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Autore: _ A r i a    02/05/2020    1 recensioni
{ wizard!au | questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it }
«Negromanzia, eh?»
Reiji aveva finito per strozzarsi con il suo stesso respiro. Nell’aria risuonava ancora il trillo della campanella.
«C-che…?»
«Il libro. L’ho riconosciuto, so leggere il runico» aveva replicato il ragazzo, come se stesse constatando qualcosa di ovvio.
«Tutti… tutti i maghi sanno farlo» gli aveva fatto notare Reiji.
«Già» il ragazzo aveva sospirato, uscendo finalmente dalla bottega. Un momento dopo, era già sparito nel nulla.
Il tempo, che era parso fermarsi nell’attimo in cui quel giovane misterioso aveva messo piede all’interno del negozio, sembrò riprendere a scorrere solo in quel momento.
Kageyama non ne comprendeva ancora il motivo, ma aveva come l’impressione che avrebbe rivisto molto presto quel ragazzo.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La luce grigiastra del mattino filtrava attraverso il vetro della finestra, rischiarando appena l’ambiente.
Kageyama si lasciò rotolare di lato, affondando il volto nel cuscino e sperando, almeno così, di sfuggire a quel richiamo al nuovo giorno.
Non riusciva ancora a svegliarsi del tutto, eppure nella sua mente cominciarono a riaffiorare i ricordi della notte precedente.
Lui e Yuuto s’erano appartenuti, e stentava ancora a crederci. Era stato tutto così bello, così perfetto, così appagante e caldo…
Reiji mosse una mano accanto a sé, alla ricerca del corpo di Yuuto, perché aveva ancora bisogno di sentire quel calore intorno a sé.
Si ritrovò a balzare seduto sul letto quando, tuttavia, trovò la porzione di materasso accanto a sé miseramente fredda.
Do-dov’era Yuuto? Se n’era andato? Lo sapeva, aveva rovinato tutto, probabilmente lo aveva spaventato a morte e…
Alcuni rumori provenienti dalla cucina finirono per attirare la sua attenzione. Reiji si alzò cautamente, rivestendosi in fretta e attraversando la stanza cercando di non farsi notare.
Quando comprese quale fosse stata l’origine di quel trambusto, si sentì incredibilmente sciocco. Il suo cuore, inoltre, si riempì di un calore meraviglioso, dinanzi a ciò che i suoi occhi stavano ora osservando.
Yuuto era lì, in piedi e alquanto indaffarato tra i fornelli. Aveva disposto due caraffe ricolme di bevande sul tavolo, e ora si dibatteva agitando in una padella l’impasto per i pancake.
Era una scena quasi esilarante, perché era evidente che fosse un po’ in difficoltà. Forse non aveva mai preparato dei pancake in vita sua, e la condizione di non potersi servire della magia fino al rituale doveva rendere il tutto decisamente più complicato.
Reiji non riuscì a non trovarlo bellissimo.
S’era infilato una vecchia t-shirt, e Kageyama era abbastanza certo che l’avesse trovata nella sua cassettiera. Anche se si trattava dei suoi vestiti di quando aveva all’incirca l’età di Yuuto, sul corpo minuto del ragazzo sembravano essere comunque enormi.
Yuuto si voltò per lasciar cadere un pancake ormai pronto in un piatto di ceramica, e solo in quel momento s’accorse che Reiji l’aveva raggiunto.
«Oh, buongiorno» l’aveva salutato, le gote che s’imporporarono appena. «Spero di non averti svegliato io»
Reiji aveva inclinato la testa di lato, quasi sfiorando la spalla con una guancia. Come poteva esistere qualcuno così dolce…?
«No, affatto» si era apprestato a rassicurarlo. «Vedo che ti sei dato da fare»
«Sì» aveva ammesso il ragazzo. Sembrava sul punto di saltellare. «Prego, accomodati»
Reiji l’aveva assecondato. Aveva preso posto su una delle sedie, e Yuuto non aveva perso un istante ad occupare quella accanto a lui, porgendogli uno dei due piatti di pancake. In tutto ciò, Kageyama aveva notato che il ragazzo aveva smesso di dargli del lei, e la cosa, a dir la verità, lo rendeva forse più felice di quanto avrebbe dovuto esserlo.
C’erano anche alcuni vasetti di marmellata, Reiji non se ne era accorto prima. Le caraffe, aveva scoperto inoltre, contenevano rispettivamente latte e caffè.
«Non pensavo di avere così tante cose in dispensa» aveva ammesso Reiji, osservando stupefatto tutto quell’assortimento.
«Non c’erano, in effetti» aveva puntualizzato subito Yuuto, mentre stendeva un velo di marmellata di fragole sul suo pancake. «Sono sceso al konbini qua sotto per acquistarle. È stata un’ottima decisione, a ben pensarci»
Kageyama si ritrovò a pensare che era passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva vissuto un momento così tranquillo che quasi faticava a ricordare quando fosse stato. Sarebbe stato bello se ogni giorno fosse stato come quello, in cui svegliandosi ritrovava Yuuto lì con lui e si sedevano assieme al tavolo della cucina a fare colazione. Avrebbe dato tutto l’oro del mondo per poter vivere in un futuro come quello.
«Ah, sì?» aveva domandato, versandosi una tazza di caffè. «E per quale motivo, se posso chiedere?»
«Beh» Yuuto si era stretto nelle spalle, ma un ghigno appena accennato era comparso sul suo volto. «Perché ho trovato il luogo perfetto per il rituale»
Kageyama s’immobilizzò, un pezzo di pancake in bocca e il resto della forchetta sospeso a mezz’aria. Aveva quasi dimenticato il rituale. Avrebbe voluto poter pensare per tutto il tempo a Yuuto, a quanto lo amava, a quanto era stata bella la notte appena trascorsa. Purtroppo, però, c’era sempre quel ronzio in sottofondo, come un tarlo che lentamente gli stava mangiucchiando il cervello, ricordandogli che il tempo stava per scadere. Kageyama iniziava a sospettare che il mondo avesse deciso che lui non se la meritava, la felicità.
«E dove sarebbe questo luogo?» s’era limitato a domandare poco dopo, cercando di ostentare una nonchalance che in quel momento non gli apparteneva, mentre prendeva a tagliare un altro pezzo di pancake.
Yuuto si sporse in avanti, avvicinandosi ancor di più a Kageyama.
«A Samhain la comunità magica di Tokyo si riunisce al cimitero di Aoyama, giusto?» lo incalzò il ragazzo, e Reiji avvertiva i suoi occhi rossi ed elettrizzati fissi su di lui.
«Corretto» aveva risposto seccamente Kageyama, afferrando la tazza di caffè e facendo per portarsela alle labbra.
«In tal caso, credo che dovremmo andarci anche noi» aveva annunciato Yuuto, così fiero della sua deduzione. «Quale miglior luogo per un rituale di resurrezione se non un cimitero? Se le anime a Samhain sono così vicine alla Terra, di sicuro in un posto del genere ce ne sarà una concentrazione ancora maggiore. Basterà trovare una zona più in disparte, ampia e isolata dalle celebrazioni e il gioco sarà fatto, no?»
Reiji si ritrovò a fissare il ragazzo ancora una volta. C’era qualcosa che continuava a non tornargli, in tutta quella questione. Sapeva che, se aveva deciso di aiutare Yuuto, era stato principalmente perché, per la prima volta dopo anni, un bagliore di luce s’era affacciato in quella sua vita grigia e monotona. Ora, però, non potevano permettersi alcun tipo di passo falso. Se le cose fossero andate per il verso sbagliato, durante il rituale, le conseguenze avrebbero potuto essere immani e catastrofiche. No, nulla di male doveva accadere, era fuor di discussione.
Tecnicamente, però, non poteva dargli torto. Aoyama aveva tutte le carte in regola per essere lo scenario di quel rituale e, con le dovute precauzioni, le cose avrebbero potuto funzionare. Inoltre, temeva ormai di essere divenuto incapace di opporsi a qualsiasi richiesta del ragazzo – o forse, in maniera più probabile, non ne era mai stato capace.
Yuuto esercitava fin troppo potere su di lui.
Reiji bevve un sorso di caffè. Nero, amaro e bollente, esattamente come piaceva a lui.
«Sì» concesse infine. «Credo che sia la soluzione migliore»


Il tempo non era mai stato gentile con loro. Aveva corso come un pazzo fin da subito e, prima che potessero trovare un rimedio per farlo rallentare, la notte di Samhain era arrivata.
Per il resto del mondo sembrava un giorno come un altro. Bambini mascherati correvano per le strade, sacchetti di carta alla mano, mentre bussavano di porta in porta alla ricerca di dolcetti.
Kageyama, invece, non riusciva a quietarsi.
Nell’ultima settimana non avevano fatto altro che ripetere antiche formule in latino e tracciare con il gesso i contorni del cerchio sulla lavagna. Ormai sentivano di avere tutto impresso in maniera indelebile nella mente, eppure Reiji continuava a rimproverarsi. Sapeva che sarebbe dovuto restare più concentrato possibile, invece nei pomeriggi che avevano preceduto quella fatidica notte non aveva fatto altro che distrarsi. Yuuto era il suo pensiero fisso. Avrebbe voluto spingerlo lì, con il corpo contro la libreria, e impossessarsi ancora una volta di lui.
Ma non poteva farlo.
Aveva bisogno di lui nella sua vita, non avrebbe potuto perderlo per nessuna ragione al mondo. Gli sembrava di riuscire a stare bene solo quando ce l’aveva accanto, e proprio per questo il pensiero che in quella notte tutto sarebbe potuto cambiare lo terrorizzava.
Il ragazzo lo aveva preceduto, partendo nel primo pomeriggio alla volta di Aoyama. Reiji, invece, non s’era ancora mosso dall’appartamento di Akihabara. La scusa che aveva offerto al ragazzo era che aveva bisogno di preparare ancora un paio di cose prima del rituale. Yuuto, apparentemente, ci aveva creduto, così si erano dati appuntamento al calar del sole davanti ai cancelli del cimitero.
La verità, tuttavia, era un’altra.
Affacciato alla finestra del suo appartamento, Kageyama bevve un sorso del tè che s’era preparato. Quella voce nella sua mente non aveva mai smesso di parlare dal momento in cui Yuuto era entrato nella sua bottega per la prima volta e s’era fatta più insistente quando il ragazzo gli aveva esposto il suo progetto. Quella sera, tuttavia, era insopportabile: di solito era un brusio di sottofondo appena percettibile, adesso invece era una cacofonia stridula e macabra. Il suo istinto cercava di avvisarlo della presenza di guai in vista, Kageyama però continuava ad ignorarlo, perché più e più volte s’era detto che doveva restare positivo e che, se non l’avesse fatto, allora la riuscita del rituale sarebbe stata minata in partenza.
Era come se si trovasse davanti a un enorme e meraviglioso mosaico, ma, al centro, mancasse una tessera, a rovinarne l’aspetto. Un dubbio l’aveva accompagnato sempre, nel corso di quel mese, e per quanto Reiji avesse continuato a respingerlo indietro ogni volta, ecco che lui, continuamente, si ripresentava, quasi con sadismo.
Reiji scosse il capo, affranto. Ormai il tempo per pensare era finito. Avrebbe fatto meglio a cominciare ad avviarsi in direzione del cimitero.


Trovò Yuuto ad aspettarlo ai cancelli d’ingresso del cimitero, esattamente come avevano stabilito.
Indossava l’ampio mantello nero in cui l’aveva visto avvolto in una delle prime occasioni in cui s’era presentato alla bottega, una camicia candida con un ampio volant sul davanti e pantaloni e scarpe scure. Era così bello, nella sua perfezione, e Kageyama avrebbe voluto con tutto se stesso prenderlo di peso e portarlo via da lì alla velocità della luce, ma sapeva bene che Yuuto e i suoi immensi poteri non gliel’avrebbero permesso, e in ogni caso il ragazzo non l’avrebbe mai perdonato.
Quando lo vide arrivare, il ragazzo gli rivolse un leggero sorriso. Era ormai l’imbrunire.
«Ehi» l’aveva richiamato, quando giunse finalmente davanti a lui.
«Eccomi» aveva annunciato Kageyama. Una borsa pendeva giù dalla sua spalla. Al suo interno, sale, sale e ancora sale, assieme a un libro d’incantesimi per ogni evenienza.
Si guardarono negli occhi. Erano tesi come corde di violino, non c’era neanche bisogno che se lo dicessero.
Come in un tacito accordo, cominciarono ad avviarsi nello stesso momento oltre la soglia d’ingresso. Sembravano muoversi in sincronia, come se sapessero esattamente quando l’altro avrebbe compiuto il passo successivo.
Il cimitero di Aoyama era un’esplosione di luci, quella notte. Diverse lanterne rossastre erano state accese nei pressi delle lapidi, inoltre le bacchette d’incenso sprigionavano fumi soffusi tutt’intorno.
L’ultima volta in cui aveva partecipato a quelle celebrazioni, Kageyama ricordava che assieme a lui c’erano ancora i suoi genitori. Avevano portato delle offerte ai loro cari deceduti, e avevano osservato assieme la festa delle anime.
Dopo l’incidente, tuttavia, per Reiji quella festa non era divenuta che un ennesimo motivo di sofferenza.
Da sotto al mantello, Yuuto allungò una mano, cercando la sua. Reiji gliela strinse subito, in apprensione.
Un mare di persone si aggiravano attorno alle lapidi. Quella zona era decisamente troppo affollata, non sarebbe mai andata bene per il rituale. Dovevano trovare un’ala più isolata, dove la confusione non li avrebbe raggiunti.
Reiji era consapevole degli sguardi incuriositi che avevano raggiunto il suo volto, ed era certo che più d’uno dei presenti l’avesse riconosciuto. La bottega ad Akihabara, in fin dei conti, continuava ad essere un punto di riferimento assai importante per la comunità magica.
«Dobbiamo allontanarci da qui» aveva mormorato.


Un’ala del cimitero era abbandonata. Lo avevano intuito perché né lanterne né incensi erano stati accesi lì, inoltre non c’era fortunatamente nessuno in vista.
Avevano percorso diversi vicoli secondari tra le lapidi, finché non si erano ritrovati in quel luogo. Un vecchio mausoleo sorgeva in fondo ad un ampio piazzale, e le tombe nei dintorni erano ricoperte di ragnatele ed erbacce, segno che nessuno vi aveva messo piede per molto tempo.
Probabilmente non lo avrebbero fatto nemmeno quella sera.
«Qui andrà bene» aveva decretato Yuuto.
Il ragazzo stava per spingersi in avanti, ma Reiji l’aveva afferrato per un braccio. Lo attirò a sé, posandogli un bacio sulle labbra.
«Yuuto, io…» aveva cercato di richiamarlo Kageyama.
Lo stregone, tuttavia, pareva non avere molta voglia di ascoltarlo. Gli carezzò una guancia, sorridendogli – eppure sembrava così distante…
«Ce la faremo, Kageyama» lo rassicurò, e appariva davvero convinto delle sue parole.
Prima che Reiji potesse lasciarlo andare, il ragazzo s’era già liberato della sua stretta. Sapeva che ormai non aveva più possibilità di fargli cambiare idea, e forse, in fondo, non ce l’aveva mai avuta.
Reiji sospirò. Sconsolato, aprì la borsa, estraendo il sacchetto in cui aveva riposto il sale.
«Ricorda» cominciò Kageyama, tracciando i primi accenni dei contorni del cerchio a terra. «Non tutte le anime hanno voglia di sentir parlare. Dovrai rivolgerti a loro in tono forte e sicuro, altrimenti…»
«Reiji, ne abbiamo già parlato un centinaio di volte…» gli rammentò Yuuto, con lo stesso tono di chi si sta rivolgendo ad un bambino testardo. Il ragazzo sorrise nella sua direzione.
Kageyama si strinse nelle spalle. «Lo so» ammise. «Sono solo tanto preoccupato…»
Reiji terminò di disegnare il cerchio a terra. Non appena si allontanò di qualche passo, Yuuto fece ingresso all’interno di esso, facendo attenzione a non calpestarne i confini.
Si osservarono per un lungo, interminabile istante. Quelle iridi rosse e nere, incontrandosi, si mormorarono cose che, forse, le loro labbra non avrebbero mai avuto l’ardire di pronunciare.
Poi, tutto cominciò e, al tempo stesso, finì.
«Ignis» ordinò Yuuto, e il sale sul terreno fu avvolto da fiamme azzurre.
Kageyama si rese conto che quella era la prima volta in cui lo sentiva pronunciare l’incantesimo. Di solito, Yuuto era così potente da riuscire a compiere qualsiasi magia semplicemente con un gesto della mano. Questa volta, però, era tutto diverso.
«Numini caelis» recitò Yuuto «invoco vobis ut reddatis me quod rapuistis! Animae, surgite!»
La terra tremò. Nubi scure come la notte si addensarono in cielo e, in lontananza, rimbombò un tuono. Non sembrava affatto un buon presagio.
Una raffica di vento gelido e furente sferzò lo spiazzo in cui si trovavano, e fumi buastri cominciarono a scivolare da sotto le lapidi. D’improvviso, quel tarlo che tanto a lungo aveva tormentato la mente di Reiji tornò a ripresentarsi, e questa volta lo sentì come gridato dentro di sé.
E se i genitori di Yuuto fossero passati oltre?
Non aveva mai pronunciato ad alta voce quel suo timore, perché sapeva che avrebbe profondamente ferito il ragazzo. Ora però, tutto sembrava così ovvio, così pericolosamente chiaro.
Yuuto era cresciuto in maniera eccellente anche senza avere i suoi genitori accanto. Era diventato il mago più brillante del mondo, e la loro perdita non sembrava averlo limitato in alcun modo. C’era la sofferenza interiore, certo, ma ogni perdita ne comportava una.
Non era possibile richiamare un’anima che avesse accettato il proprio destino, recandosi serenamente nell’aldilà.
Questo significava che, attraverso l’incantesimo, Yuuto stava richiamando tutte le anime che invece si trovavano ancora nel limbo tra il mondo dei vivi e il regno dei morti, quelle cioè che non s’erano arrese alla propria condizione. Il velo che divideva i due mondi, a Samhain, era incredibilmente sottile, se l’erano ripetuti un mare di volte. Dunque, l’unico effetto che quell’incantesimo stava sortendo era quello di una calamita, attirandole tutte in un unico punto.
Avrebbero fatto di tutto pur di stracciare il velo.
Aveva letteralmente lasciato Yuuto in pasto a quegli spiriti.
No. Non di nuovo.
Reiji pensò a suo padre, a come era stato sopraffatto, all’esplosione che ne era conseguita. No, non poteva commettere lo stesso errore in cui era già caduto in passato, non avrebbe permesso che la stessa sorte capitasse anche a Yuuto, se l’era giurato fin dal primo momento.
La magia nera esige sempre un pegno.
Di nuovo quelle parole. Kageyama digrignò i denti.
Non stanotte.
Doveva riflettere bene prima di agire. Non poteva permettersi un altro sbaglio. La prima cosa da fare era rompere il cerchio di sale, sperando che fosse sufficiente ad interrompere la connessione dell’incantesimo, ma non poteva semplicemente lanciarsi lì e tirare via Yuuto, come tanto avrebbe voluto. Doveva individuare il momento giusto.
Le anime erano sospese sopra al cerchio, come avvoltoi che si librano in circolo nell’aria prima di lanciarsi sulla loro preda. Ci fu un nuovo tuono, e allora, in un brulichio solenne di morte, si gettarono in picchiata verso Yuuto.
Ora.
Reiji corse in direzione del cerchio. Noncurante delle fiamme, tracciò via con un piede parte del confine. Come aveva temuto, non bastò a fermare gli spiriti, perlomeno però gli aveva permesso di raggiungere Yuuto. Li avrebbero affrontati insieme.
Il ragazzo aveva già scagliato un incantesimo scudo, che avvolse entrambi e li riparò da quel primo assalto delle anime. Reiji sapeva fin troppo bene che, tuttavia, l’aura rossa e semisferica del ragazzo non li avrebbe protetti a lungo da quei colpi violenti.
«Che è successo, Kageyama?» Yuuto urlò per farsi sentire sopra al ruggito delle energie che si scontravano. Teneva le braccia tese verso l’alto per sostenere lo scudo, ma, per quanto la sua magia fosse potente, reggere ad un attacco del genere era davvero faticoso.
Il ragazzo non lo guardava, troppo impegnato a proteggere entrambi, ma Kageyama temeva che, se gli avesse detto la verità, quegli occhi rubizzi non si sarebbero mai più posati sulla sua persona.
Reiji si morse il labbro, con espressione colpevole.
«Temevo sarebbe potuta andare in questo modo» ammise, sentendo qualcosa dentro di sé spezzarsi irrimediabilmente. «Mi dispiace, Yuuto. Se ne sono andati. In un primo momento ci avevo sperato anch’io, che la tua magia li avesse trattenuti qui, ma… così non è stato. Sono mortificato…»
Yuuto ringhiò di rabbia. Kageyama non riusciva a capire se ce l’avesse con lui o con se stesso, per aver covato tanto a lungo un desiderio folle e irrealizzabile.
«Non fa niente!» si arrese infine. «Adesso abbiamo un problema ben più grave, mi pare. Come facciamo a ricacciarle indietro?»
Kageyama deglutì a vuoto.
«Non… non lo so» confessò, desolato.
Per un istante, gli occhi di Yuuto si voltarono per fulminarlo.
«Che vuol dire che non lo sai?» gridò ancora, furioso. Le anime avevano preso a sferzare una raffica di colpi rapidi e intensi alla barriera.
«N-non avevo messo in conto un piano di riserva per una situazione del genere, d’accordo?» si giustificò Kageyama, il panico che s’impadroniva sempre più di lui.
«Beh, allora farai meglio a trovarne uno, e anche in fretta, perché non so per quanto ancora riuscirò a reggere questo scudo prima che gli spiriti ci uccidano!» annunciò Yuuto, in tono grave.
Aveva ragione. Per quanto fossero entrambi maghi molto potenti, una situazione di una simile portata sarebbe stata ingestibile per chiunque. Dovevano cercare di guadagnare tempo, mentre provavano a trovare l’incantesimo giusto.
«Yuuto, le lapidi!» esclamò Kageyama, certo che il ragazzo avrebbe compreso.
Yuuto lanciò un rapido sguardo alla sua destra. Poi, continuando a sostenere lo scudo, pronunciò un nuovo incantesimo.
«Lapides iacere!» ordinò, e i sepolcri furono all’istante scardinati. Le lapidi si scagliarono in direzione delle anime e, almeno per qualche secondo, riuscirono a sparpagliarle.
Era il diversivo di cui avevano bisogno. Senza perdere tempo, Reiji tirò fuori dalla borsa il libro di incantesimi che aveva portato con sé. Non aveva mai compiuto una magia tanto potente quanto quella che si accingeva a recitare, ma era l’unica soluzione che avevano, se volevano uscire sani e salvi da quella notte.
Le anime ripresero a lanciarsi contro lo scudo, che già in alcuni punti aveva cominciato a creparsi. Yuuto aveva ragione, il rituale gli aveva richiesto una quantità di magia immane, non sarebbe riuscito a proteggere entrambi ancora a lungo.
Bisognava agire in fretta. Reiji aveva trovato una formula che, in teoria, avrebbe potuto funzionare. Se così non fosse stato, tuttavia, non ci sarebbe stato scampo per loro.
Non avrebbe potuto sbagliare.
Ora o mai più.
Affondò i palmi nella terra nuda e umida e, facendo appello a tutte le sue forze, iniziò a recitare il suo incantesimo.
«Dii immortales, qui nostram terram regitis, ducite vobis has animas, quae vestrae sunt!» esalò, e sentì ogni fibra del suo corpo vibrare di un’energia che non sapeva neppure esistere.
La terra tremò. Inizialmente, sembrò che l’incantesimo non avesse sortito nessun effetto. Kageyama trattenne il fiato, incapace di calmarsi. Se non avesse funzionato, allora cosa…
Poi, però, tutto cominciò a mutare di nuovo.
Una luce bianca e fortissima si diffuse nello spiazzo. Reiji non riusciva più a vedere niente, ed era certo che lo stesso valesse anche per Yuuto. Un’aspirazione violenta fu udita dalle loro orecchie e, un attimo dopo, un’esplosione fortissima detonò su di loro.
Lo scudo cedette, e lui e Yuuto furono sbalzati all’indietro. Il ragazzo sentì le forze venirgli meno, e si lasciò cadere al suolo.
Reiji lo afferrò appena in tempo. Con la stessa repentinità con cui era apparsa, quella luce scomparve, lasciandoli soli nel buio della notte. Kageyama stentava a crederci, eppure anche le anime si erano volatilizzate.
Ce l’aveva fatta. Lo aveva salvato.
Reiji strinse il corpo privo di sensi del ragazzo a sé. Respirava ancora.
Era tutto finito.




▬ note

Ed eccoci qui con il penultimo capitolo!
Per quanto io mi ritenga assolutamente negata nella scrittura di scene d'azione, devo dire che questa non mi è venuta poi così male. Certo, avrei preferito che fosse più lunga, ma credo di essere riuscita a creare una buona dose di suspence. O almeno lo spero.
Quindi dovendo fare una lista di ciò che riesco a scrivere meglio e ciò che, invece, mi riesce in maniera catastrofica, riassumerei così:
sì: angst (e hurt/comfort), dialoghi, introspezioni
no: lemon/lime, scene d'azione, fluff
Che comunque, tutto sommato, non è un bilancio poi così catastrofico, dai.
Ma veniamo a noi. Tra Ostara e Samhain ho scelto il secondo prompt, semplicemente perché era quello che avevo più presente, avendone letto altre rappresentazioni in passato, e poi cronologicamente s'incastrava meglio con i tempi narrativi della long.
Purtroppo, le cose non sono andate per il meglio. Tecnicamente però potevano essere decisamente peggiori, per cui credo che ci toccherà farcele andare bene così.
Per quanto riguarda gli incantesimi, spero che la formulazione in latino sia corretta. Quando ho scritto il capitolo ho passato più tempo a consultare il dizionario online che a scrivere il testo vero e proprio. Purtroppo, per la gioia dei miei ex insegnanti, ho lanciato cinque anni di nozioni nel baratro del dimenticatoio alla velocità della luce, però, trattandosi di una ff, magari qualche licensa linguistica posso permettermela
– e poi oh, andiamo. Sono giapponesi che, in epoca moderna, recitano incantesimi in latino antico, non possiamo aspettarci poi tutta questa correttezza.
Bene, credo di aver detto tutto per oggi. Ci vediamo domani con l'ultimo capitolo, anche se non sono certa di essere pronta a dire addio per sempre a questa storia.

Aria
   
 
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