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Autore: Exentia_dream2    18/05/2020    1 recensioni
È nato tutto da una scommessa, persa forse volontariamente.
Hermione e Draco, Harry e Ginny, Theo e Daphne... Cosa succederà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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Nella Torre di Grifondoro

Erano passate due settimane da quando si erano trasferiti nella Torre di Grifondoro ed ognuno di loro aveva la sensazione di aver vissuto da sempre lì: nonostante la diffidenza degli studenti dei primi anni che non avevano vissuto davvero la Guerra Magica e non conoscevano la verità di quei giorni, quelli del quarto e del quinto anno trattavano i Serpeverde come se fossero stati i loro migliori amici, senza mai farli sentire di troppo. 

Draco si sorprese soprattutto del comportamento indulgente di Ron Weasley che sembrava non provare alcun rancore nei suoi confronti e, anche se raramente capitava che si incontrassero, quelle rare volte si salutavano educatamente. 

Harry Potter spesso si intratteneva a scambiare qualche parola con Theo o Blaise, sorridendo e dando loro qualche pacca sulle spalle; con lui, invece, sembrava aver stipulato una sorta di tacito accordo che metteva da parte le offese e le prese in giro: a volte, si trovavano uno di fronte all'altro con la sensazione di avere troppe parole in sospeso tra loro che parlavano in silenzio e con lo sguardo della stessa persona, ma entrambi poi preferivano restare muti e lasciare ancora teso quel filo di pensieri che sembrava accomunarli.

Quella sera, dopo aver finito il suo lavoro in biblioteca, si era diretto in Sala Grande e si era seduto al suo tavolo, tenendo sempre gli occhi fissi sulla schiena di Hermione che si muoveva piano al ritmo di un respiro che sembrava aver trovato la propria tranquillità, il proprio equilibrio dopo tanto affanno. Aveva l'impressione, durante i momenti in cui lei non gli era intorno, di riuscire a vedere una luce fioca nell'immenso buio che sentiva avere dentro e, quando poi lei entrava nel suo campo visivo, quella luce sembrava esplodere, coprendo tutto di bianco, per lasciarlo subito dopo nel nero più intenso che lui avesse mai vissuto: risalire da quelle tenebre diventava sempre più difficile, quasi impossibile, eppure ogni volta Draco riusciva a trovare la forza di emergere e tornare a respirare ancora. 

Riempì il piatto di arrosto di manzo e patate al forno e cominciò a mangiare lentamente per non rovinare con la fretta quel po' di appetito che aveva recuperato da qualche tempo: aveva passato giorni interi a digiunare, senza mai sentire lo stomaco replicare, perché aveva imparato a distinguere la morsa della fame da quella della rabbia ed era sempre quella che gli provocava dolore. 

Lasciò qualche avanzo nel piatto, poi si allontanò dal tavolo e camminò piano nei corridoi che lo avrebbero portato alle scale per raggiungere l'ingresso della Torre in cui era ospite: di fronte ad esse, riviveva ogni sera il ricordo di quella notte in cui aveva bevuto il Veritaserum ed aveva rincorso Hermione per baciarla ancora e ricordò l'urgenza che aveva provato di sentire di nuovo i suoi occhi addosso, la bocca sulla sua e sorrise quando ricordò lo stupore e il rossore che aveva visto sul viso di lei, l'espressione attonita di Harry e Ginny che avevano guardato la scena qualche passo più in là. 

Erano giorni così lontani da sembrare quasi un sogno sbiadito, uno di quelli vissuti nelle notti in cui la luna si nascondeva dietro le nuvole, rendendo timide anche le stelle. 

Si avvicinò al ritratto della Signora Grassa che lo guardò di sbieco. -Parola d'ordine, prego. 

-Lieto di conoscerla. 

La donna sorrise, facendo un lieve inchino e la cornice si spostò per permettere a Draco di entrare nella Sala Comune. 

Approfittò di quella solitudine e si stese sul divano, poggiando la testa sul bracciolo e chiuse gli occhi, ma, ogni volta, gli appariva il viso di Hermione incollato alle iridi come un dipinto su una tela un po' sgualcita, invecchiata, ma su cui i particolari erano ancora nitidi e puliti. L'aveva sognata spesso durante quelle notti e si risvegliava con il respiro pesante e le braccia vuote, le mani strette a pugno come a voler trattenere gli strascichi di quelle immagini che non erano altro che illusioni, nemmeno lontanamente simili a quella realtà che non riusciva ancora ad accettare e contro cui urtava quando la notte diventava giorno, quando la luna si nascondeva dietro al sole e, in quei momenti, sentiva forte la sconfitta pesare sulle spalle, comprimere i pensieri ed intrecciare tutte le sue paure nelle corde vocali. 

Ripensava alle parole che avrebbe voluto dirle e guardare i suoi occhi, vederli riempirsi di gioia e privarsi di quel velo di buio che non aveva fine, che sembrava ricoprire ogni suo gesto ed ogni suo sorriso come se le fosse stato cucito addosso in quei giorni in cui lui non era stato più suo e in cui lei non gli apparteneva più. 

Sentì un rumore di passi e si sedette composto, mentre Ginny di sedeva sulla poltrona senza mai smettere di guardarlo. -Ciao.

-Ciao.

-Credo che si stia abituando di nuovo a te. 

-Sì. 

-So che non è questa la quotidianità che volevi con lei, però è meglio di niente, no? 

-No, non lo è. Tutto questo non fa bene a nessuno dei due. 

-È vero, ma almeno state imparando ad essere studenti della stessa scuola. 

-A quale prezzo, però? 

-Un giorno ripenserai a tutto a questo è penserai che ne sia valsa la pena. 

-Come fai a dirlo? 

-L'ho vissuto con Harry. 

-Peccato che non tutti siamo Harry Potter e Ginevra Weasley. 

-Non siamo mai stati amici, Malfoy, e non credo che lo diventeremo, ma, se permetti, ti consiglio di domandarti cosa vuoi davvero e fare di tutto per averlo. 

-E se quello che volessi non potrei più averlo? 

-Non è questo il caso… 

-Ah, no? 

-No. 

Rimase a fissare il fuoco che ardeva nel camino e si sentiva consumato dai suoi sentimenti come il legno consumato dalle fiamme: bruciato, rinsecchito, annerito, mentre una flebile speranza inciampava in  quello stormo di pensieri. 

Poi, di nuovo un rumore di passi lo distrasse e girò il viso verso l'entrata del dormitorio: vide gli studenti di Grifondoro entrare in una fila ordinata e, quando anche Hermione raggiunse l'interno, le sorrise e la salutò con la mano, mormorando un ciao appena udibile e la vide abbassare lo sguardo, la bocca immobile, un lieve tremore su tutto il corpo. 

La imitò e, sotto i suoi piedi, il tappeto sbiadiva di colori, geometrie e consistenza e lui ebbe la sensazione di sparire insieme alla stoffa, alle poltrone, al camino, senza nessuno strappo, senza nessun movimento: spariva lentamente, diventava polvere, si dissolveva nell'ambiente intorno e nessuno sembrava accorgersene, mentre lei era corsa a nascondersi dietro una porta che lui non poteva aprire ed aveva portato via con sé un altro pezzo di anima di quel corpo che viveva soltanto per inerzia: riusciva a farlo sentire inutile con una sola parola bloccata sulle labbra, con quella luce che la illuminava facendo ombra su tutto il resto, con le domande che riusciva a far nascere in lui, la voglia di spogliare il suo cuore per scoprire chi le prendesse la mano in quegli angoli di battiti e vita; i dubbi che dedicava a quel lembo di cielo che non aveva mai una vera risposta, la rabbia e il dolore che lo accartocciavano lasciandolo in qualche strada abbandonata da cui non riusciva mai a tornare, i brividi che lo colpevolizzavano di aver ceduto, di aver amato, di aver dato potere ed importanza ad un'altra persona che non fosse se stesso, come un maledizione senza perdono che si diffondeva inesorabile nelle vene, marchiando in modo indelebile la sua mancanza di coraggio, la sua codardia, la sua paura di non essere abbastanza: provava a nascondersi nelle sue maschere, nei suoi abiti freddi che ormai gli stavano stretti, prudevano e tiravano in ogni punto del corpo. 

Si alzò piano dal divano e salì quasi di corsa le scale che lo avrebbero portato al dormitorio per non permettere a se stesso di crollare, di rompersi in milioni di pezzi microscopici, troppo difficili da raccogliere. 





Aveva preso una pergamena e una piuma ed aveva cominciato a scrivere la risposta all'ultima lettera che Aria gli aveva scritto, raccontandole tutto quello che era successo negli ultimi giorni, dell'impossibilità di restare nei dormitori di Serpeverde che non erano più sicuri e dello spostamento di tutti gli alunni nella Torre di Grifondoro, della strana parola d'ordine che avevano per aprire l'ingresso. 

Le raccontò del sogno che aveva fatto la notte precedente e della sua voglia di farlo diventare realtà, perciò le disse che avrebbe chiesto al Preside di poterla ospitare durante la festa per il diploma dei G.U.F.O. e, subito dopo, le avrebbe fatto visitare Hogwarts e il Lago Nero. 

Ogni volta che le scriveva, immaginava di poterlo fare sulla pelle, come quella volta in cui lei si era avvolta nelle lenzuola a pancia in giù e lui le aveva scritto con le dita sulla schiena i loro nomi, intrecciandoli in un disegno trasparente che solo loro due insieme riuscivano a vedere e, senza rendersene conto, aveva finito la lettera e l'aveva legata alla zampetta di Alba: l'aveva vista volare e diventare in fretta uno svolazzare di ali indistinto in quel cielo di marzo infinitamente azzurro e dolce. 

Restò a guardare il punto in cui la civetta era sparita e un istante dopo si smaterializzò nel suo appartamento a Mayfair, aveva sceso di corsa le scale ed aveva spalancato la porta d'ingresso della sala da tè. -Ciao. 

-Ma… Che ci fai qui? 

Aria teneva in mano un baccello di vaniglia che subito dopo aveva cominciato a galleggiare in una teiera. Si guardò intorno, accorgendosi soltanto in quel momento delle persone sedute ai tavoli e al bancone centrale del locale e si sistemò su uno sgabello vuoto ed attese che lei si avvicinasse. Le diede un bacio leggero sulla bocca, poi le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. -Ho appena risposto alla tua lettera e mi mancavi… 

-Mi sei mancato anche tu. 

-Tanto. 

-Tanto.- sentì le sue mani poggiarsi sui fianchi in una carezza morbida che voleva essere molto di più. -È quasi ora di chiusura… 

-Non è vero. 

-No, ma sono la proprietaria di questo posto e posso decidere di avere la serata libera. 

-Solo per me? 

-Sì. 

-Mi piace.- la strinse per tenerla più vicino e la vide sorridere, allontanandosi qualche istante dopo per portare a termine le ordinazioni. 

La guardava mentre preparava altre teiere e le portava ai tavoli, muovendosi leggera come una farfalla che volava nel vento, ringraziando i clienti con un cenno del capo e la gioia negli occhi, salutandoli con gentilezza quando poi andavano via. 

Passarono forse un paio di ore, durante le quali non aveva fatto altro che guardarla e sorridere per invogliarla a continuare il suo lavoro: non gli dispiaceva aspettarla se in quell'attesa poteva osservare ogni suo movimento, ogni particolare, ogni espressione nuova del suo viso di cui si innamorava immediatamente. 

Blaise  si occupò di Alba che, nel frattempo, era giunta alla fine del suo viaggio da Hogwarts: la sistemò sul trespolo sistemato in un angolo poco lontano dal bancone centrale e la guardò  mentre beccava l'acqua da una piccola ciotola argentata. 

Sentì gli occhi riempirsi di dolcezza quando ripensò all'origine del nome della civetta e provò una lieve stretta al cuore quando ricordò la meraviglia che si era dipinta sul volto di Aria quando l'aveva vista e quando aveva scoperto il motivo di quel regalo e l'emozione che lui stesso aveva provato quando Alba gli aveva recapitato la prima lettera con le parole che sembravano quasi sovrapporsi, scritte di fretta per la voglia di essere lette. 

Quando nel locale rimasero loro due, Aria spense le luci più forti, lasciando accesi soltanto un paio di applique per creare un'atmosfera più delicata. -Bene, adesso siamo soli. 

-Finalmente.- le prese le mani e le baciò, superando il maglioncino, posando in fine la bocca sul collo. -Posso invitarti a cena? 

-Puoi fare quello che vuoi.- e prima ancora che lui capisse e assimilasse quelle parole, Aria aveva cominciato a giocare con il bordo della cintura, sfilandola lentamente dai passanti: riusciva ogni volta a incatenare i suoi occhi in quelli di Blaise, in una dolce tortura che sembrava non finire mai, in un intreccio di silenzio che aveva il sapore di promesse da mantenere da quel momento in poi e sempre, senza possibilità di tornare indietro e, ogni volta che si sentiva avvolgere dal suo piacere e dai suoi sospiri, lui capiva di essere felice al punto da poter cancellare il ricordo di quei mesi in cui erano stati lontani, custodendo gelosamente quell'unica notte d'estate in cui per la prima volta aveva fatto l'amore insieme a quello strusciare di lenzuola di seta e fili di capelli scuri in cui avrebbe voluto rimanere per sempre pur di non perderla di nuovo. 

Ed ogni volta gli sembrava di aprire gli occhi in un mondo che non conosceva, dove gli unici appigli per salvarsi erano la sua bocca, i suoi fianchi, le sue gambe. Un mondo in cui lui non sapeva esistere senza di lei, senza quel calore che gli riempiva il cuore e le vene; un mondo in cui la magia non poteva essere gestita da una bacchetta, perché era un incantesimo che esplodeva in modo inaspettato e naturale intorno a loro, illuminandoli di scintille visibili soltanto con il cuore. 

La strinse forte, poggiandola sul bancone, mentre le mani di lei salivano veloci ad accarezzare il petto e il collo, stringendo per fare presa e chiedere di più, ancora di più. 







Si era avvolta nelle coperte, nascondendosi soprattutto da se stessa, in attesa di potersi liberare da quella maschera di indifferenza ed abbattere quel muro che ogni mattina costruiva per impedirsi di avvicinarsi a lui. 

La pioggia aveva cominciato a rigare i vetri delle finestre, riempiendo le orecchie di quel ticchettio duro che, inevitabilmente, le riportava alla mente quella notte in cui si erano incontrati al Lago Nero, dopo giorni in cui aveva provato ad evitarlo, come un segno del destino che continuava a dare loro occasioni di tornare ad esistere insieme e, proprio come quella notte, ogni singola goccia d'acqua la spingeva giù, sempre più giù, in quel vuoto privo di luce, pieno soltanto del colore degli occhi Draco che la inghiottivano. 

Si sentiva rotta dentro, persa nei mille frammenti del suo cuore, con le mani troppo piccole e fragili per contenere quel sentimento che andava oltre l'amore, sempre un passo avanti, nella muta richiesta di non morire, di essere qualcosa di più, troppo di più per lei che si sentiva derubata dei suoi sogni e delle sue parole, che sapeva di essere viva soltanto perché il martellare del cuore le riempiva la cassa toracica ed ogni singolo muscolo che divideva e ricopriva le costole, mentre i suoi polmoni chiedevano un ossigeno creato dai respiri e dai sospiri di Draco. 

Si sentiva debole di fronte a lui che, nonostante sapesse quali punti toccare per ferirla, si fermava sempre un secondo prima di distruggerla davvero, riempiendo quei silenzi di promesse che le solleticavano la pelle come una miriade di coriandoli colorati che sparivano senza mai toccare il suolo; promesse che Draco era bravo a mantenere, perché, nonostante la vicinanza forzata, riusciva sempre a nascondersi un po', mettersi da parte e lontano dai suoi occhi: la salutava ogni mattina ed ogni sera, senza però imporre la sua presenza ed era capitato che Hermione avesse ricambiato il suo saluto, non prima, però, di essersi sentita inchiodata al pavimento, in balia di quei ricordi che le facevano ancora troppo male e bruciavano come ferite coperte di sale e dolore, rancore e amore che non poteva essere arginato. 

Si sentiva nuda di fronte alla sua bocca, alle sue mani che sembravano spogliarla senza fredda, concedendo alla sua pelle le memorie di quei tocchi che spesso si erano spinti oltre i vestiti, nei capelli, oltre quel velo trasparente di anima che lei poco alla volte aveva lasciato tra le sue dita, legandosi a lui in un nodo che non riusciva più a sciogliere, nonostante conoscesse a memoria la semplicità del disegno che lo formava. 

Osservò la luna spegnere la pioggia, mentre lei lasciava il letto e si incamminava verso la Sala Comune dove, quasi ogni sera, teneva compagnia a Ginny e Daphne, con le pareti a custodire i loro segreti e la stoffa delle poltrone ad asciugare le loro lacrime tristi o di gioia. 

E se quelle mura avessero potuto parlare, avrebbero raccontato tutte le volte in cui lei sentiva ancora addosso le mani di Draco, la sua voce che giurava che le sarebbe rimasto al fianco, che sarebbe diventato l'ombra di ogni suo passo; avrebbero raccontato la sensazione di tuffarsi in una cascata ed affogare nell'acqua della realtà che la faceva tornare a galla con le lacrime agli occhi, stretta in un buio che attutiva il suo pianto e le sue urla. 

Si allontanò dai suoi pensieri quando Daphne la chiamò e le fece segno di sedersi accanto a lei. -Come stai? 

-Meglio…

Ginny, invece, aveva cominciato a giocare pigramente con i suoi capelli in un movimento delicato e lento che da sempre aveva il potere di rilassarla e, senza fermarsi, cominciò a parlare. -Questa è una bugia, però. 

-Più o meno, ma a volte possiamo convincere noi stessi con le bugie. 

-E pensi di svegliarti sulla groppa di un cavallo bianco, stretta da un bel principe azzurro continuando a mentire? 

-No. 

-È un torto che fai a te stessa, Herm, perché è abbastanza evidente il fatto che tu stia ancora male. Non dovresti vergognartene.

-Sto provando a stare meglio… 

-Ecco: questa risposta è molto più convincente. 

-Sembrava così facile a parole… 

-Cosa? 

-Reagire, far finta che lui non esistesse.- poi calò un silenzio leggero, amichevole, animato soltanto dal crepitio del fuoco nel camino: continuava a guardarsi dall'esterno, in compagnia di Ginny e Daphne ed aveva sempre l'impressione di essere altrove, con le spalle attaccate al muro a guardare di fronte a sé i fotogrammi dei momenti in cui lei è Draco si erano trovati e poi persi, odiati e poi amati; quelli del momento in cui silenziosamente si erano giurati di non andare via ed allo stesso modo, poi, si erano dati le spalle; si sentiva stretta in abbraccio forte tanto da impedirle di cadere, ma non abbastanza da farle male, in un movimento lento che voleva cullarla ed abituarla a quel dolore che non riusciva a mandare via, che rifletteva bagliori di tristezza tra un cielo e un pavimento che sembravano non esistere davvero. 

Viveva dentro sé un disordine caotico che non voleva sistemare, perché tra quella polvere, quelle macerie, quei crolli improvvisi che avvertiva nel cuore, riuscivano ancora a brillare le immagini dei suoi giorni più belli, quelli in cui era stata felice e, in cui, quasi sempre si ritrovava con Draco e, in quei momenti, si chiedeva perché non riuscisse a mettere da parte il suo orgoglio, fare qualche passo indietro e ricominciare a scandire ogni secondo con il suo sorriso, le fossette su quelle guance che avrebbe voluto ancora toccare, mordere e baciare.  



Angolo Autrice:

Eccomi qui, con un capitolo poco poco meno corposo degli altri, ma non meno importante. 

Ah, quanto è difficile questa convivenza forzata, questo volersi evitare a tutti i costi. 

Ma riusciranno davvero a non collidere? Chissà… 

Voi cosa ne pensate? 

A presto, Exentia_dream2




   
 
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