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Autore: _Joanna_    04/05/2020    0 recensioni
Fanfiction ispirata alla celebre serie TV (nonché romanzo) The Man in the High Castle.
Londra, 1998.
In un mondo dove il Signore Oscuro non ha mai udito la Profezia e non ha dunque mai ucciso i genitori di Harry Potter, finendo con il perdere tutti i propri poteri, si intrecciano le storie dei nostri amati protagonisti.
Lord Voldemort ha trionfato e ora governa con pugno di ferro su tutta l'Inghilterra, esercitando la sua prepotente influenza anche sul resto del mondo.
Ma un uomo, l'Uomo nell'Alto Castello, sta facendo circolare strani giornali e fotografie animate, che raccontano di un mondo diverso, più felice ed equo, dove Voldemort è stato annientato e il suo regime abbattuto.
Riusciranno i nostri eroi a rendere quel sogno impossibile una realtà?
E chi si ergerà a paladino della Resistenza, in questo mondo, dove non esiste alcun Ragazzo Sopravvissuto?
In definitiva, quello era decisamente un mondo cupo e triste in cui vivere, dove la speranza di un futuro diverso e migliore stava cedendo rapidamente il passo a una tetra e desolata rassegnazione.
Neville ancora non poteva saperlo, ma la scintilla della rinascita era già stata appiccata
.
Genere: Drammatico, Guerra, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Potter, Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista, Severus Piton | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
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Regret




13 ottobre 1998





Harry detestava Piton.
Odiava i suoi modi sprezzanti, la sua aria di superiorità, la sua arroganza.
Ogni cosa di lui era sgradevole.
Severus Piton era stato il suo insegnante per sette, lunghi anni.
Già dal primo giorno, Harry aveva dovuto sopportare le sue battutine svilenti durante le interminabili ore di Pozioni. Il fatto che fosse figlio del famoso James Potter non sembrava importagli, come se non temesse rappresaglie da parte sua.
E purtroppo, aveva dovuto constatare, aveva ragione: Piton era un Mangiamorte di alto rango, quanto bastava perché il padre di Harry non si spingesse oltre qualche commento minaccioso.
L'ultima lezione prima degli esami era stata una specie di festa di diploma anticipata: non avrebbe più dovuto avere a che fare con quell'untuoso, sgradevole mago.
Tuttavia, un paio di giorni prima, era arrivata una lettera dal preside, il professor Lumacorno, che lo invitava nel suo ufficio per discutere della sua futura carriera; Piton, in qualità di suo vice, nonché direttore degli allievi dell'ultimo anno, sarebbe stato presente.
Harry era seccato.
Quell'incontro era solo un proforma: per i neodiplomati come lui era giunto il momento di scegliere la strada da intraprendere, ma, naturalmente, suo padre gli aveva già procurato un impiego al Ministero come vice-capo sezione del Dipartimento Permessi e Licenze del Ministero. Evidentemente, però, procedure e burocrazia andavano rispettate.
Harry pensava di recarsi a Hogwarts da solo ma, a sorpresa, sua madre aveva insistito per  accompagnarlo.
Era una scocciatura, perché certamente il preside avrebbe accolto calorosamente, e lungamente, la moglie del famoso James Potter, il capo del Dipartimento di Applicazione della legge sulla Magia, praticamente il Ministro in seconda; Harry, invece, avrebbe preferito stare alla presenza di Piton il meno possibile.
Sua madre, però, era stata irremovibile, e ora Harry stava sfogando la sua frustrazione gettando alla rinfusa i suoi abiti per la stanza, prendendosi tutto il tempo per vestirsi con calma. Arrivare in ritardo all'appuntamento era il solo mezzo che aveva per mostrare a Piton il suo disprezzo.
Con deliberata lentezza studiò la sua immagine nello specchio e si diede un'ultima, studiata arruffata ai capelli. Erano sempre stati folti e ribelli, ma Harry non aveva mai tentato di domarli. Gli conferivano un'aria di altera indolenza e, soprattutto, piacevano alle ragazze.
Quando ebbe terminato le scuse per attardarsi, decise di scendere in salotto, dove sicuramente sua madre lo stava aspettando.
«Te l'ho già spiegato, Margery, non puoi venire con noi»
Harry varcò la porta del salotto, dove Lily Potter era alle prese con l'ennesimo capriccio della sua sorellina minore.
«Ma perché?» protestò Margery, pestando i piedi sul pavimento, le mani strette a pugno. Era sempre stata molto testarda.
«Basta così» replicò sua madre, in tono conclusivo.
Per un attimo, madre e figlia si fronteggiarono.
Erano l'una la copia in miniatura dell'altra, come le persone non mancavano mai di notare.
Margery aveva ereditato i folti capelli rossi e gli occhi verdi della madre, nonché il suo stesso carattere forte e deciso.
Harry, invece, assomigliava moltissimo a suo padre James, tranne che per gli occhi, che erano uguali a quelli di Lily e di Margery.
Suo fratello Edward, di cinque anni più piccolo di Harry, invece, era in tutto e per tutto identico al padre.
Nel frattempo Margery doveva aver capito che la questione era chiusa; con un'ultima occhiata piena di frustrazione, voltò le spalle alla madre e uscì dalla stanza in silenzio.
Lily sembrava molto turbata, ma si ricompose all'istante vedendo Harry entrare.
«Sei pronto?» gli chiese.
Harry annuì, avvicinandosi al camino ed entrambi presero una manciata di Polvere Volante.
Harry detestava quel modo di viaggiare. Era rapido e sicuro, ma sporco; la cenere si insinuava ovunque e spesso il calore era insopportabile.
Così, di mala grazia, gettò la Polvere tra le fiamme e vi saltò dentro, enunciando con chiarezza la sua destinazione; dopo parecchi vortici smeraldini comparve nel camino dell'ufficio del preside.
Il professor Lumacorno era seduto alla sua scrivania e all'altro capo c'era l'odioso Piton, un bozzolo nero chino su una pila di documenti.
Il preside si alzò in fretta, tanto quanto lo permetteva la sua enorme mole.
«Harry, ragazzo mio, benvenuto!» tuonò gioviale, facendo tremare i suoi grossi baffi biondicci. «Un po' in ritardo, ma non importa» puntualizzò, facendogli l'occhiolino e Harry pensò l'avesse detto solo perché Piton doveva essersi lamentato fino a un attimo prima. Questo era stato il suo preciso obiettivo, pensò felice, gettando un'occhiata veloce
all'odiato insegnante che, invece, era rimasto seduto; in quel momento, lui sollevò lo sguardo, colmo di astio, quindi tornò a dedicarsi alle sue carte.
Harry uscì dal camino e, pochi istanti dopo, Lily Potter comparve al suo fianco.
Piton mise da parte i documenti e si alzò in piedi.
Non era cambiato da quando Harry aveva avuto il dispiacere di conoscerlo per la prima volta; alto e untuoso, indossava sempre la divisa dei Mangiamorte. A suo padre donava un aspetto rigoroso e solenne, mentre Piton sembrava solo un pipistrello gigante.
«Buongiorno, signora Potter» salutò il preside, entusiasta, porgendole poi una mano grassoccia, che quasi stritolò quella piccola e affusolata di sua madre.
Piton salutò a sua volta, limitandosi poi a un rigida e frettolosa stretta di mano. «Signor Potter» aggiunse rivolto a lui, la bocca atteggiata in una smorfia che Harry conosceva fin troppo bene. Non gli tese la mano, cosa che non gli dispiacque affatto.
Il professor Lumacorno non se ne accorse.
«Accomodatevi» li invitò, indicando le due poltroncine all'altro capo della scrivania, una delle quali era stata occupata da Piton fino a un minuto prima.
Erano soffici e un po' pacchiane, come il resto dell'ufficio del preside, arredato in maniera lussuosa, quasi ridondante.
Le pareti, una volta tappezzate dei ritratti dei presidi del passato, ora erano occupate da mensole e scaffali, ricolmi di libri pregiati, oggetti scintillanti e foto di personalità illustri.
Quella più grande, collocata in posizione privilegiata, ritraeva il Signore Oscuro, che  scrutava i presenti con i suoi intensi occhi rossastri.
Harry e sua madre presero posto, mentre Piton faceva comparire un'altra sedia, molto semplice ed essenziale e dall'aspetto duro e scomodo.
Piton non aveva mai amato gli agi, rifletté.

*

Lily si agitò nervosamente sulla poltrona di chintz, ma nessuno dei presenti parve notarla.
Piton, infatti, stava passando a suo figlio un ultimo documento di firmare; Harry intinse di nuovo la penna nel calamaio, scambiandosi un cenno di intesa con il professor Karkaroff, che li aveva raggiunti pochi minuti dopo il loro arrivo.
Igor Karkaroff insegnava Arti Oscure a Hogwarts, ed era il professore preferito di Harry. Non era un mago di sorprendente abilità, ma era viscido e accattivante, sempre pronto a favorire i suoi studenti prediletti, dispensandoli dai compiti più noiosi e garantendo per loro quando violavano il coprifuoco.
«Bene signor Potter, direi che abbiamo finito» dichiarò il preside, allegro e Piton prese a radunare i fogli firmati.
Harry si alzò subito, chiaramente grato di poter lasciare l'ufficio.
«Complimenti, Harry» gli disse Karkaroff, battendogli una mano sulla spalla «Farai carriera in un attimo» dichiarò compiaciuto.
Lily rimase seduta. O adesso o mai più, si disse.
«Vorrei scambiare due parole con il professor Piton, se possibile».
Il preside parve risentirsi, ma poi tornò ai suoi soliti modi affabili «Naturalmente, come desidera mia cara» disse, alzandosi «Puoi usare il mio ufficio, Severus».
Piton lo ringraziò con un cenno del capo.
Harry le rivolse uno sguardo perplesso «Va bene» disse infine, con noncuranza, quindi si avviò verso la porta, con Karkaroff accanto, che aveva ancora la mano posata sulla sua spalla, e Lumacorno che trotterellava dietro di loro.
«È quasi ora di pranzo, saranno tutti in Sala Grande, saranno felici di rivederti» disse Karkaroff, in tono confidenziale, e il preside gli fece eco «Oh certo, farò preparare qualcosa di speciale dagli elfi domestici giù in cucina» dichiarò entusiasta, chiudendosi la porta alle spalle.
Lily attese qualche istante, per assicurarsi che fossero fuori portata d'orecchio.
Era angosciata, ma Piton era la sua unica speranza ormai.
L'uomo la scrutava attentamente e parve accorgersi del suo stato d'animo, perché chiese «C'è qualcosa che non va?»
Lily non rispose. Abbassò la testa, cercando di sfuggire allo sguardo minaccioso del Signore Oscuro; era solo una foto, ma Lily non riusciva  a scacciarsi di dosso l'impressione di essere osservata da quei gelidi occhi rossi, pronti a fulminarla non appena avesse dato voce ai suoi pensieri pericolosi. Respirò profondamente, tentando di calmarsi e trovare le parole giuste.
«Lavorare per il Ministero può comportare qualche rischio, ma la sezione Licenze non opera sul campo, non c'è motivo di preoccuparsi» riorese Piton, ma Lily lo ascoltava a malapena. Mise su lo sguardo più determinato che riuscì a trovare e, finalmente, esordì «Non è di Harry che voglio parlare».
Piton annuì impercettibilmente, invitandola a proseguire.
«Si tratta di mia figlia, Margery»
Si fermò di nuovo.
Stava commettendo un errore? Poteva davvero fidarsi dell'uomo che aveva davanti?
Fu lui a riempire il silenzio.
«Dovrebbe compiere undici anni il prossimo anno, giusto?»
Lily si limitò ad annuire.
«Che io sappia, l'elenco dei nuovi iscritti non è ancora arrivato» continuò Piton «Ci sono ancora dei ritardi nelle comunicazioni, la lista deve essere prima espurgata» aggiunse, alludendo ai Nati Babbani che continuavano a spuntare nonostante le politiche ministeriali «Ma naturalmente, sarete i primi ad essere contattati… »
«Margery non verrà a Hogwarts» lo interruppe Lily.
Piton l'osservò confuso.
«Margery è una bambina buona, dolce, gentile, ma-» le parole le si strozzarono in gola; comprese solo in quel momento che non sarebbe mai riuscita a pronunciarle.
Di nuovo, Piton la studiò attentamente, trafiggendola con i suoi scaltri occhi neri «Credi sia una Maganò?» le chiese.
Lily si sentì quasi sollevata; lui aveva intuito la situazione con molta più rapidità di quanto avesse osato sperare.
«Io lo so!» rispose «James e io abbiamo provato di tutto» continuò; la paura, l'urgenza di trovare una soluzione ora fungevano da catalizzatore, scacciando la disperazione che l'aveva oppressa fino a quel momento e dandole la forza di continuare a parlare. «È stato inutile. James si è arreso, da mesi ormai tratta Margery come se non esistesse».
Cadde di nuovo il silenzio, carico e teso.
«Mi dispiace» commentò Piton alla fine «Non posso immaginare quello che stai provando» aggiunse «Ma anche volendo, non posso aiutarti, la legge è legge, lo sai».
Lily avvampò, furente «È mia figlia!» esclamò, indignata «Non posso lasciare che la prendano!»
«Lily» tentò lui, conciliante «Capisco… »
«No, tu non capisci! È mia figlia!» ripeté. Si era alzata in piedi, anche se non ricordava di averlo fatto, e ora guardava Piton dall'alto in basso, cieca di rabbia.
«Tuo marito è uno degli uomini più potenti del Paese» considerò lui con semplicità, ma a Lily non sfuggì la sua smorfia insofferente, come se ammetterlo gli costasse un tremendo sforzo «Non può sottrarsi alle leggi che incarna lui stesso, perderebbe ogni credibilità, la sua autorità verrebbe meno, lo sai»
«Quelle leggi sono barbare!» protestò Lily.
«Prima non la pensavi così» osservò lui, calmo, alzandosi però a sua volta «Non hai mosso un dito quando il Ministero ha cominciato a dare la caccia a Sanguemarcio e Babbani, hai voltato la testa quando i Maghinò venivano usati come cavie. Dovresti considerarti fortunata, vista la vostra posizione, per Margery sarà una cosa rapida e discreta» disse, gelido.
Lily era sconvolta, ma Piton aveva appena cominciato «Proprio tu, che a scuola mi accusavi di frequentare cattive compagnie, di interessarmi troppo a maledizioni e incantesimi oscuri. Mi hai disprezzato per questo, e ne avevi il diritto, pensai. E poi che cosa hai fatto? Quando il tuo James si è unito a quelle stesse brutte compagnie non hai avuto nulla da obiettare, vero?» continuò, implacabile «Ha fatto falsificare i tuoi documenti perché sfuggissi alle persecuzioni, e poi ha iniziato a massacrare quelli come te. Ha mandato a morte i suoi vecchi amici, trucidato Babbani e traditori, ma per te andava bene!»
«Sei solo un'ipocrita» concluse, disgustato.
Era vero, aveva ragione, pensò Lily nel panico. Severus era stato la sua ultima possibilità.
«Ho avuto paura» ammise; non voleva cercare giustificazioni, anche se quelle parole suonavano terribilmente come una patetica scusa.
«Harry era appena nato, dovevo proteggerlo. Non era rimasto più nessuno in grado di fermare il Signore Oscuro, James e io abbiamo preso l'unica decisione possibile per salvare la nostra famiglia. L'ho fatto per mio figlio».
Si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime, la sua coscienza, che aveva messo a tacere per tanti anni, ora minacciava di distruggerla.
Non aveva avuto scelta, si era ripetuta.
Silente era stato sconfitto, privato dei suoi poteri, il Ministero ormai ridotto all'impotenza e la Resistenza, per quanto caparbia, senza più una guida non aveva avuto speranze di vincere contro l'esercito del Signore Oscuro.
Si erano arresi, ma nulla poteva giustificare le atrocità di cui si erano resi complici.
Aveva sacrificato i suoi stessi principi per amore di suo figlio e ora i morti le presentavano il conto.
Piton continuava a fissarla in silenzio, l'espressione indecifrabile.
«Il Signore Oscuro si è preso tutto» riprese lei «Harry, l'hai visto, freme alla prospettiva di servirlo e Edward… credo di aver perduto anche lui. Ma Margery no, non posso, non voglio che mi porti via la mia bambina!»
Severus non disse nulla.
Poi, lentamente, si avvicinò e, senza esitazione, la cinse in un abbraccio.
Lily, dapprima sorpresa, si abbandonò tra le sue braccia, ritrovandosi a piangere sulla spalla del suo vecchio amico.
«Ti aiuterò» sussurrò Severus al suo orecchio e Lily lasciò che quelle parole agissero come un balsamo sulla sua anima colpevole e ferita.

*

Ron non riusciva a credere di essere stato così ingenuo.
La mattina dopo la morte di Ginny, si era svegliato e aveva trovato il letto accanto a sé vuoto.
Non aveva neanche provato a chiamare Hermione; sapeva già che non era più in casa.
Gli aveva lasciato un biglietto con scritto “perdonami”, che Ron aveva accartocciato con rabbia e poi gettato sulle braci inerti della piccola stufa.
Avrebbe dovuto bruciarlo.
Aveva poi passato la mattinata rimuginando sul da farsi. La sera prima aveva pensato di recarsi al Ministero per denunciare la scomparsa di Ginny, ma la partenza di Hermione aveva cambiato tutto. Avrebbe dovuto denunciare anche la sua di scomparsa? Oppure avrebbe dovuto inventarsi una scusa per giustificare la sua assenza? E se sì, quale?
Hermione non aveva parenti lontani, a parte i genitori Babbani, di cui non aveva più avuto notizie da quel pomeriggio di tanti anni prima. C'era la famiglia di Ron, che ufficialmente era anche quella di Hermione, ma non voleva coinvolgere i suoi fratelli più del dovuto.
Anche se, prima o poi, avrebbe dovuto mettersi in contatto con loro: presto si sarebbero accorti della strana assenza di Ginny.
Ma il Ministero era stato più veloce dei suoi ragionamenti frenetici.
Un paio di Guardie aveva bussato alla porta poco prima di pranzo, chiedendo di Ginny.
Ron aveva finto di non sapere nulla di ciò che le era accaduto e aveva fornito loro l'indirizzo della sorella; quelli se n'erano andati in fretta, apparentemente soddisfatti.
Ma Ron sapeva che sarebbero tornati.
E infatti, in serata aveva visto arrivare altri due uomini; non portavano la divisa dei Mangiamorte, né mostravano alcun segno di riconoscimento, ma Ron sapeva che erano sgherri del Ministero.
Avevano tenuto la casa sotto sorveglianza per ventiquattro ore, poi si erano allontanati.
Ron si era sentito sollevato.
Un altro errore di valutazione.
Erano tornati poche ore dopo, in uniforme; avevano fatto irruzione nel seminterrato e l'avevano perquisito, trovando il biglietto di Hermione.
Tanto era bastato per trarlo in arresto.
Era stato un idiota, si disse per l'ennesima volta.
«Bene bene, Weasley» disse una voce, fredda e strascicata «Non hai perso tempo a seguire le sventurate orme dei tuoi genitori, traditori del proprio sangue» lo schernì.
«Portatelo nella stanza degli interrogatori».





  
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