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Autore: Xay    28/04/2020    2 recensioni
Tratto dalla prefazione: "..Cala il silenzio, e il rumore della ghiaia sotto le nostre infradito bagnate accompagna il suo respirare faticosamente, quando si arrabbia ed è con me cerca sempre di calmarsi, non vuole trasformarsi e lasciarmi da sola, è sempre stato il più protettivo nei miei confronti, dopotutto avevamo sono undici anni quando mio padre e mia madre sono morti, lasciandomi a zio Billy e Harry, zia Sue e nonno Quil, che non sono altro che amici d’infanzia, ma nonostante ciò mi hanno allevata come una figlia biologica..."
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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cap

Nota: siete timidamente aumentati, vi ringrazio.
Lascio qua la prima parte, la seconda arriverà tra 7 giorni.

Fatemi sapere se risulta troppo lungo, fitto o impreciso.

Capitolo 40

Perché il loro affetto mi soffoca così dolcemente?

📍 Londra, 9 anni dopo

Continuo ad osservare il pezzo di carta e mi alzo, litigando con le lenzuola prima di avanzare verso la finestra, aprirla e appollaiarmi sul davanzale, facendo ciondolare la gamba destra sul ballatoio esterno, la schiena poggiata alla cornice. Quando accendo la sigaretta emetto un rumoroso sospiro, chiudendo gli occhi mentre me la porto alla bocca.
Neanche mi piace fumare, sono solo una sciocca che reagisce male al nervosismo.
Sto per prendere il secondo tiro quando il cellulare suona, poco lontano. Getto un’occhiata veloce, mentre la vecchia Wendy mi guarda dalla sua cuccia, probabilmente impietosita dal mio stato psicofisico. Allungo il braccio, premendo il tasto verde prima ancora di avere il cellulare vicino al viso, prendendomi tutto il tempo necessario.
«No.» dico lapidaria, dall’altra parte il silenzio regna assoluto per una manciata di secondi, poi viene rotto da un respiro che strozza una risata.
«Perché no?» dice soltanto, la sua voce è sempre limpida e odio ammetterlo ma mi fa bene al cuore «Butta quella sigaretta, Megan!»
Un risolino sarcastico esce dalle mie labbra, ma eseguo spegnendo la sigaretta contro l’infisso. «Non sono mica tua figlia.» sibilo, sputando l’ultima boccata di fumo, nel frattempo fisso il piccolo circolo nero lasciato dalla tizzone sul battente.
Me ne pentirò, il proprietario me la farà pagare per intero quella merdosa finestra.
«Non puoi non considerare la cosa, Meg.» Soffia, «non torni da quasi 10 anni.» Quando quelle parole raggiungono il mio orecchio una ventata di rabbia mi investe e mi scopro sbalordita da quella affermazione, perché non può farlo: non può dirmi queste cose, non ci credo neanche per un attimo che sia fin a tal punto insensibile, è inammissibile che non riesca a comprendere i miei sentimenti al riguardo, proprio lui.
«Non vedo quale sia il problema, tu e zio Billy venite a trovarmi, persino Seth e Ronnie hanno in mente di passare quest’estate.» preciso, tentando di pulire con il pollice l’alone nero sulla finestra. Sento già gli occhi pizzicare e decido che in fondo se lui gira il coltello nella piaga posso farlo anch’io, «o almeno, tu venivi a trovarmi. Hai smesso bruscamente dopo che noi...» come immaginavo mi interrompe bruscamente, rimproverandomi per la seconda volta nel giro di pochi minuti come farebbe un padre con una ragazzina. Reagisco di nuovo con una risata a denti stretti, un misto tra amarezza e rammarico.
«Scusa, pensavo giocassimo a chi ferisce di più l’altro.» lui risponde non rispondendo. So di averlo squarciato scaraventandogli malamente addosso il fatto che – nonostante la deviazione vampiresca – anche lui si era comportato da umano e, in quanto tale, si era reso capace di orchestrare delle stronzate colossali. Il succo della questione era che non avendo mai dubitato di quanto fosse infinita la sua bontà e immenso il bene che ci lega ci avevo marciato sopra; in conclusione il suo traboccante affetto misto alla mia depressione, bordata di peccaminoso pizzo nero, lo avevano portato a compiere un errore di cui si sarebbe pentito per tutta la vita. Io affronto più pacificamente con la cosa, per me non era stato un imperdonabile errore, so di essere stata una brutta persona ma mi sentivo così sola, ferita, trascurabile agli occhi dell'intero mondo.
«Perché tenti di respingermi?» una parte di me vorrebbe dirgli che no, io non sto tentando di respingere proprio nessuno, sto apertamente rivangando un passato doloroso come ha fatto lui dicendomi di tornare in America. Chiudo gli occhi e rifletto, ma alla fine non trovo nulla che valga la pena dire.
«Senti, io ho bisogno che tu venga, tuo zio ha bisogno che tu venga. È arrivato il momento di chiudere i conti con questa storia, di affrontare i fantasmi del passato.» butta fuori tutto con celerità, «ti ho già mandato per email i biglietti aerei, ci vediamo in aeroporto.» e la linea cade lasciandomi a scuotere la testa, esterrefatta dalla sua teatralità nel riattaccare senza darmi nessuna possibilità di oppormi. Prendo atto della cocciutaggine di quel maledetto e mi volto verso le luci notturne di Canary wharf, con la testa in arresto e il petto gravoso; il timore di non riuscire a liberarmi di quella parte di me, radicata in ognuno di loro, mi accorcia il respiro, come se queste mie radici più che l’origine di ogni linfa vitale fossero in realtà la catena che mi costringe al suolo.
A quanto pare andrò al matrimonio di Jacob e Renesmee, non posso credere di aver ceduto.


📍 Forks, 2 mesi dopo

Day 1
Arrivo al Quillayute Airport e appena fuori vedo zio Billy, agita la mano con vigore mentre procedo verso di lui stringendomi nella giacca a vento, la sua chioma argentata è mossa da un lieve vento che la rende luminosa. Tiene sul grembo un cartello con su scritto “Bentornata Maggie” e accanto a lui Edward, poggiato alla sedia a rotelle, stringe un palloncino rosa con un’espressione eloquente e un sorriso divertito. Vederli insieme mi fa uno strano effetto, ma suppongo ormai siano tutti una grande famiglia felice. L’amara considerazione che l’unico ingranaggio arrugginito della loro vita sia io si fa strada dentro di me mentre forzo il buonumore e bacio mio zio su tutto il viso, provocandogli risate gioiose.
Tutto ciò che ho di più simile a un padre - è la frase che mi avvolge con calore quando lo sento esclamare «Figlia mia, sei tornata a casa.» è commosso e non posso far altro che pensare sia la sua felicità il lato positivo di questa imponente montagna di merda, in seguito mi soffermo sulle sue parole, ancora una volta mi procurano dolore: casa?
Guardo Ed, nella sua eterna giovinezza rinnegata dall’abbigliamento maturo, mi porge il palloncino chiudendosi nelle spalle e si passa una mano tra i capelli. Sembra agitato. «Sei invecchiata.» sussurra, aprendosi in un mezzo sorriso sornione. Lo spintono e sbotto divertita: «molto spassoso!», successivamente ripongo la mia attenzione ancora su zio Billy, mentre mi dice: «Adiamo in macchina, Jacob ci aspetta.» Colta dalla sensazione che mi si stesse congelando il sangue nelle vene mi immobilizzo, tornando lucida solamente quando Edward mi agguanta la spalla. Il freddo della sua mano mi fa comprendere che, pur sentendomi un ghiacciolo, sto andando a fuoco.
«Non ha voluto sapere ragioni, voleva venire.» mi spiega lo zio, vedendo la mia reazione. Edward comincia a spingere la carrozzella e io lo seguo attonita, quando riprendo sorprendentemente a respirare dico : «per questo sei qui» non è una domanda, ma Edward annuisce lo stesso. Un paio di minuti e ci fermiamo davanti un’auto che non riconosco, dalla portiera del guidatore viene fuori un omone alto e asciutto. Blue jeans dall’aria costosa e un maglione da golf di ottima fattura, a stonare con il tutto un berretto dei Seattle Marines calcato sulla testa, metà viso all’ombra. Mi stupisco nel vedere un uomo simile rispondere all’immagine di Jacob. Mi chiedo quanto sia autentica quella figura che da di sé adesso e rispondo ai suoi saluti sussurrando un “ciao” tra lo scioccato e il turbato. Una gomitata glaciale mi ridesta anche ora. «Hai fatto buon viaggio?» mi chiede, riesco a incontrare il suo viso e - per fortuna o purtroppo - i suoi lineamenti e i suoi occhi scuri sono esattamente quello che ricordavo di lui, senza la barba sarebbe lo stesso ragazzone di sempre, ha però un’aria triste. Pensando a quella cupezza come ad una sua reazione nel constatare il modo in cui mi sono ridotta in questi anni non posso fare a meno che essere seccata.
Non voglio che provi pena per me, non è per questo che sono tornata.
«Tutto okay, grazie Jake.» rispondo con garbo e provo un sorriso cordiale, oserei dire britannico, per convincere lui e persino me stessa che va bene.
«Faremo meglio ad andare, gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti.» borbotta Edward, Billy annuisce con veemenza ed io non posso che azzardare un sorriso compiaciuto nel vedere quanto vadano d'accordo, la loro complicità è sbalorditiva. In un secondo istante, quando siamo tutti seduti in macchina e la strada ci scorre già ai lati, faccio mente locale sulle parentele che si andranno a cementificare grazie al matrimonio: Billy ed Edward hanno il bene dei loro figli come interesse comune, la mia salute mentale come obiettivo da raggiungere nel corso di quella che si prospetta essere una lunga settimana. Arrivati in casa si affronta un’altra sessione di saluti e presentazioni in cui Rachel non manca di farmi notare aspramente quanto sia ingiusta la mia presenza allo sposalizio di Jake, vista l’assenza al suo con Paul. La realtà è molto diversa da quella che superficialmente sembra essere un capriccio da ragazzina: avevo cominciato a franare dopo aver scoperto il coinvolgimento di Artamon nella morte dei miei, una cosa che dopotutto sarei riuscita a superare, l'ennesimo trauma della mia vita che si accatastava sul mucchio già abbondante di cose a cui non potevo dare un senso fino in fondo, ma poi è arrivata Renesmee, coronamento della storia d’amore di Bella ed Edward, il colpo di grazia al debole imprinting che legava me e Jacob.
Così la storia si era ripetuta, io ero Amelia.
Tutti – quando è successo – sapevano che sarei dovuta andare via, gli occhi lucidi di zio Billy brillavano di una consapevolezza dolorosa mentre Embry caricava i miei bagagli sull’auto che mi avrebbe condotto in aeroporto. Erano presenti nella loro totalità, sembrava quasi stessi presenziando alla mia stessa veglia funebre. Il mio ultimo periodo a La Push aveva finito per farmi galleggiare in una brodaglia insipida fatta di indolenza e accettazione delle cose; avevo trovato una via di fuga spedendo richieste ai college più lontani e nell'attesa ero riuscita a sopravvivere, sguazzando in quella disgustosa sensazione. Leah aveva giocato un ruolo fondamentale, mi aveva convinto lei a cambiare aria, dicendomi quanto fosse un dono poter estraniarsi dalla realtà malata di Forks. In principio mi sembrava un'idiozia quell’inneggiare ad una mia ipotetica libertà: io non la volevo, non sapevo che farmene; ma adesso, a quasi dieci anni di distanza, appare limpida la verità di ogni singola parola che aveva pronunciato Leah in quei mesi, mentre mi sorprendo a considerare la mia vita a Londra come l’unica che io abbia mai vissuto, fosse quasi una sorta di fuga dissociativa. Lei, Leah, non poteva fuggire dalla sua natura, non poteva fingere di non essere quello che era e le ferite che aveva dentro risultavano profonde ed incurabili. Ad un certo punto, chissà di quale maledetta giornata, aveva deciso di non volere più sopportare dei fardelli così gravosi. Pensavano fosse scappata - anche io ne ero certa - fino a quando, mesi dopo, non avevano rinvenuto il suo corpo vicino al confine con il Canada. Sono certa che non fosse il matrimonio il motivo scatenante di quel gesto, più probabilmente però la goccia che aveva fatto traboccare il suo enorme, gigantesco vaso di lacrime e delusioni, perciò non avevo trovato la forza di salire su un aereo per guardare Rach e Paul sposarsi, non avevo neanche provato a cercarla quella forza, non dopo essermi assentata al suo funerale. Sarebbe stato un torto che non potevo farle. Non a lei.
Evitando qualsiasi tipo di attrito, mi limito a sorridere delle scuse per l'assenza e prendo subito le distanze da quella bolla d'inconsapevolezza che circonda Rachel e il suo mondo arcobaleno per rifugiarmi sotto l'ala di zia Sue, che mi sorride dolorosamente capendo ogni cosa. Zia Sue sta con Charlie Swan adesso, la sua esistenza dopo il rinvenimento di Leah era appesa ad un unico filo: Seth. Con il tempo suo figlio è riuscito a farla pian piano tornare a vivere, grazie anche alla forza di Ronnie e all'infinita tenerezza della piccola Hope, che ormai è nel bel mezzo dell'adoloscenza. È stato un corteggiamento spietato quello di Charlie, Sue un giorno si è arresa al suo fascino, ritrovando un parte di quella sensazione di pienezza che le sembrava ormai lontana e irrecuperabile. Renesmee – Nessie, come la chiamano qui – sembra aver deciso di risparmiarmi da un crollo nervoso la prima sera, restando a casa sua. Quando mi congedo per la notte il mezzo reggimento che invade la zona giorno di casa Black sembra deluso, ma non me ne curo e chiudo il più in fretta possibile la porta di camera mia borbottando qualcosa sul jetleg.


Day2

È veramente insensato dover ancora star appresso a tutto ciò.
«Meg, sei la solita guastafeste!» indirizzo a Seth una delle occhiate più adirate che abbia mai avuto modo di vedere nella sua vita e alzo le braccia al cielo, arresa.
«Sai cosa? Fate ciò che volete, siete grandi abbastanza da riuscire a capire che non sarebbe il caso, ma evidentemente mi sbaglio di grosso!» borbotto, sedendomi sul consueto tronco cavo, che avevo da anni amabilmente ribattezzato “della rassegnazione”.
Ricevo un bacio sulla tempia e poi lo squadrone guizza verso il dirupo. Chiudo gli occhi per non guardarli lanciarsi nel vuoto e li riapro unicamente dopo aver sentito il goffo concento di schizzi, urla liberatorie e risate. In fondo non sono così infastidita dalla situazione: un libro tra le mani, il loro fracasso, gli alti abeti e pini marittimi, la lieve brezza che li scuote, il cielo e l'acqua che si toccano per migliaia di miglia, tutto questo mi toglie il fiato e mi procura un tuffo al cuore. Per un secondo, un solo secondo meraviglioso, ho 17 anni e sono a casa mia.
«Qui è sempre identico, vero?» dà suono ai miei pensieri la sua voce, visto il momento non so quanto e se mi stia facendo male, suppongo che avrò modo di scoprirlo più tardi. Mi accorgo di avere gli occhi chiusi e quella che deve essere un'espressione beata solo quando cambio posizione, voltandomi verso di lui per guardarlo. Mi sta sorridendo, leggero e sincero.
«In modo rassicurante ed inquietante al contempo.» rispondo, fiocamente, la mia voce tradisce un po' di emozione.
Annuisce, d'accordo con me e dopo avermi chiesto il permesso prende posto sul tronco al mio fianco. Vengo invasa da quello che suppongo sia il suo profumo, sa di acqua di colonia, la cosa mi sorprende, ma meno del previsto. Di nuovo oggi il suo abbigliamento casual-chic contrasta con il consueto berretto da baseball calcato sulla testa. Mi rendo conto dopo un paio di minuti che ci stiamo studiando spudoratamente a vicenda, quando nel processo di scandaglio dell'altro ci ritroviamo occhi negli occhi.
«Sai, è assurdo quanto tu sia cambiata rimanendo sempre la stessa.» dice infine, girandosi verso l'orizzonte e affinando lo sguardo per via della luce.
«È esattamente quello che ho pensato anche io vedendoti ieri.» mi ritrovo a confessare, ma lui scuote la testa. Constatando il mio sguardo accigliato capisce di dover motivare quel gesto, allora mi spiega: «per me non è stato immediato. Ieri ero sbalordito nel vederti così. Il modo in cui porti i capelli, il trucco, il tuo abbigliamento che non consiste più in felpe e jeans rattoppati. Insomma, sei una donna ora!», si ferma, ridendo di gusto, «ero sconvolto!» ridacchio insieme a lui e allungo il braccio per riporre il libro che ho tra le mani nella borsa.
Lui mi blocca per leggerne il titolo, il suo tocco caldo mi paralizza mentre continua a parlare: «e poi ti ho vista seduta su questo tronco con un libro della collezione di Carlisle in mano. Sei la solita Meg, non è cambiato niente.» Siamo veramente vicini adesso e mi manca quasi il fiato quando in nostri occhi si trovano. Provo una sofferenza che avevo arginato per così tanto tempo da metterne in dubbio l'energia distruttiva e gli occhi mi pizzicano immediatamente appena mi raddrizzo, ristabilendo una distanza adeguata tra noi. Il mio io britannico non può far altro che constatare quanto sia inopportuno questo suo atteggiamento nei miei riguardi a poco meno di cinque giorni dal suo matrimonio, ma forse sono io a gonfiare la situazione, a notare atteggiamenti inesistenti. Continuo a rimuginare, ma una sua frase mi ridesta dal marasma: «Tu non senti niente, tra di noi?»
Non stavo immaginando proprio un cazzo.
Con tutta la forza che mi rimane lo guardo dritto negli occhi, le nostre attuali e passate sofferenze si incastrano come i pezzi di un puzzle mentre gli scavo dentro e questo mi fa ancora più fottutamente male. Sono alla ricerca di un briciolo di misericordia in lui quando abbozzo stravolta: «Perché mi stai facendo questo? Dopo tutto quello che ho passato.» E mi sento subdola a giocare la carta del mio lontano tormento così sfacciatamente, anche perché lui prende un respiro profondo e frana sulle ginocchia, nascondendo il viso tra le braccia. Cade il silenzio e non riesco a trovare un modo per rendere meno insensata la situazione, il cuore sta per uscirmi dal petto; ad un certo punto capisco: la logica non va cercata da nessuna parte, la logica sono io. Rincuorata da questa rivelazione, dico: «Lasciami fuori da qualsiasi cosa ti stia passando per la mente.» Sono più sicura dopo aver parlato, mi alzo e prendo la borsa, caricandola sulle spalle.
È stato uno sbaglio tornare.
Me lo ripeto ossessivamente mentre mi addentro nella foresta che riporta al sentiero ghiaioso per la riserva. Lungo il tragitto incontro Seth, su due piedi invento una giustificazione su una chiamata di Billy che mi chiede aiuto per fare la spesa. Non è a casa che sono diretta, c'è solo un posto dove vorrei essere in questo momento.
È stato uno stramaledettissimo sbaglio tornare.
«Hey-hey, dove vai tanto di corsa?» mi chiede Ronnie, accostando al mio fianco, la guardo e i miei occhi si riempiono di lacrime. Sto per esplodere, non posso più farcela ad accampare scuse.
«M-mi porti da Leah, p-per favore.» balbetto, strozzando le parole. Il suo sguardo si fa angosciato e senza aggiungere niente si allunga aprendo la portiera della sua auto, facendomi segno di sedermi sul posto passeggero.


Day3

«
Io non ci posso credere!» Mi tappo la bocca e soffoco un urlo mentre Alice mi punge con uno spillo, destinato allo scollo del mio abito e non al mio petto. Forse.
«Alice, non so neanche cosa intendesse sul serio, me ne sono andata praticamente subito. Magari voleva soltanto sapere se provassi qualcosa.» sussurro pianissimo, sperando nessuno mi senta, che sia una speranza vana?
Lei mi punta un dito contro e assottiglia lo sguardo, «Se è una bugia e lo stai coprendo sappi che Edward lo scoprirà e farà di quel cane uno scendiletto.» annuisco, consapevole che sarebbe andata esattamente così.
«Questa situazione ha un ché di paradossale.» dice in tono disteso Amelia, sfogliando annoiata una rivista di cartamodelli per abiti da cerimonia,«insomma, al massimo avrebbe potuto provare un mal di pancia, per la miseria! È assoggettato da un imprinting.» poi alza gli occhi al cielo, «non che questo in passato l'abbia mai fermato, in effetti.» Ci scambiamo un'occhiata d'intensa, di quel tipo che può esistere tra chi come noi due c'è stata dentro per davvero in questa situazione irreale, mi sento rassicurata dal suo sguardo ambrato. Un frastuono assordante ci costringe a girarci tutte verso la porta della camera, in qualche secondo si materializzano ai nostri occhi Esme e quella che suppongo essere Nessie.
La creatura più bella che avessi mai visto, non saprei come altro descrivere quei lunghi capelli ramati e setosi, quelle labbra perfette, quell’incarnato etereo. Mando giù il boccone amaro e quando Esme chiude discretamente la porta, come se quel atto bastasse a coprire il frastuono, tutti tornano alle loro occupazioni e capisco che nessuno parlerà del rumore o ne indagherà le cause. Alice torna sulla mia scollatura e mi mima un “sono Ed e Bella”, intanto che penso se siano impegnati in una litigata furiosa o in una seduta di sesso selvaggio vengo interrotta dalla conseguenza incantevole e catastrofica della mia seconda ipotesi. «Tu devi essere Megan.» allunga la mano verso di me. Bellissima, perfetta.
«Proprio cosi» sono imbarazzata, si respira un'aria tesa e perfino Esme si tortura nervosamente le mani con un sorriso forzato sul volto dolce.
«Sono contenta di conoscerti, Jacob non parla mai di te, Billy tiene sottochiave tutto ciò che ti riguarda e qualsiasi traccia della tua presenza è stata accuratamente riposta in un cassetto per non creare malumori.» Mio malgrado mi ritrovo a spalancare gli occhi, provo a dire qualcosa ma la mia bocca si spalanca e basta, dandomi quasi certamente l'espressione di una ottusa zucca di Halloween.
«Renesmee, sei stata molto indelicata.» La rimprovera Alice, con uno sguardo incredulo. Lei si chiude nelle spalle e mi riserva uno sguardo impenetrabile, «scusa, non mi piacciono i mezzi termini. Comunque sia bentornata! Ora scusatemi ma devo andare a controllare che zio Emmett non abbia fatto un disastro con la disposizione dei tavoli.» Si lancia letteralmente dalla finestra e mi lascia lì, disorientata.
«Perdonala tesoro, è una sposina stressata» la giustifica Esme.
«Oh-oh no, oh-oh proprio no!» ridacchia sadica Amelia, poi mi riserva una guardata eloquente.
«Lei sa tutto» diciamo all'unisono io, Alice e lei. I toni sorpresi, scocciati e angosciati delle nostre voci si fondono in una polifonia discordante.
«Oh, misericordia.» erompe esasperata Esme e prende posto con fare scombussolato, socchiudendo gli occhi all'ennesimo tonfo sordo.

Non so ben identificare la ragione per la quale non ritorno alla riserva dopo il siparietto sconfortante condiviso con Nessie, presumibilmente perché quello che è uscito fuori risulta alle mie orecchie la conferma definitiva ciò che avevo percepito, ovvero del mio essere fuori luogo e tempo limite in questi luoghi e nei pensieri delle persone che li popolano; malgrado ciò nella piccola biblioteca di Carlisle respiro a pieno e mi concedo di abbassare la guardia.
Mi avvicino agli scaffali pullulanti di tomi e poso al suo posto il libro che tengo in borsa, lo avevo abbandonato a casa Black per anni. Ne accarezzo il dorso, praticando una lieve pressione per portarlo ad uniformarsi al fronte unico di cuoio verde e sospiro appagata, accarezzando con le dita i caratteri dorati dei titoli che incontro sulla strada che mi conduce alla poltroncina da lettura vicino alla finestra. Mi lascio cadere su di essa e mi perdo al di là degli scaffali, consapevole che questa sensazione pacifica e appagatrice sarà con ogni probabilità una delle poche favorevoli che mi ricorderò di questi giorni. Cerco di imprimere al meglio il modo in cui la luce colpisca le superfici, il profumo delle fresie sul tavolino e il colore degli alberi subito fuori dalla finestra, dello stesso verde intenso delle rilegature che mi circondano.
Qua alla fine mi sento a casa.

«Non mi stupisce trovarti qui.» sorrido alla voce di Edward mentre lo sento avvicinarsi piano, passo dopo passo.
«Avete dato spettacolo questa mattina» lo dico senza pensarci, rilassata e contenta di poter parlare con un amico, ma alla vista del suo viso corrugato comprendo che avrei fatto probabilmente meglio a star zitta. «È tutto okay?» azzardo, mettendomi seduta composta e puntandogli gli occhi in viso, incerta se andargli incontro per offrirgli conforto.
«Diciamo che io e Bella facciamo i conti con l'eternità.» L' atteggiamento che assume lascia intendere il suo rifiuto categorico di continuare il discorso, quindi mi cucio la bocca e gli tendo una mano, che prontamente lui afferra. Il suo viso si distende e condividiamo un minuto di muta complicità, contemplo le sue piacevoli fattezze, penso al suo buon animo e mi lascio cullare da pensieri dolciastri sul nostro passato, su noi due; quelle limitate circostanze passate insieme mi scivolano addosso, semplici.
«Meg.» mi rimprovera e io come scottata mollo la sua mano, che lui si porta tra i capelli, per poi stringere tra le dita il setto nasale. «Credimi, non è il caso.»
Mi scuso con un fil di voce, dandomi dell'imbecille, lui si avvicina e mi tocca delicatamente la guancia, piegandosi sulle ginocchia. Mi guarda dritto negli occhi e per la seconda volta in due giorni mi sento avvolta in un tormento asfissiante.
Perché il loro affetto mi soffoca così dolcemente?

«Ci sarò sempre per te.» adagia le labbra sottili sulla mia fronte e indugia lì, mentre io cerco di riemergere dalla burrasca in cui sto per annegare. «Non sarei dovuta venire» lo dico a me stessa per l'ennesima volta e lo chiarisco a lui, che è stato il primario fautore del mio ritorno.
«Sai quanto ho bisogno di te ed egoisticamente oserei dire che me lo devi.» strabuzzo la vista e la punto su di lui, con un sorrisino confuso sulla faccia.
«Ah, sì?» credo di comprendere a cosa si riferisca,ma preferisco chiederlo per fugare ogni dubbio.
Lui si stringe nelle spalle, dicendomi «quella volta a Candem in cui mi hai fatto buttare giù immotivatamente tanti di quegli shot di tequila da perderne il conto, ad esempio.»
«
Hey! Sarebbe stato triste ingurgitare da sola tutto quell'alcool!» esplodiamo con un'ilarità liberatoria.
I nostri visi sono a tal punto vicini, il suo alito così fresco, gli occhi incatenati e per un attimo penso che dopotutto sarebbe esclusivamente uno sfiorarsi di labbra e neanche il primo, non ci sarebbe niente di negativo nel cercare calore in Edward, di certo questo mio modo caino di riflettere non è un avvenimento insolito. Dal canto suo anche lui presumibilmente necessita di qualche smanceria, di un fugace sollievo. Il mio flusso di pensieri si interrompe bruscamente, insieme ai lenti movimenti dell'uno verso l'altro, dall'istante in cui qualcuno si schiarisce la voce pesantemente a limitata distanza da noi, facendomi prendere uno spavento.
«Ragazzi, per favore, un parossismo per volta» mormora Derek, afferra le nostre fronti e le spinge lontane, in un gesto non necessario, ma molto melodrammatico. Alla Derek.
Edward respira profondamente e dopo avermi lanciato uno sguardo addolorato esce dalla stanza in un soffio, seguito dal fratello ed io rimango da sola, accaldata e arruffata, seduta scompostamente su quella dannata poltroncina.


  
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