspettavano. C’era un registratore installato anche nel citofono della porta: la voce ripartì e poco dopo s’inceppò.
La porta di casa era già aperta; la vernice bianca che una volta la ricopriva era quasi scrostata del tutto. Prima di entrare Lixa fermò Paolo e Manes.
 
-Che c’è, Lixa?- chiese Paolo.
 
La ragazza aveva lo sguardo fisso sulla serratura della porta. La indicò senza dire nulla; sia l’ombra che il ragazzo guardarono la toppa. Paolo si avvicinò e notò segni di scasso.
 
-Questa porta è stata scassinata- affermò il ragazzo.
 
“Ciò vuol dire che qualcuno è arrivato prima di noi” pensò Manes.
 
-Lixa- disse poi.
 
La ragazza si voltò e incontrò gli occhi azzurri, modificati dalle lenti a contatto che gli avevano messo.
 
-Che c’è, Manes?-.
 
Il tono della ragazza era stranamente calmo, in contrasto con il suo viso teso.
 
-È meglio se tu rimani qui-.
-E perché dovrei?-.
-Non sento arrivare vita da dietro la porta- disse Manes, sincero –E due sono le ipotesi: o che Mirco Lostello sia morto o che sia stato rapito. Non voglio che tu assista-.
-Non senti pulsare un cuore?- chiese Paolo.
-No. Ma ho la sensazione che qui una volta ci fosse vita- continuò Manes, riconoscendo lo strano sentore che gli procurava rimanere accanto alla tomba di Tiziano e a quella di Canova –Qui c’era un cuore che batteva. Ma ora non batte più. Da almeno due giorni-.
-Come fai ad esserne sicuro?- chiese Lixa.
-Perché il residuo dei battiti è ancora presente-.
 
Detto questo si voltò verso Paolo e gli disse:
 
-Rimanete qui fuori. Non vi permetto di entrare-.
 
Si mise davanti alla porta.
 
-D’accordo, Manes- dissero infine Lixa e Paolo.
 
Manes sospirò ed entrò. Dentro la casa c’era un odore che riusciva ad identificare benissimo grazie ai suoi ricordi: odore di morte; inoltre la casa era sotto sopra. “Qualcuno ha ucciso Lostello e poi ha cercato qualcosa”.
Arrivò in camera da pranzo e l’odore si fece più forte. Dietro al tavolo intravedeva del sangue allargatosi in una pozza informe; l’odore metallico gli diede fastidio alle narici, perciò non resistette e uscì fuori dalla stanza. Lì c’era il cadavere di Mirco Lostello.
Trattenne per un attimo l’impulso di fuggire via; ma doveva rimanere per due motivi precisi. Primo: doveva abituarsi, se il suo destino si fosse rivelato essere quello di uccidere Antonio Cisano; secondo poi doveva trovare qualcosa che magari l’assassino di Mirco Lostello non aveva trovato.
Esplorò le altre stanze. Anche queste erano state setacciate accuratamente, tutte; tranne una: c’era un ultima porta in fondo al corridoio, chiusa a chiave. Anche questa riportava tentativi di scasso, che però non erano andati a buon fine. Pensò che lui poteva passare oltre le porte e i muri, quando era sotto forma di ombra.
Così chiuse gli occhi e poco dopo sentì il suo corpo diventare più leggero. Mosse un passo nell’aria e passò attraverso la porta. Si ritrovò davanti una libreria stracolma di libri e ad una piccola scrivania con un computer portatile di forma quadrata. Sotto la scrivania c’era un cassetto. Tornò umano.
“Ora posso muovermi meglio” pensò. Doveva ammettere che essere umano lo aiutava; probabilmente si era abituato a quella forma, molto più che a quella di ombra. Aprì il cassetto.
Dentro c’erano, disposte in modo ordinato, alcune cose: un astuccio di stoffa nera, una cartellina azzurra, un diario e una cassetta. Prese la cartellina e al suo interno vi trovò le ultime ricerche di Mirco Lostello.
Poi afferrò il diario, che era coperto di pelle marrone e aveva un lucchetto che lo chiudeva. Stava pensando a come aprirlo quando un urlo improvviso lo colse di sorpresa. Un urlo di paura, di orrore. Avvertì immediatamente i pensieri di Paolo: capì che aveva cercato di trattenere Lixa, ma lei alla fine era entrata, lui l’aveva seguita, per poi non provare altro che sgomento davanti al cadavere di Mirco Lostello.
Ma c’era qualcos’altro che aveva sorpreso Manes: avvertiva anche un’altra corrente di emozioni, proveniente da qualcuno che si trovava vicino a Paolo, da una mente che gli era sempre rimasta muta, almeno sino a quel momento.
Prese al volo astuccio, diario, cartellina e cassetta e andò addosso alla porta. Si era dimenticato che in quel momento non era ombra, ma non importò perché la sfondò con una forza che non credeva di avere. Arrivò in sala da pranzo, dove vide Paolo e Lixa dietro al tavolo. Manes non fece più caso all’odore del sangue, fece il giro del mobile e si ritrovò accanto a i due ragazzi. Lanciò appena un’occhiata al cadavere dell’ex-giornalista e invece fissò Lixa. Il suo volto era rigato di lacrime. La ragazza si girò a guardarlo. Una voce femminile, rotta e spaventata raggiunse la sua mente.
“Manes”. Il suo pensiero era chiaro. Da quel momento avrebbe potuto sentire la sua mente.
 
***
 
Due ore dopo, la polizia era ormai giunta a casa di Lostello e aveva portato via il corpo, dopo aver fatto tutti i rilievi del caso. A Manes, Lixa e Paolo erano state date alcune coperte (nonostante facesse caldo, i tre avevano i brividi) e fatte alcune domande sul perché si trovassero lì. Dissero che il signor Lostello era un vecchio amico dello zio di Lixa e che erano venuti a trovarlo, dopodiché furono lasciati andare.
Ripresero in silenzio il battello che li aveva portati lì; non dissero una parola per tutto il tragitto. Una volta arrivati al Piazzale della Ferrovia, si avviarono verso la basilica. Arrivarono davanti al portone.
 
-Forse è meglio se ci vediamo domani- disse Manes, guardando il cielo.
 
Il sole era già tramontato, anche se nel cielo era rimasta visibile una leggera sfumatura rosata sul blu scuro della notte.
 
-Hai ragione- convenne Paolo, voltandosi a guardare Lixa –È stato un lungo pomeriggio per tutti-.
-Sì- continuò Manes –E poi domani ho delle cose da farvi vedere-.
-Quello che hai trovato nella stanza in fondo al corridoio?- chiese Lixa.
 
“Acuta la ragazza” pensò Manes.
 
-Sì-.
-Allora dobbiamo vederle stasera-.
-No, Lixa- intervenne Paolo al posto di Manes –Siamo tutti scossi. Non va bene continuare. Domattina è domenica. A mente fresca potremmo riflettere meglio-.
 
“Che carino, si preoccupa per me”. Il pensiero di Lixa raggiunse la mente dell’ombra; Manes si stupiva ancora di quanto fosse ovattata la voce dei pensieri della ragazza. Guardandola, si accorse che era arrossita; allo stesso modo anche le guance di Paolo si erano colorite. Due pensieri arrivarono alla sua mente insieme, come due voci che parlavano all’unisono: “Se solo fossimo soli”. Capì subito cosa stesse succedendo.
 
-Beh, io intanto entro- disse e poi non diede il tempo ai due ragazzi di rispondere, perché diventò ombra ed entrò nella chiesa.
 
Non ebbe bisogno di guardare i due ragazzi che si avvicinavano pian piano, che si sorridevano, che si baciavano. Il campanile guardava al suo posto e scolpiva nella sua memoria l’immagine e il sentimento di immensa felicità che entrambi provavano, nel buio della morte che li aveva accolti quel giorno.
 
***
 
Il giorno seguente Lixa si svegliò bene, come non succedeva da molto tempo, con la mente leggera e il sorriso sulle labbra. Sarebbe andata alla messa mattutina e poi avrebbe incontrato Manes e Paolo; la sensazione delle loro bacio, un semplice sfiorarsi di labbra, le era rimasta impressa nella mente e non se ne andava. Si vestì con un bel maglioncino verde speranza e un paio di jeans scoloriti. Prese la giacca a vento, si infilò gli stivali e uscì.
L’aria era frizzante, ma c’era un caldo sole primaverile ad abbellire tutto. Arrivò alla chiesa assieme alla signora Laura e, per la prima volta dopo quasi tre mesi, stette tranquilla a seguire la messa, senza congiungere le mani e pregare a labbra strette – senza calcolare quell’unica volta in cui aveva sentito frate Lazzaro dire il sermone. Avvertì per la prima volta la bellezza oscura di quella chiesa.
Pose lo sguardo sul quadro dell’Assunta di Tiziano e su quell’angioletto che mancava all’appello. Intravide due occhi d’oro che la guardavano dal profondo della cappella dell’altare. Sorrise.
 
***
 
La messa finì presto e Manes era ancora sotto forma di ombra. Attese che Lixa si avvicinasse a Paolo e lo salutasse con un bacio veloce sulle labbra. Solo dopo si avvicinò anche lui; mostrò i suoi d’oro e i due ragazzi smisero di sorridersi, come se fossero stati colti in flagrante a fare qualcosa che non avrebbero dovuto fare.
Fece loro segno di andare verso le colonne; in quel momento i fedeli stavano uscendo e nessuno avrebbe notato due ragazzi che si fermavano un attimo a parlarsi accanto alle colonne; in realtà dietro le schiene di Paolo e Lixa, Manes sarebbe diventato il ragazzo di sempre.
Paolo e Lixa controllarono in giro e poi si misero a parlare un pochino ad alta voce. Lixa aveva notato infatti che da un po’ di tempo, durante la sua trasformazione, si sentivano una serie di schiocchi improvvisi, come se man mano la transizione da ombra a ragazzo stesse diventando più complicata. Manes non li aveva mai avvertiti e, per quanto ne sapesse, non li aveva mai riprodotti neanche durante le sue prime trasformazioni.
Ma non importava; ciò non cambiava quello che era e a cosa stesse mirando; quando si addormentava tornava ad essere ombra e ogni volta che era ombra vedeva il buco nero al posto dell’Assunta, era in grado di passare attraverso i muri e nascondersi nelle ombre degli oggetti e delle persone.
Una volta trasformatosi fece finta di arrivare dai suoi due amici dietro le spalle e di coglierli di sorpresa, come da copione. Lixa e Paolo si voltarono, gli sorrisero e lo salutarono. Poi, come se quella chiesa fosse un normale pub, si spostarono dalla sala principale e arrivarono alla sala del Capitolo.
Si sedettero in un angoletto e Manes guardò negli occhi di Lixa. Il color cioccolato di quei due occhi lo fecero sciogliere. Avvertì nei pensieri della ragazza una muta domanda.
 
-Prima di dirvi cosa ho trovato nello studio di Mirco Lostello- iniziò –C’è una cosa che Lixa deve sapere-.
-Cosa?- chiese la ragazza.
-Dopo che tu hai visto il cadavere del signor Lostello… io ho avvertito i tuoi pensieri-.
-I miei pensieri?-.
 
Lixa strabuzzò gli occhi, per la sorpresa.
 
-Sì. Ora posso sentirli-.
-Ma come è possibile?- fece poi la ragazza, più sorpresa che mai.
 
“Forse ho capito”. Il pensiero di Paolo raggiunse Manes, che si voltò a guardarlo. Lasciò che fosse il ragazzo a fare la domanda.
 
-Lixa- disse Paolo –Tu, per caso, hai visto il cadavere di tuo zio?-.
-Sì. Me lo hanno fatto vedere per forza. Prima all’obitorio per riconoscerlo e poi al funerale. Perché?-.
-Dev’essere stato in quel momento che i tuoi pensieri si sono chiusi, di conseguenza Manes non poteva leggerli. Forse li hai inconsciamente chiusi di proposito per attirare l’attenzione di qualcuno che ti aiutasse a vendicarti, ma non è detto. Tuttavia, davanti al cadavere del signor Lostello, la tua mente non deve aver retto e i tuoi pensieri si sono schiusi. E quindi Manes ora può percepirli-.
-Ma perché non me l’hai detto prima??- fece Lixa a Manes.
-Perché ieri avevate bisogno di non avere preoccupazioni- disse l’ombra fissandola ancora una volta negli occhi.
 
Lixa abbassò lo sguardo e arrossì. Manes avvertì che anche Paolo si era imbarazzato e che aveva abbassato lo sguardo.
 
-Comunque, andando avanti- Paolo ruppe il silenzio –Cosa hai trovato, Manes?-.
-Ah, sì-.
 
Manes si alzò e andò a prendere il materiale, che aveva nascosto la sera prima dietro alla piccola bara di marmo con sotto le iscrizioni in latino.
 
-Un astuccio, un diario, una cartellina e una cassetta- elencò Lixa, guardando gli oggetti.
-Sì- convenne Manes –Non ancora aperto nulla-.
-Io inizierei con l’astuccio e il diario, poi con il fascicolo e infine andiamo alla sala video della Biblioteca Marciana e vediamo la cassetta-.
-Sono d’accordo- dissero Lixa e Manes all’unisono.
 
Allora il ragazzo prese in mano l’astuccio e lo aprì. Dentro c’erano una penna stilografica dalla forma strana (sulla cima c’era una specie di ghirigoro simile a quello delle chiavi) e un braccialetto di perline lavorate a mano.
 
-Ma quello è il braccialetto di mia madre!- esclamò Lixa.
-Come, il braccialetto di tua madre?-.
-Sì. Lo aveva sempre avuto, almeno fino a quando è morta. Poi se n’era preso cura mio zio. L’ho cercato per un sacco di tempo da quando è morto. Perché lo aveva Mirco Lostello?-.
-Ora lo scopriremo- disse Manes.
 
Aveva in mano la stilografica e aveva smontato lo strano ghirigoro dalla cima, rivelando una piccola chiave. La confrontarono con la serratura del lucchetto del diario di Lostello: combaciava perfettamente. Aprirono il diario di pelle e scorsero le prime pagine. Era un Mirco Lostello appena divenuto giornalista quello che scriveva in quei primi fogli ingialliti dal tempo. Parlava delle sue prime esperienze, dei suoi primi articoli. Poi, andando avanti, menzionava un caso che lo aveva interessato molto; scoprirono che era un conoscente di Livio Tosca dai tempi dell’università e che era proprio il suo caso che lo aveva interessato. Parlava dei progressi delle sue ricerche, della crescita della Ca’ de Delizie, dell’incendio del primo negozio, di Antonio Cisano e dei suoi probabili coinvolgimenti con la criminalità organizzata, fino ad arrivare all’omicidio e al funerale dello zio di Lixa. E qui lessero qualcosa d’interessante, qualcosa che riguardava il braccialetto di perline.
“… mentre il prete dava l’estrema unzione a Livio, ho stretto tra le mani il braccialetto che mi ha dato sei giorni fa. Me lo ha affidato per scaramanzia. Ricordo benissimo cosa mi ha detto: ‘non voglio preoccupare Lixa, quindi prendi tu il bracciale di mia sorella. In caso, dallo a mia nipote’. Mi ha detto che quel braccialetto è nella famiglia Tosca da secoli ed è molto importante. Guardandolo meglio, adesso, ho notato che il tempo ha roso alcune perline perline lavorate, facendone perdere la decorazione che rende il braccialetto estremamente prezioso. Ne ho trovata una falsa nella chiusura che va sul polso. L’altra, quella vera, deve essere andata perduta. Suppongo che abbia un qualche valore di casata. In fondo la famiglia dei Tosca è molto antica, qui a Venezia. Ho scoperto che i loro antenati sono arrivati qui nel 1229 circa e si chiamavano Tosciani, proprio perché sono di origine toscana. Poi nel 1500 hanno assunto il nome di Toschesi e che questo braccialetto è sopravvissuto alla peste del 1576. È incredibile quanto la loro storia sia radicata nel tempo”.
Qui finiva il paragrafo che parlava dei Tosca e del braccialetto; poi Lostello riprendeva con la descrizione del funerale. Si arrivava infine ai giorni che precedevano la sua morte: quelle ultime pagine erano piene d’angoscia e parlavano sempre più spesso di Antonio Cisano.
Sembrava che Mirco Lostello sentisse che sarebbe stato ucciso di lì a poco proprio dall’imprenditore napoletano o da chi per lui. L’ultima frase dell’ultima pagina diceva: “Queste pagine rimarranno nascoste nel cassetto della mia scrivania, perché ho la sensazione che Cisano possa arrivare da un momento all’altro e, purtroppo, io non posso fuggire, non ora, dato che non ho un vero posto dove stare, oltre alla casa che ho comprato e amato attraverso i sacrifici di una vita; la mia ora sta per giungere”.
La data di quella frase risaliva al 14 marzo 2002. Quattro giorni prima.
 
-Ma quindi è stato Antonio Cisano?- fece Paolo.
-Penso di sì- rispose Manes –Ormai non c’è alcun dubbio. Dobbiamo fare in modo di nascondere bene questo materiale. La polizia non deve trovarlo-.
-Perché?- chiese il ragazzo.
-Perché se lo trovasse- questa volta fu Lixa a rispondergli –Manes non potrebbe più uccidere Antonio Cisano e il patto sarebbe nullo-.
-Ah, è vero-.
 
Paolo si passò una mano tra i capelli rossi. Poi prese il diario e lo richiuse, prese la cassetta, il fascicolo, mise la penna-chiave dentro l’astuccio e richiuse anche quello; poi si fece scivolare il bracciale dei Tosca in tasca e andò verso la sala principale, dicendo ai compagni di seguirlo. Arrivarono alla cappella di Monteverdi: aprirono il cancello ed entrarono. Poi Paolo tirò fuori da sotto la maglia le chiavi dell’urna dei ricordi, che aprì con mano tremante; dentro ci avevano rimesso l’Interdictae Artis Membrana, assieme alla sua traduzione fatta da Frate Ballon. Paolo ci mise dentro anche i quattro oggetti e poi richiuse l’urna. Infine si voltò verso Manes e Lixa.
 
-Ora ho nascosto questa roba qui. È il posto più sicuro che abbiamo. Nessuno potrà mai venire a guardare nell’urna dei ricordi dei familiari e dei discendenti di un musicista defunto. Se mai la polizia dovesse arrivare qui… nella sala del Capitolo e nelle altre sale, non troverebbe nulla di compromettente-.
-L’importante è quella chiave rimanga sempre appesa al tuo collo- disse Manes, indicando la chiave con il rubino e lo smeraldo appesa alla catenella d’argento che Paolo portava al collo.
-Ovviamente-.
 
“Quella di Paolo è stata un’ottima idea” pensò Lixa.
 
-Concordo con te, Lixa- convenne Manes, senza accorgersi che stava rispondendo ad alta voce al suo pensiero –Paolo ha fatto veramente un ottimo lavoro-.
 
Lixa arrossì e Paolo si voltò a guardare prima lei e dopo l’ombra, un po’ in imbarazzo anche lui.
 
-Oh, scusa!- fece Manes, intercettando i loro pensieri –Sembrava che avessi parlato! Dunque, ora me ne vado. Devo sistemare alcune cose… con i fascicoli sul caso Tosca e Cisano che ho trovato alla Biblioteca Marciana- e così Manes si allontanò velocemente, lasciando i due ragazzi (entrambi sedicenni da poco) immersi nel loro imbarazzo.
 
Passò di fronte al quadro dell’Assunta e si fermò. Ormai aveva imparato la posizione di ogni singolo particolare dei quel quadro.
 
-Ti raggiungerò. Madre, presto tornerò- mormorò, prima di diventare, inconsapevolmente, ombra.
 
***
 
Lixa osservò Manes che si allontanava. Era grata all’amico, perché l’aveva lasciata sola con Paolo. Sorrise.
 
-Ecco, vorrei che sorridessi sempre in questo modo dolce- disse la voce di Paolo, con tono di scherno. Lixa , dicendo:
-Smettila-.
-Ma è vero!-.
-Già. In effetti non voglio che tu smetta-.
 
I loro volti erano già molto vicini. Paolo la prese per un fianco per avvicinarla ancora di più a sé, i loro volti si avvicinarono dunque ancora di più e Lixa si alzò in punta di piedi. Si baciarono dolcemente, accarezzandosi rispettivamente i volti, assaporandosi come solo gli adolescenti sanno fare, persi in intimità nuove di cui non hanno mai avuto sentore.
Una voce interruppe il loro gran daffare, imbarazzandoli ancora di più: era sorella Marta che cercava Federico. Non si era accorta che dentro la cappella del Monteverdi c’erano Paolo e Lixa.
I due ragazzi arrossirono violentemente, per poi uscirono frettolosamente dalla cappella e andarono fuori, nella piazzetta del Campo dei Frari.
 
-Lixa, questo penso che dovresti riprenderlo tu- disse Paolo, tirando fuori dalla tasca il braccialetto di perline e porgendolo alla ragazza. Lixa lo prese dolcemente dalle mani di Paolo e lo sfiorò, come si sfiora un vecchio ricordo.
 
-Sono contenta di riavere il braccialetto della nostra famiglia-.
-Sapevo che ne saresti stata felice-.
 
Si sorrisero. Il ragazzo l’aiutò ad allacciarsi l’antico gioiello ed entrambi notarono che Mirco Lostello aveva visto giusto: l’ultima perlina che chiudeva il bracciale era di plastica ingiallita, invece che di avorio.
Stavano per baciarsi di nuovo, quando una voce li fece sobbalzare nuovamente.
 
-Paolo! Smettila di fare il piccioncino! Sorella Vanessa e Frate Ballon hanno bisogno di me e te per sistemare la cappella dell’altare!-.
 
Federico era un buon amico del ragazzo, ma ultimamente era diventato piuttosto insopportabile, sia perché non vedeva di buon occhio Manes, sia perché nessuna ragazza lo aveva mai accettato veramente e dunque era invidioso della fortuna di Paolo; inoltre, provava una certa gelosia nei confronti di Lixa, poiché sino a quel momento il suo universo era composto solo dai frati e dalle suore della chiesa e da lui e il suo amico; era difficile accettare la venuta di nuove persone nel suo fragile mondo.
Paolo diede un bacio veloce sulla guancia di Lixa e fuggì via, alla malandrina. Lixa si passò una mano sul punto dove il ragazzo aveva posato le labbra, con fare assente; poi si voltò e si avviò verso casa.
Ma prima di arrivare al ponticello che collegava il Campo dei Frari al resto di Venezia, notò qualcosa di bianco tra i sampietrini del calle. Si fermò e lo raccolse. Era una perlina lavorata, esattamente identica a quelle che componevano il suo bracciale di famiglia; una microscopica macchiolina rossa, di sangue rappreso, sporcava la perlina da un lato. Era evidentemente quella la perlina mancante del suo braccialetto, quella che in quel momento era sostituita da quella di plastica.
“E se il sangue fosse di zio Livio?” pensò, rabbrividendo; in fondo, se ricordava bene, i rilievi erano stati fatti proprio in quel punto.
Strinse quella perlina nel pugno della mano, improvvisamente livida di dolore e rabbia; alzò lo sguardo verso il cielo: nonostante fosse appena l’ora di pranzo, un nuvolone primaverile si era addensato proprio sopra la chiesa.
Una piccola goccia di pioggia, l’unica di quella giornata, scese dal cielo e cadde sul naso della ragazza. Senza sapere perché, a Lixa parve di aver già vissuto quella scena.















Note di Saeko
è domenica e giustamente è il momento per me di un nuovo capitolo; dopo di questo, prevedo altri cinque capitoli e un prologo di chiusura della storia, per cui stay tuned. In questo in particolare, avevo necessita di recuperare l'atmosfera noir che volevo dare al racconto, per cui l'introduzione di un personaggio, ahimé già morto ormai, era necessaria; sono finalmente riuscita a trovare una collocazione sia al braccialetto che alla perlina che si nominano tanto al prologo che al primo capitolo di questa storia e ho inserito un piccolo cenno storico alla famiglia dei Tosca; in merito a questo, volevo avvertire che si tratta di una rielaborazione di notizie di altre famiglie veneziane, che però ho voluto adottare per dare un minimo di lignaggio e continuità alla storia della famiglia.

Per i ringraziamenti, devo assolutamente ringraziare alessandroago_94 per essere passato a recensire lo scorso capitolo e soprattutto Nexys, per aver deciso di leggere questa piccola grande avventura che risale alla mia adolescenza (lei che normalmente non legge originali, arigatou).

Grazie per avermi sopportata sino a qui e ancora buona domenica.

Saeko's out!

  
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