2.
Alekos era dannatamente
bravo nel vibrare colpi con la sua spada rilucente ed Eris, che pure
era
abituata a combattere, cominciava a sentire la fatica di quel duello.
Menare fendenti contro
colui che voleva salvare le riusciva difficile ma, al tempo stesso,
sapeva di
dover recidere il filo della vita di Alekos, per poterlo liberare dal
potere
devastante che lo stava divorando.
Il punto era un altro:
come affondare la lama nel suo cuore, se le sue difese sembravano
impenetrabili?
Scansando l’ennesimo
affondo, Eris si allontanò di qualche passo, il fiato ormai
corto e le risorse
al lumicino. Aveva tentato di tutto, fatto appello a tutte le sue
conoscenze in
fatto di scherma e di trucchi, ma nulla era servito per sfondare le sue
difese.
Sorridendo trionfante,
Alekos a quel punto asserì: «Ti vedo sfiancata,
Eris. Ammetti di avere dunque
perso? Sei pronta alla resa finale?»
«Prima di poter apporre
la parola ‘fine’
sul mio capo, dovrai
sudare ancora parecchio, ragazzo. Inoltre, è necessario che
io prima faccia una
cosa e, finché non l’avrò fatta, tu
dovrai sopportare la mia compagnia» replicò
la dea, beffarda.
Accigliandosi
leggermente, il giovane dio sbottò dicendo: «Non
capisco di cosa tu stia
parlando. Niente rimane più da compiere. Il lato umano di me
che, per anni, mi
ha combattuto, ora è al mio comando, esattamente come
avrebbe dovuto essere fin
dal principio, e ora nulla mi vieta di portare la giustizia che il
mondo brama.»
«Come può
esservi
giustizia, se stai depredando il potere di Érebos per avere
la meglio su di
me?!» lo accusò Eris, accigliandosi.
«Pensi non me ne sia resa conto? So
riconoscere la sua onda energetica, e tu la stai usando spudoratamente,
in
barba a colui che ti concesse di vivere!»
Alekos si dimostrò
imperturbabile, replicando pacato: «La giustizia prevede
anche dei sacrifici, a
volte, per poter giungere dove deve arrivare. Érebos
capirebbe, se fosse qui
con noi. La sua oscurità diverrà luce, nelle mie
mani, e il suo sacrificio non
sarà vano. Io lo rammenterò con amore, e lo
stesso faranno gli altri.»
«Lui ti direbbe di
smetterla, perché la parte più bella di te
è sempre stata l’amore umile per gli
altri, non il tuo potere di asservire tutti al tuo distorto senso della
giustizia!» replicò Eris, sollevando nuovamente la
spada per tornare ad
affrontarlo. «E’ sempre stato il tuo lato umano a
renderti forte, non il tuo
lato divino!»
«Tutte sciocchezze.
L’umanità che era in me mi limitava nelle scelte e
nelle azioni, perché mi poneva
dubbi che ora non ho più. C’è bisogno
di azioni forti, di fronte all’oscurità
dilagante che impregna il mondo come un morbo» si
limitò a dire Alekos. «Tu sei
parte del problema perciò ti eliminerò, poi
passerò ad altro.»
«Stando a ciò
che dici,
è stato giusto forzare il rapporto tra Zeus ed Era,
costringere con l’inganno
Ares a condurti da Dioniso, rendere schiavi Homados e Proioxis
perché fossero
le tue arpie da compagnia… tutto ciò ha un senso,
quindi?» lo accusò Eris, parando
un suo affondo prima di replicare con una stoccata.
Alekos rise divertito,
replicando: «Non siete tutti più felici, ora che
Zeus ed Era vanno d’accordo?
Non si vive dunque meglio? Anche tu, Discordia, non hai gioito nel tuo
cuore
oscuro, di fronte a due genitori finalmente riuniti? Cosa
v’è di male, in tutto
questo?»
«Non agiscono
coscientemente! E’ una falsità dettata dal tuo
inganno!» gli ritorse contro
lei.
«Stando alle tue accuse,
pensi anche che abbia fatto del male a Homados e Proioxis,
giusto?» le rinfacciò
allora lui, gelido in viso.
Eris sospirò nello
scuotere il capo e disse contrariata: «Non
sto dicendo che hai fatto loro del male, ma
li hai privati della loro libertà di scelta. Così
come sei
intervenuto per cambiare la prospettiva di Zeus ed Era, così
hai deformato la
visione del mondo delle mie arpie, obbligandole a seguirti e facendo credere loro di stare agendo in
piena coscienza.»
«Meritano un dio probo e
retto. Sono animali splendidi, e devono stare con chi può
elevarle, non
renderle simbolo di impurezza e crudeltà» si
limitò a dire Alekos con una
scrollata indifferente delle spalle.
«Non riesci a
capire»
mormorò Eris, addolorata.
Il giovane dio sbuffò
spazientito, ormai irritato dal suo dire. «Sei tu che non
capisci, se anche le
mie azioni nel tempio di Dioniso ti sono sembrate oscure. Possibile che
tu non
comprenda che, se l’amore e la gioia imperano, non
può esservi oscurità?»
«Ritieni che Dioniso e
le sue baccanti siano la risposta al dolore e alla rabbia del mondo,
dunque?»
esalò Eris, sconcertata.
«Se guidati dalla mia
saggia mano, possono e potranno
essere una risposta. Una delle
tante,
a ben vedere. Dioniso eleva la gioia, non
l’oscurità, perciò si
asservirà a me
e sarà il mio lungo braccio, al pari di Apollo e di Zeus
stesso» le spiegò con
semplicità Alekos, sorridendo sprezzante.
Scuotendo il capo, la
dea replicò: «L’ebbrezza conferisce una
gioia effimera e, se conoscessi Dioniso
come lo conosco io, te l’avrebbe detto lui stesso. Essa aiuta
a sfuggire
temporaneamente alla paura, ma non la cancella. Perciò, non
otterresti che
menzogne, chiedendo supporto a lui.»
«Chiedere…
supporto?» la irrise Alekos, scoppiando in una
risata
incredula. «Non avrò bisogno di chiedere
nulla. Userò i poteri di Dioniso per portare gioia laddove
servirà, e così sarà
per gli altri. Eleverò mia madre a regina, poiché
ne ha l’intelligenza e la
bellezza, e troverò per lei un compagno degno che sieda al
suo fianco.»
«Tu sei folle»
ansimò
sgomenta Eris, facendo tanto d’occhi.
«Te l’ho
già detto. A
fronte di un risultato positivo, si deve pagare un prezzo per ottenerlo
e, se
il prezzo è l’asservimento, ci può
stare. Nessuno di coloro che tu hai citato –
disprezzandomi – sta soffrendo, questo devi ammetterlo, e
nessuno soffrirà in
futuro, te lo posso assicurare. Staranno tutti benissimo, sotto il mio
controllo forte e sicuro.»
Eris allora scosse il
capo, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e disse
atona: «E’ proprio
vero che, senza dualismo, non c’è
equilibrio.»
Alekos sorrise
vittorioso, di fronte alla sua palese rinuncia e, correndo verso di lei
a spada
sollevata, esclamò: «C’è
un’unica verità… non è
necessario avere una seconda
opinione!»
«Come ti
sbagli…»
sussurrò lei, chiudendo gli occhi.
Il giovane dio si
disinteressò delle sue ultime parole e, con un ghigno,
affondò la lama nel
fianco della dea, portandola a urlare per il dolore.
Eris si era aspettata
una fitta cocente, un suppurato violento di stimoli nervosi verso il
cervello
ma, quando la lama penetrò nelle sue carni, lo shock fu
comunque devastante.
Piegandosi in avanti per
il dolore, ma trattenendo la lama dentro di sé per poter
avere Alekos a portata
di mano abbastanza a lungo per poter portare a termine il suo piano,
lei
sussurrò roca: «L’unica
verità che vedo, ragazzino, è che la tua superbia
ti ha
fatto dimenticare chi hai davanti.»
«Cosa?»
ansimò Alekos,
confuso dal suo dire.
Trattenendo la spada con
la mano e lasciando affondare la lama nel palmo, Eris si
aprì in una perfida
risatina di scherno, aggiungendo: «Discordia ha sempre un
asso nella manica,
non lo sai?»
Ciò detto,
levò la mano
libera – ora armata di stiletto – e, senza
più dire nulla, affondò la lama nel
cuore di Alekos, recidendo in modo netto il filo
dell’esistenza del giovane
dio.
Solo ora
capiva perché Érebos le aveva
spiegato la verità su Alekos, anni addietro, dando proprio a lei i mezzi per abbattere un
dio pur non essendo una
divinità Ctonia.
Solo ora
comprendeva il motivo per cui Moros
le aveva dato quella lama, poco prima di cadere nel regno di Chaos,
racchiusa
in un involto in cui il dio le spiegava come – e
perché – utilizzarla.
Una lama forgiata dalle
fiamme del monte Etna e plasmata dalle mani di Efesto, intrisa della
forza
delle saette di Zeus e imbevuta dell’oscurità
primigenia di Érebos, poteva
compiere ciò che solo un dio Ctonio era in grado di fare.
Quella stessa lama, anni
addietro, avrebbe potuto recidere la vita di Hermes ma, solo grazie
alla forza
dello psicopompo, ciò non era avvenuto.
Ora,
con
quella lama,
Moros le aveva consegnato tutte le sue speranze, dei preziosi consigli
su come
sferrare l’attacco decisivo, ma anche una serie di
ammonimenti.
Già sapendo cosa avrebbe
dovuto fare, dopo il colpo finale.
Già
sapendo
che lei sarebbe stata abbastanza forte per farlo, ma non
sapendo se avrebbe accettato di compiere l’estremo
gesto di
mettere a rischio la propria esistenza per qualcun altro.
Lasciata scivolare fuori
dal proprio corpo la lama di Alekos, mentre fiotti di sangue le
imbrattavano
l’abito, indebolendola poco alla volta, Eris
accompagnò a terra Alekos, gli
occhi sgranati per la sorpresa e lo sbigottimento.
«Qualsiasi
divinità deve avere una
controparte che le dica
quando fermarsi. Non può essere univoca. Mai»
sussurrò Eris mentre il subconscio di Alekos si sgretolava,
liberandoli dal
turbinio che fin lì li aveva accolti.
Dinanzi a loro, immobili
e in attesa, Chaos e Dioniso li fissarono senza proferir parola ed
Eris,
sapendo di non avere molto tempo, lasciò Alekos in consegna
a Dioniso e disse:
«Esci dopo di me. Prima, devo fare ancora una cosa.»
«Ma… la tua
ferita…»
tentennò Dioniso, restio a lasciarla sola.
Lei gli sorrise grata,
gli diede un pizzicotto sulla guancia e asserì:
«Sono più coriacea di quanto tu
non creda. Un minuto, okay? Dopo, esci da Chaos.»
Lui assentì muto e, in
un baleno, Eris trasmutò per andarsene da lì.
A quel punto, con un
esanime Alekos tra le braccia, Dioniso guardò Chaos in cerca
di spiegazioni e
domandò spaventato: «Dovrà morire,
questa volta?»
Chaos non disse nulla,
limitandosi a poggiare una mano sul capo di Alekos, ripiegato come una
bambola
di pezza contro il torace di Dioniso. Eris aveva davvero avuto ragione,
ad
andarsene in tutta fretta; trastullarsi con i filati della vita era
rischioso,
ma lì si stava davvero giocando con il fuoco.
***
Un coro di stupore,
meraviglia, panico e confusione si levò tra i presenti
quando Moros, a
sorpresa, levò un lembo del mantello per far passare Eris,
chiaramente ferita ma
dall’aspetto piuttosto pericoloso.
Zeus fu il primo a
muoversi, chiaramente desideroso di aiutarla, ma lei levò
una mano per
scansarlo, esclamando: «Dov’è Atropo?
DOVE?!»
Ciò detto,
fissò letale
Hermes e ringhiò: «Non osare muoverti,
piè alato, o giuro che…»
Hermes però la
bloccò
sul nascere, sollevò un polso legato strettamente a una
delle colonne del
tempio e sbottò dicendo: «Perché credi
che sia legato?! Nessuno si fida di uno psicopompo, in
situazioni simili!»
Sbuffando, Eris si
guardò intorno turbata, ma Artemide le disse lesta:
«Thanatos è impegnato
altrove. Fai ciò che devi fare e non temere. Alla peggio, lo
placcheremo noi,
se i tempi si faranno lunghi.»
Eris allora annuì e, nel
vedere Atropo affacciarsi da una porta, la raggiunse con andatura
caracollante,
incespicando nei propri piedi – bagnati del suo stesso sangue
e perciò divenuti
scivolosi.
Quasi abbattendo la
porta, fissò il fuso di Alekos e poi il proprio quindi,
rivolto uno sguardo a Érebos,
annuì senza dire nulla e si apprestò a fare
quanto aveva ormai deciso.
Chiaramente turbata
dall’entrata a sorpresa della sorella, Athena la raggiunse in
fretta per
sorreggerla e, ansiosa, le domandò: «Cosa dobbiamo
fare?»
Eris prese un gran
respiro, guardò Lachesi e Atropo e ordinò torva:
«Il mio filato. Dividetelo in
due e ponete metà del filo sul fuso di Alekos.
ORA!»
In fretta, le due dee si
affrettarono a fare quanto ordinato loro, mentre Cloto badava a
sistemare il
filato del padre, nuovamente integro e brillante.
Non appena i due filati
ripresero a muoversi sui rispettivi fusi, Eris ebbe un contraccolpo
fisico e
Athena, sorreggendola maggiormente, esalò: «Avrei
potuto donare il mio!»
Eris, allora, scosse il
capo, sorrise sorniona al dio Ctonio che la stava osservando apprensivo
e
replicò: «Fatti dare la spiegazione metafisica dal
tuo uomo. Io posso solo dirti
che Alekos ha bisogno di una parte della mia oscurità, per
gestire la sua luce.
Ecco tutto.»
Athena, per diretta
conseguenza, guardò il suo compagno che,
nell’avvicinarsi alle due dee, poggiò
una pezzuola sul fianco sanguinante di Eris e si limitò a
dire: «Può andar bene
la spiegazione di Eris.»
Un secondo grido
collettivo spazzò via qualsiasi intenzione di Athena di
chiedere altro e,
quando vide comparire suo padre con un sorriso da orecchio a orecchio,
comprese.
Alekos era tornato.
Prima ancora di poter
fare qualsiasi cosa, però, la dea gridò sgomenta
quando Eris, ormai priva di
forze, le crollò tra le braccia, non reggendo più
la perdita di sangue dalla
ferita.
Érebos si mosse quindi
lesto per aiutare Discordia e, presala tra le braccia, la
portò fuori dalla
sala dei fusi, subito seguito a ruota dalla compagna e dalle figlie.
I presenti, raccolti
attorno a un redivivo Alekos per felicitarsi del suo ritorno,
ammutolirono di
fronte alla visione di Eris, ora del tutto priva di conoscenza ed
Érebos, senza
perdere tempo, guardò Apollo e ordinò stentoreo:
«Con me! E chiama Esculapio,
perché avremo bisogno anche di lui.»
Apollo assentì rapido,
trasmutandosi al pari di Érebos dopo aver lanciato
un’occhiata incoraggiante a
un turbato Alekos, giustamente preoccupato per colei che lo aveva
salvato.
Quando il trittico si fu
trasmutato altrove, Athena si concesse il lusso di abbracciare piena di
sollievo sia Alekos che Dioniso ma il figlio, troppo teso per rimanere
inerme
tra le braccia della madre, si scostò e domandò
turbato: «Dove sono, ora? Ti
prego, dimmelo.»
«Sono nel tempio di
Apollo. La cureranno lì» lo informò
lei, carezzandogli il viso. «Non sentirti
in colpa, Alekos, davvero.»
«L’ho ferita io, mamma, non qualcun altro
perciò, se
lo permetti, mi sentirò in colpa, e anche molto»
sospirò Alekos, stringendo le
mani a pugno per la frustrazione. Non sopportava che le persone a lui
care
dovessero continuamente soffrire a causa sua.
Athena non seppe che
dire, per tirarlo su di morale, ma pensò Dioniso a
scuoterlo.
Il dio lo prese per un
braccio, livido in viso, e dichiarò lapidario:
«Lei si è sbattuta per salvarti,
e ora tu fai la lagna? Non hai imparato nulla, da tutto questo
casino?»
«Dioniso…»
esalò Hermes,
scuotendo il capo per richiamarlo all’ordine.
«No, amico mio, non
starò zitto. Non stavolta. Alekos deve imparare a gestire la
sua nuova vita,
perciò si deve scornare con le conseguenze delle sue azioni!
Dovrai accettare
anche l’oscurità generata da te stesso, se non
vorrai causare altri guai! E
ora, andiamo da lei!»
Ciò detto, si
trasmutò
con il giovane e Artemide, sbattendo le palpebre al pari di diverse
altre
divinità, esalò: «E chi lo sapeva che
Dion era così determinato?»
Diversi dèi si
limitarono a un’espressione di totale confusione mentre
Athena, sorridendo spiacente
all’anima di Miguel, esalava: «Scusa. Non
c’è stato tempo perché vi
parlaste.»
“Non
importa. Avrebbe comunque potuto rimanere ben poco, qui. Sai come sono
le
regole. Ma mi fa piacere averlo visto e, quando Eris starà
meglio, vorrei le
dicessi di venire da me. Mi piacerebbe ringraziarla di persona per aver
salvato
nostro figlio ed Érebos.”
«Sarà
intrattabile per
mesi, dopo una ferita simile» lo avvisò Athena.
“Non
ho
fretta. Tanto, non vado da nessuna parte” ironizzò Miguel,
facendola scoppiare a
ridere.
«Molto bene,
signori…
ora che la crisi è passata, vedete di sloggiare alla
svelta!» esclamò a quel
punto Cloto, battendo sonoramente le mani. «Ci avete ridotto
il tempio a un
immondezzaio, e ora dobbiamo riordinare tutto!»
«Sei sempre stata una
padrona di casa eccellente» ironizzò Hermes,
ammiccando ad Artemide perché lo
liberasse dalle sue corte magiche.
La dea silvana, a quel
punto, slegò il nodo che, preventivamente, aveva stretto
attorno al suo polso
fin da quando Eris e Dioniso erano scomparsi e, ammiccando al fratello,
chiosò:
«Scusa per il trattamento, ma non potevamo
rischiare.»
«Sono il primo a essere
stato lieto che qualcuno ci abbia pensato. Per l’ansia, non
avevo proprio
badato a quel particolare e, se fossi stato libero, sarebbero stati
guai»
ammise Hermes. «Quando Eris ha reciso il filato di Alekos, mi
sono sentito
malissimo perché avvertivo il richiamo della sua anima ma,
fortunatamente, lei
è stata abbastanza veloce da rimettere a posto
tutto.»
Artemide annuì turbata,
borbottando: «Ha davvero giocato col fuoco. Se fosse svenuta
prima di arrivare
qui, Thanatos si sarebbe allontanato dal regno degli esseri umani per
prendere
il tuo posto, e allora sarebbe stato davvero difficile
contenerlo.»
Quel lugubre accenno
azzittì tutti gli dèi presenti che, alla
spicciolata e senza dire altro, si
allontanarono dal tempio delle Moire, lasciando infine la sola Athena e
Moros,
in compagnia delle tre Tessitrici.
La dea della guerra non
poté esimersi dall’abbracciarle a turno e, in un
mormorio, disse: «Grazie per
ciò che avete fatto.»
«Stavolta, ne sapevamo
tanto quanto gli altri, credici» replicò Atropo,
pur apprezzando il
ringraziamento.
«Quanto a
te…» disse
infine Athena, sorridendo grata a Moros. «…so che
hai fatto più di quel che
sembra, ma non starò qui a farti il terzo grado, visto che
sarebbe una
battaglia persa in partenza.»
Moros si limitò a
un’alzata di spalle ma, sorprendendo tutti, la
abbracciò con insolito calore e
replicò: «E’ stato un piacere. Voglio
bene anch’io ad Alekos.»
Ciò detto,
tossicchiò imbarazzato
e, con un plateale svolazzare di mantello, si trasmutò
altrove, non lasciando
altro da dire ad Athena, che raggiunse il figlio e il compagno nel
tempio di
Apollo.
***
Seduto a ginocchia
raccolte poco a fianco della porta che lo separava dalla stanza di
Eris, Alekos
si massaggiò distrattamente il torace, in corrispondenza del
punto in cui la
dea lo aveva trafitto.
A ricordo di quell’atto
terribile quanto necessario, si trovava una piccola cicatrice
– ora rimarginata
e in via di guarigione – che Esculapio aveva provveduto a
bendare per ogni
evenienza.
«Hai mangiato
qualcosa?»
domandò a un certo punto Dioniso, giungendo dal corridoio
delle cucine con un
carico piuttosto corposo di brocche e ciotole decorate.
Alekos scosse il capo e
il dio, nel sedersi sul pavimento accanto a lui, gli offrì
un bicchiere di
peltro prima di lasciarvi scorrere all’interno del nettare
dorato e dal profumo
delizioso.
Lo stomaco di Alekos
brontolò in risposta a quei profumi paradisiaci e Dioniso,
ghignando, abbondò
con la dose.
«Ordini del dottore.
Nettare e ambrosia per una settimana» sciorinò poi
con ironia il dio, prendendo
per sé una manciata di ambrosia, che divorò con
soddisfazione.
Alekos lo fissò curioso
da sopra l’orlo del bicchiere e, non appena ne ebbe terminato
il contenuto,
disse: «Scusami se ti sono apparso pavido, nel tempio delle
Moire, ma la ferita
sanguinante di Eris mi ha davvero spaventato.»
Dioniso spallucciò in
risposta, replicando: «Scusami tu. Ero ancora piuttosto
turbato da tutta quella
situazione assurda, per essere del tutto lucido nelle esternazioni. Non
dovevo
attaccarti come invece ho fatto. Dopotutto, sei passato in mezzo
all’inferno.»
Alekos però scosse il
capo, asserendo: «Hai fatto bene, invece. Devo imparare a
gestire azione e
reazione, fatto e conseguenza, … ma grazie al potere di Eris
è più facile. Ora,
vedo con maggiore chiarezza.»
«Cioè?
Spiegati meglio»
volle sapere Dioniso, offrendogli un secondo giro di nettare e una dose
generosa di ambrosia.
Stringendosi le
ginocchia al petto dopo aver poggiato il bicchiere a terra, Alekos si
cibò di
ambrosia prima di mormorare pensieroso: «Quando ero piccolo,
vedevo le cose in
modo confuso. Volevo che tutte le persone fossero felici
perché credevo che
questa fosse la cosa giusta ma, essendo un bambino, ero goffo nel mio
modo di
gestire il potere, perciò non riuscivo molto bene nel
mettere in pratica ciò
che pensavo.»
«E’ encomiabile
che tu
la vedessi così, ma sai
che è
impossibile, vero?» gli fece notare il dio.
Alekos ammiccò divertito
e annuì, ma replicò con candore: «Ora
ne sono più che cosciente, ma all’epoca - e
crescendo è stato sempre peggio -
la mia controparte divina riteneva inaccettabile
che la giustizia e la luce non permeassero qualsiasi cosa,
perciò percepivo
ogni cosa, ogni situazione in maniera distorta.»
Levando un sopracciglio
con evidente sorpresa, Dioniso gli domandò: «Lui,
sì, insomma, la tua metà…
ti parlava?»
«Mi sussurrava
all’orecchio al pari di una sirena ammaliatrice e, man mano
che crescevo, la
cosa è diventata sempre più invadente, sempre
più prepotente…» ammise Alekos.
«… di contro, non potevo parlarne con mamma o
papà, perché la voce mi aveva
minacciato di fare loro cose terribili, se ne avessi fatto cenno con
qualcuno.»
«E tu, ovviamente, le
hai creduto» chiosò Dioniso.
«Col senno di poi, e
visto come ha trattato Eris, credo di aver fatto bene»
replicò Alekos.
«Niente da
dire» ammise
il dio. «Quindi, ti stava facendo il lavaggio del
cervello?»
«In pratica,
sì. Il mio
lato umano era più debole del mio lato divino e
quest’ultimo, poco alla volta,
ha avuto il sopravvento su di me, portandomi a scompensi emotivi sempre
più
forti» gli spiegò Alekos con un sospiro.
«Senza l’intervento di Eris, non avrei
mai potuto riprendere il controllo.»
«E ora, come ti
senti?»
«Equilibrato. Giusto, ma in senso buono. Ora vedo le
cose nel modo corretto, e senza alcun problema. Gestisco il potere nel
modo in
cui avrei sempre dovuto» dichiarò Alekos, ora con
un sorriso pieno di
soddisfazione e speranza.
«Dovevi sentirti strano,
oltre che piuttosto scoraggiato, nel sapere
di non stare facendo le cose per bene, ma essere costretto
a farle» ammise Dioniso, storcendo la bocca. «So
bene
cosa vuol dire, credimi.»
«La punizione di
Era?»
mormorò debolmente Alekos.
Dioniso assentì torvo,
borbottando: «Quella vecchia strega ha insegnato bene alla
figlia, non c’è che
dire. Quanto a vendette subdole, ci sapeva fare. Fu assai disturbante
vedere me
stesso compiere stragi e violenze, del tutto consapevole delle mie
azioni ma
incapace di mettervi un freno a causa della sua malia.»
Alekos gli poggiò una
mano sulla spalla, e subito Dioniso avvertì il tocco caldo
del suo potere,
stavolta frammisto al profumo fresco di qualcosa di nuovo.
Sorridendogli a
mezzo, asserì: «Oh… questo
sì che è piacevole, ma non è
disturbante come quando
partecipasti al baccanale nel mio tempio. E’
l’oscurità di Eris?»
«Mi aiuta a mantenermi
entro i confini del lecito. Non cerco di prevaricare la tua mente,
facendoti
vedere solo cose belle per cancellare il dolore, ma ti faccio sentire
la mia
partecipazione, il mio affetto» annuì Alekos.
«Porto assieme a te il tuo dolore.»
«E’ fico. Pare
tu lo
sappia già usare bene…»
mormorò Dioniso con un sospiro. «…come
se tu e lei foste
destinati a stare insieme fin dall’inizio.»
Alekos lo fissò confuso
ma, prima di chiedere spiegazioni in merito al significato di quel
commento, la
porta della stanza si aprì e ne fuoriuscì Athena.
Sorridendo ai due, la
dea si asciugò le mani in un pannetto – che poi
ripose nella tasca posteriore
dei pantaloni – e disse: «E’ a posto.
Potete vederla, ma uno alla volta. E’
ancora debole.»
Alekos, allora, sorrise
a Dioniso e dichiarò: «Vai tu. Io vorrei parlare
con mia madre, prima.»
«D’accordo»
bofonchiò
Dioniso, penetrando nella stanza mentre anche Apollo ed Esculapio ne
uscivano
alla spicciolata.
Chiusosi la porta alle
spalle, il dio fissò turbato la donna distesa su un enorme
letto ricoperto di
bianche lenzuola, ove Eris appariva ancora più pallida e
stanca.
La scomposta chioma
corvina era sparsa sui guanciali, mentre il viso eburneo era solcato da
ombre
profonde, dovute alla scarsa illuminazione della stanza. Appariva
davvero
fragile, in quel momento, eppure si era trovata dinanzi a una
divinità Ctonia,
e aveva vinto la sua battaglia.
Il solo pensiero, lo
fece sentire piccolo e insicuro. Più ancora del solito, tra
le altre cose, e
questo contribuì a irritarlo ulteriormente.
«Come stai?»
domandò
Dioniso, avvicinandosi e accomodandosi su uno scranno nei pressi del
letto.
Gli occhi chiari di Eris
si mossero per visionarlo e, con un sospiro, la dea
borbottò: «Come una che è
stata trafitta da una spada di pura energia. Un po’
sfilettata, per così dire.»
Dioniso abbozzò un
sorriso e replicò: «Beh, il sarcasmo non
l’hai perso.»
«Vorrei vedere»
sbuffò lei.
«Perché, però, mi sembri più
sbattuto tu, di me?»
«Io? Ma se sono la gioia
fatta persona?» cercò di ironizzare lui,
distogliendo lo sguardo dai suoi occhi
perlacei. «Il tuo Alekos mi sembra sia in forma smagliante,
adesso. Ho appena
testato i suoi poteri, e ora sono bilanciatissimi.»
«Bene»
annuì Eris.
«E… e tu?
Senti…
qualcosa?» tentennò Dioniso.
«Equilibrio. Come se un
tassello fuori posto fosse finalmente stato sistemato» gli
spiegò lei,
sorridendo leggermente nel tastarsi la fronte.
Dioniso si adombrò, a
quelle parole, e borbottò: «Quindi… ora
sarà ‘e vissero felici e
contenti’?»
La dea lo fissò
dubbiosa, replicando: «Che intendi dire?»
«Ma
sì… tu e Alekos,
intendo. Ora che condividete lo stesso filato, è come se
foste la stessa cosa,
le due parti di un tutto, no?» biascicò in fretta
Dioniso, gesticolando
nervosamente con una mano.
Eris si accigliò appena,
a quell’accenno e Dioniso, nell’affondare nei suoi
occhi di diamante, si sentì
perdere come la prima volta.
Quanto era stato stolto
a cedere alla paura, secoli addietro? Perché aveva dato
retta al suo lato
remissivo e pavido? Lei che aveva sofferto pene indicibili ed era
ugualmente
sopravvissuta, più di tutte avrebbe potuto capire e
accettare i suoi patimenti
segreti, i rigurgiti di un passato che da sempre voleva dimenticare per
la
vergogna.
Invece, aveva ceduto
alle lusinghe della vita semplice e spensierata, lasciando che il
passato
venisse relegato in un angolo, senza mai affrontarlo davvero. E ora,
era troppo
tardi per tutto.
Eris sospirò, chiuse gli
occhi per un istante e infine disse: «Stavo male
perché dovevo riequilibrare la
luce di Alekos, che si faceva sempre più forte. Il potere di
Érebos è talmente
grande da aver nutrito, nel corso degli anni, la lucentezza abbacinante
creatasi
in Alekos così, per contrastarla e fermarla, doveva esserci
un’altra ombra, ma
di minore intensità, che potesse riportarla a più
miti consigli.»
«Quindi, nessuna
divinità Ctonia avrebbe potuto prendere il tuo
posto» annuì lentamente Dioniso.
«Esatto. Più
l’oscurità
è forte, più la luce diventa abbagliante. Per
questo, la bontà insita
nell’animo di Alekos è diventata così
pura, perché prendeva potere dalla quintessenza
di Érebos. Io ero l’ideale per riequilibrare
questo squilibrio, rendendo la
luce meno vivida, e perciò più gestibile da un
semidio» gli spiegò Eris,
sbuffando stancamente. «Questo,
vuol
dire il nostro filato comune. Il legame che sentivo crescere con Alekos
era
questo; l’incognita che cercava di riequilibrarsi.»
«E… e il
bacio?»
«Quasi
bacio. E’ la stessa cosa. Fu la misura estrema di
Alekos per
bloccare la sua divinità, ma non funzionò
perché io lo bloccai, pensando
erroneamente che volesse baciarmi a causa di una mia presunta
colpa» scrollò
una spalla Eris, prima di lagnarsi per il dolore. «Ma
perché cavolo mi fai
tutte queste domande, scusa? Lo vuoi per te, per caso? Alekos,
intendo… perché
credo che gli piacciano le ragazze, quindi prenderesti un sonoro ‘no’ in
risposta.»
Dioniso avvampò suo
malgrado in viso – un’autentica rarità,
per lui – e sbottò dicendo: «Questa
è
stata davvero una bassezza, Eris!»
«Ehi, Dion…
dimentichi
che io sono Discordia? Ogni tanto cercherò sempre di
punzecchiare la gente»
ammiccò lei, aprendosi in un sogghigno malizioso.
«Oh… al
diavolo!»
esclamò Dioniso, chinandosi su di lei per strapparle un
bacio.
Eris sgranò gli occhi,
piena di sorpresa, ma non lo bloccò e, quando il dio infine
si scostò dalle sue
labbra, le puntò addosso un dito e la minacciò
dicendo: «Ti conquisterò. Fosse anche
l’ultima cosa che faccio. E stavolta me ne
fregherò bellamente se qualcuno mi
metterà in guardia su di te. Ti voglio, donna, e ti
avrò!»
La dea lo guardò basita
per alcuni attimi, forse credendolo folle ma, alla fine, si
liberò in una
risata e disse: «Affari tuoi, ragazzo, se vuoi infilarti in
questo ginepraio.»
Malizioso, Dioniso allora
ammiccò e disse: «Oh, nel tuo ginepraio mi
infilerei volentieri anche adesso,
se è per questo.»
«Santo cielo,
…che razza
di pervertito…» sospirò Eris, scuotendo
esasperata il capo.
«Non mi hai detto di no,
perciò preparati ad altri agguati»
ghignò il dio, ora tutto felice e contento.
Eris lo mandò bellamente
al diavolo ma Dioniso se ne infischiò del tutto e, dopo aver
raggiunto la porta
della stanza, le lanciò un bacio da sopra una spalla e
infine uscì.
Nel corridoio trovò
Alekos in paziente attesa e, nel vederlo, Dion disse: «Puoi
entrare, adesso. Ma
non stare troppo. Non vorrei si stancasse, visto quello che ha passato.
D’ora
in poi, dovrà stare attenta a come dosa le energie,
dopotutto.»
Alekos, a quelle parole,
gli sorrise tranquillo e replicò: «Non
preoccuparti per questo. Ricordi che io
sono immortale grazie al legame con mia madre?»
«Sì.
Ebbene?»
«Se io sono immortale,
lo rimarrà anche Eris, nonostante il filato diviso in due,
perché io avrò sempre
bisogno della sua presenza»
ammiccò Alekos, sorprendendolo. «Per questo ho
voluto parlare con mia madre ed
Érebos. Volevo essere certo di questa cosa.»
«Quindi, lei non
dovrà…»
borbottò nervosamente Dioniso, indicando il giovane e la
porta della stanza a
fasi alterne.
«No, non
succederà
quello che stava avvenendo con mio padre» ammise Alekos,
sospirando tristemente
nell’ammetterlo. «Il mio alter ego era divorato
dalla brama di possedere tutto
il potere di Érebos, così da cancellare per
sempre la sua presenza. Per questo, lui
ha rischiato di morire,
non a causa del filato diviso.»
«Miseria.
Ladra»
gracchiò Dioniso, sgomento.
«Papà aveva
erroneamente
pensato che lo squilibrio di potere nel suo filato dipendesse dal fatto
che fosse
stato biforcato per consentirmi di vivere ma, in realtà, era
il mio subconscio divino
che, lentamente, lo stava prevaricando. Distruggere
l’oscurità per portare la
luce ovunque. Era questo, a cui puntava. A
tal punto, era deviato nella sua volontà.»
«E tu lo hai scoperto
quando eri in quella sorta di bolla metapsichica?» volle
sapere Dioniso,
immaginando senza difficoltà i sensi di colpa del ragazzo.
Lui stesso
combatteva da sempre contro simili e dolenti note, e ancora adesso non
ne era
venuto a capo.
Alekos assentì,
mormorando spiacente: «Mi ha parlato fino a sfinirmi,
accennando a tutto quello
che avrebbe fatto una volta uscito dal regno di Chaos, prima di dirmi
che ruolo
avrei avuto io… sì, il mio lato umano, intendo.
Avrei dovuto farmi assorbire e
rimanere in silenzio, senza più tentare di fermarlo,
così che lui potesse
annullare l’oscurità per sempre. Non aveva capito
che, più lui diventava
potente, più le controparti oscure lo diventavano a loro
volta, ben decise a
fermarlo.»
«Che intendi…
oh… Moros,
per caso?» esalò Dioniso, iniziando a comprendere
il comportamento stranamente
attivo della schiva divinità del destino che, da sempre, si
era tenuta in
disparte. In tutta quella stramba situazione d’emergenza, al
contrario, era
stato stranamente partecipe.
Il giovane semidio
annuì,
giocherellando con un laccio della sua maglietta. «Eris aveva
dei problemi
sempre maggiori a starmi lontano perché avvertiva, a livello
inconscio, lo
squilibrio che si stava formando in me, e io – la mia parte
umana – ero felice
che lei ci fosse perché speravo sempre in un suo intervento,
qualora avessi esagerato.
Moros, a sua volta, aveva presagito che, presto o tardi, avrebbe dovuto
intervenire per bloccarmi, pur se la sola idea lo inorridiva.»
Sospirando, il giovane
scrollò poi una spalla e aggiunse torvo: «Sarebbe
arrivato a uccidermi, qualora
fosse stato necessario. Se Eris avesse fallito, o se si fosse rifiutata
di
legarsi a me, sarebbe intervenuto lui, una volta per tutte. Dopotutto,
lui è il
latore dei destini ineluttabili e, proprio a causa di questo suo
potere, sapeva di dover essere
colui che mi
avrebbe tolto la vita, nel caso in cui tutto fosse andato
storto.»
«Ma
certo…» mormorò a
occhi sgranati Dioniso. «…solo una
divinità Ctonia poteva fermarti, perciò
sarebbe spettato a lui visto che Érebos era, di fatto, fuori
gioco. Quindi, l’arma
che ha utilizzato Eris era…»
Alekos assentì,
mormorando: «Una lama intrisa di potere Ctonio,
sì.»
Dioniso sbuffò pieno di
meraviglia e ansia, ormai più che consapevole di cosa
avessero rischiato, nel
regno di Chaos. Non solo la morte di Alekos o di Eris, ma anche lo
sfaldamento
di un’intera famiglia.
Dubitava fortemente,
infatti, che Moros sarebbe uscito indenne da quel compito, e
così i suoi
fratelli o i suoi genitori.
«Érebos doveva sopravvivere a qualsiasi costo,
poiché egli rappresenta una delle entità
primigenie dell’universo, mentre io
ero sacrificabile. Moros ha una forza immensa, quasi paragonabile a
quella del
padre, e ce l’avrebbe fatta a portare a termine la missione.
Inoltre, avrebbe
avuto anche la forza mentale per portare il peso della mia uccisione.
Ne avrebbe
sofferto, ma non sarebbe impazzito… forse» ammise
Alekos, passandosi
stancamente le mani sul viso. «Eris, però, mi ha
salvato, usando l’arma che
Moros le aveva affidato prima di inviarla nel regno di Chaos.
Così facendo, ha
evitato che mio fratello dovesse prendere su di sé un simile
peso.»
Sospirando, Dioniso lo
abbracciò con calore e disse: «Beh, sono contento
che tu sia tornato tutto
intero, e che la tua parte divina sia sotto controllo. La senti,
ora?»
«E’ placida, e
non cerca
affatto di predominare. Era davvero l’eccessivo potere
derivato dal filato di
mio padre, ad averla resa… superba»
asserì Alekos, sorridendo al dio, prima di chiedergli:
«Uscirai con la zia, ora
che le cose sono andate a posto?»
Dioniso fece tanto
d’occhi, a quella domanda, ma Alekos ammiccò
malizioso e aggiunse: «Sarò ancora
giovane, rispetto a voi, ma capisco quando un uomo è
geloso.»
Scoppiando a ridere,
Dioniso indirizzò il giovane verso la porta della stanza di
Eris, non rispose
alla sua affermazione e si limitò a dire: «Stai un
po’ con lei. Le farà bene.»
Ad Alekos non restò altro che entrare. Dopotutto, non erano affari suoi se Dioniso voleva flirtare con Eris.
N.d.A.: direi che tutto si
è risolto, ed Eris ne ha ricavano un filato a
metà ma anche un dio che vuole essere la sua
metà.
Ci avrà guadagnato o perso, secondo voi? ;-)