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Autore: _Trixie_    08/05/2020    5 recensioni
[AU, niente magia]
Prima di tornare a casa dal lavoro – Emma era rimasta appostata per ore fuori da un appartamento in cui credeva che si nascondesse il ricercato che stava inseguendo – aveva controllato l’ora: Regina Mills era una donna abitudinaria e lasciava il palazzo ogni mattina alle sette e mezza precise, dopo aver controllato la posta ed aver lanciato un ultimo sguardo al proprio riflesso nello specchio appeso dietro il bancone della portineria. Come se quel viso non fosse già perfetto.
«Assessore Mills» disse Emma, sorridendo e fermandosi accanto alla sua vicina, che stava leggendo il retro di una busta con aria di profonda disapprovazione.
«Signorina Swan. Buongiorno» ricambiò la donna, un sorriso di circostanza sulle labbra. Emma la considerò una vittoria. «Nottataccia?» aggiunse poi l’assessore.
Emma si strinse nelle spalle, infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Qualcuno deve pur occuparsi della feccia di Boston, no?»
«La città le è grata per i suoi servizi, signorina Swan» rispose la donna, prima di rivolgerle un cenno di saluto con il capo, che Emma ricambiò.
La ragazza trattenne a stento un sorriso mentre osservava l’assessore allontanarsi.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE II

I signori Mills
 
 



«Che cosa hai fatto?!» urlò Ruby al telefono, il pomeriggio seguente, mentre Emma preparava la valigia per il volo che avrebbe preso quella sera stessa. Insomma, dopo un altro bicchiere di sidro, era saltato fuori che il matrimonio della sorella dell’assessore Mil- No, che il matrimonio della sorella di Regina avrebbe avuto luogo di lì a due giorni. Il che spiegava anche il motivo per cui Regina avesse avuto un appuntamento con quel… quel coso la sera precedente. Certo non era stata la sua prima scelta.  
Ad ogni modo, Regina aveva acquistato due biglietti aerei quella sera stessa e Emma era tornata nel proprio appartamento, dove ancora l’attendevano il toast al formaggio e la cioccolata, ormai immangiabili. Naturalmente, li aveva mangiati comunque prima di andare a letto. Aveva messo la sveglia per la mattina seguente e, quando si era svegliata, Emma si era chiesta cosa dannazione le fosse saltato in mente. Lei e Regina non andavano d’accordo, affatto. E c’erano almeno un migliaio di modi in cui quella faccenda sarebbe esplosa dritta nelle loro facce al punto che Emma non riusciva a pensare a un solo, singolo scenario in cui ne sarebbero uscite vive e con la dignità intatta. Considerò persino l’idea di suonare a Regina, rimborsarle il biglietto aereo e dirle che aveva cambiato idea, ma Emma la scartò immediatamente. Lei non era una codarda. Ma soprattutto non avrebbe dimostrato a Regina Mills che aveva avuto ragione fin dall’inizio, quando diceva che era un’idea ridicola, nossignora. Perciò aveva trascorso gran parte della giornata preparando i bagagli, quando infine si era resa conto di due cose: la più importante era che il suo stomaco gorgogliava e la seconda era che non aveva nessun vestito adatto a un matrimonio. E, per risolvere entrambi i suoi problemi, Emma aveva chiamato Ruby, trovandosi costretta a rivelarle gli imminenti piani.
«Emma, sei…» fece Ruby, annaspando alla ricerca della parola adatta.
«Brillante?»
«Stupida!»
«Dai, Ruby, questa fa male».
«A cosa stavi pensando con quel piccolo cervello da lesbica senza speranza che ti ritrovi?!»
«Ruby!»
«Hai una cotta per l’assessore Mills, Emma!»
«Non ho una cotta per l’assessore Mills!» rispose la signorina Swan, con decisione.
«Sì! Ti sei offerta di andare con lei al matrimonio della sorella, non-»
«Sono stata… gentile. Regina dice che ho il complesso della salvatrice o qualcosa del genere, non lo so. Senza sidro, la cosa inizia ad avere senso, ma-»
«Hai il complessò della stupidità, ecco cosa hai».
«Sai una cosa, Ruby? Ti lascerò una bella recensione su Trip Advisor. Servizio scadente, cameriera pettegola, fedeli clienti lasciati morire di fame».
«Esilarante, Em. August sta arrivando, l’ho mandato a casa mia a prendere un vestito adatto a un matrimonio».
«A casa tua, mmh? E la conosce bene?»
«Discretamente» rispose Ruby e Emma intuì dal tono che la ragazza stava ghignando. Sorrise a sua volta e si sedette sul bordo del letto, decisa a curiosare un po’ nella vita sentimentale dell’amica mentre aspettava che August suonasse alla sua porta.
 
 
 
*
 
 
Reggendo il vestito che August le aveva portato con una mano e trascinando il trolley che aveva appena perso una ruota in ascensore e su cui aveva appoggiato il proprio spuntino, Emma si precipitò fuori dal palazzo in fretta e furia. Regina la guardò dal sedile posteriore del taxi in cui la stava aspettando, con le labbra strette, e alzò il braccio per tamburellare con il dito sul proprio orologio, impaziente. Emma alzò gli occhi al cielo. Se l’assessore avesse tenuto aperta la porta dell’ascensore come le aveva chiesto, mentre chiudeva l’appartamento a chiave, Emma sarebbe scesa con lei, invece di dover aspettare sul pianerottolo che Regina arrivasse al piano terra così che l’ascensore risalisse.
L’autista scese prontamente dall’auto non appena vide Emma e le si fece incontro, aiutandola a liberarsi dei bagagli e sistemandoli nel baule, mentre la signorina Swan apriva la portiera per infilarsi accanto a Regina.
«Avresti potuto aspettarmi!»
«Eri in ritardo» rispose Regina, stringendosi nelle spalle e guardando con sospetto il sacchetto di Emma.
«Stavo chiudendo la porta di casa, Regina! E comunque hai dovuto aspettarmi ora, cosa è cambiato?»
«Avresti potuto prendere le scale» le fece notare Regina. «E cosa c’è in quel sacchetto? Ha un odore nauseante».
«C’è la gioia, in questo sacchetto» rispose Emma, aprendolo mentre l’autista tornava al proprio posto di guida.
«Posso andare, assessore Mills?»
«Sì, certo, Graham».
Emma le lanciò un’occhiata confusa, addentando il toast al formaggio.
«Cosa, signorina Swan?» domandò Regina, mentre il taxi si immetteva nel traffico di Boston.
«Emma. Emma, non signorina Swan. Ma… Vi conoscete?»
«Accompagno l’assessore Mills al lavoro ogni mattina da diversi anni, ormai» rispose l’autista, con un sorriso.
«È il migliore della compagnia. Nonostante il traffico, non sono mai arrivata in ritardo. A differenza di qualcuno».
«Oh, andiamo, un paio di minuti non sono ritardo!» protestò Emma.
Regina alzò gli occhi al cielo prima di posarli sul toast al formaggio della signorina Swan.
«Ne vuoi un po’?» domandò la ragazza.
«Credevo fossimo d’accordo che avremmo cenato in aeroporto».
Emma si strinse nelle spalle. «Infatti. Questo è l’antipasto. Allora, vuoi?»
Regina si passò una mano tra i capelli, prima di voltarsi verso il finestrino. «Disgustoso» fu l’ultima parola pronunciata in quel taxi prima che giungesse in aeroporto.
Non il migliore degli inizi, Emma doveva ammetterlo.
 
 
*
 
 
Emma grugnì e si accasciò sul tavolo al quale lei e Regina stavano aspettando la cena. Le ragioni del suo abbattimento erano svariate: prima di tutto, Emma non aveva idea che ci fossero veri e propri ristoranti all’interno di un aeroporto, con tanto di chef stellati e spocchiosi camerieri; in secondo luogo, Regina l’aveva costretta a recarsi all’aeroporto con fin troppo anticipo e ora avevano due intere ore di attesa davanti a loro prima che aprissero il loro gate; infine, Emma aveva fame.
«Signorina Swan, non è educato».
«Emma. Se continui a chiamarmi signorina Swan, la tua famiglia non crederà mai che siamo una coppia» le fece notare la ragazza, mettendosi a sedere educatamente. «A meno che non pensino sia un qualche nomignolo a sfondo a sessuale che-»
«D’accordo. Emma» la interruppe l’assessore.
«Regina» rispose la ragazza. «E già che ci stiamo annoiando a morte, perché non mi racconti qualcosa di te».
L’assessore Mills alzò un sopracciglio, scettica. «Ti ho già detto tutto quello che c’è da sapere ieri sera».
«Stai scherzando? Mi hai detto i nomi dei membri della tua famiglia, mi hai spiegato per filo e per segno il noiosissimo lavoro che fai, quali studi hai fatto e in che anno ti sei trasferita a Boston dalla cittadina in cui sei cresciuta, Talesbrooke».
«Storybrooke» la corresse Regina.
«Che nome orribile, da dare a una cittadina».
«Gli antenati di mia madre furono tra i primi coloni. Furono loro a decidere il nome».
«E chissà perché non mi stupisce» commentò Emma. «Ma vedi? Un’informazione molto importante che la tua ragazza dovrebbe sapere».
Regina alzò gli occhi al cielo. «Nessuno ti farà un interrogatorio, signorin-, Emma» rispose Regina. «E, in caso di difficoltà, puoi sempre scusarti e andartene con un pretesto qualsiasi».
«Ma così farei una pessima impressione sui tuoi genitori» le fece notare Emma, lievemente corrucciata.
«Mia madre è impossibile da compiacere in ogni caso» rispose Regina.
«Ora ho capito da chi hai preso» commentò Emma a mezza voce.
«Come, prego?»
Emma scosse la testa. «Niente. Dico solo che questo potrebbe essere… un primo appuntamento. Un finto primo appuntamento. E poi dobbiamo anche concordare una storia» aggiunse Emma, prendendo un sorso del costoso vino rosso che Regina aveva ordinato. Disgustoso, a parere della signorina Swan, ma Regina aveva detto che era il suo preferito, quindi…
«Una storia?» domandò l’assessore.
«Sì, tipo… Come ci siamo conosciute e chi ha chiesto all’altra di uscire. O come è stato il primo bacio e-»
«Tu» rispose Regina, stringendosi nelle spalle. «Tu mi hai chiesto di uscire e io ho graziosamente accettato. Ovviamente».
«Perché io?!» esclamò Emma, incrociando le braccia al petto.
«Non mi chiederesti di uscire, Emma?»
«Certo, ma non è questo il punt-»
«Ottimo, abbiamo una storia» la interruppe Regina, sorridendole.
Emma non poté ribattere. Non solo perché il cameriere glielo impedì servendo i loro ordini, ma anche perché si era appena resa conto di aver ammesso all’assessore Mills che sì, l’avrebbe volentieri invitata a uscire.
Forse Ruby aveva ragione: quella era stata un’idea molto stupida.
 
 
*
 
 
Emma avrebbe potuto addormentarsi in quella comodissima poltrona di prima classe che Regina aveva prenotato per il volo. Aveva temuto il decollo perché, nelle poche occasioni in cui aveva volato in passato, le sue orecchie l’avevano fatta impazzire e più di una volta Emma si era convinta che il suo timpano si fosse perforato. Fortunatamente, con Regina era andato tutto liscio e, con l’esclusione di un lieve fastidio, la signorina Swan non aveva avuto alcun problema.
L’assessore si schiarì la voce, attirando l’attenzione di Emma. «Bene, ora sai gli episodi più importanti della mia infanzia, che parlo spagnolo perché la famiglia di mio padre è originaria di Porto Rico e che mia madre è portatrice di una malcelata omofobia».
«Questo matrimonio diventa più divertente ogni ora che passa» commentò Emma.
«Forse dovresti raccontarmi qualcosa di te. Dove sei cresciuta?»
«Oh, qui e là» rispose Emma, distogliendo lo sguardo dall’assessore.
Regina le rivolse un’espressione interrogativa. «La tua famiglia si trasferiva spesso? Tuo padre è un militare?»
«Non ho un padre».
«Tua madre, allora?»
«Nemmeno».
«Cosa?»
«Non ho… nemmeno una madre» ammise infine Emma, guardando ovunque tranne il viso di Regina. «Sono orfana, mai stata adottata».
«Oh» rispose Regina.
«Niente oh».
«Niente oh
«Niente… compassione o pena o…»
«Non ti stavo compatendo!»
«No?» domandò Emma, con aria di sfida.
«No! Penso solo che… sei tutto quello che mia madre odia. Bionda, lesbica e senza un’importante famiglia alle spalle».
«Oh».
«Sempre più divertente» commentò Regina, sorridendo con una strana luce negli occhi, come se l’assessore si divertisse genuinamente all’idea di far infuriare sua madre in un prossimo futuro.
 
 
*
 
 
«Questa è stata una pessima, pessima idea» bisbigliò Emma a Regina.
«Già, non avrei mai dovuto darti retta» confermò l’assessore.
Erano da poco scese dall’aereo e, dopo aver recuperato tutti i loro bagagli, si stavano dirigendo verso l’auto che la madre di Regina aveva mandato per loro. Solo che, a pochi metri di distanza, avevano scoperto che la signora Mills era lì ad attenderle, fuori da una limousine nera che a Emma non sembrava per nulla adatta per un passaggio dall’aeroporto.
E Emma e Regina non si sentivano affatto pronte per il teatrino che avevano concordato.
«Tesoro!» esclamò la signora Mills, aprendo le braccia in direzione della figlia e attendendo che questa le si avvicinasse per abbracciarla, cosa che Regina fece, per pochi secondi e con un’espressione da martire in volto.
«Come è stato il volo?»
«Tranquillo» rispose l’assessore, con un sorriso di circostanza.
«Mi fa piacere» rispose la signora Mills. «Ma credevo che avresti portato il tuo fidanzato, Regina, non la cameriera» aggiunse poi, senza spostare lo sguardo su Emma, come se fosse decisa a ignorarne la presenza. La ragazza pensò che la madre di Regina fosse più odiosa di quanto mai avrebbe potuto immaginare dai racconti dell’assessore.
«Non è la mia cameriera, mamma» rispose Regina.
«Una tua amica?»
«No, mamma» fece l’assessore e Emma le si mise subito accanto, cingendole i fianchi con un braccio. Sentì Regina irrigidirsi al contatto e, realizzò Emma, prima di domani avrebbero fatto meglio ad accordarsi anche su questo – abbracci, tenersi per mano e baci sulla guancia, cosa fosse consentito e cosa no. La signorina Swan si appuntò mentalmente di scusarsi con Regina, in privato, per quel gesto improvviso e invadente, ma in quel momento la signora Mills aveva davvero bisogno di capire chi lei fosse, per Regina. O chi fingeva di essere. Insomma, il principio non cambiava.
«Sono la ragazza di sua figlia» disse Emma, porgendo alla madre di Regina la mano destra perché la stringesse. «Emma Swan».
Finalmente, la signora Mills spostò lo sguardo su di lei e la studiò per un lungo istante. «Capisco» disse infine, prima di voltarsi e salire in macchina, senza nemmeno aver stretto la mano di Emma, che sospirò profondamente.
«Incantevole» sussurrò Emma in direzione di Regina, a denti stretti.
«Ti avevo avvisata, ma ovviamente non hai voluto darmi retta» rimarcò l’assessore Mills, prima di prendere la mano di Emma che le stringeva il fianco per sciogliersi dall’abbraccio. La signorina Swan pensò che l’assessore volesse liberarsi dal contatto, perciò rimase senza fiato quando invece Regina intrecciò le proprie dita alle sue, facendole strada verso la limousine. Una volta sedute all’interno, di fronte a una signora Mills profondamente irritata a giudicare dal tic all’angolo dell’occhio destro. Regina continuò a tenere la mano di Emma nella propria, le loro dita intrecciate in bella vista e appoggiate sulla coscia di Regina, lasciando Emma a domandarsi se in quella limousine facesse estremamente caldo o se era solo lei ad aver avuto un improvviso attacco di febbre.
 
 
*
 
 
Quando finalmente il concierge ebbe portato nella loro stanza d’albergo anche l’ultimo bagaglio di Regina – e Emma ebbe commentato per la settima volta da quando erano scese dal taxi all’aeroporto di Boston che l’assessore Mills aveva decisamente esagerato portandosi tutta quella roba – la signorina Swan sospirò di sollievo. Si appoggiò alla porta, tenendosi una mano sul cuore, mentre Regina si sedette sul bordo del letto e si sfilò le scarpe, che erano state a loro volta oggetto di critica da parte della signorina Swan perché, sul serio, chi viaggia indossando scomodissime Louboutins rosse? Regina Mills, ecco chi.
«Tua madre è…» iniziò Emma, cercando una parola adatta per descrivere Cora Mills.
«Lo so» disse Regina, massaggiandosi una caviglia.
«Voglio dire… Il modo in cui mi ha guardata?! Anzi, no. Il modo in cui non mi ha guardata! Chi dannazione crede di essere? È stata così…. così….» stronza. «Altezzosa!»
«Lo so» concordò Regina, con tono monocorde, iniziando a massaggiarsi l’altra caviglia.
Emma aveva preso a passeggiare avanti e indietro per quella che, notò il suo subconscio, era la stanza d’albergo più lussuosa in cui fosse mai stata e su cui al momento non aveva tempo di commentare perché ogni suo singolo neurone era impegnato a venire a patti con l’esistenza di una donna odiosa quanto Cora Mills.
«Mi avrebbe buttato fuori dalla macchina in corsa, se solo avesse potuto farlo passare per un incidente» fece Emma, le mani tra i capelli, gli occhi spalancati.
«Lo so» ripeté di nuovo l’assessore, passando a massaggiarsi un polpaccio.
Naturalmente, l’altro motivo per cui Emma voleva concentrarsi su Cora Mills e Cora Mills soltanto era perché Regina era… troppo. Era troppo bella e decisamente troppo vicina. E Emma non poteva pensare a Regina in quel modo in quel momento in una stanza d’albergo in cui erano sole e in cui sarebbero rimaste sole per molte ore perché era decisamente… troppo.
«E io l’avrei buttata fuori dalla macchina in corsa, se solo avessi potuto farlo passare per un incidente!»
«Lo so» rispose laconicamente Regina, con un sospiro di sollievo mentre si massaggiava l’altro polpaccio.
«Tua madre è una tale arrogante. Così spocchiosa. Piena di sé. Irritante come una selva d’ortiche, fastidiosa come uno stormo di zanzare, rivoltante come… come…» e Emma emise un verso non meglio articolato per esprimere la sua profonda e sconfinata frustrazione.
«Lo so» concordò Regina, massaggiandosi il collo. «Ma uno stormo di zanzare non esiste».
«E come dannazione chiami un gruppo di zanzare?!» domandò Emma, smettendo finalmente di camminare avanti e indietro e fermandosi di fronte a Regina, con le braccia sui fianchi. Fu un errore, perché la signorina Swan si sentì la testa girare di fronte all’assessore Mills seduta sul bordo del letto, scalza, le gambe in sottili calze nere che sparivano sotto un vestito rosso a tubino assolutamente sconsigliato per un viaggio in aereo e il busto reclinato all’indietro, sostenuto dalle braccia di Regina puntate sul materasso.
«Perché avrei bisogno di chiamarlo, un gruppo di zanzare?!» domandò l’assessore Mills.
«Perché tua madre è un gruppo di zanzare!» sentenziò la signorina Swan, categorica. «Cora Mills. Ecco come si chiama un infernale, demoniaco, maligno gruppo di zanzare: Cora Mills».
E Regina Mills non solo scosse la testa, ma accennò anche un sorriso. Un sorriso divertito, che raggiunse i suoi occhi. Ed era stata Emma, a provocare quel meraviglioso sorriso.  
Dannazione.
Con un altro verso che, in qualche modo, Emma riuscì a produrre usando solo consonanti, la signorina Swan individuò il bagno e vi si diresse a passo di marcia, chiudendosi all’interno e borbottando ancora qualcosa sulla signora Mills, giusto per fare scena.
Ma ormai Cora Mills e le zanzare, Emma, le aveva dimenticate, perché non poteva fare altro che pensare a Regina. E al suo sorriso.
 
 
*
 
 
Quando Emma uscì dal bagno, scoprì che Regina non era sola e si immobilizzò all’istante, due paia di identici occhi castani si voltarono a guardarla.
«Emma» disse l’assessore, alzandosi dal piccolo divano in cui era sprofondata e facendo segno alla ragazza di avvicinarsi. «Ti presento mio padre, Henry Mills».
L’uomo che si alzò dalla poltrona di fronte a Regina doveva essere sulla settantina ed era persino più basso dell’assessore. Portava un pigiama rosso a righe bianche, lindo e senza una piega, ma dal taglio persino Emma capì che doveva essere molto datato. Il signor Mills era quasi pelato e gli ultimi capelli rimasti, grigio topo, disegnavano un’aureola intorno al suo capo, mentre il suo viso, per quanto rugoso, si illuminò immediatamente alla vista di Emma.
«Papà, lei è Emma. La mia-» e Regina si schiarì la voce, «ragazza».
Un brivido corse lungo la schiena di Emma, ma decise di ignorarlo e tese la mano al signor Mills, temendo la reazione dell’uomo. Nemmeno Henry Mills le strinse la mano.
«Emma! Che piacere conoscerti!» esclamò l’uomo, accalappiando Emma per stringerla in un saldo abbraccio. Nonostante fosse stata colta alla sprovvista, e costretta ad abbassarsi per compensare la differenza di altezza, Emma ricambiò l’abbraccio e strabuzzò gli occhi in direzione di Regina, chiedendole silenziosamente spiegazioni. L’assessore Mills si strinse nelle spalle, come a voler dire che quello era suo padre, era fatto così, e lei non ci poteva fare nulla.
Finalmente, Henry Mills liberò Emma, ma solo per darle una vigorosa pacca sulle spalle che mise a rischio le capacità polmonari della ragazza. «Vorrei dirti che mia figlia mi ha parlato molto di te, ma purtroppo Regina è sempre stata così riservata, persino da bambina… Non mi stupirei nemmeno di scoprire che in realtà siete già sposate».
«Papà» l’ammonì teneramente Regina, mentre il cuore di Emma saltò un battito.
«Cosa? Tanto Emma lo sa come sei, no? Non è vero, Emma?»
Ignara di cosa stesse confermando, la signorina Swan annuì in direzione del signor Mills, fingendo di sapere perfettamente a cosa l’uomo si stesse riferendo. Così, guadagnò una nuova, fin troppo vigorosa pacca sulla spalla e lo sguardo risentito di Regina. Emma le rivolse un vago sorriso di scuse.
«Ma guardatevi! Così in sintonia! Vi capite senza bisogno di parlare!» esclamò il signor Mills, giulivo. «Ma sediamoci, su, forza. Le mie gambe non sono più giovani come le vostre» aggiunse poi l’uomo, tornando a sedersi sulla poltrona che aveva occupato poco prima e sollevando le gambe perché potessero riposare su un poggiapiedi. Regina prese posto sul divano e Emma si sedette accanto a lei.
«Ah, siete proprio adorabili» commentò il signor Mills, guardandole, con tono soddisfatto. Emma avvampò e Regina si agitò, accavallando le gambe per poi scavallare immediatamente, non appena sfiorò la gamba di Emma con il piede.
Il signor Mills sembrò non aver notato nulla. «Andiamo, date un po’ di gioia a questo vecchio stanco, ditemi: come vi siete conosciute?»
«In ascensore» esclamarono entrambe, all’unisono. Avevano deciso di non mentire, non più di quanto fosse necessario. Emma aveva insistito. Le finzioni migliori erano quelle che meno si scostavano dalla realtà. E loro si erano davvero conosciute nell’ascensore del palazzo.
Il signor Mills si portò le mani al petto, con aria sognante, mentre Emma e Regina si guardarono confuse.
«Racconta pure» disse Regina.
«Nah, tesoro» rispose Emma, sorridendo. «Insisto».
Regina nascose la propria contrarietà al nomignolo e tornò a sorridere a suo padre.
«In ascensore» disse, schiarendosi la voce. «Stavo tornando a casa dal lavoro, era un venerdì».
Ed era vero, era un venerdì, questo non lo avevano concordato e Emma non lo aveva ricordato fino a quel momento. A quanto pareva l’assessore aveva ascoltato il suo consiglio di mentire il meno possibile, ottimo. Sentendosi più tranquilla, Emma si appoggiò ai cuscini del divano e stese un braccio lungo lo schienale, dietro le spalle di Regina, che era seduta sul bordo. Che strana abitudine aveva, poi, di sedersi sul bordo dei mobili.
«Le porte stavano quasi per chiudersi, quando qualcuno si infilò all’interno, correndo e rischiando di farsi molto male» proseguì Regina.
«Ma non è successo nulla» si inserì Emma.
«Fortuna».
«Destino» la corresse la signorina Swan, stringendosi nelle spalle.
Il signor Mills ghignò. «E poi?»
Regina scosse la testa. «E poi l’ascensore ha iniziato a salire, ma dopo pochi secondi si è fermato. Emma ha premuto il pulsante di emergenza, poi si è presentata. Mi ha detto di essersi appena trasferita e mi ha chiesto se succedesse spesso, che l’ascensore si bloccasse tra i piani. Abbiamo chiacchierato per qualche minuto. Poi, fortunatamente, l’ascensore ha ripreso a salire. Abbiamo scoperto di essere vicine di casa e… Eccoci qui».
«Ed è tutto?» domandò il signor Mills.
Dio, no. Non era tutto, affatto. Tanto per iniziare, Regina non si era presentata a sua volta, il che aveva infastidito Emma oltre ogni misura. In secondo luogo, non avevano chiacchierato: Emma aveva parlato a ruota libera e Regina si era limitata a guardarla con ostilità, le mani appoggiate ai fianchi e il piede che batteva impaziente sul pavimento. Infine, avevano scoperto di essere vicine di casa quando le porte dell’ascensore si erano aperte al piano corretto ed entrambe avevano provato a uscirne nello stesso momento, scontrandosi. Emma aveva ceduto il passo, per gentilezza. Aveva augurato una buona serata alla donna che per lei era ancora senza nome e Regina aveva ricambiato con un semplice signorina Swan. Almeno, l’aveva ascoltata mentre parlava. Il giorno seguente, Emma aveva fatto quello che sapeva fare meglio e aveva ficcanasato in giro: aveva letto il nome di Regina sul suo campanello, dopodiché aveva chiesto al portiere che cosa sapesse di lei, il che si limitava al fatto che vivesse sola e fosse assessore comunale.
«Ed è tutto» confermò invece Regina.
«Hai capito subito che ci sarebbe stato qualcosa, tra te e Emma?» insistette li signor Mills.
Regina avvampò. «Papà, ti prego!»
Emma rise. «Per me è stato un colpo di fulmine» commentò Emma, guadagnandosi uno sguardo allarmato da parte dell’assessore. Nessuna improvvisazione, avevano detto.
«Sì?» incalzò il signor Mills, piegandosi appena in avanti con il busto.
Emma annuì. «Quando mi infilai in quell’ascensore…» la ragazza sospirò. «Avevo corso, per poterlo prendere, ma non era certo per quei pochi metri che il mio cuore batteca all’impazzata. Regina… Regina era… È la donna più bella che abbia mai visto» confessò Emma, spostando lo sguardo sull’assessore, che arrossì ancor più violentemente e distolse gli occhi, puntandoli a terra, prima di scuotere la testa. «Tesoro, basta così» disse poi, posando una mano sul ginocchio di Emma e lanciandole un sorriso d’avvertimento.
«E come è stato il vostro primo appuntamento?» domandò invece il signor Mills.
«Meraviglioso!» esclamò Emma, con voce acuta. Troppo acuta. Il ginocchio su sui Regina aveva posato la propria mano era in fiamme. L’assessore vi piantò le unghie per intimare alla ragazza di darci un tagliò.
«Papà, basta così» si intromise Regina, bonariamente. «Ormai è tardi e domani devi alzarti presto. Devi riposare».
«Ma io voglio sapere di te ed Emma» protestò il signor Mills.
«Andiamo, tesoro. Non è poi così tardi» gli diede man forte la signorina Swan, con il solo scopo di infastidire l’assessore, che la guardò confusa, come volendo chiederle che cosa le passasse per la testa. Meno domande facevano loro circa la loro relazione, meglio era, e ora Emma si era messa ad incoraggiare le stesse domande che volevano evitare.
Regina si alzò dal divano. «Sì, è così tardi» sentenziò.
Il signor Mills guardò Emma, sconsolato, e la ragazza sospirò teatralmente. «Quando si mette in testa una cosa…» fece la signorina Swan, stirando le labbra e scuotendo la testa. «Ah, quanto è testarda questa donna».
L’uomo ridacchiò, mentre lo sguardo che Regina lanciò alla ragazza voleva dire una cosa e una soltanto: che poi, loro due, sole, avrebbero fatto i conti. Oh, beh, da quanto Emma si stava divertendo, ne sarebbe sicuramente valsa la pena.
«Lascia che ti aiuti ad alzarti, papà» disse Regina, avvicinandosi a signor Mills. Questo scosse la testa e tese un braccio per tenerla lontana. «Ce la faccio, ce la faccio» la rassicurò.  
Regina non insistette, ma rimase abbastanza vicino all’uomo così da essere pronta se fosse scivolato.
«Vado, vado» fece il signor Mills. «L’ho capito, tanto, che è solo perché vuoi rimanere sola con Emma».
Emma quasi si strozzò con la sua stessa saliva e, per cercare di nascondere l’imbarazzo, si avvicinò all’entrata ad ampie falcate, così da precedere l’uomo e aprirgli la porta.
«Ah, beata gioventù» commentò l’uomo, quando fu davanti a lei, dandole un’altra pacca sulla spalla così forte che Emma chiuse gli occhi per paura che le uscissero dalle orbite.
«È stato un piacere conoscerla, signor Mills» riuscì a dire Emma, con il fiato corto.
«No, no, niente signor Mills. Henry» disse l’uomo, sorridendo e spalancando le braccia.
Emma lo abbracciò di nuovo. «Henry» disse.
Poi, il signor Mills abbracciò la figlia e le diede un bacio sulla guancia. «Buonanotte, bambina mia. A domani».
«Buonanotte, papà» rispose Regina. «Vuoi che ti accomp-»
«Sono vecchio, ma non così vecchio. A domani» la interruppe il signor Mills, chiudendosi da sé la porta alle spalle e lasciando Emma e Regina da sole, una di fronte all’altra.
Emma si infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans, sorrise all’assessore. «Accidenti. Tuo padre è… non come me lo aspettavo».
«La donna più bella che tu abbia mai visto?!» esclamò invece Regina. «A cosa dannazione stavi pensando? Avevamo detto niente improvvisazioni!»
«Infatti» confermò Emma. Perché lei non aveva improvvisato. L’aveva detto o no, a Regina, che le finzioni migliori sono quelle che più si avvicinano alla realtà?
 
 
*
 
 
Emma se ne stava in piedi, a lato del letto matrimoniale nella stanza che condivideva con Regina, con le mani piantate sui fianchi e un’espressione contrariata.
Un letto matrimoniale.
Un solo letto matrimoniale.
E due notti da trascorrere con Regina.
Emma si chiese se l’assessore, che ora si trovava in bagno sotto la doccia, si fosse posta il problema.
La signorina Swan girò su sé stessa e puntò gli occhi sul piccolo divano della stanza. Un divano molto piccolo. Probabilmente sarebbe finita a dormire lì perché era più che sicura che Regina non avesse la minima intenzione di adeguarsi.
L’acqua della doccia si fermò, ma Emma non se ne rese conto, impegnata come era a cercare una terza alternativa per la notte. Chiedere un’altra stanza era, ovviamente, fuori discussione. Dovevano fingere di essere insieme, insieme insieme e, da quel che aveva capito, l’intero hotel era stato prenotato per il matrimonio della sorella di Regina. Emma sapeva, intuitivamente, che la signora Mills sarebbe certo venuta a conoscenza del fatto che la supposta ragazza di sua figlia avesse chiesto di dormire in un’altra stanza. Pensò di prepararsi un giaciglio a terra, ma probabilmente avrebbe avuto freddo. Forse avrebbe potuto sopportare per quella notte soltanto e procurarsi una stuoia o un materassino per quella successiva.
L’assessore Mills aprì la porta del bagno e Emma, ancora intenta ad arrovellarsi tra sé e sé circa il da farsi, le lanciò una veloce occhiata, così veloce che il suo cervello non ebbe nemmeno il tempo di elaborare ciò che vide, se non con qualche secondo di ritardo. Emma sollevò di nuovo lo sguardo su Regina Mills, che indossava la vestaglia di raso nera che le aveva già visto sul pianerottolo e che lasciava scoperte le gambe. Nude.
«Non vedo l’ora di dormire» disse Regina, che non sembrava aver notato lo sguardo di Emma. La signorina Swan si costrinse a distoglierlo. Era maleducato, fissare.
«Sì. G-Già. A proposito di questo» fece Emma, passandosi una mano sul viso. Stava vivendo troppe emozioni in un lasso di tempo ristretto, non era sicura di poter sopravvivere a quello stupido matrimonio, di quel passo.
«Cosa?» domandò Regina, che si era avvicinata al letto e si era sfilata la vestaglia. Portava una canottiera nera di raso e pizzo e un paio di pantaloncini corti dello stesso materiale e colore.
Emma si mise a fissare il soffitto. Era un bel soffitto. Tutto bianco.
«Pensavo di… Sì, magari… il divano».
«Il divano?»
Emma si schiarì la voce. «Sì, beh. C’è solo un letto».
«Lo vedo» rispose Regina, esaminando uno ad uno la montagna di cuscini sul letto, prima di sceglierne uno che sembrava rispondere ai suoi standard.
«Ecco, ho pensato che tu potresti dormire lì. E io sul divano».
Regina si strinse nelle spalle. «Questo è un letto molto grande, Emma».
La signorina Swan spostò, molto lentamente, lo sguardo su Regina, che si era infilata sotto le coperte, dal lato sinistro. Che coincidenza, pensò Emma, lei aveva sempre preferito il destro. Non che in quel momento fosse rilevante.
«Sarà molto comodo, immagino» commentò Emma, confusa.
«No, signorina Swan. Intendevo che… possiamo condividerlo».
«Cosa?!»
«Il letto. Stiamo parlando del letto! Emma, stai bene?»
«Sì, sì. Sto bene. Tu stai bene?»
«Signorina Swan, non so quale sia il tuo problema, in questo momento, ma non è necessario che tu dorma sul divano. Siamo due donne adulte, possiamo condividere un letto. E… possiamo mettere dei cuscini nel mezzo se preferisci» disse Regina, prendendo i cuscini che aveva scartato poco prima e disponendoli al centro del materasso. «Ecco, così ciascuna avrà il proprio lato».
Emma esitò. Non era poi una così pessima idea. Lanciò un’altra occhiata al divano, stretto e corto, e sospirò. Regina fece schioccare la lingua. «Fa’ come vuoi. Se preferisci dormire sul divano, non ci sono problemi, per me. Non ho pensato che potesse darti fastidio… condividere il letto».
«No, no, no! Non è questo, è solo…»
«Solo?»
Emma si strinse nelle spalle. «Non lo so, ho pensato che avresti preferito dormire sola» disse infine, in tono vago, avvicinandosi al letto e sistemandosi dalla sua parte.
«Non lo preferisco» commentò Regina, spegnendo la luce.
 
 
*
 
 
«Regina?»
«Sì?»
«Stai dormendo?»
«Ovviamente no, Emma» rispose Regina, con un sospiro.
«Ok, ecco…»
Emma era rimasta sdraiata al buio per parecchi minuti, prima di decidersi a portare la questione all’attenzione di Regina. Forse non era una buona idea farlo in quel momento, con Regina nello stesso letto, un muro di cuscini tra di loro, quando Emma non poteva vederne il volto per giudicarne le reazioni, ma…
«Cosa c’è, signorina Swan?»
«Ecco, mi chiedevo… Sai quello che ho fatto oggi, davanti a tua madre… Quando… Quando ti ho… Ti ho…»
«Quando mi hai cinto i fianchi, Emma?»
«Sì» confermò la ragazza, grata che l’altra le fosse venuta in soccorso. «Sì, mi chiedevo se ti avesse dato fastidio… Perché in questo caso mi dispiace, davvero, è che non ne abbiamo parlato e non sapevo cosa fare e tua madre è… è…»
«Uno stormo di zanzare, se ben ricordo la tua eloquente definizione».
«Già. Quindi, sì, penso che dovremmo definire dei… limiti, ecco. Cosa possiamo e non possiamo fare».
Emma sentì Regina muoversi, dall’altro lato del letto, ma lei rimase supina, gli occhi fissi al soffitto.
«Cosa possiamo e non possiamo fare» ripeté infine l’assessore, in tono neutro.
«Sì, stabilire dei limiti così da non oltrepassarli».
«Dei limiti».
«Regina? Hai intenzione di ripetere tutto quello che dico?» domandò Emma.
«Sono solo… confusa. Dobbiamo fingere di essere una coppia, no?»
«Sì».
«Quindi dobbiamo comportarci come si comporterebbe una coppia».
«Sì, ma… stiamo fingendo» disse Emma.
«Di essere una coppia. A meno che tu non faccia qualcosa di molto inappropriato in pubblico con le tue vere ragazze, Emma. Non che mi stupirei-»
«Ehi! Dico solo che probabilmente abbiamo un’idea diversa di ciò che significa inappropriato».
Emma chiuse gli occhi, feriti dalla luce della lampada che l’assessore aveva acceso all’improvviso. Quando li riaprì, Regina si era messa a sedere e guardava Emma da sopra la muraglia di cuscini tra di loro. La signorina Swan imprecò sonoramente, maledicendo la dannata luce. In realtà, Emma era molto più risentita dal fatto che Regina Mills fosse meravigliosa persino da quell’angolo, il che era a dir poco offensivo per il resto del genere umano.
«Questo è decisamente un limite» disse Regina, incrociando le braccia al petto.
Gemendo, Emma si mise a sedere. «Questo cosa
«Il tuo linguaggio. Meno volgarità, per cortesia».
Emma alzò gli occhi al cielo. «D’accordo. E… quello che è successo oggi con tua madre?»
«Nessun problema per me. Per te?»
«Nessun problema».
«Bene».
«Bene».
Regina si schiarì la voce. «E…» di nuovo, Regina si schiarì la voce. «E prendersi per mano».
«Ok».
«D’accordo».
«Domani andiamo a un matrimonio» disse poi Emma.
Regina la guardò come se, all’improvviso, le fosse spuntata una seconda testa. «Ne sono più che consapevole, signorina Swan».
«Intendevo… Ci saranno canzoni romantiche. E balli. E balli con canzoni romantiche. Possiamo ballare balli con canzoni romantiche con tutta la… Emh, vicinanza che comporta?»
«Sembrerebbe molto strano se non ballassimo a un matrimonio, immagino» considerò Regina, come sovrappensiero.
«E anche se non ci baciassimo» aggiunse Emma, nello stesso tono, prima di rendersi conto che non l’aveva solo pensato, lo aveva anche detto. Ad alta voce.
«Cosa?» domandò Regina, con uno sguardo tale che la signorina Swan per un secondo credette davvero che le fosse spuntata una seconda testa. Si toccò le spalle e il collo per sincerarsi che nulla fosse cambiato.
«Cosa?!» ripeté in tono acuto.
Regina puntò lo sguardo di fronte a sé, un’espressione impassibile in volto. «Signorina Swan».
«Era solo una riflessione» si affrettò a dire Emma.
«Se e, ripeto, se le circostanze non lasciano altra alternativa, hai il mio permesso per… per baciarmi» disse Regina.
Emma incrociò le braccia al petto a sua volta. «Mi stai prendendo in giro? Lo dici come se fosse una tortura, la prospettiva di baciarmi!» fece Emma. Se faceva tanto schifo alla perfetta Regina Mills, perché dannazione aveva accettato di farsi accompagnare da lei, al matrimonio della sorella?
Regina spostò lo sguardo su di lei, strinse gli occhi a due fessure, come se stesse cercando di capire il senso delle parole di Emma. Eppure, alla signorina Swan, sembrava di essere stata più che chiara. Dopo minuti che a Emma parvero infiniti – e certo era così che doveva sentirsi una cavia in laboratorio, come se ogni sua minima azione potesse rivelare i suoi più oscuri segreti – Regina distolse lo sguardo, si sdraiò dando le spalle alla signorina Swan e spense la luce.
«Non è una tortura. Non in quel senso» disse l’assessore Mills.
E, pur se Emma la udì distintamente, nell’improvviso silenzio della loro camera d’albergo, il detto insegna che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
 

 

 
 
NdA
Buon venerdì <3
Grazie per aver letto anche questo secondo capitolo e spero vi sia piaciuto <3
Alla prossima settimana,
T. <3
P.S. Ma, sul serio, come si chiama un gruppo di zanzare? Sciame, visto che sono degli insetti?
   
 
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