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Autore: Emmastory    15/05/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo IV 
 
Il vivere al villaggio 
 
Lentamente, era arrivata la sera. Il sole era scomparso dal cielo, e ora quest’ultimo sembrava sporco di tinte più cupe, ma in realtà era semplicemente nero. Nero come la notte che da poco era caduta, illuminato solo da centinaia, migliaia o forse perfino milioni di stelle che coraggiose quanto la compagna luna, madre e curatrice della loro bellezza, lo illuminavano. Tutto attorno a me era calmo, e avvicinandomi piano alla finestra, le vidi. Una per una, le figlie della sovrana di questa bellissima notte, silenziosa e piena di una magia molto più potente di quella che possiedo. “Gran bello spettacolo, non credi?” mi chiese Christopher, rimasto in disparte fino a quel momento. Rapita da ciò che vedo, quasi non sento la sua voce, finché osando, lui non arrivò a sfiorarmi la mano. Per quanto inaspettato Il suo tocco fu leggero, proprio come la sua voce lo sentii appena, ma voltandomi, sorrisi. “Più che bello, Chris. Meraviglioso.” Ebbi appena la forza di dire, per poi ridurmi al silenzio e riportare lo sguardo su quella tela tanto oscura e punteggiata da quelli che sembravano sprazzi di luce bianca. Lontani e deboli, certo, ma nonostante questo, bellissimi. Allietata dal tocco del mio amato, intrecciai le dita alle sue, e aguzzando la vista, lasciai spazio a un altro particolare. Qualcosa si muoveva nella distesa stellata, e felice come una bambina nel giorno del suo compleanno, già pronta a scartare i suoi regali e ringraziare chi glieli aveva donati, mi ritrovai senza fiato. Forse per la prima volta non era il mio Christopher a regalarmi una sensazione del genere, ma al contrario, proprio il cielo e la più temeraria delle sue creature. Splendente di luce azzurra, si trascina dietro una coda ancor più luminosa, e solo allora capii che era una stella cadente. Alla sua vista, una strana stretta al petto quasi mi fece sobbalzare, ma all’istante mi calmai, sicura che non sarebbe accaduto nulla. Memore di un’altra delle sere di Notteterna, ricordavo ancora la meraviglia provata nell’affidare un solo rublo di luna all’acqua del pozzo dei desideri, e malgrado non credessi a una favola come quella, destinata a pixie e folletti molto più giovani di me, non avrei lasciato andare la speranza, continuando a credere che stasera, e anche in futuro, tutto andrà bene. “Un desiderio, fatina?” con tre sole parole, la voce di mio marito mi giunse ovattata, parendo filtrare appena nella mia coscienza, ma nonostante questo, mi voltai e risposi. “Più di uno, mio custode.” Una risposta sincera e carica delle emozioni che provavo quando ero con lui, che ogni volta mi trasportavano completamente, arrivando a sradicarmi con dolcezza da questo luogo a metà fra umano e magico, così che mi sentissi felice, calma e a mio agio fra le sue braccia. Ora non mi stringeva né mi sfiorava più la mano, ma insieme restavamo lì ad osservare la volta celeste e le sue magnifiche eccellenze, anche mentre il tempo che scorreva senza sosta pareva ignorarci. Ad essere sincera non sapevo se fosse di nuovo opera di Sky o del cielo stesso, ma se a una parte di me non importava, un’altra dissentiva e avrebbe voluto saperlo. Stanca, mi portai una mano al viso per nascondere uno sbadiglio, e stoica, continuai a guardare. Era mia sorella, era ancora a Primedia, e sapevo che stava bene, ma qualcosa, una sorta di sesto senso o una voce nella mia testa, peraltro finalmente dissimile da quelle che udivo quando venivo tormentata da quei dannati spiriti mi convinceva che forse questo non era il caso, e che con il tempo, padre tanto premuroso quanto indifferente, le cose sarebbero cambiate. Assetata di conoscenza, cercai di resistere, ma con uno spirito forte e una carne più debole, fui costretta ad arrendermi, e voltandomi, cedetti ai richiami del sonno. Lenta, a fatica mi trascinai verso la camera da letto, ma all’improvviso il divano apparve ai miei occhi come un ancor più accogliente giaciglio, e attenta a non farmi male né stirare nessun muscolo, mi sdraiai. Muto e immobile, il mio protettore mi guardò, e sorridendo appena, non se la sentì di dire nulla. Capiva bene che l’ora era tarda, comprendeva perfino meglio come mi sentissi, e avvicinandosi di qualche passo, mi lasciava fare. “Pensi tu ai bambini?” non riuscii a non chiedergli, preoccupata per quelle dolci creature. Anche se da poco, delegavo anziché agire pur sapendo che non avrei dovuto, ma ogni mansione che li concerneva era per entrambi una prima volta, e il mio fisico ancora stremato dalla loro venuta al mondo faticava a riprendersi. Per pura fortuna avevamo ormai adottato un sistema tutto nostro, stando al quale ci concedevamo dei turni così che almeno uno di noi dormisse, e ad occhi chiusi, sperai che mi avesse sentito. Privata della capacità di vedere, non ebbi modo di esserne sicura, e dopo poco, malgrado sembrino passate ore, rieccolo. Premuroso come sempre, il mio Christopher aveva fatto ritorno, portando con sé una coperta e due lanterne. “Ecco, così staranno con noi anche stasera.” commentò, appendendole con cura al camino acceso assieme alle calze prima colme di dolciumi e ora smagrite. “Mentre questa è per te.” Sussurrò poco dopo, facendosi più vicino e adagiandomi la coperta sul corpo. “Grazie.” Replicai, con voce bassa e quasi inudibile ma addolcita dai sentimenti. “Di nulla.” Mi lasciò intendere, quando sedendosi, si preparò a sdraiarsi per starmi accanto. Scostandomi, gli feci spazio perché fosse più comodo, e calma e felice, proprio come le stelle avevano forse cercato di dirmi, lasciai che mi stringesse a sé. Chiudendo nuovamente gli occhi, non vidi davvero più nulla, e ben presto, del tutto colta alla sprovvista, non avvertii altro che la pressione del suo corpo contro il mio. Con il cuore che batteva impazzito, minacciando di esplodermi in petto, non riuscii a sottrarmi al suo amore, e ancor prima che reagissi, tutto accadde in fretta. Non riuscivo a crederci, ma fu questione di un solo istante perché sentissi le sue mani di nuovo fra le mie, le sue dita giocare con i miei capelli sfiorandomi piano anche la schiena, mentre, lente e tentatrici, le sue labbra si posavano su ogni centimetro di pelle scoperta che riuscisse a raggiungere. Emozionata, tentai di resistere e non cedere nella speranza di ritardare l’inevitabile, ma la mia, una lotta accesa e tristemente impari, andò avanti consumandosi davanti ai suoi occhi fino all’ultimo, doloroso momento, quando, rilassandomi completamente e sentendo il cuore sciogliersi, divenni sua. Ancora una volta, mi aveva amata con tutto sé stesso, e guidata dalla mia parte umana, stavolta più potente di quella magica, non ero riuscita a impedire che accadesse. Anche addormentandomi, non pensai ad altro, e persa in una fra tante dimensioni oniriche, ebbi la sensazione di rivivere quei momenti infinite volte, provando con ogni replica le stesse e identiche emozioni. Il cuore che batteva, il corpo tremante, il mio spirito fremente, e poi, oltre il suo amore e il mio tanto agognato limite, la quiete. Tranquilla e orgogliosa, anzi, onorata di averlo al mio fianco, dormii serenamente fino al mattino, mentre Morfeo, silenzioso e paziente, continuò ad attendere per cullarmi e accogliermi nella landa del resto dei miei sogni. Aprendo gli occhi per un attimo, guardai di nuovo il mio Christopher, che stanco come e più di me, non desiderava altro che il riposo. “Ti amo.” Gli dissi soltanto, rafforzando la nostra stretta sotto la coperta. “Ti amo anch’io, Kaleia.” Rispose, biascicando ogni parola come a non volersi far udire che da me. “Tantissimo.” Lo sentii aggiungere, sincero come al solito. A quelle parole, sentii un altro sorriso spuntarmi in volto assieme a un’ennesima speranza nel petto, e priva di forze ed ebbra di felicità, non osai lasciarlo andare per le lunghe ore a venire. Così, la notte trascorse lenta, e aprendo gli occhi non poca fatica alle prime luci dell’alba, non sentii il sole, ma al contrario, qualcosa di freddo e bagnaticcio sulla pelle. Confusi, mi concessi del tempo per mettere a fuoco quell’immagine ancora sfocata, e quando finalmente accadde, scoppiai a ridere. Era Cosmo, che appena sveglio proprio come me, sembrava deciso a darmi il buongiorno. “Ciao! Sei sveglia? Vuoi uscire? O è troppo presto?” semplici e sempre dettate dall‘ingenuità, piccole frasi che la dolce espressione dipinta sul suo muso mi comunicava perfettamente, tutte metaforicamente proferite mentre sbatteva la coda contro il divano, creando fra un attimo e l’altro un ritmo tutto suo. Divertita, gli rivolsi un sorriso, e stiracchiandomi come la cara Willow, che durante la notte aveva preso posto accanto al caminetto ormai spento e colmo di cenere, mi drizzai a sedere. Lenta, così da non svegliare Christopher o almeno provarci, ma senza successo. Veloce e invadente, infatti, quel mascalzone di un Arylu mandò a monte i miei piani, soprattutto quando con un balzo da record finì proprio addosso al caro padrone. “Dannazione, Cosmo! Scendi di qui!” mugugnò, tutt’altro che felice di essere stato svegliato a quel modo. Ingenuo come al solito, il cagnolino si limitò a guardarlo, continuando come se nulla fosse a sbattere la coda. “Come dici? Non ho sentito.” Sembrava voler dire, prendendolo in giro. A quella vista, trattenni a stento una risata, e scuotendo la testa, lo richiamai a me. “Vieni, forza, lascia stare Christopher!” gli dissi appena, non riuscendo nel mentre a smettere di ridere. Drizzando le orecchie a punta, l’Arylu stavolta obbedì, e con un balzo, fu di nuovo sul tappeto. Tanto veloce quanto sgraziato, rischiò di scivolare, e spaventata Willow corse via attraversando il corridoio come una scheggia, finché, rimasto solo, il cucciolo non scosse la testa, riprendendosi in un lampo da quella sorta di incidente. Fra una piccola risata e l’altra, l’osservai mentre si rimetteva in piedi, e in quell’istante, qualcos’altro attirò la mia attenzione. Era mattina, i piccoli non avevano ancora mangiato, e a riprova di ciò, la lanterna di Delia fu la prima a splendere di luce propria. Chiaro segno che come il fratello anche lei si stava agitando, ed era affamata. Non perdendo altro tempo, le scaldai un biberon di latte come mi avevano insegnato Aster, Amelie e le altre sorelle ninfe, e poco dopo, aiutata anche da Christopher, ne versai appena qualche goccia nella sua lanterna. Ancora una volta, ci occupammo di un bimbo ciascuno, e a lavoro finito, sorrisi. “Un giorno crescerete, e sarò felicissima, piccolini.” Sussurrai loro, parlando ad entrambi come spesso facevo con le piantine che per un motivo o l’altro a volte sembravano rifiutarsi di crescere. Troppo sole, poca acqua o comunque non abbastanza, o a volte anche il freddo. Seppur scherzando, amavo definirla timidezza, e nulla poté prepararmi a ciò che vidi quando mi apprestai a richiudere la lanterna appena aperta. Lenta ma decisa, la mia piccola Delia svolazzò verso di me come la lucciola a cui tanto somigliava, e posandomisi sulla mano, la sporcò adorabilmente di polvere di fata. Un tentativo tenero che speravo venisse seguito da molti altri, e di fronte al quale, quasi piansi. Svelto, Christopher non mancò di notarlo, e cingendomi un braccio intorno alle spalle, mi sfiorò una guancia con le labbra. “Staranno benissimo, tesoro.” Mi disse poi, mentre, tranquillo, richiudeva anche quella di Darius. Intanto, e se Willow si era già volatilizzata nel corridoio che portava alla nostra stanza, Cosmo aveva invece deciso di aspettarci, e seduto di fronte alla porta di casa ancora chiusa, scodinzolava. Abbassando lo sguardo, incontrai di nuovo il suo, e sorridendo, posai una mano sulla tasca del vestito. Poteva sembrare sciocco, banale o esagerato, ma era lì che di tanto in tanto nascondevo i suoi biscottini preferiti, così come qualche innocua caramella ottenuta cristallizzando la resina degli alberi che avevo intorno. “Cosa c’è, bello? Vuoi uscire? Vuoi uscire?” gli chiesi, alzando la voce di alcune ottave per incitarlo. Felicissimo, il cucciolo abbaiò più volte, alzandosi su due zampe per farmi le feste, ma dandogli le spalle, non approvai. Sorpreso, si calmò all’istante, e capendo al volo, tornò a sedersi. Ridacchiando di nuovo, mi tolsi di tasca una di quelle ormai famose caramelle, avendo il piacere e la fortuna di vedere i suoi occhietti chiari brillare a quella sola vista. Intanto, muto e immobile al mio fianco, Christopher si limitava a guardarci entrambi, sogghignando sotto baffi immaginari e probabilmente credendomi ammattita. Tutt‘altro che arrabbiata all’idea, risi con lui, sicura che essere riuscita ad accettare la sua ironia fosse uno dei tanti motivi per cui lo amavo, poi tornai a concentrarmi sul mio amico a quattro zampe. “Prendi la coda!” gli ordinai, regalandogli l’ennesimo sorriso. “Prendi la coda!” ripetei, incoraggiandolo. Scuotendo il capo come per annuire, il cucciolo non attese oltre, e in un attimo prese a girare su sé stesso, descrivendo cerchi perfetti proprio come gli avevo insegnato. Come altri, fra cui sedersi, stendersi per terra, rotolare, alzarsi su due zampe e lasciare che gliene stringessi una in segno di saluto, un semplice giochetto divertente, nato dalla mia nuova, strana e forse ossessiva, c’era da dirlo, passione per la psicologia canina. Ancora giovane e con tanto tempo per crescere, quell’Arylu faceva parte della mia vita da soltanto pochi mesi, ma sin dal primo giorno ero sempre stata convinta di una cosa. Pensandoci, ricordavo ogni volta la nobiltà nascosta dietro allo slancio affettivo che mi aveva spinta ad adottarlo, e Chris non faceva altro che darmi ragione, e dopo un’ennesima pausa di silenzio per rintanarmi nei miei pensieri, concessi al mio cucciolo quel tanto ambito premio. “Sì, sei stato bravissimo, cucciolotto, sì.” Mi complimentai, guardandolo sgranocchiare quella delizia e arruffandogli il pelo con una carezza amorevole. Confuso, lui si scrollò quell’improvvisa imperfezione di dosso, e lasciando che assicurassi il guinzaglio al suo collare, finalmente fu pronto per uscire. “Dovete davvero farlo ogni volta?” commentò allora proprio Christopher, sinceramente divertito ma leggermente annoiato da quella routine. “In realtà no, e a volte cambiamo anche, ma se si diverte, chi siamo per impedirglielo?” gli feci notare, restando dalla parte del mio amato cagnolino. “Hai ragione, ma ora andiamo, o chi lo sopporterà più?” mi rispose quasi subito, scherzando come al solito. “Christopher!” lo rimbeccai, assestandogli un affatto offensivo pugno sul braccio. “Cosa, fatina mia?” mi riprese lui, tutt’altro che innervosito da quel finto scoppio d’ira. “Lo sai già, ma io ti amo.” replicai, innamorata persa di lui. Sorridendo lievemente, lui mi accarezzò una guancia, e solo pochi istanti prima di aprire la porta, si fermò. “Aspetta, metti la giacca, d’accordo?” si limitò a dirmi, fornendomi un utile consiglio che seguii in quel momento. Veloce, ne infilai una pesante data la stagione, poi guardai fuori. “Un attimo, prendo anche i guanti.” Dichiarai, lasciando a lui il cane e sparendo nella nostra stanza per cercarli. Grazie al cielo mi ero decisa a rivedere il guardaroba solo poco tempo prima, tanto che strinsi il pugno in segno di vittoria quando trovai il mio paio preferito di lana bianco al sicuro in un cassetto. Pronta, tornai da Chris e Cosmo, e finalmente, uscimmo. Così, abbassata la maniglia e fatti pochi passi, ci ritrovammo appena oltre l’uscio di casa, e guardandomi intorno, non riuscii a credere ai miei occhi. Piccoli e leggeri, mille fiocchi di neve fresca danzavano nel cielo trasportati dal vento che già aveva iniziato a soffiare, e inspirando a fondo, riscoprii ancora una volta la loro algida morbidezza. Mosso dall’aria ghiacciata come il mio respiro, uno mi si posò fra i capelli, e con delicatezza, Christopher fu lì per liberarmene. “Bello, vero?” chiese, la voce ridotta a un sussurro delicato quanto e forse più della neve stessa. Per essere precisi la prima della stagione, che osservai incantata e in assoluta tranquillità finchè non avvertii qualcosa ai miei piedi. Ancora costretto dal guinzaglio, il nostro caro Arylu tirava forte nella speranza di essere lasciato andare e correre libero per il bosco, e quando mi abbassai per accontentarlo, notai qualcos’altro. A quanto sembrava, noi tre non eravamo gli unici ad essere usciti di casa sfidando il freddo quella mattina, ma al contrario, nonostante fosse presto e si congelasse, al bosco c’erano tanti altri abitanti coraggiosi come noi. Dopo un ennesimo guaito del cagnolino seduto nella neve ai miei piedi, mi sforzai di regalargli la libertà nonostante i guanti mi limitassero nei movimenti delle dita, e non appena fu libero da quella sorta di trappola, quel piccolo e dolce Arylu parve perdere letteralmente la bussola, rotolandosi in mezzo alla neve fresca e ringhiando a quella che spostava con le zampe o colpiva con la coda. Contrariamente a ciò che molti avrebbero potuto pensare, Cosmo non era affatto aggressivo né mai lo era mai stato, e al contrario, del tutto preso da quel nuovo gioco, si stava divertendo da matti. “Non ti allontanare, bello!” gli gridò Christopher, muovendo qualche incerto passo fra la neve mentre mi teneva stretta. Non proferendo parola, lo lasciavo fare, e nel silenzio, un soffio di vento ci portò la sua risposta. Un latrato dolce e giocoso, unico segno che nonostante la distanza ci aveva sentito. In breve, Chris ed io arrivammo alla piazza principale di Eltaria, scorgendo più avanti decine di case appartenute ad altrettante famiglie tutte diverse, e poi, ancora più in là, la scuola. Appena visibile a causa della nebbia da poco unitasi al freddo, ma riconoscibile da una grandissima lettera P verde brillante. Aguzzando la vista, la individuai all’istante, e proprio allora, il mio pensiero volò direttamente verso le mie amiche pixie. A quasi otto e cinque anni, la frequentavano entrambe, ma ormai non le vedevo da tempo, e stava nevicando, ragion per cui immaginavo che fossero a casa. Forse appena sveglie e intente a far colazione, a guardare i cartoni sedute sul divano, o conoscendo Lucy, ad approffitarne per portarsi avanti con i compiti ed essere la prima della classe. Distanti come l’estate scomparsa da molto, quei pensieri mi tennero compagnia durante la passeggiata creando nella mia mente un’eco infinita, e proprio quando credetti di dovermi limitare a immaginarle eccole. Felici e sorridenti anche se impacciate dalle sciarpe e dai cappotti pesanti, Lucy e Lune. “Chris! Kia!” gridarono, contente di vederci. “Bambine!” salutai, sorpresa. “Cos’è, niente scuola oggi?” chiesi poco dopo, sorridendo mentre le stringevo entrambe in un vero e proprio abbraccio di gruppo. “No. Ieri invece sì, ma poi la signora Whitefield ci ha avvisato, e ha chiuso la scuola.” Rispose Lucy, sincera e tenera come solo lei sapeva essere. “E chi è? Un’insegnante?” azzardò Christopher, interessato e già in ginocchio per abbassarsi al loro livello. “Direttrice.” Biascicò appena Lune, più piccola e ancora plagiata da quel dannato mutismo. Ad essere sincera, non sapevo quando e se ne sarebbe davvero uscita, ma nonostante le difficoltà che la vedevo affrontare ci speravo. “Capisco, ma il vostro cucciolo? Di solito vi segue sempre.” Osservò poi il mio amato, parlando ancora a entrambe le bambine e aspettando con pazienza una risposta. “Rover... con papà. Pupazzo di neve!” esplose ancora la fatina del fuoco, tutta contenta per essere di nuovo riuscita a parlare. Intenerita da quella scena, dischiusi le labbra nell’ennesimo sorriso della giornata, e allontanandomi di qualche passo da Christopher e dalle bambine, decisi di richiamare Cosmo, o perlomeno capire dove si fosse cacciato. Avrei potuto inginocchiarmi e comunicare direttamente con la terra o seguire la sua scia magica, certo, ma grazie all’addestramento il suo richiamo era perfetto, così tentai. Camminando, ripetei più e più volte il suo nome a voce alta, battendomi occasionalmente anche una gamba, ma per minuti interi, niente. “Kaleia, tu non vieni?” mi chiese Christopher, alzando la voce e quasi urlando perché lo sentissi. “Sì, voi intanto andate, devo ritrovare il cane!” risposi, voltandomi per il tempo che bastava a parlargli e partendo subito alla ricerca di quello scalmanato cagnetto. A occhi bassi, cercai le sue impronte, e concentrandomi, la scia che tutte le creature magiche lasciavano dietro di sé, e finalmente, dopo quelle che mi parvero ore, eccolo. “Cosmo! Lo chiamai, abbassandomi al suo livello perché mi notasse. Abbaiando, non si fece attendere, e in un attimo mi fu accanto. Svelta, assicurai il guinzaglio al suo collare, e voltandomi, ripresi a camminare. “Cielo, cucciolo, quante volte devo dirti di non scappare più così?” chiesi, parlando in tono mesto a causa della preoccupazione di pochi attimi prima. Per tutta risposta, lui alzò lo sguardo verso il mio mentre camminavamo, poi, mugolò. “Scusa, era divertente.” In tre immaginarie parole, l’unica giustificazione che sembrò darmi in quel momento, e che accarezzandolo piano dietro sulla testa, accettai all’istante. “Che non si ripeta ancora, va bene? Sai che mi preoccupo.” Gli dissi, sperando che accettasse quell’unica condizione. In altri termini, poteva correre quanto voleva, ma non fino a sparire dalla mia vista. Poco dopo, alle mie parole seguì un suo piccolo latrato, e dopo altro camminare, lo vidi fare un salto indietro, per poi nascondersi dietro di me e lanciare un guaito. Spaventata, portai in alto le mani per difendermi, e stringendo i denti, mi impedii di attaccare. Fu quindi questione di attimi, e la mia magia si dissolse diventando polvere di fata. “Scusi, signorina!” gridò una voce che non riconobbi, nella speranza di ricevere il mio perdono. Alzando gli occhi, mi accorsi di essere arrivata al limite del bosco, e stando a ciò che vidi, a casa di Lucy. Riunita in giardino, la famiglia stava davvero costruendo un pupazzo di neve come aveva detto Lune, e vicine a quel nuovo e gelido amico, ma impegnate in un gioco tutto loro, altre due bambine si divertivano, rincorrendosi e riempiendo l’aria di luci colorate. Incuriosita, seguii ogni loro scoppio di magia, poi capii. A giudicare dai colori, la prima, che a una seconda occhiata scoprii essere un’elfa, doveva essere nata con i poteri dell’acqua, mentre l’altra, una semplice pixie come le mie non più così piccole amiche, sembrava essere stata benedetta dai poteri del fuoco. “Piccolina?” chiamai, rivolgendomi proprio a lei. “Sì, signorina?” mi rispose subito questa, facendosi avanti a piccoli passi, forse perché provata dal freddo. “Non fa niente. Tu e la tua amichetta stavate giocando, non mi hai fatto male, vedi?” Le dissi, accennando a un sorriso per confortarla. A riprova di quanto appena detto, girai su me stessa perché notasse la totale assenza di ferite, e a quella vista, anche la pixie sorrise. “Meno male! Mamma mi dice sempre di fare attenzione, mi dispiace” Replicò poco dopo, visibilmente sollevata. “Sta tranquilla, sto bene. A proposito, come ti chiami?” la rassicurai, per poi cambiare argomento e farla concentrare su qualcosa di più neutro, come il suo nome. “Mahel, signorina.” Rispose allora quel piccolo angelo, ancora pieno di timore. “E lei?” azzardò dopo una pausa di silenzio, incuriosita. “Kaleia, tesoro, ma diamoci del tu, va bene?” le risposi, concedendole quella possibilità e dando un taglio alle regole. “Va bene.” Mi fece eco lei, annuendo e offrendomi la mano. In silenzio, la imitai perché me la stringesse, e in un attimo, diventammo amiche. “Vieni, ti presento anche Harmy.” Decise, voltandosi senza lasciarmi la mano. Annuendo, mi limitai a seguirla, e giunta al centro del giardino, rividi l’elfa. “Harmy! Vieni!” la chiamò Mahel, distraendola dai suoi giochi. Rispondendo a quella sorta di richiamo, la piccola elfa si voltò verso di noi, e fu allora che la vidi chiaramente. Orecchie a punta, visetto tondo, occhi castani e capelli color caramello. “E lei chi è?” azzardò, confusa dalla mia vista. “Una nuova amica. Si chiama Kaleia.” Le spiegò l’amichetta, tranquilla. A quelle parole, la bambina ci corse incontro, e fermandosi, mi offrì una mano guantata. “Harmony Lightwood, signorina Kaleia.” Si presentò, tranquilla ed educata. “Solo Kaleia, tranquilla. Siamo amiche adesso, ti va?” le dissi semplicemente, regalandole un sorriso per incoraggiarla. “Davvero? Bello!” commentò, sorpresa. Tranquilla, mi scambiai un’occhiata d’intesa con Christopher, e abbassandomi fino a toccare la neve, formai una palla e la lanciai ad una di loro, colpendo la piccola Lucy in pieno petto. Divertita, la bimba mi lasciò fare, e imitandomi, sorrise appena. “Questa è guerra!” dichiarò, alzando la voce di parecchie ottave. Rimanendo ferma e inerme, mi lasciai colpire, e dopo altri gelidi proiettili, quel conflitto ebbe inizio. In breve, iniziammo a giocare insieme e a rincorrerci nella neve, nascondendoci dietro agli alberi per evitare e restare “in vita” continuando finché non ci stancammo, e senza respiro, ci scoprimmo sfiniti. “Abbiamo vinto!  Potere ai piccoli!” gridò Lucy, contentissima. Scoppiando a ridere, io Chris e gli altri adulti le lasciammo festeggiare tornando in casa per una tazza di cioccolata calda, e tornando indietro dopo aver salutato Isla e Oberon, non me la sentii di autoinvitarmi. D’accordo con me, Christopher iniziò a incamminarsi verso casa, e prima che potessimo farlo, mi toccò distrarre Cosmo da Rover, che in tutto quel tempo non aveva fatto altro che giocare sia con lui che con noi, usando la magia e i suoi poteri per difendere la padroncina e le amichette. Sulla via del ritorno, quando Cosmo decise finalmente di tornare indietro e seguirci zampettando allegramente, notai qualcos’altro. Nascosti dalla fitta boscaglia ma non ai miei occhi, Noah e l’odiosa Eden. A quanto sembrava, erano ancora una coppia nonostante i tentativi del primo di rientrare nelle grazie di mia sorella, e pur non intervenendo, ringraziai il cielo che Christopher non li avesse notati, e chiudendomi nel silenzio per il resto del viaggio di ritorno, ne approfittai per salutare anche Aster e Carlos, incontrati a metà strada e abbracciati con calore. Felici di rivederci, ci riempirono di domande su di noi e sui bambini, illuminandosi quando Chris ed io parlammo praticamente all’unisono, assicurando loro che tutto andava per il meglio. Arrivata a casa, preparai per me e Christopher una cioccolata calda lasciandomi guidare dalla mia solita golosità, e a metà mattina, attesi che mi raggiungesse in cucina solo per gustare assieme a me quella dolce e vellutata delizia. Affamato, Cosmo si dimostrò interessato ad assaggiarla a sua volta, ma con un cenno di dissenso del capo, gli concessi soltanto una ciotola di latte caldo e leggerissimamente addolcito. Quando la mia tazza fu vuota, decisi di tornare sul divano e provare a immergermi nella lettura, salvo poi fallire quando scoprii che la vista di Noah abbracciato ad Eden non accennava a svanire dalla mia mente. Ora come ora, gli unici a mancare all’appello erano Leara e il suo amato Danny, e mentre aspettavo di ricevere notizia anche da loro oltre che dalla stessa Sky, probabilmente ancora ferita da quella relazione iniziata alle sue spalle, non ne feci parola con nessuno se non con me stessa, chiedendomi con ognuna di quelle repliche cosa ne sarebbe stato di lui e mia sorella e come sarebbero cambiati l’atmosfera e lo stile del vivere al villaggio. 




Un saluto a tutti i miei lettori. Riesco ad aggiornare questa storia con un nuovo capitolo soltanto stasera, e me ne scuso, ma i motivi del ritardo sono del tutto indipendenti da me. Con il prossimo farò del mio meglio, ma non assicuro puntualità in questo periodo. Comunque sia, grazie a tutti del vostro supporto, e a presto, o almeno spero, con il prossimo capitolo,


Emmastory :)
 
   
 
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