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Autore: Mary P_Stark    27/04/2020    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.

 

 

 

 

 

Alekos era dannatamente bravo nel vibrare colpi con la sua spada rilucente ed Eris, che pure era abituata a combattere, cominciava a sentire la fatica di quel duello.

Menare fendenti contro colui che voleva salvare le riusciva difficile ma, al tempo stesso, sapeva di dover recidere il filo della vita di Alekos, per poterlo liberare dal potere devastante che lo stava divorando.

Il punto era un altro: come affondare la lama nel suo cuore, se le sue difese sembravano impenetrabili?

Scansando l’ennesimo affondo, Eris si allontanò di qualche passo, il fiato ormai corto e le risorse al lumicino. Aveva tentato di tutto, fatto appello a tutte le sue conoscenze in fatto di scherma e di trucchi, ma nulla era servito per sfondare le sue difese.

Sorridendo trionfante, Alekos a quel punto asserì: «Ti vedo sfiancata, Eris. Ammetti di avere dunque perso? Sei pronta alla resa finale?»

«Prima di poter apporre la parola ‘fine’ sul mio capo, dovrai sudare ancora parecchio, ragazzo. Inoltre, è necessario che io prima faccia una cosa e, finché non l’avrò fatta, tu dovrai sopportare la mia compagnia» replicò la dea, beffarda.

Accigliandosi leggermente, il giovane dio sbottò dicendo: «Non capisco di cosa tu stia parlando. Niente rimane più da compiere. Il lato umano di me che, per anni, mi ha combattuto, ora è al mio comando, esattamente come avrebbe dovuto essere fin dal principio, e ora nulla mi vieta di portare la giustizia che il mondo brama.»

«Come può esservi giustizia, se stai depredando il potere di Érebos per avere la meglio su di me?!» lo accusò Eris, accigliandosi. «Pensi non me ne sia resa conto? So riconoscere la sua onda energetica, e tu la stai usando spudoratamente, in barba a colui che ti concesse di vivere!»

Alekos si dimostrò imperturbabile, replicando pacato: «La giustizia prevede anche dei sacrifici, a volte, per poter giungere dove deve arrivare. Érebos capirebbe, se fosse qui con noi. La sua oscurità diverrà luce, nelle mie mani, e il suo sacrificio non sarà vano. Io lo rammenterò con amore, e lo stesso faranno gli altri.»

«Lui ti direbbe di smetterla, perché la parte più bella di te è sempre stata l’amore umile per gli altri, non il tuo potere di asservire tutti al tuo distorto senso della giustizia!» replicò Eris, sollevando nuovamente la spada per tornare ad affrontarlo. «E’ sempre stato il tuo lato umano a renderti forte, non il tuo lato divino!»

«Tutte sciocchezze. L’umanità che era in me mi limitava nelle scelte e nelle azioni, perché mi poneva dubbi che ora non ho più. C’è bisogno di azioni forti, di fronte all’oscurità dilagante che impregna il mondo come un morbo» si limitò a dire Alekos. «Tu sei parte del problema perciò ti eliminerò, poi passerò ad altro.»

«Stando a ciò che dici, è stato giusto forzare il rapporto tra Zeus ed Era, costringere con l’inganno Ares a condurti da Dioniso, rendere schiavi Homados e Proioxis perché fossero le tue arpie da compagnia… tutto ciò ha un senso, quindi?» lo accusò Eris, parando un suo affondo prima di replicare con una stoccata.

Alekos rise divertito, replicando: «Non siete tutti più felici, ora che Zeus ed Era vanno d’accordo? Non si vive dunque meglio? Anche tu, Discordia, non hai gioito nel tuo cuore oscuro, di fronte a due genitori finalmente riuniti? Cosa v’è di male, in tutto questo?»

«Non agiscono coscientemente! E’ una falsità dettata dal tuo inganno!» gli ritorse contro lei.

«Stando alle tue accuse, pensi anche che abbia fatto del male a Homados e Proioxis, giusto?» le rinfacciò allora lui, gelido in viso.

Eris sospirò nello scuotere il capo e disse contrariata: «Non sto dicendo che hai fatto loro del male, ma li hai privati della loro libertà di scelta. Così come sei intervenuto per cambiare la prospettiva di Zeus ed Era, così hai deformato la visione del mondo delle mie arpie, obbligandole a seguirti e facendo credere loro di stare agendo in piena coscienza.»

«Meritano un dio probo e retto. Sono animali splendidi, e devono stare con chi può elevarle, non renderle simbolo di impurezza e crudeltà» si limitò a dire Alekos con una scrollata indifferente delle spalle.

«Non riesci a capire» mormorò Eris, addolorata.

Il giovane dio sbuffò spazientito, ormai irritato dal suo dire. «Sei tu che non capisci, se anche le mie azioni nel tempio di Dioniso ti sono sembrate oscure. Possibile che tu non comprenda che, se l’amore e la gioia imperano, non può esservi oscurità?»

«Ritieni che Dioniso e le sue baccanti siano la risposta al dolore e alla rabbia del mondo, dunque?» esalò Eris, sconcertata.

«Se guidati dalla mia saggia mano, possono e potranno essere una risposta. Una delle tante, a ben vedere. Dioniso eleva la gioia, non l’oscurità, perciò si asservirà a me e sarà il mio lungo braccio, al pari di Apollo e di Zeus stesso» le spiegò con semplicità Alekos, sorridendo sprezzante.

Scuotendo il capo, la dea replicò: «L’ebbrezza conferisce una gioia effimera e, se conoscessi Dioniso come lo conosco io, te l’avrebbe detto lui stesso. Essa aiuta a sfuggire temporaneamente alla paura, ma non la cancella. Perciò, non otterresti che menzogne, chiedendo supporto a lui.»

«Chiedere… supporto?» la irrise Alekos, scoppiando in una risata incredula. «Non avrò bisogno di chiedere nulla. Userò i poteri di Dioniso per portare gioia laddove servirà, e così sarà per gli altri. Eleverò mia madre a regina, poiché ne ha l’intelligenza e la bellezza, e troverò per lei un compagno degno che sieda al suo fianco.»

«Tu sei folle» ansimò sgomenta Eris, facendo tanto d’occhi.

«Te l’ho già detto. A fronte di un risultato positivo, si deve pagare un prezzo per ottenerlo e, se il prezzo è l’asservimento, ci può stare. Nessuno di coloro che tu hai citato – disprezzandomi – sta soffrendo, questo devi ammetterlo, e nessuno soffrirà in futuro, te lo posso assicurare. Staranno tutti benissimo, sotto il mio controllo forte e sicuro.»

Eris allora scosse il capo, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e disse atona: «E’ proprio vero che, senza dualismo, non c’è equilibrio.»

Alekos sorrise vittorioso, di fronte alla sua palese rinuncia e, correndo verso di lei a spada sollevata, esclamò: «C’è un’unica verità… non è necessario avere una seconda opinione!»

«Come ti sbagli…» sussurrò lei, chiudendo gli occhi.

Il giovane dio si disinteressò delle sue ultime parole e, con un ghigno, affondò la lama nel fianco della dea, portandola a urlare per il dolore.

Eris si era aspettata una fitta cocente, un suppurato violento di stimoli nervosi verso il cervello ma, quando la lama penetrò nelle sue carni, lo shock fu comunque devastante.

Piegandosi in avanti per il dolore, ma trattenendo la lama dentro di sé per poter avere Alekos a portata di mano abbastanza a lungo per poter portare a termine il suo piano, lei sussurrò roca: «L’unica verità che vedo, ragazzino, è che la tua superbia ti ha fatto dimenticare chi hai davanti.»

«Cosa?» ansimò Alekos, confuso dal suo dire.

Trattenendo la spada con la mano e lasciando affondare la lama nel palmo, Eris si aprì in una perfida risatina di scherno, aggiungendo: «Discordia ha sempre un asso nella manica, non lo sai?»

Ciò detto, levò la mano libera – ora armata di stiletto – e, senza più dire nulla, affondò la lama nel cuore di Alekos, recidendo in modo netto il filo dell’esistenza del giovane dio.

Solo ora capiva perché Érebos le aveva spiegato la verità su Alekos, anni addietro, dando proprio a lei i mezzi per abbattere un dio pur non essendo una divinità Ctonia.

Solo ora comprendeva il motivo per cui Moros le aveva dato quella lama, poco prima di cadere nel regno di Chaos, racchiusa in un involto in cui il dio le spiegava come – e perché – utilizzarla.

Una lama forgiata dalle fiamme del monte Etna e plasmata dalle mani di Efesto, intrisa della forza delle saette di Zeus e imbevuta dell’oscurità primigenia di Érebos, poteva compiere ciò che solo un dio Ctonio era in grado di fare.

Quella stessa lama, anni addietro, avrebbe potuto recidere la vita di Hermes ma, solo grazie alla forza dello psicopompo, ciò non era avvenuto.

Ora, con quella lama, Moros le aveva consegnato tutte le sue speranze, dei preziosi consigli su come sferrare l’attacco decisivo, ma anche una serie di ammonimenti.

Già sapendo cosa avrebbe dovuto fare, dopo il colpo finale.

Già sapendo che lei sarebbe stata abbastanza forte per farlo, ma non sapendo se avrebbe accettato di compiere l’estremo gesto di mettere a rischio la propria esistenza per qualcun altro.

Lasciata scivolare fuori dal proprio corpo la lama di Alekos, mentre fiotti di sangue le imbrattavano l’abito, indebolendola poco alla volta, Eris accompagnò a terra Alekos, gli occhi sgranati per la sorpresa e lo sbigottimento.

«Qualsiasi divinità deve avere una controparte che le dica quando fermarsi. Non può essere univoca. Mai» sussurrò Eris mentre il subconscio di Alekos si sgretolava, liberandoli dal turbinio che fin lì li aveva accolti.

Dinanzi a loro, immobili e in attesa, Chaos e Dioniso li fissarono senza proferir parola ed Eris, sapendo di non avere molto tempo, lasciò Alekos in consegna a Dioniso e disse: «Esci dopo di me. Prima, devo fare ancora una cosa.»

«Ma… la tua ferita…» tentennò Dioniso, restio a lasciarla sola.

Lei gli sorrise grata, gli diede un pizzicotto sulla guancia e asserì: «Sono più coriacea di quanto tu non creda. Un minuto, okay? Dopo, esci da Chaos.»

Lui assentì muto e, in un baleno, Eris trasmutò per andarsene da lì.

A quel punto, con un esanime Alekos tra le braccia, Dioniso guardò Chaos in cerca di spiegazioni e domandò spaventato: «Dovrà morire, questa volta?»

Chaos non disse nulla, limitandosi a poggiare una mano sul capo di Alekos, ripiegato come una bambola di pezza contro il torace di Dioniso. Eris aveva davvero avuto ragione, ad andarsene in tutta fretta; trastullarsi con i filati della vita era rischioso, ma lì si stava davvero giocando con il fuoco.

***

Un coro di stupore, meraviglia, panico e confusione si levò tra i presenti quando Moros, a sorpresa, levò un lembo del mantello per far passare Eris, chiaramente ferita ma dall’aspetto piuttosto pericoloso.

Zeus fu il primo a muoversi, chiaramente desideroso di aiutarla, ma lei levò una mano per scansarlo, esclamando: «Dov’è Atropo? DOVE?!»

Ciò detto, fissò letale Hermes e ringhiò: «Non osare muoverti, piè alato, o giuro che…»

Hermes però la bloccò sul nascere, sollevò un polso legato strettamente a una delle colonne del tempio e sbottò dicendo: «Perché credi che sia legato?! Nessuno si fida di uno psicopompo, in situazioni simili!»

Sbuffando, Eris si guardò intorno turbata, ma Artemide le disse lesta: «Thanatos è impegnato altrove. Fai ciò che devi fare e non temere. Alla peggio, lo placcheremo noi, se i tempi si faranno lunghi.»

Eris allora annuì e, nel vedere Atropo affacciarsi da una porta, la raggiunse con andatura caracollante, incespicando nei propri piedi – bagnati del suo stesso sangue e perciò divenuti scivolosi.

Quasi abbattendo la porta, fissò il fuso di Alekos e poi il proprio quindi, rivolto uno sguardo a Érebos, annuì senza dire nulla e si apprestò a fare quanto aveva ormai deciso.

Chiaramente turbata dall’entrata a sorpresa della sorella, Athena la raggiunse in fretta per sorreggerla e, ansiosa, le domandò: «Cosa dobbiamo fare?»

Eris prese un gran respiro, guardò Lachesi e Atropo e ordinò torva: «Il mio filato. Dividetelo in due e ponete metà del filo sul fuso di Alekos. ORA!»

In fretta, le due dee si affrettarono a fare quanto ordinato loro, mentre Cloto badava a sistemare il filato del padre, nuovamente integro e brillante.

Non appena i due filati ripresero a muoversi sui rispettivi fusi, Eris ebbe un contraccolpo fisico e Athena, sorreggendola maggiormente, esalò: «Avrei potuto donare il mio!»

Eris, allora, scosse il capo, sorrise sorniona al dio Ctonio che la stava osservando apprensivo e replicò: «Fatti dare la spiegazione metafisica dal tuo uomo. Io posso solo dirti che Alekos ha bisogno di una parte della mia oscurità, per gestire la sua luce. Ecco tutto.»

Athena, per diretta conseguenza, guardò il suo compagno che, nell’avvicinarsi alle due dee, poggiò una pezzuola sul fianco sanguinante di Eris e si limitò a dire: «Può andar bene la spiegazione di Eris.»

Un secondo grido collettivo spazzò via qualsiasi intenzione di Athena di chiedere altro e, quando vide comparire suo padre con un sorriso da orecchio a orecchio, comprese.

Alekos era tornato.

Prima ancora di poter fare qualsiasi cosa, però, la dea gridò sgomenta quando Eris, ormai priva di forze, le crollò tra le braccia, non reggendo più la perdita di sangue dalla ferita.

Érebos si mosse quindi lesto per aiutare Discordia e, presala tra le braccia, la portò fuori dalla sala dei fusi, subito seguito a ruota dalla compagna e dalle figlie.

I presenti, raccolti attorno a un redivivo Alekos per felicitarsi del suo ritorno, ammutolirono di fronte alla visione di Eris, ora del tutto priva di conoscenza ed Érebos, senza perdere tempo, guardò Apollo e ordinò stentoreo: «Con me! E chiama Esculapio, perché avremo bisogno anche di lui.»

Apollo assentì rapido, trasmutandosi al pari di Érebos dopo aver lanciato un’occhiata incoraggiante a un turbato Alekos, giustamente preoccupato per colei che lo aveva salvato.

Quando il trittico si fu trasmutato altrove, Athena si concesse il lusso di abbracciare piena di sollievo sia Alekos che Dioniso ma il figlio, troppo teso per rimanere inerme tra le braccia della madre, si scostò e domandò turbato: «Dove sono, ora? Ti prego, dimmelo.»

«Sono nel tempio di Apollo. La cureranno lì» lo informò lei, carezzandogli il viso. «Non sentirti in colpa, Alekos, davvero.»

«L’ho ferita io, mamma, non qualcun altro perciò, se lo permetti, mi sentirò in colpa, e anche molto» sospirò Alekos, stringendo le mani a pugno per la frustrazione. Non sopportava che le persone a lui care dovessero continuamente soffrire a causa sua.

Athena non seppe che dire, per tirarlo su di morale, ma pensò Dioniso a scuoterlo.

Il dio lo prese per un braccio, livido in viso, e dichiarò lapidario: «Lei si è sbattuta per salvarti, e ora tu fai la lagna? Non hai imparato nulla, da tutto questo casino?»

«Dioniso…» esalò Hermes, scuotendo il capo per richiamarlo all’ordine.

«No, amico mio, non starò zitto. Non stavolta. Alekos deve imparare a gestire la sua nuova vita, perciò si deve scornare con le conseguenze delle sue azioni! Dovrai accettare anche l’oscurità generata da te stesso, se non vorrai causare altri guai! E ora, andiamo da lei!»

Ciò detto, si trasmutò con il giovane e Artemide, sbattendo le palpebre al pari di diverse altre divinità, esalò: «E chi lo sapeva che Dion era così determinato?»

Diversi dèi si limitarono a un’espressione di totale confusione mentre Athena, sorridendo spiacente all’anima di Miguel, esalava: «Scusa. Non c’è stato tempo perché vi parlaste.»

“Non importa. Avrebbe comunque potuto rimanere ben poco, qui. Sai come sono le regole. Ma mi fa piacere averlo visto e, quando Eris starà meglio, vorrei le dicessi di venire da me. Mi piacerebbe ringraziarla di persona per aver salvato nostro figlio ed Érebos.”

«Sarà intrattabile per mesi, dopo una ferita simile» lo avvisò Athena.

“Non ho fretta. Tanto, non vado da nessuna parte” ironizzò Miguel, facendola scoppiare a ridere.

«Molto bene, signori… ora che la crisi è passata, vedete di sloggiare alla svelta!» esclamò a quel punto Cloto, battendo sonoramente le mani. «Ci avete ridotto il tempio a un immondezzaio, e ora dobbiamo riordinare tutto!»

«Sei sempre stata una padrona di casa eccellente» ironizzò Hermes, ammiccando ad Artemide perché lo liberasse dalle sue corte magiche.

La dea silvana, a quel punto, slegò il nodo che, preventivamente, aveva stretto attorno al suo polso fin da quando Eris e Dioniso erano scomparsi e, ammiccando al fratello, chiosò: «Scusa per il trattamento, ma non potevamo rischiare.»

«Sono il primo a essere stato lieto che qualcuno ci abbia pensato. Per l’ansia, non avevo proprio badato a quel particolare e, se fossi stato libero, sarebbero stati guai» ammise Hermes. «Quando Eris ha reciso il filato di Alekos, mi sono sentito malissimo perché avvertivo il richiamo della sua anima ma, fortunatamente, lei è stata abbastanza veloce da rimettere a posto tutto.»

Artemide annuì turbata, borbottando: «Ha davvero giocato col fuoco. Se fosse svenuta prima di arrivare qui, Thanatos si sarebbe allontanato dal regno degli esseri umani per prendere il tuo posto, e allora sarebbe stato davvero difficile contenerlo.»

Quel lugubre accenno azzittì tutti gli dèi presenti che, alla spicciolata e senza dire altro, si allontanarono dal tempio delle Moire, lasciando infine la sola Athena e Moros, in compagnia delle tre Tessitrici.

La dea della guerra non poté esimersi dall’abbracciarle a turno e, in un mormorio, disse: «Grazie per ciò che avete fatto.»

«Stavolta, ne sapevamo tanto quanto gli altri, credici» replicò Atropo, pur apprezzando il ringraziamento.

«Quanto a te…» disse infine Athena, sorridendo grata a Moros. «…so che hai fatto più di quel che sembra, ma non starò qui a farti il terzo grado, visto che sarebbe una battaglia persa in partenza.»

Moros si limitò a un’alzata di spalle ma, sorprendendo tutti, la abbracciò con insolito calore e replicò: «E’ stato un piacere. Voglio bene anch’io ad Alekos.»

Ciò detto, tossicchiò imbarazzato e, con un plateale svolazzare di mantello, si trasmutò altrove, non lasciando altro da dire ad Athena, che raggiunse il figlio e il compagno nel tempio di Apollo.

***

Seduto a ginocchia raccolte poco a fianco della porta che lo separava dalla stanza di Eris, Alekos si massaggiò distrattamente il torace, in corrispondenza del punto in cui la dea lo aveva trafitto.

A ricordo di quell’atto terribile quanto necessario, si trovava una piccola cicatrice – ora rimarginata e in via di guarigione – che Esculapio aveva provveduto a bendare per ogni evenienza.

«Hai mangiato qualcosa?» domandò a un certo punto Dioniso, giungendo dal corridoio delle cucine con un carico piuttosto corposo di brocche e ciotole decorate.

Alekos scosse il capo e il dio, nel sedersi sul pavimento accanto a lui, gli offrì un bicchiere di peltro prima di lasciarvi scorrere all’interno del nettare dorato e dal profumo delizioso.

Lo stomaco di Alekos brontolò in risposta a quei profumi paradisiaci e Dioniso, ghignando, abbondò con la dose.

«Ordini del dottore. Nettare e ambrosia per una settimana» sciorinò poi con ironia il dio, prendendo per sé una manciata di ambrosia, che divorò con soddisfazione.

Alekos lo fissò curioso da sopra l’orlo del bicchiere e, non appena ne ebbe terminato il contenuto, disse: «Scusami se ti sono apparso pavido, nel tempio delle Moire, ma la ferita sanguinante di Eris mi ha davvero spaventato.»

Dioniso spallucciò in risposta, replicando: «Scusami tu. Ero ancora piuttosto turbato da tutta quella situazione assurda, per essere del tutto lucido nelle esternazioni. Non dovevo attaccarti come invece ho fatto. Dopotutto, sei passato in mezzo all’inferno.»

Alekos però scosse il capo, asserendo: «Hai fatto bene, invece. Devo imparare a gestire azione e reazione, fatto e conseguenza, … ma grazie al potere di Eris è più facile. Ora, vedo con maggiore chiarezza.»

«Cioè? Spiegati meglio» volle sapere Dioniso, offrendogli un secondo giro di nettare e una dose generosa di ambrosia.

Stringendosi le ginocchia al petto dopo aver poggiato il bicchiere a terra, Alekos si cibò di ambrosia prima di mormorare pensieroso: «Quando ero piccolo, vedevo le cose in modo confuso. Volevo che tutte le persone fossero felici perché credevo che questa fosse la cosa giusta ma, essendo un bambino, ero goffo nel mio modo di gestire il potere, perciò non riuscivo molto bene nel mettere in pratica ciò che pensavo.»

«E’ encomiabile che tu la vedessi così, ma sai che è impossibile, vero?» gli fece notare il dio.

Alekos ammiccò divertito e annuì, ma replicò con candore: «Ora ne sono più che cosciente, ma all’epoca - e crescendo è stato sempre peggio - la mia controparte divina riteneva inaccettabile che la giustizia e la luce non permeassero qualsiasi cosa, perciò percepivo ogni cosa, ogni situazione in maniera distorta.»

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Dioniso gli domandò: «Lui, sì, insomma, la tua metà… ti parlava

«Mi sussurrava all’orecchio al pari di una sirena ammaliatrice e, man mano che crescevo, la cosa è diventata sempre più invadente, sempre più prepotente…» ammise Alekos. «… di contro, non potevo parlarne con mamma o papà, perché la voce mi aveva minacciato di fare loro cose terribili, se ne avessi fatto cenno con qualcuno.»

«E tu, ovviamente, le hai creduto» chiosò Dioniso.

«Col senno di poi, e visto come ha trattato Eris, credo di aver fatto bene» replicò Alekos.

«Niente da dire» ammise il dio. «Quindi, ti stava facendo il lavaggio del cervello?»

«In pratica, sì. Il mio lato umano era più debole del mio lato divino e quest’ultimo, poco alla volta, ha avuto il sopravvento su di me, portandomi a scompensi emotivi sempre più forti» gli spiegò Alekos con un sospiro. «Senza l’intervento di Eris, non avrei mai potuto riprendere il controllo.»

«E ora, come ti senti?»

«Equilibrato. Giusto, ma in senso buono. Ora vedo le cose nel modo corretto, e senza alcun problema. Gestisco il potere nel modo in cui avrei sempre dovuto» dichiarò Alekos, ora con un sorriso pieno di soddisfazione e speranza.

«Dovevi sentirti strano, oltre che piuttosto scoraggiato, nel sapere di non stare facendo le cose per bene, ma essere costretto a farle» ammise Dioniso, storcendo la bocca. «So bene cosa vuol dire, credimi.»

«La punizione di Era?» mormorò debolmente Alekos.

Dioniso assentì torvo, borbottando: «Quella vecchia strega ha insegnato bene alla figlia, non c’è che dire. Quanto a vendette subdole, ci sapeva fare. Fu assai disturbante vedere me stesso compiere stragi e violenze, del tutto consapevole delle mie azioni ma incapace di mettervi un freno a causa della sua malia.»

Alekos gli poggiò una mano sulla spalla, e subito Dioniso avvertì il tocco caldo del suo potere, stavolta frammisto al profumo fresco di qualcosa di nuovo. Sorridendogli a mezzo, asserì: «Oh… questo sì che è piacevole, ma non è disturbante come quando partecipasti al baccanale nel mio tempio. E’ l’oscurità di Eris?»

«Mi aiuta a mantenermi entro i confini del lecito. Non cerco di prevaricare la tua mente, facendoti vedere solo cose belle per cancellare il dolore, ma ti faccio sentire la mia partecipazione, il mio affetto» annuì Alekos. «Porto assieme a te il tuo dolore.»

«E’ fico. Pare tu lo sappia già usare bene…» mormorò Dioniso con un sospiro. «…come se tu e lei foste destinati a stare insieme fin dall’inizio.»

Alekos lo fissò confuso ma, prima di chiedere spiegazioni in merito al significato di quel commento, la porta della stanza si aprì e ne fuoriuscì Athena.

Sorridendo ai due, la dea si asciugò le mani in un pannetto – che poi ripose nella tasca posteriore dei pantaloni – e disse: «E’ a posto. Potete vederla, ma uno alla volta. E’ ancora debole.»

Alekos, allora, sorrise a Dioniso e dichiarò: «Vai tu. Io vorrei parlare con mia madre, prima.»

«D’accordo» bofonchiò Dioniso, penetrando nella stanza mentre anche Apollo ed Esculapio ne uscivano alla spicciolata.

Chiusosi la porta alle spalle, il dio fissò turbato la donna distesa su un enorme letto ricoperto di bianche lenzuola, ove Eris appariva ancora più pallida e stanca.

La scomposta chioma corvina era sparsa sui guanciali, mentre il viso eburneo era solcato da ombre profonde, dovute alla scarsa illuminazione della stanza. Appariva davvero fragile, in quel momento, eppure si era trovata dinanzi a una divinità Ctonia, e aveva vinto la sua battaglia.

Il solo pensiero, lo fece sentire piccolo e insicuro. Più ancora del solito, tra le altre cose, e questo contribuì a irritarlo ulteriormente.

«Come stai?» domandò Dioniso, avvicinandosi e accomodandosi su uno scranno nei pressi del letto.

Gli occhi chiari di Eris si mossero per visionarlo e, con un sospiro, la dea borbottò: «Come una che è stata trafitta da una spada di pura energia. Un po’ sfilettata, per così dire.»

Dioniso abbozzò un sorriso e replicò: «Beh, il sarcasmo non l’hai perso.»

«Vorrei vedere» sbuffò lei. «Perché, però, mi sembri più sbattuto tu, di me?»

«Io? Ma se sono la gioia fatta persona?» cercò di ironizzare lui, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi perlacei. «Il tuo Alekos mi sembra sia in forma smagliante, adesso. Ho appena testato i suoi poteri, e ora sono bilanciatissimi.»

«Bene» annuì Eris.

«E… e tu? Senti… qualcosa?» tentennò Dioniso.

«Equilibrio. Come se un tassello fuori posto fosse finalmente stato sistemato» gli spiegò lei, sorridendo leggermente nel tastarsi la fronte.

Dioniso si adombrò, a quelle parole, e borbottò: «Quindi… ora sarà ‘e vissero felici e contenti’

La dea lo fissò dubbiosa, replicando: «Che intendi dire?»

«Ma sì… tu e Alekos, intendo. Ora che condividete lo stesso filato, è come se foste la stessa cosa, le due parti di un tutto, no?» biascicò in fretta Dioniso, gesticolando nervosamente con una mano.

Eris si accigliò appena, a quell’accenno e Dioniso, nell’affondare nei suoi occhi di diamante, si sentì perdere come la prima volta.

Quanto era stato stolto a cedere alla paura, secoli addietro? Perché aveva dato retta al suo lato remissivo e pavido? Lei che aveva sofferto pene indicibili ed era ugualmente sopravvissuta, più di tutte avrebbe potuto capire e accettare i suoi patimenti segreti, i rigurgiti di un passato che da sempre voleva dimenticare per la vergogna.

Invece, aveva ceduto alle lusinghe della vita semplice e spensierata, lasciando che il passato venisse relegato in un angolo, senza mai affrontarlo davvero. E ora, era troppo tardi per tutto.

Eris sospirò, chiuse gli occhi per un istante e infine disse: «Stavo male perché dovevo riequilibrare la luce di Alekos, che si faceva sempre più forte. Il potere di Érebos è talmente grande da aver nutrito, nel corso degli anni, la lucentezza abbacinante creatasi in Alekos così, per contrastarla e fermarla, doveva esserci un’altra ombra, ma di minore intensità, che potesse riportarla a più miti consigli.»

«Quindi, nessuna divinità Ctonia avrebbe potuto prendere il tuo posto» annuì lentamente Dioniso.

«Esatto. Più l’oscurità è forte, più la luce diventa abbagliante. Per questo, la bontà insita nell’animo di Alekos è diventata così pura, perché prendeva potere dalla quintessenza di Érebos. Io ero l’ideale per riequilibrare questo squilibrio, rendendo la luce meno vivida, e perciò più gestibile da un semidio» gli spiegò Eris, sbuffando stancamente. «Questo, vuol dire il nostro filato comune. Il legame che sentivo crescere con Alekos era questo; l’incognita che cercava di riequilibrarsi.»

«E… e il bacio?»

«Quasi bacio. E’ la stessa cosa. Fu la misura estrema di Alekos per bloccare la sua divinità, ma non funzionò perché io lo bloccai, pensando erroneamente che volesse baciarmi a causa di una mia presunta colpa» scrollò una spalla Eris, prima di lagnarsi per il dolore. «Ma perché cavolo mi fai tutte queste domande, scusa? Lo vuoi per te, per caso? Alekos, intendo… perché credo che gli piacciano le ragazze, quindi prenderesti un sonoro ‘no’ in risposta.»

Dioniso avvampò suo malgrado in viso – un’autentica rarità, per lui – e sbottò dicendo: «Questa è stata davvero una bassezza, Eris!»

«Ehi, Dion… dimentichi che io sono Discordia? Ogni tanto cercherò sempre di punzecchiare la gente» ammiccò lei, aprendosi in un sogghigno malizioso.

«Oh… al diavolo!» esclamò Dioniso, chinandosi su di lei per strapparle un bacio.

Eris sgranò gli occhi, piena di sorpresa, ma non lo bloccò e, quando il dio infine si scostò dalle sue labbra, le puntò addosso un dito e la minacciò dicendo: «Ti conquisterò. Fosse anche l’ultima cosa che faccio. E stavolta me ne fregherò bellamente se qualcuno mi metterà in guardia su di te. Ti voglio, donna, e ti avrò!»

La dea lo guardò basita per alcuni attimi, forse credendolo folle ma, alla fine, si liberò in una risata e disse: «Affari tuoi, ragazzo, se vuoi infilarti in questo ginepraio.»

Malizioso, Dioniso allora ammiccò e disse: «Oh, nel tuo ginepraio mi infilerei volentieri anche adesso, se è per questo.»

«Santo cielo, …che razza di pervertito…» sospirò Eris, scuotendo esasperata il capo.

«Non mi hai detto di no, perciò preparati ad altri agguati» ghignò il dio, ora tutto felice e contento.

Eris lo mandò bellamente al diavolo ma Dioniso se ne infischiò del tutto e, dopo aver raggiunto la porta della stanza, le lanciò un bacio da sopra una spalla e infine uscì.

Nel corridoio trovò Alekos in paziente attesa e, nel vederlo, Dion disse: «Puoi entrare, adesso. Ma non stare troppo. Non vorrei si stancasse, visto quello che ha passato. D’ora in poi, dovrà stare attenta a come dosa le energie, dopotutto.»

Alekos, a quelle parole, gli sorrise tranquillo e replicò: «Non preoccuparti per questo. Ricordi che io sono immortale grazie al legame con mia madre?»

«Sì. Ebbene?»

«Se io sono immortale, lo rimarrà anche Eris, nonostante il filato diviso in due, perché io avrò sempre bisogno della sua presenza» ammiccò Alekos, sorprendendolo. «Per questo ho voluto parlare con mia madre ed Érebos. Volevo essere certo di questa cosa.»

«Quindi, lei non dovrà…» borbottò nervosamente Dioniso, indicando il giovane e la porta della stanza a fasi alterne.

«No, non succederà quello che stava avvenendo con mio padre» ammise Alekos, sospirando tristemente nell’ammetterlo. «Il mio alter ego era divorato dalla brama di possedere tutto il potere di Érebos, così da cancellare per sempre la sua presenza. Per questo, lui ha rischiato di morire, non a causa del filato diviso.»

«Miseria. Ladra» gracchiò Dioniso, sgomento.

«Papà aveva erroneamente pensato che lo squilibrio di potere nel suo filato dipendesse dal fatto che fosse stato biforcato per consentirmi di vivere ma, in realtà, era il mio subconscio divino che, lentamente, lo stava prevaricando. Distruggere l’oscurità per portare la luce ovunque. Era questo, a cui puntava.  A tal punto, era deviato nella sua volontà.»

«E tu lo hai scoperto quando eri in quella sorta di bolla metapsichica?» volle sapere Dioniso, immaginando senza difficoltà i sensi di colpa del ragazzo. Lui stesso combatteva da sempre contro simili e dolenti note, e ancora adesso non ne era venuto a capo.

Alekos assentì, mormorando spiacente: «Mi ha parlato fino a sfinirmi, accennando a tutto quello che avrebbe fatto una volta uscito dal regno di Chaos, prima di dirmi che ruolo avrei avuto io… sì, il mio lato umano, intendo. Avrei dovuto farmi assorbire e rimanere in silenzio, senza più tentare di fermarlo, così che lui potesse annullare l’oscurità per sempre. Non aveva capito che, più lui diventava potente, più le controparti oscure lo diventavano a loro volta, ben decise a fermarlo.»

«Che intendi… oh… Moros, per caso?» esalò Dioniso, iniziando a comprendere il comportamento stranamente attivo della schiva divinità del destino che, da sempre, si era tenuta in disparte. In tutta quella stramba situazione d’emergenza, al contrario, era stato stranamente partecipe.

Il giovane semidio annuì, giocherellando con un laccio della sua maglietta. «Eris aveva dei problemi sempre maggiori a starmi lontano perché avvertiva, a livello inconscio, lo squilibrio che si stava formando in me, e io – la mia parte umana – ero felice che lei ci fosse perché speravo sempre in un suo intervento, qualora avessi esagerato. Moros, a sua volta, aveva presagito che, presto o tardi, avrebbe dovuto intervenire per bloccarmi, pur se la sola idea lo inorridiva.»

Sospirando, il giovane scrollò poi una spalla e aggiunse torvo: «Sarebbe arrivato a uccidermi, qualora fosse stato necessario. Se Eris avesse fallito, o se si fosse rifiutata di legarsi a me, sarebbe intervenuto lui, una volta per tutte. Dopotutto, lui è il latore dei destini ineluttabili e, proprio a causa di questo suo potere, sapeva di dover essere colui che mi avrebbe tolto la vita, nel caso in cui tutto fosse andato storto.»

«Ma certo…» mormorò a occhi sgranati Dioniso. «…solo una divinità Ctonia poteva fermarti, perciò sarebbe spettato a lui visto che Érebos era, di fatto, fuori gioco. Quindi, l’arma che ha utilizzato Eris era…»

Alekos assentì, mormorando: «Una lama intrisa di potere Ctonio, sì.»

Dioniso sbuffò pieno di meraviglia e ansia, ormai più che consapevole di cosa avessero rischiato, nel regno di Chaos. Non solo la morte di Alekos o di Eris, ma anche lo sfaldamento di un’intera famiglia.

Dubitava fortemente, infatti, che Moros sarebbe uscito indenne da quel compito, e così i suoi fratelli o i suoi genitori.

«Érebos doveva sopravvivere a qualsiasi costo, poiché egli rappresenta una delle entità primigenie dell’universo, mentre io ero sacrificabile. Moros ha una forza immensa, quasi paragonabile a quella del padre, e ce l’avrebbe fatta a portare a termine la missione. Inoltre, avrebbe avuto anche la forza mentale per portare il peso della mia uccisione. Ne avrebbe sofferto, ma non sarebbe impazzito… forse» ammise Alekos, passandosi stancamente le mani sul viso. «Eris, però, mi ha salvato, usando l’arma che Moros le aveva affidato prima di inviarla nel regno di Chaos. Così facendo, ha evitato che mio fratello dovesse prendere su di sé un simile peso.»

Sospirando, Dioniso lo abbracciò con calore e disse: «Beh, sono contento che tu sia tornato tutto intero, e che la tua parte divina sia sotto controllo. La senti, ora?»

«E’ placida, e non cerca affatto di predominare. Era davvero l’eccessivo potere derivato dal filato di mio padre, ad averla resa… superba» asserì Alekos, sorridendo al dio, prima di chiedergli: «Uscirai con la zia, ora che le cose sono andate a posto?»

Dioniso fece tanto d’occhi, a quella domanda, ma Alekos ammiccò malizioso e aggiunse: «Sarò ancora giovane, rispetto a voi, ma capisco quando un uomo è geloso.»

Scoppiando a ridere, Dioniso indirizzò il giovane verso la porta della stanza di Eris, non rispose alla sua affermazione e si limitò a dire: «Stai un po’ con lei. Le farà bene.»

Ad Alekos non restò altro che entrare. Dopotutto, non erano affari suoi se Dioniso voleva flirtare con Eris.

 

 

 

 

N.d.A.: direi che tutto si è risolto, ed Eris ne ha ricavano un filato a metà ma anche un dio che vuole essere la sua metà. Ci avrà guadagnato o perso, secondo voi? ;-)

  
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