3.
Accomodatosi sullo
scranno su cui, in precedenza, si era seduto Dioniso, Alekos
guardò il volto
pallido di Eris con occhi intrisi di preoccupazione. Lui
l’aveva costretta a fare
cose ai limiti del sopportabile, e ora giaceva ferita in quel letto per
colpa
del suo colpo di spada.
Poco importava che fosse
stato il suo alter ego, a colpirla. La mano che aveva inferto il
fendente, era
stata pur sempre la sua.
Sbuffando leggermente,
Eris ne attirò l’attenzione e disse: «Se
ti sento dire ‘mi
dispiace’ o qualcosa di simile, giuro
che…»
«Lo so» sorrise
suo
malgrado Alekos. «Mi dai un calcio sul sedere.»
«Potrei fare di peggio,
vista la situazione particolare» sottolineò la
dea, tastandosi il fianco
dolorante prima di mettersi seduta.
Alekos la aiutò lesto,
sprimacciandole i cuscini prima di farla poggiare con delicatezza
contro di
essi. Nel farlo, le sistemò anche le ciocche dei lunghi
capelli dietro le
spalle e, sorridendo, mormorò: «Sono contento che
ti siano ricresciuti.
L’acconciatura che ti aveva fatto Afrodite era bella, ma i
capelli così lunghi
ti stanno molto bene.»
La dea sorrise maliziosa,
a quelle parole, e celiò: «Ma che
bravo… ora mi lusinghi, invece di chiedermi
scusa?»
Alekos rise, scrollò le
spalle come per ammettere di essere stato scoperto ma disse:
«Dico la verità,
anche se era un modo alternativo per chiederti scusa.»
«Agápi,
ho imparato a conoscerti bene, e so come ragiona la tua
testa… anche se il tuo amichetto mi ha davvero fatto
dubitare di te, negli
ultimi anni» sottolineò la dea, ammiccando al suo
indirizzo.
«Ora che è
quieto,
riesco a capire molto bene fino a che punto si fosse spinto, e non
posso che
essere felice che qualcuno lo abbia rimesso in riga»
asserì con convinzione
Alekos. «Grazie al tuo potere, mi è anche
più facile vedere le sfumature del
mondo che mi circonda. Non è più
così…
estremo.»
«E’ in
equilibrio tra il
bianco e il nero, come dovrebbe essere» assentì la
dea, compiaciuta. «E io,
finalmente, non ho più le crisi
d’identità di prima. Onestamente, cominciavo a
non sopportarmi più.»
Scoppiando a ridere,
Alekos disse: «Zio Ares mi ha detto che stava pensando di
farti rinchiudere da
qualche parte, perché aveva paura per te. Ma è
davvero possibile rinchiudere un
dio?»
«Beh, non se intendi i
manicomi o le prigioni degli umani. Se un dio ha bisogno di aiuto
medico, come
nel mio caso – e credimi, accade più volte di
quanto tu non pensi – ci
rivolgiamo ad Apollo ma, per le malattie di tipo psicosomatico,
è Esculapio a
prendersi cura di noi.»
«Il figlio di Apollo?
L’ho visto, ma…» tentennò
Alekos, non sapendo bene come spiegare chi
avesse visto, in effetti.
Eris gli sorrise
comprensiva, asserendo: «Esculapio era un semidio come te, ed
era anche molto
amico di tua madre. Questa amicizia portò Athena a donare a
Esculapio capacità
curative che, però, urtarono non poco sia Ade che Zeus e
quest’ultimo, temendo
che i poteri di negromante del giovane semidio potessero mutare il
pensiero
degli uomini nei confronti degli dèi, lo uccise con una
folgore.»
Alekos assentì torvo,
mormorando: «Sì, ricordo questa parte del mito.
Quindi, successe realmente?»
«Purtroppo sì.
A quel
tempo, mio padre era davvero molto meno malleabile di oggi. Comunque,
Apollo e
Zeus litigarono furiosamente, per questo, e tua madre intervenne a sua
volta
per chetare le ire di Zeus. Riteneva ingiusto che, per un dono che lei aveva voluto offrire a Esculapio,
fosse stato il giovane semidio a pagarne il prezzo. Alla fine, Zeus
accettò di
riportarlo in vita, donandogli l’immortalità
…ma alle condizioni che hai visto
tu stesso» gli spiegò Eris, scrollando una spalla.
«Non è
un’anima
senziente come mio padre, e ha un qualche genere di
corporeità, ma è come se
non fosse realmente qui» asserì dubbioso Alekos.
«E’
un’apparizione
astrale» dichiarò a quel punto Eris.
«Vive nel regno metapsichico,
dell’immaterialità e del pensiero, e cura le
relazioni tra corpo e anima. Per
questo è intervenuto anche lui, nel mio caso. Avevo ricevuto
un discreto
contraccolpo metapsichico, quando il filo si è diviso in
due, e avevo bisogno
di Esculapio per guarire lo strappo che si era formato.»
Alekos esalò un fischio
pieno di ammirazione e stupore e, dubbioso, domandò:
«Quindi, è come una sorta
di psicologo, ma con poteri divini?»
«Qualcosa del
genere»
annuì Eris. «Anche se ci sa fare pure con ago e
filo.»
«Accidenti! Neppure
sapevo che esistesse, una divinità simile!»
mormorò meravigliato Alekos.
«Tu, invece, sei un dio
mancato. Ti spiace non essere diventato il dio della
giustizia?» ironizzò Eris,
battendogli una mano sulla spalla.
Alekos scosse
recisamente il capo, replicando inorridito: «Per niente.
L’idea di giustizia
che aveva il mio alter ego era fortemente deviata, e non credo sarebbe
andata
bene in nessun genere di universo.»
Levando poi un
sopracciglio quando un pensiero gli si formò spontaneo nella
mente, Alekos
domandò: «Ma… a proposito di giustizia,
dov’è Astrea? Perché non l’ho
mai vista,
finora? Non è lei a detenere lo scettro della
giustizia?»
Eris si adombrò, a
quella domanda, e ammise dopo alcuni attimi di riflessione:
«Beh, se il tuo
alter ego voleva portare giustizia nel mondo perché vi
vedeva solo oscurità,
orrore e perdizione, Astrea è fuggita
dal mondo per lo stesso identico motivo. La sua mente è
rimasta così turbata e
scioccata da ciò che avvenne durante la seconda guerra
mondiale, da cadere in
una sorta di limbo. Esculapio se ne prende cura da allora.»
La notizia turbò non
poco
Alekos che, sgomento, mormorò: «Lei
è… morta?»
«Non esattamente. Quando
avvenne il suo crollo emotivo, venne controllata da Esculapio ed
Érebos, che ne
valutò la pericolosità per il genere umano. Non
ritenendola un rischio per
nessuno, oltre che per se stessa, non la uccise ma, da quel giorno
ella,
semplicemente, si spense. Come una candela senza più
fiamma.»
Alekos strinse le mani a
pugno, inorridito suo malgrado dal dolore che gli uomini avevano
provocato
nella dea con il loro comportamento ingiustificato ed Eris,
sorridendogli
leggermente, aggiunse: «So che Eos e Astreo, i suoi genitori,
vanno a trovarla
spesso e le parlano. Vorresti conoscerla, e magari aiutarla?»
«Pensi che potrebbe
servire?»
«I vostri poteri sono
affini. Forse, le sarebbe d’aiuto. Tentar non nuoce, no?
Oppure, ti farai
venire mille e più dubbi, d’ora in poi,
perché hai ceduto al lato più
terrificante della luce?» ironizzò maliziosa Eris,
lasciandosi andare a un
sogghigno beffardo.
Alekos sbatté le
palpebre di fronte all’uso sottile del dono di Eris e,
grattandosi
distrattamente un braccio, borbottò: «Miseria
ladra… quando lo usi su di me, mi
viene un formicolio terribile la pelle.»
Eris rise divertita, di
fronte a quella novità e, smettendo immediatamente di usare
il suo potere,
aggiunse: «Va meglio, ora?»
«Decisamente
sì.
Comunque, vedrò di non farmi venire delle crisi di nervi
soltanto perché ho
quasi fatto esplodere il nostro mondo e tentato di mandare al creatore
sia te che
mio padre, va bene?»
La dea assentì,
compiaciuta che il giovane riuscisse a fare dell’ironia su se
stesso nonostante
il rischio effettivamente corso. Rimuginare su quanto era successo e su
ciò che
avevano rischiato, però, non avrebbe portato a nulla.
Dovevano accettarlo e
andare avanti, cercando di perdonare se stessi, qualora fosse stato
necessario.
«Credo che
andrò a
parlarne con Esculapio» dichiarò a quel punto
Alekos, levandosi in piedi prima
di strizzare l’occhio a Eris e aggiungere: «Devo
metterti in guardia sulle
intenzioni di zio Dioniso, o ne sei già al
corrente?»
Eris sbuffò, lasciandosi
però sfuggire un lieve rossore sulle gote che fece sorridere
non poco Alekos.
«Quel pazzoide
può
pensarla come vuole. Non temere per me.»
«D’accordo.
Allora, vi
lascio soli. Devo ringraziare un sacco di persone, perciò
dovrò pur cominciare
da qualche parte» disse a quel punto Alekos, chinandosi su
Eris per darle un
bacio sulla guancia. «Grazie.»
Ciò detto, si
scostò
appena in tempo per evitare un pizzicotto da parte della dea che,
fissandolo
arcigna, borbottò: «Prima o poi mi verrai a tiro,
e allora…»
Alekos rise nell’uscire
in tutta fretta e, nel trovare Dioniso ancora in corridoio, disse
allegramente:
«Ora è arrabbiata con me… pensaci
tu.»
«L’hai
ringraziata?»
ironizzò il dio, vedendolo annuire. «Va
bene… mi sacrificherò io per la
patria.»
Alekos lo guardò entrare
tutto pimpante, le mani a sistemarsi nervosamente i riccioli castani e
gli
occhi dorati che sprizzavano malizia e divertimento.
Sì, Eris avrebbe avuto
il suo bel daffare a scappare da lui, e Alekos ne era molto felice. La
zia
meritava un po’ di gioia, nella sua vita.
***
Alekos trovò Esculapio
in compagnia di suo padre e di Clizia, impegnata a farsi visitare dal
figlio
del marito, e apparentemente soddisfatta dalle notizie appena ricevute.
Salutatolo coralmente, i
tre immortali lo fissarono curiosi e Alekos, prima di porre qualsiasi
altra
domanda, si rivolse a Clizia e domandò: «Come ti
senti? Con la confusione che
ho causato in questi giorni, sono certo che neppure tu abbia avuto
momenti
molto piacevoli.»
Clizia gli sorrise,
dandosi una pacca sul ventre leggermente arrotondato, e
replicò: «Io e lui
stiamo bene. Esculapio ce lo ha appena confermato. La prossima volta,
però,
fregatene delle vocette nella testa e parla con noi. Siamo la tua
famiglia e,
per te, ci saremo sempre… a volte, anche a sproposito, ma
spero ci perdonerai
quando saremo invadenti.»
Alekos rise di quella
risposta e, nell’abbracciare Clizia, assentì e
disse: «Quando nascerà il mio
nuovo cugino, sarò io a
essere
invadente.»
«Per noi sarà
un piacere»
sottolineò Apollo, dandogli una pacca sulla spalla.
«Avevi bisogno di noi, per
caso? O cercavi i tuoi?»
«Per la
verità, volevo
parlare con Esculapio…» dichiarò il
giovane, osservando pieno di curiosità la
figura traslucida del dio, presente nella stanza solo in forma
spirituale. «…
sempre se hai tempo, s’intende.»
Il dio, in tutto
somigliante al padre, pur se con capelli mori, invece che fulvi,
assentì pieno
di curiosità e, dopo essersi accomiatato dalla coppia, si
accompagnò ad Alekos in
uno dei corridoi del tempio.
Lì, quindi,
domandò: «In
cosa posso esserti utile?»
«Parlando con Eris, ho
saputo che Astrea è, come dire… ricoverata da te,
e volevo sapere se potevo
essere utile in qualche modo» gli spiegò Alekos,
infilandosi nervosamente le
mani nelle tasche dei jeans.
Il solo pensiero di
poter cominciare a redimersi dal caos che aveva combinato lo rendeva
nervoso e
impacciato, e le sue mani tremanti ne erano un chiaro indice.
Esculapio sorrise
comprensivo, a quell’accenno e, annuendo, disse:
«Beh, sì, curo Astrea da molto
tempo, in effetti. Ma sei certo di volerti imbarcare in una simile
impresa?
Avere a che fare con i suo pensieri, a volte, non è affatto
facile, e potresti comunque
vederla solo in forma spirituale, per il momento.»
Chiaramente confuso, Alekos
gli domandò: «Che intendi dire?»
«Al momento, Astrea
è in
sedazione profonda autoindotta. In parole povere, la sua mente
è sprofondata
così tanto da non essere raggiungibile se non in maniera
metapsichica. Persino
il suo corpo ci è precluso, a causa di ciò e,
anche se esso si trova nella mia
dimensione, non posso toccarlo in alcun modo, così come non
possono i suoi
genitori» tentò di spiegarli Esculapio, pur
sapendo quanto fosse complesso mettere
a parole il livello di estraniamento della dea.
Quando Astrea si era
sentita male, Eos l’aveva condotta subito da lui
perché le prestasse le prime
cure e, in un primo momento, era stato in grado di prendersi cura della
dea
anche a livello fisico.
La sua crisi sistemica
però, era giunta a un livello tale che, da un giorno
all’altro, il corpo di
Astrea era semplicemente svanito dinanzi ai suoi occhi. Chiedendo
subito lumi
ad Atropo, si era sentito dire che il filo di Astrea non era stato affatto reciso, e che esso continuava a
muoversi regolarmente.
Solo a quel punto,
Esculapio aveva compreso. Astrea aveva risucchiato se stessa nella
propria
mente, rifugiandosi in un loop
infinito in cui le colpe che si era autoinflitta continuavano a
flagellarla.
Parlandone
successivamente con Érebos – essendovi costretto,
quando una divinità minacciava
la follia o l’autodistruzione – aveva
però ricevuto un esito insperato alle
proprie paure inespresse.
Astrea non aveva affatto
cercato di morire, con il suo
gesto, ma di vivere eternamente nel suo privato dolore, ritenendosi
l’unica responsabile
per la follia delle genti, e perciò l’unica a
dover pagare per sempre.
Non essendovi stati gli
estremi per condurla a una morte priva di pericoli per il Creato,
Érebos si era
raccomandato con Esculapio di controllarla sempre e, se possibile, di
cercare
di sradicarla da quel malsano dolore, e a ciò si era
attenuto.
I suoi tentativi, nel
corso degli anni, si erano però sempre rivelati vani,
perciò era aperto a
qualsiasi tipo di aiuto esterno, anche da parte del giovane Alekos.
«Vuoi ancora
tentare?»
Alekos assentì, serio in
volto ed Esculapio, annuendo al giovane, dichiarò:
«Ora sei ancora provato per
ciò che ti è accaduto, perciò dovrai
riposare un poco ma, quando ti sarai
ristabilito, verrò da te e ti insegnerò come
raggiungerla. Non è necessario che
tu ti sposti da casa, per farlo.»
Storcendo il naso, il
giovane replicò: «Anche se casa mia è
una sorta di gabbia psichica?»
Esculapio allora
sorrise, ribattendo: «Efesto può invertire la
polarizzazione e renderla un
catalizzatore. Basterà chiederglielo.»
Fischiando sorpreso,
Alekos gli sorrise grato e il dio, ammiccando al suo indirizzo,
domandò: «Vuoi
un passaggio da qualche parte, ora?»
«No, grazie. Penso che
passeggerò per un po’ tra i templi, poi
chiederò a qualcuno.»
«Se vuoi un consiglio,
vai nel giardino di Artemide. E’ un buon posto dove
ristorarsi, e tu sei
sicuramente il benvenuto» gli consigliò Esculapio,
salutandolo.
Alekos prese per buono
l’invito e, dopo essere uscito dal tempio di Apollo, ne
discese la scalinata,
ritrovandosi così a respirare l’aria limpida e
fresca dell’Olimpo.
A poca distanza, il
tempio di Dioniso e quello di Ares apparivano splendidi e fieri, nelle
loro
articolate strutture murarie, mentre i giardini sempreverdi che li
circondavano
rilasciavano nell’aria profumi soavi e piacevoli.
Tutto era perfetto, in
quel luogo, ma Alekos aveva ormai imparato sulla propria pelle che la
perfezione era solo un effimero pensiero, niente affatto reale e,
forse, niente
affatto auspicabile.
Le persone erano
bellissime anche – e soprattutto – grazie ai loro
difetti e, pur se preferiva
che tutti andassero d’amore e d’accordo, sapeva che
era anche sciocco sperarlo.
La molteplicità di idee
portava sovente allo scontro ma, se questo scontro avveniva in modo
costruttivo, esso poteva portare a un’elevazione, a un
miglioramento di sé e
degli altri.
Diversamente, se dallo
scontro nasceva solo cieca e sorda convinzione, allora si poteva
unicamente
giungere all’annichilimento. Nella sua superbia, lui era
quasi giunto a questo.
In fondo, nel corso dei
secoli, questo era stato il compito
di Eris. Consigliare e pungolare, oltre che dar voce agli istinti
primari
dell’uomo. O, per lo meno, lo era stato fino a quando gli
umani aveva ascoltato
i suoi sussurri, interpretandoli a loro discrezione.
Eris aveva davvero avuto
il compito più difficile tra tutti, dovendo soppesare ogni
volta le parole e i
consigli, mascherandoli dietro doppi significati per non concedere
facili
risposte agli umani.
Il fatto che queste
parole, spesso e volentieri, fossero divenute foriere di guerre o
dispute, non
era dipeso da lei, ma dalla debole mente umana, da sempre abbagliata
dalla via
più breve, dal guadagno più veloce.
Sospirando, tornò per un
attimo con lo sguardo al tempio di Apollo, ove si trovava colei che lo
aveva
salvato in tutti i modi possibili. Lei, più di tutti,
conosceva il valore del
dolore e, ora che lo aveva provato lui stesso sulla pelle, forse
sarebbe
riuscito ad aiutare Astrea a liberarsi del proprio.
Più sicuro di
sé, approcciò
una fontana zampillante per ammirare il proprio riflesso
nell’acqua e, tra sé,
sorrise divertito.
Ricordava bene il ghigno
del se stesso divino ed era felice che fosse sparito, ma sapeva
altrettanto
bene che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto pagare il peso della
sua superbia.
Non se la sentiva di
dare la colpa interamente al suo lato divino; lui stesso aveva abusato
del
proprio potere, quando ne era pienamente cosciente. Da questi errori,
aveva
imparato una dura lezione, ma era convinto che, da ciò,
avrebbe saputo trarre del
bene.
“Sembri
soddisfatto” mormorò
una voce nella sua mente mentre il riflesso nell’acqua
svaniva, sommosso da
leggere onde createsi senza apparente motivo.
Scostatosi di un passo,
Alekos sorrise e allungò una mano, mano che venne
prontamente afferrata da una lingua
d’acqua che, poco alla volta, prese sembianze umane e,
infine, le forme a lui
note di Acaste.
Sorridendo maggiormente
all’amica,
la aiutò a scendere dalla fontana per poi abbracciarla con
calore e l’oceanina,
dopo averlo baciato sulle guance, asserì:
«E’ bello rivederti finalmente in
te. Eris come sta, piuttosto?»
«Molto meglio, ma credo
che d’ora in poi avrà il suo bel daffare per
togliersi di dosso le attenzioni
di Dioniso» dichiarò Alekos, facendo scoppiare a
ridere Acaste per la sorpresa.
«Beh, di tutte le cose
che potevano succedere, questa davvero non me
l’aspettavo» esalò la giovane,
prendendolo sottobraccio. «Dove stavi andando, di
bello?»
«Mi rilassavo un
po’, in
attesa di chiedere un passaggio per il piano di
sotto… ho molte persone a cui chiedere
perdono.»
«Al passaggio
penserò
io» lo rassicurò lei, tornando poi seria per
domandargli: «Come stai, davvero?»
«Stai tranquilla. Sto
bene sul serio. Ora sono completo nel modo giusto. Sono in perfetto
equilibrio
e, ciò che mi dava dei problemi, ora è
svanito» le sorrise lui, dandole un
colpetto con la spalla. «Tu, piuttosto. Che ci fai, qui,
invece di stare in
compagnia di Zéph?»
Sorridendo divertita,
Acaste arrossì fino alla radice dei capelli e
borbottò: «Guarda che non devo per
forza stare sempre con lui.»
«E’ bello che
ti piaccia
così tanto da farti arrossire a questo modo… e mi
fa piacere per lui…» dichiarò
per contro Alekos, sorridendole allegro.
«…perché lo reputo davvero un bravo
ragazzo. Se fossi stato meno accecato dalle mire dell’altro
me, avrei anche
apprezzato maggiormente voi due come coppia, ma all’epoca ero
piuttosto confuso.»
«E’ curioso che
tu lo
abbia anche solo notato» chiosò
l’oceanina, incamminandosi con lui nel giardino
del tempio di Artemide, dove alcune ancelle li salutarono con lievi
inchini.
«Beh, per la
verità, vi
notai perché trovai la cosa in sincrono con ciò
che io – o lui – credeva…
credevo…» cominciò col dire Alekos
prima di incespicare nelle parole, scoppiare
a ridere ed esalare per diretta conseguenza: «Dio!
Sarà un casino disgiungere
le due cose! Comunque, vi trovavo giusti, perciò coerenti
col piano finale.»
Acaste rabbrividì
nonostante tutto, quando lui accennò al piano
finale e Alekos, nell’accomodarsi con lei su una
panchina di marmo nei
pressi di un ciliegio, aggiunse più seriamente:
«Non posso negare di aver
apprezzato certi suoi pensieri – chi non vorrebbe la pace
universale? – ma,
quando mi permetteva di pensare in autonomia, mi rendevo conto anche
delle
profonde limitazioni, e pecche, del suo piano. Per ottenere una tale
pace,
avrebbe commesso stragi inenarrabili e reso schiavi gli umani. Non
potevo
accettarlo.»
«Ma ora, tu ed Eris lo
tenete a bada?»
«Non credo sia corretto
dire così. Ora, lui non esiste più, non in quella
forma, per lo meno. La
corruzione, nata in quella parte del mio animo, derivava
dall’eccessivo potere
di Érebos, che io non potevo gestire in quanto semidio. La
metà del filato di
Eris, invece, non crea problemi alla mia controparte divina che, per
riflesso,
non ha più… manie di
grandezza» le
spiegò Alekos, scrollando le spalle con naturalezza.
Acaste assentì sollevata
e, socchiudendo gli occhi, reclinò il capo contro la spalla
dell’amico,
mormorando: «Ho davvero temuto di perderti, ma
Érebos nutriva moltissima
fiducia in Eris, e tuo padre mi ha aiutato moltissimo ad avere fiducia
in una
buona riuscita della missione. Ho potuto parlare molto, con lui, e
posso dirti
che deve essere stata una persona meravigliosa, in vita, ma lo
è anche ora che
è un’anima. Capisco perché tua madre si
sia innamorata di lui.»
Alekos annuì silenzioso,
lasciando che il suo sguardo galleggiasse leggero
tutt’intorno a sé. Uccelli
graziosi e canterini ciangottavano tra le piante, allietando il loro
riposo,
mentre coppie di unicorni trottavano a poca distanza, ristorandosi
nella vicina
polla d’acqua. I segugi di Artemide, solitamente
così guardinghi e attenti,
quel giorno si crogiolavano al sole, godendosi quel meriggio
così sereno.
Sì, suo padre era stato
un uomo di valore ma, soprattutto, era stato colui che aveva amato sua
madre e
che, per lui, aveva rischiato di perdere ogni suo ricordo, pur di
salvarlo
dall’Oltretomba. Per lui sarebbe stato sempre un
po’ speciale.
Érebos, allo stesso
modo, lo aveva fatto nascere una seconda volta e, dimostrando un amore
infinito
come il suo potere, aveva scardinato le leggi stesse della materia, per
potergli permettere di vivere.
Entrambi i suoi padri
erano stati – ed erano tutt’ora – persone
degne di rispetto e ammirazione, e
lui avrebbe messo tutto se stesso per portarne alti il nome e
l’eredità.
«Aiuterò
Astrea» disse di
colpo Alekos, sorprendendo un poco Acaste, che risollevò il
capo per scrutarlo
piena di curiosità.
«Astrea? Come sai
che…»
esalò l’oceanina, sgranando gli occhi.
«Me ne hanno parlato sia
Eris che Esculapio, e credo che aiutare lei potrebbe essere un buon
primo passo
in avanti per diventare l’uomo che intendo essere da qui in
poi» le spiegò lui,
la certezza d’intenti nel suo sorriso e la luce
dell’aspettativa nello sguardo
smeraldino.
Acaste allora gli
sorrise, mormorando: «Vuoi diventare un guaritore?»
«Meglio. Una brava
persona» scrollò le spalle lui, facendola ridere.
«Ma lo sei
già!»
«Migliorerò
ancora»
replicò lui, stringendole una mano prima di aggiungere:
«Potresti portarmi da
mia nonna Anita? Vorrei cominciare con lei e il nonno.»
«Tutto quello che vuoi.
Comunque,
ti aiuterò anch’io a migliorare, se pensi di
doverlo fare» gli promise lei,
ammiccando al suo indirizzo e trasmutando entrambi in direzione del
regno dei
mortali.
***
Naturalmente, pur
essendo stato preceduto dalle buone novelle portate da Artemide, il
ritorno di
Alekos nella famiglia Rodriguez fu accompagnato da pianti, abbracci e
mille e
più raccomandazioni.
Il giovane accettò ogni
cosa – rimproveri compresi – con il cuore colmo di
emozioni, e non si tirò mai
indietro quando le zie e le cugine vollero riabbracciarlo
più e più volte.
Dopotutto, la sua sparizione era durata quasi una settimana e aveva
creato uno
scompiglio non indifferente, sia tra i suoi parenti mortali che
immortali.
Fu solo a notte fonda
che la buriana scese d’intensità e, trovato infine
un momento per parlare in
separata sede con nonna Anita, Alekos la pregò di seguirlo
in giardino, dove si
accomodò sul dondolo assieme a lei.
Nel prendere una mano
tra le sue, le sorrise quindi speranzoso e disse: «Ho avuto
molto tempo per
riflettere, nei giorni in cui sono rimasto nel regno di Chaos e, pur se
ho
dovuto soprattutto discutere con l’altro me e rendermi conto
fin dove volesse
spingersi, ci sono cose che vorrei tenere, di quel periodo
così terribile.»
«Non tutto il male viene
per nuocere» motteggiò la donna, battendo la mano
libera sulle loro due, ancora
unite.
«Sì,
l’ho imparato a mie
spese. Parlando con colui che mi ha curato, ho saputo di una sua
paziente che,
forse, potrebbe aver bisogno di me. Il mio potere e il suo sono simili,
ma
abbiamo avuto reazioni diametralmente opposte a ciò che
avevamo nel cuore» le
spiegò allora Alekos. «Lei si sta autoflagellando
da decenni, certa che gli orrori
commessi dagli uomini siano causati dalla sua inettitudine come dea
della
giustizia. Vorrei aiutarla a perdonare se stessa, a farle capire che
ciò che
accade non dipende da sue mancanze, e che non deve farsi carico da sola
di un
simile dolore.»
«E’
encomiabile, tesoro…
ma perché lo stai dicendo proprio a me?» gli
domandò curiosa, Anita.
«Tu sei una bruja, conosci meglio di me gli spiriti
erranti, e lei ora dimora in un altro luogo, ove solo gli spiriti
possono
vagare. Esculapio mi insegnerà a raggiungerla, ma vorrei
sapere da te quale
potrebbe essere il modo migliore per approcciarla. Puoi aiutarmi,
nonna?» le
spiegò Alekos, scrutandola pieno di speranza.
Anita lo attirò a
sé per
un abbraccio e, nel farlo, una lacrima le scivolò furtiva
sulla guancia. Sapeva
di avere accanto il nipote, ma ormai Alekos rassomigliava
così tanto a Miguel
da esserle difficile disgiungerli pienamente.
Il fatto che il nipote
volesse aiutare una perfetta estranea, poi, glielo rendeva ancora
più caro e
ancor più simile al figlio. Anche in questo, rassomigliava
al padre, e lei ne
era immensamente felice.
«Ti aiuterò,
Alekos.
Insieme, la riporteremo a casa» gli promise la donna,
baciandolo
affettuosamente su una guancia.
«Grazie, nonna»
sussurrò
il giovane.
Finché non avesse raggiunto Astrea, non avrebbe ceduto, né allo sconforto e neppure alla rabbia. Ora, sapeva come fare, anche grazie a persone come sua nonna.
N.d.A.: Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da dire, ma noi non abbiamo ancora finito... non del tutto, per lo meno. Alekos, infatti, ritiene necessario compiere ancora qualcosa, per dirsi finalmente "a posto".
Veniamo quindi a scoprire dell'esistenza di Astrea, dea della giustizia, che da anni ormai si è autoimposta la prigionia per motivazioni che ben presto scopriremo. Ma non solo lei incontreremo in questo nostro finale "con il botto" (scoprirete presto perché ho usato proprio questo modo di dire).
Anche qualcun altro è stato accennato dai nostri personaggi, e ha soggiornato a sua volta presso la casa di cura di Esculapio. Anche lui aiuterà Alekos nella sua personale missione per salvare Astrea e chiuderà il ciclo degli dèi ed eroi cominciato con Athena.
A
presto, e grazie per avermi seguita fino a qui!