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Autore: whitemushroom    27/04/2020    3 recensioni
Per festeggiare il decimo compleanno del fantastico thexiiiorderforum ho deciso, in collaborazione con altri utenti, di lavorare a questo progetto molto ambizioso.
Si tratta di un crossover tra il nostro adorato Kingdom Hearts e Your Turn to Die, un videogioco assai meno famoso ma che ci ha immediatamente conquistati per i suoi temi ed i costanti rimandi alla saga nomuriana per eccellenza. L'obiettivo sarà ripercorrere a modo nostro le vicende che ci hanno accompagnato per più di una decade, viaggiando con la fantasia tra le vicende di KH1 e attraversando tutti i giochi fino a KH3, il gran finale che ha visto forma proprio nel 2019.
Auguro a tutte le persone che passeranno di qui una buona lettura.
Se avrete bisogno di qualche spiegazione, consili o quanto altro sarò sempre felice di essere a vostra disposizione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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9YLmoOS


Una delle prime regole, si sa, è che l’Arte è immortale. Perché i sogni, i pensieri e l’amore non possono deperire come i corpi umani, e quando vengono catturati su una tela o su un blocco di marmo conferiscono ad essi la loro stessa immortalità. E lo stesso vale anche per le canzoni, perché le grandi musiche ci portano il cuore dei loro compositori attraverso il tempo, quasi come se potessero parlarci da un mondo ormai cambiato.
Certo, non tutta l’arte è … Arte.
Cosa segni la differenza tra queste due parole non è sempre chiaro, ma ogni artista ha il dovere morale di arrivare a quell’Arte.
Non c’è una regola precisa. Non sempre un vero artista è più “bravo” di un altro, non sapresti riconoscere a prima vista chi è in grado di afferrare i sentimenti e farli propri da chi dipinge senza passione, è una questione che non si riesce a misurare con i semplici numeri.
Molti dicono che l’Arte sia in grado di far piangere.
E Nao Egokoro, in quel momento, piange davvero.
Nei libri la cattedrale di Notre-Dame non è semplicemente Arte. Il mondo è costellato di chiese, basiliche, edifici religiosi di qualsiasi tipo in grado di convincere anche l’uomo o la donna meno credenti ad entrare solo per potersi immergere nelle opere d’arte più nascoste, nei quadri che hanno segnato la storia illuminati ancora soltanto da fioche candele, oppure a fissare dal basso i soffitti intarsiati che ti fanno pensare che sia impossibile per un comune essere umano realizzare da solo delle forme così perfette. Ne ha viste decine nei suoi viaggi, ma nessuna può competere con Notre-Dame, la Regina.
È così alta da salire fino al cielo.
La carrozza ha varcato le mura di Parigi da oltre un’ora, eppure le campane stanno suonando senza sosta; all’inizio aveva creduto che si trattasse di tante chiese nell’ora della messa, ma giunta nell’enorme piazzale capisce Lei è l’unica voce che canta in quella città folle, strana e bellissima, un petto enorme dentro cui battono quelle che sono le campane più grandi del mondo. E lì sotto, invece di sentire il rumore assordante di quella voce di bronzo, riesce a respirare soltanto un senso di pace che viene però disturbato quando la portiera si apre ed il capitano Febo le offre il braccio per farla scendere e riportarla alla realtà.
“Prego, mademoiselle” dice, con quell’accento buffo che le hanno detto essere la lingua dei poeti.
La Regina ha il vestito strappato, distrutto.
La parte inferiore della facciata è annerita, ed il rosone che le hanno sempre mostrato nei libri di scuola ha solo dei frammenti di vetro ancora aggrappati al marmo, ed il suono delle campane esce persino da lì. I doccioni della balaustra al primo piano sono andati distrutti, così come due guglie inferiori sul versante sinistro; un gruppo di uomini hanno costruito delle impalcature e stanno lavorando sopra la volta del portone di destra per rimuovere l’alone nero dei mattoni, e quando volge lo sguardo verso l’ingresso si accorge che il portone centrale non esiste più e tutto ciò che ne rimane sono dei giganteschi cardini anneriti.
I volti dei santi non mostrano alcuna espressione.
L’arcidiacono è un uomo che mostra più anni di quanti ne possegga. Scende le scale incespicando, un gradino alla volta, con addosso tutti i segni di un corpo possente ormai abbandonato al tempo; fa per venirle incontro, ma uno degli operai gli si avvicina con fare rispettoso e gli indica uno dei rosoni minori. L’uomo annuisce, stanco, e nel tempo di questo rapido scambio di parole Nao è arrivata fin sui gradini. Lo osserva, ma l’arcidiacono non le porge la mano per il bacio dell’anello. “Dunque lei è l’artista d’oltremare?”
“Lavoro all’atelier del maestro Mishima da anni” risponde. “Sono il primo pittore della sua bottega”.
Il maestro l’aveva avvisata che in quella città molti uomini erano diffidenti verso le donne che svolgevano un lavoro leggermente più evoluto del lavare i panni all’abbeveratoio e badare ai bambini, ma l’arcidiacono non sembra preoccuparsi troppo. Lui ed il capitano si scambiano un cenno, e dopo un saluto veloce l’uomo riparte con la carrozza. “Non avrà di che annoiarsi, mademoiselle” fa la figura anziana, invitandola ad entrare. “Benvenuta nella casa del Signore. Che Lui benedica il suo lavoro”.


“Uff, così non va!”
Il pomeriggio volge alla fine, e l’ultima modella lascia il suo studio. È la decima in quella giornata, sospira Nao, ma nemmeno lei è riuscita a convincerla. Quasimodo, il simpatico campanaro della cattedrale, arriva non appena la giovane si chiude la porta dello studio improvvisato alle spalle e inizia a rassettare. Nao si accorge di aver appallottolato decine di fogli di carta e di averle lanciate ai quattro angoli della stanza, dunque si precipita a raccoglierle.
“Ehi, però l’ultima era davvero carina!” sorride Quasimodo. Il ragazzo la fa morire dalle risate: certo, è gobbo e pure molto brutto, ma è l’unica nota rumorosa di tutta Notre-Dame; Nao non lo avrebbe mai detto, ma è anche bravissimo con i pennelli e sa mescolare meglio le tempere meglio di tutti i garzoni della loro bottega e tratta i pennelli e le tavolozze con un rispetto incredibile. “Dimmi, cosa aveva che non andava?”
“È che … cielo, non lo so cosa non andava!”
Mettere a posto l’atelier è un’impresa. Il maestro ha sempre detto che un artista non deve mai demandare la pulizia e l’ordine del proprio posto di lavoro a nessun altro: uno studio è dove l’Arte nasce, dopotutto, e saper dipingere, plasmare l’argilla o il marmo, suonare … non è tutto. Non conta solo il pittore, diceva sempre il maestro Mishima, ma ogni singola cosa che tocca, ogni aria che respira. Ha più volte insistito con Quasimodo che non le serve una mano a riordinare, ma è chiaro che il ragazzo abbia una voglia matta di fare quattro chiacchiere con qualcuno ed in effetti anche lei ha bisogno di compagnia dopo una giornata di fallimenti. Impiegano oltre un’ora a preparare i fogli nuovi e i panchetti per le modelle del giorno successivo, poi escono e percorrono la navata.
L’interno è stato devastato.
Quasimodo le ha raccontato di essere stato presente quando la follia del giudice Claude Frollo ha portato la cattedrale alla rovina; ne parla sommessamente, come se qualcosa lo turbasse al ricordo di quell’uomo, e molto più spesso racconta invece di Sora e Riku, due giovani stranieri che hanno fermato Frollo prima che lui e le sue creature radessero al suolo l’intera Notre-Dame. Ma se l’esterno della Regina è annerito, l’interno sembra essere stato colpito dalla furia cieca di un mostro infernale: l’incendio ha divampato per tutto il primo livello, e delle panche in legno non ne è rimasto più nulla. La navata di destra è crollata, e le scale che portano al piano superiore non sono accessibili e a detta dell’arcidiacono non lo saranno per oltre tre mesi; le pale dei Santi sono andate perdute, e lungo la navata sinistra le poche che non sono state incenerite sul colpo sono così annerite da essere irriconoscibili. Le scalette del pulpito erano di quercia, e adesso l’accesso alla pedana sopraelevata è precluso, dunque l’arcidiacono dice messa seduto lungo le scale che conducono all’altare.
Quando loro escono sono appena terminati i Vespri.
La gente esce sommessamente, una volta, senza più segnarsi la fronte perché l’enorme acquasantiera è stata ridotta in mille pezzi dalla caduta di una statua. Nonostante la disgrazia e la fatica di dover ascoltare la parola del Signore in piedi le due navate sono piene, e gente di tutte le età scivola tra le macerie con un sorriso, e più di qualcuno si ferma a lasciare delle monete nella cesta delle offerte, un sacco di tela improvvisato che lo stesso sacerdote sorregge. Lei e Quasimodo aspettano nell’ombra del portone che la folla si dissipi, e gli occhi di Nao si fermano sulla pala più grande, quella che domina le spalle dell’altare.
È venuta lì per lei, sospira.
È venuta lì per l’immagine di quella Donna, per la Madre del Mondo.
Per quella Donna che da secoli teneva tra le braccia il suo Figlio, il Salvatore, e che adesso non ha più una forma, un viso, delle lacrime per piangere per i peccati degli uomini. L’incendio ha trasformato lo stucco bianco in un dedalo di crepe, ed i colori si sono sciolti in un’unica, enorme macchia scura che rende irriconoscibili le due figure, come se le fiamme dell’inferno avessero combattuto una strenua battaglia ed avessero trionfato persino sull’amore della Madre. Ha dato disposizioni di far grattare via tutto lo stucco per esporre la parete pura e ricominciare con l’intonaco, ma la parete è enorme e gli uomini sono ancora al lavoro nella parte bassa della pittura. Forse per quando avranno terminato sarà riuscita a trovare una modella in grado di impersonare davanti alla sua tela la figura della Madre.
“Senti, io di bellezza non sono certo un esperto!” fa Quasimodo, invitandola lungo le scale che portano ai suoi alloggi, tra i pochi che non sono crollati. “Ma a me sembravano tutte fantastiche! C’era quella fioraia che … beh, ha fatto uno sguardo così perfetto che l’avrei scritturata in meno di un minuto!”
“Il punto non è che devono essere solo belle, Quasi. L’arte non è solo questo”.
Si sporgono insieme su una delle balconate. Una gargolla sovrastante è crollata, ma a parte la calcina ed un paio di mattonelle divelte la facciata meridionale è stata quella meno colpita dagli incendi ed è ancora uno dei pochi punti dove si possa ammirare il tramonto su Parigi. Afferra al volo uno dei sacchi di grano di Quasimodo ed iniziano a dare da mangiare alle colombe: Nao non ha mai amato troppo i volatili, ma il campanaro ha con loro un rapporto speciale e ogni volta sembra che tutti gli uccelli della città aspettino solo che siano terminati i Vespri per prendere d’assalto i loro sacchi. Trascorrono qualche minuto così, poi entrambi osservano il placido scorrere della Senna prima che le luci scompaiano.
Le vengono in mente i primi tempi nella bottega, e di come il suo maestro insistesse col riprendere qualsiasi panorama più e più volte, a seconda della luce. “Vedi, il maestro Mishima ha sempre detto che l’Arte non deve essere soltanto qualcosa di bello. Deve essere qualcosa di personale. Chiunque veda un’opera deve dire Questo è chiaramente un lavoro di Nao Egokoro, non devono confonderlo con quello di nessun altro”.
“Quindi è come se … dovessero pensare a te”.
“Esatto!”
“E come si fa a pensare a te guardando una pala della Vergine?”
“Appunto” risponde.
Sotto di loro anche gli operai iniziano a rientrare. Lasciano le impalcature e canticchiano qualcosa mentre vanno a casa, ed un paio di donne si affacciano timidamente dalle strade per prendere sotto braccio i loro mariti. Una zingarella si affaccia all’incrocio con un cestino pieno di fiori e qualcuno si china per lasciarle delle monete mentre anche un uomo col suo teatro di burattini deambulante richiude la baracca ed inizia ad incamminarsi in direzione della Senna. Quando Notre-Dame sarà ricostruita, pensa, verranno tutti a vedere la sua opera. La aspettano, e non intende deludere nessuno di loro. Ma allo stesso tempo vorrebbe che sì, come ha detto Quasimodo, quelle figure intente a lavorare come api industriose possano sollevare la testa durante la preghiera e, seppur per un breve istante, fissare la Madre e pensare a lei. “Voglio fare qualcosa di nuovo. Qualcosa di stupendo, che lasci tutti a bocca aperta. Tutte quelle donne erano carine, Quasi, però erano un po’ …” abbassa la voce, sapendo di star per dire una cattiveria “… banali”.
“Allora domani lascia perdere le audizioni!” fa lui.
È un’impressione, o da lontano il burattinaio ha davvero fatto un cenno della mano verso di loro? “Forse so di cosa hai bisogno!”

Nella prima mattina la piazza di Notre-Dame è un mare in tempesta, e Nao un naufrago aggrappata ad un tronco di legno. Ogni passo è un’impresa in quel luogo dove oltre un migliaio di persone si muove, parla, grida, si ferma all’improvviso bloccando tutti gli altri dietro. Nao si ritrova tra due signore alte la metà di lei e larghe il doppio intente a discutere davanti al banco del panettiere, e l’odore delle baguette appena sfornate viene soppresso dalla puzza di aglio e cipolle che una delle due matrone emana già di prima mattina; tenta di aggirarle, ma un signore con un carretto carico di bambole di pezza inchioda proprio davanti a lei, impedendole il passaggio. Aspetta pazientemente che si sposti, ma l’uomo sembra intenzionato a mostrare le proprie mercanzie proprio in mezzo al percorso, e quando prova a chiedergli se può spostarsi per lasciarla passare le campane di Quasimodo coprono il suono della sua voce -non quello delle signore alle sue spalle, però. Quando riesce a liberarsi da quella scomoda posizione si sporge per vedere l’area meridionale del piazzale e scorge l’ambulante con il teatro di burattini che aveva notato la sera precedente, che riesce a farsi notare anche in mezzo a quella folla multicolore. I gitani, come le ha detto Quasimodo con uno strano sorriso, sono il vero colore di Parigi.
Intorno al teatro i bambini si accalcano. Il campanaro ha detto che il posto giusto per lei sono i Vicoli della Luna, quelli alle spalle del teatro. Nao rimane colpita da come il burattinaio riesca ad assumere mille voci diverse mentre dalle sue mani dei pupazzi assurdi dalle chiavi enormi scalano una Notre Dame di cartapesta accompagnati dagli incoraggiamenti del piccolo pubblico.
Il teatro, direbbe il suo maestro, è uno dei volti più belli dell’Arte.
Quel burattinaio dalla pelle scura, pensa tra sé superando la calca, ha già raggiunto il suo obiettivo.
Quei bambini, domani, penseranno a lui e solo a lui.
La musica è la signora dei Vicoli della Luna. Gli edifici sono delle costruzioni su due o tre piani, ed in quelle stradine strette e contorte il suono delle campane scivola fino a svanire davanti allo squillare degli organetti e dei tamburelli. È un quartiere vecchissimo, le aveva detto Quasimodo, antecedente addirittura alla costruzione della cattedrale; Nao alza la testa per contemplare il cielo, ma un dedalo di fili e panni colorati appesi svolazzano come centinaia di bandiere e per poco non inciampa in una minuscola figura in cui riconosce la giovane fioraia della sera prima. I gitani si accalcano lungo i margini della strada; la gente li saluta ed i bambini impazziscono per loro, anche se Nao non può non notare che molti uomini camminano spediti, con le mani sulle tasche, senza degnare gli zingari di una parola.
“Un munny per una poesia dedicata ai tuoi occhi, principessa!” dice un uomo dai denti tutti d’oro, con un fazzoletto arancione e rosso al collo e tutti i denti d’oro. Nao gli lancia una moneta nel cappello a terra, ma lo saluta prima ancora che quello inizi a cantare, perché la sua fonte di ispirazione è poco più avanti, su un palchetto rialzato e batte il tempo con un tamburello.
Le gitane sono le donne più belle del mondo. Quasimodo glielo ha detto con uno sguardo languido che non aveva bisogno di interpretazione.
Ballano in una frenesia strana, disordinate ma allo stesso tempo in uno spettacolo che avvolge chiunque commetta il peccato di guardare quelle forme attraenti. Nao senza accorgersene batte i piedi al ritmo della prima ballerina, una gitana dai lunghi capelli neri che guida le compagne con un tamburello. Intorno a loro una platea di lavoratori, tra cui riconosce anche un paio di operai della cattedrale, battono le mani rapiti dai piedi scalzi di quella figura meravigliosa. Qualcuno lancia monete sul palco verso le altre ballerine, ma quella donna risalta come la Vergine in un coro di angeli.
Deve parlarle.
L’esibizione dura ancora diversi minuti e Nao non si perde un istante di quella gonna che fluttua ad ogni passo.
Ed è con quella gonna che la immagina dipinta sulla pala, davanti a tutti, con quegli occhi simili a smeraldi che sembrano fatti solo per far alzare la testa dei fedeli. Sarà la Madre dalla pelle scura, il simbolo di quella Parigi data alle fiamme e poi risorta e nessuno, nessuno che poggerà gli occhi su quella meraviglia potrà non pensare a Nao Egokoro.
Pensate a me, sussurra quando la danza si interrompe e le gitane scendono una ad una dal palco. Nao si mette titubante dietro alla schiera di uomini che applaudono e che si muovono in fila per strappare alla dea dai capelli neri un saluto, un sorriso, magari uno di quei baci che lancia alla folla. La deve convincere a posare per lei, dovesse buttarsi ai suoi piedi e pagarla con tutti i suoi risparmi. Non ha dubbi che anche il maestro ne sarebbe …
“Scusate, scusate un attimo!”
Fa una voce piccola, squillante.
Viene da sopra il palco, ma nessuno sembra fare caso a lei. Nao si volta, e da sopra le assi di legno improvvisate fa capolino una strana figura. “Adesso sarebbe il mio turno!”


“Allora, Safalin, come te la stai cavando?”
Safalin è sempre stata convinta che, nella sua esistenza presso la Asunaro, Miley avrebbe prima o poi vinto l’ambito ruolo di farle da ultimo chiodo della sua bara, eppure Sou Hiyori è resuscitato solo da due giorni e già sembra interessatissimo ad assumere questo ambito primato. La sua faccia da rapace le urta seriamente il sistema nervoso.
“Benissimo, Sou. Questa simulazione procede per il verso giusto” risponde, mentre continua il download con il report delle azioni di Egokoro. “Non dovresti occuparti dei lavori al Quarto Piano?”.
“Ma io mi sto occupando dei lavori del Quarto Piano, Safalin …” sussurra con quel suo sorriso che le ricorda perché nemmeno lei, la Crying Doll, ha versato una lacrima quando Alice Yabusame ha spaccato il cranio al suo inquietante collega. “… a modo mio, lo sai”.
Rimpiangendo le sfuriate di Ranger, Safalin decide di ignorarlo e di sedersi ad osservare il finale della simulazione di Nao Egokoro; la ragazza non fa parte del gruppo dei candidati selezionati dalla Asunaro, ma l’idea di testare una delle AI realizzate da Kai in questo capitolo del Grillario piuttosto confuso ed instabile le era subito sembrata una buona idea. Non fa parte dei protocolli ufficiali, ma dopo gli eventi del capitolo di Coded c’è qualcosa che le sfugge in quel libro, ed usare una AI non canonica potrebbe risparmiarle moli di lavoro e di dati. Tutti concetti che non ha alcuna intenzione di spiegare a Sou.
Anche perché senza dubbio ci è arrivato da solo.
Sullo schermo, però, si è affacciato un dato insolito. Uno chiaramente non intrinseco alla simulazione e che non ha inserito di persona.
Nel riflesso del monitor, il suo collega manda un ghigno infernale.


“Ma chi ti vuole, mocciosa?”
“Ridateci le ballerine!”
La ragazza appena salita sul palco avrà più o meno i suoi anni. Il suo abito sgargiante è simile a quello di altre gitane, ma ha la pelle chiara come quella dei parigini; i capelli hanno un colore simili ai propri, dei ciuffi di un rosa acceso che escono da sotto un cappuccio giallo così grande che di teste potrebbero entrarcene almeno tre. Tra le mani tiene cinque palline colorate che rischiano di caderle non appena mette piede sull’ultimo scalino e la folla la accoglie con un pomodoro che evita per un soffio. Nao si gira verso le altre gitane, che si sono raccolte in un angolo della strada scambiandosi convenevoli; nemmeno lei, la regina dagli occhi verdi, sembra accorgersi del goffo tentativo della sua collega in difficoltà. Il capitano Febo le si è avvicinato, e mentre i due iniziano a parlarsi un secondo ortaggio vola e per poco non sbalza la fragile artista fuori dal palco. Nao vorrebbe gridarle e dirle di andarsene anche solo per evitare che venga presa di mira dalla gente, ma nonostante l’accoglienza la giovane fa un piccolo inchino ed inizia a lanciare le sue palline in aria. Quello che sembra l’inizio di un numero da giocoliere viene però interrotto dopo nemmeno dieci secondi perché la ragazza inciampa su uno dei veli caduti alle sue compagne nello spettacolo precedente e tutte le palline rotolano fuori dal palco nell’ilarità generale. Nel bombardamento di cavoli, uova e pantofole che ne segue Nao cerca di levarsi dalla massa dove stanno accorrendo anche gente dei vicoli vicini per puro divertimento; stringe i denti e si ricorda il motivo per cui è ancora lì, e vede il gruppo delle gitane allontanarsi dal Vicolo della Luna senza prestare attenzione alla confusione generale intorno a loro. Fa per lanciarsi all’inseguimento della sua modella, ma con un sospiro si ferma.
L’Arte può aspettare ancora una mezz’ora.
Gli astanti si sono già stancati del nuovo gioco, ed a parte qualche fischio lanciato a metà strada Nao riesce ad arrivare al palco che buona parte della folla si è già diradata. Quasimodo le ha detto che qualche volta gli abitanti della città non sono il massimo, ed è pronta a confermarlo quando arriva dall’artista improvvisata senza che nessuno le dia una mano a rialzarsi. Il suo maestro, pensa tra sé, lo avrebbe fatto subito.
“Tutto a posto?” le chiede mentre si accorge di un paio di palline per terra e le raccoglie.
La ragazza si massaggia la testa e si mette a sedere con le gambe sul bordo. “No …”
La sua faccia è così buffa che per poco non le viene da ridere, ha un’espressione di disappunto così marcata che senza dubbio non fa alcuno sforzo per nasconderla. “Anche stavolta mi è andata male …”
“Il tuo è un numero di equilibrismo?” le chiede, porgendole tutte le palline che è riuscita a trovare. Con la coda dell’occhio cerca la bellissima gitana di prima, ma ormai è scomparsa. Ma può comunque provare a correrle dietro se si sbriga, una creatura del suo livello non passa certo inosservata.
La giocoliera scende dal palco con un sonoro tonfo e per poco non perde l’equilibrio per la seconda volta. “Anche! Ma non solo!” dice, stavolta con una faccia da bambina “Voglio far divertire la gente! In questa città dopo tutto quel casino c’è davvero bisogno di ridere un po’, non trovi?”
Nao annuisce e fa per iniziare ad avviarsi, ma la ragazza si è già ripresa. Con il gomito cerca di ripulirsi il cappuccio dalla macchia di un pomodoro, ma il risultato è catastrofico e la polpa rossa si espande per tutto il vestito facendole emettere un suono di puro disappunto. “Devo ancora imparare, però un giorno ci riuscirò. La gente penserà a me ed avrà voglia di sorridere!”
“È il tuo sogno?”
“Certo” sorride, mettendosi di nuovo sulle spalle il suo cappuccio che adesso ha più colori di un vestito da gitana “È il sogno di ogni grande artista, no?”
Pensa a me.
Annuisce.
I piedi le dicono di iniziare ad incamminarsi, altrimenti la sua musa raggiungerà la Corte dei Miracoli e sarà impossibile riuscire a ritrovarla prima di domani. Il cuore, però, le sta dicendo un’altra cosa.
Magari la gente di Parigi, come dice questa buffa ragazza, ha bisogno di sorridere un po’. Le torna in mente lo sguardo spento dell’arcidiacono, o i sospiri di Quasimodo quando le parla delle fanciulle gitane. Le signore nervose al mercato, e la gente pronta a tirare ortaggi ad una fanciulla alle prime armi. Forse è proprio per quel motivo che ha avuto tanta difficoltà a trovare una modella degna di ciò che sognava, forse perché quello che voleva era raccogliere quella strana essenza a cui non riusciva a dare un nome.
Il giorno in cui quelle persone alzeranno una testa verso un’opera di Nao Egokoro dovranno pensare a lei.
Ma dovranno sorridere.


“Se non ricordo male nelle linee guida dell’uso del Grillario avevo sottolineato l’importanza di NON inserire due AI nella medesima simulazione per evitare variabili aleatorie” sottolinea Safalin. “Adoro constatare come io sia l’unica a prendere alla lettera le poche e semplici disposizioni al riguardo”.
Non le va di girarsi. Non ne ha bisogno.
Contro lo schermo scuro la faccia di Sou è ancora visibile. Il suo ghigno è diventato un sorriso di soddisfazione. “Oh, Safalin, lo sappiamo entrambi che la AI della signorina Egokoro non fosse legale. Quella della concorrente Anzu Kinashi, al contrario, rientra perfettamente nei parametri della simulazione. Temo di non essere l’unico a non essere proprio ligio al dovere, qui dentro”.
Sulla schermata del Grillario appare la cartella di compressione e l’immagine di Anzu Kinashi, la giovane concorrente dal cappuccio giallo e con la passione per l’arte di strada, viene fagocitata insieme all’enorme mole di dati che, senza che lei lo abbia autorizzato, viene scaricata nella cartella condivisa con il loro collega. Anche dal riflesso riesce a vederlo sollevare il proprio pad, osservare soddisfatto il completamento del download e schioccarle una sonora faccia di vittoria. “Ah, ma per caso Gashu sa che state usando delle AI non autorizzate?”
Lei non risponde.
Non lo fa perché se iniziasse una discussione probabilmente scaglierebbe contro quell’omuncolo anche la memoria centrale del computer, e metterebbe a rischio anni di lavoro. Gashu ha chiesto a lei e Ranger di resuscitare quel bastardo, e per un attimo rimpiange di non aver lasciato alla misteriosa bambina incontrata dal concorrente Hayasaka i dati mnemonici su cui era archiviata la stessa essenza di Sou.
Il tutto sta nel fingere di voler tornare a lavoro.
Un file viene scaricato, stavolta soltanto sul suo profilo personale.
“Ancora grazie mille, Safalin. Non avevo alcuna intenzione di iniziare una simulazione da solo! Mi hai risparmiati una enorme perdita di tempo!”
Aspetta che si allontani, nella speranza che scivoli dalle scale e si rompa l’osso del collo sul pavimento appena lavato.
Nulla, ma quando il rumore svanisce apre con curiosità il file appena arrivato. Un formato jpeg di scarsa qualità, ma che non era presente all’inizio della simulazione.
Le sorride l’immagine di una Vergine in gloria, seduta tra gli Angeli, con il Figlio tra le braccia.
Una Vergine molto strana, con i capelli rosa ed un sorriso che riesce persino ad oltrepassare lo schermo.
  
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