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Autore: Voglioungufo    18/05/2020    6 recensioni
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«Malattia di Hanahaki (花 吐 き 病): Vomitare fiori.
La vittima tossisce petali di fiori quando soffre di amore unilaterale. Più si avvicina a un fiore sbocciato, più ci si avvicina alla morte. Oltre al ricambio dei sentimenti da parte dell’amato, non esiste una cura nota per questa malattia
Sasuke alza lo sguardo dal testo polveroso e guarda Sakura, il suo volto pallido e gli occhi gonfi dal pianto, la cornea macchiata rosso.
“Non esiste nulla del genere” dice.
Ma il mucchio di fiori che gli porge con un singhiozzo dice il contrario.
Ha una fitta al petto, un dolore che si mischia al senso di colpa e gli blocca il respiro. Perché vorrebbe, ma non può amare Sakura come vuole lei, non ci riesce.
“Sakura…”
Scuote la testa, gli occhi umidi. “Non sono miei…”
Sono di Naruto.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sai, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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3
Papavero
 
 
 
“Perché continui a trascinarti qui”.
Naruto sorride e del sangue cola dall’angolo delle sue labbra. Lo pulisce veloce prima che Sakura lo veda, passa la lingua sui denti e ingoia il sapore ferroso insieme ai petali rimasti nella bocca.
Trascinarti.
Sakura ha usato la parola giusta. Ha traballato fin davanti alla lapide mentre la tosse minacciava di spezzargli le costole, le vertebre, ogni osso del suo corpo.
Si tira dritto e gli sembra che la schiena scricchioli.
“Perché lui è qui, no?” ovvia inarcando le sopracciglia.
Ma Sakura non sta guardando il suo viso, gli occhi verdi sono puntati sulla lapide commemorativa e le si legge in faccia quello che sta pensando.
Obito non è sepolto qui. Obito è polvere sparsa in una dimensione dal cielo verde e la terra rossa che solo il rinnegan può raggiungere.
Quella che ha davanti è solo una pietra piena di nomi incisi, una consolazione sterile per i vivi.
Eppure è così dolce il modo in cui Naruto la sfiora con le dita, accarezzandola come se fosse un viso. La venerazione di quel gesto fa stare male Sakura, come una stretta alla gola e un peso sul cuore.
Lei non c’era, lei non sa cosa Naruto ha visto e non sa cos’è successo da far cambiare radicalmente Obito; lei è un’estranea e non può capire come sia possibile.
Sa solo che non è sano. Che deve smettere.
Però Sakura gli vuole bene e non riesce a essere come Sasuke, che non lascia scalfire il suo cuore di ghiaccio davanti alla tenerezza di Naruto. Non riesce come lui a prenderlo per il colletto, sbraitargli di svegliarsi e aprire gli occhi vomitando rabbia e frustrazione.
Si siede al suo fianco, una spalla sicura dove poter riposarsi. Naruto è stato così a lungo la sua ancora nei momenti più duri che è il minimo che può fare per ricambiare.
“A volte immagino che non sia morto e mi chiedo… cosa sarebbe successo” mormora Naruto, piano, e Sakura trattiene il fiato.
Fin’ora si è sempre limitato a rimanere in silenzio, in cui lei fingeva di essere a suo agio. È la prima volta che parla, che sembra voler condividere un pezzo di cuore con lei. Sente che è un regalo prezioso, qualcosa da accudire e tenere al sicuro, così fragile da poter essere facilmente rotto, e per questo non osa fiatare.
Cosa sarebbe successo… Sarebbe stato punito per i suoi crimini.
Riformato all’ultimo o meno, scatenare una guerra mondiale ninja non è qualcosa che i Kage avrebbero lasciato passare con una scrollata di spalle, nemmeno con la buona volontà di Kakashi-sensei e la comprensione di Gaara. Hanno dovuto lottare con le unghie per tirare fuori Sasuke dalla reclusione a vita quando i suoi crimini sono stati un granello di sabbia nel deserto degli omicidi di Obito.
Sakura ci pensa e rabbrividisce.
“Non ne ho idea” dice con tono forzatamente vivace, nella sua mente chiara la prigione nella Terra del Ferro dove sarebbe stato rinchiuso.
Naruto ha lo sguardo perso, dietro fantasie variopinte e irrealizzabili.
“Sarebbe stato un buon assistere per Kakashi-sensei” immagina. “Sarebbero arrivati in ritardo a ogni meeting dei Kage. Probabilmente sarebbe diventato un ANBU”.
C’è una lunga pausa, in cui gratta con le unghie il terriccio; sembra si stia scavando la fossa. L’espressione sognante si fa improvvisamente amareggiata, incerta.
“Mi avrebbe amato?” chiede in un soffio tremulo.
Quel tono esitante su Naruto è innaturale. Sakura si sente dilaniare tra l’orrore di vedere il suo migliore amico in quello stato, la frustrazione per la sua testardaggine nel lasciarsi uccidere e il bisogno disperato di rassicurarlo.
“Ma certo” vince quest’ultimo, perché lo crede davvero.
Ricorda come lo stava guardando nella dimensione del kamui, mentre gli restituiva il chakra di Kurama. Non aveva capito cosa fosse e tutt’oggi non può essere certa fosse quello che desidera Naruto ora, ma era qualcosa.
Sakura, cosa stai facendo…
È la voce della sua coscienza, gelida come quella di Sasuke, che la rimprovera per giocare con il fuoco. Non deve alimentare le fantasie di Naruto.
“Allora…” inizia cercando disperatamente un appiglio che lo porti via da lì. “Ho una certa fame. Ramen?”
Il ramen ha sempre funzionato. Deve funzionare.
Prova un sollievo lancinante nel vedere Naruto annuire. Significa che da qualche parte dentro quel pallido fantasma c’è ancora il suo migliore amico, che non si è lasciato divorare fino all’osso da quei sentimenti nocivi.
“È la prima volta che accetti un ramen solo noi due insieme” vocia allegro.
La malinconia di poco prima sembra essere spazzata via e perciò Sakura si permette di accigliarsi e dargli un colpetto alla testa, nella riproduzione dei vecchi schemi della loro infanzia.
“Non è un appuntamento” lo redarguisce.
Naruto ride e si massaggia il punto leso. Per un momento è facile ignorare le occhiaie e le labbra screpolate dalla tosse.
“Quindi non dovrò offrirti nulla!” replica con una linguaccia.
“Sei poco gentiluomo, sai?”
“Non è un appuntamento” le fa il verso prima di scappare via da un nuovo pugno scherzoso ma comunque letale.
 
Naruto atterra dal ramo leggero, come se non avesse peso. Acquattato guarda le schiene lontane di Sakura e del suo kage bushin mentre escono dal campo di allenamento. Fa un sorriso amaro e chiede perdono con gli occhi.
Sakura lo scuserà per essersi sostituito con un clone mentre non guardava.
Sente una fitta di senso di colpa, sa di comportarsi male e che non dovrebbe, che questo comportamento dovrebbe essergli estraneo. Non è lui il personaggio della tragedia che allontana tutti, si nasconde e si commisera nella propria tristezza. Non è così che ha deciso di essere, così che era descritto nel romanzo che gli ha dato nome. Non è così che Naruto deve essere.
Ma si sente molto stanco, con il respiro che raspa nei polmoni ostruiti dai fiori, l’energia succhiata dalle radici per creare petali brillanti e meravigliosi. Si sente così stanco che anche solo quel kage bushin gli prosciuga le energie.
Chiede scusa a Sakura, ma resta lì sull’erba a guardare la tomba e a crogiolarsi nel rimpianto.
Dovevo salvarlo.
Non ci è riuscito. Anche se è morto sorridendogli, non può che sentirsi sconfitto e amaro con il destino. La verità è che Obito voleva morire e questo fa male quanto le radici che gli stritolano il cuore.
Ha preferito la morte a lui.
A volte immagino che non sia morto…
Non è stato sincero con Sakura. Perché non immagina Obito aiutare Kakashi, perdere la cognizione del tempo e arrivare tardi agli incontri importanti con scuse stravaganti. Immagina un altro tipo di quotidianità, più intima e privata, fatta di bentornatoacasa e carezze, respiri ansimanti, bocche che vagano sul corpo e brividi caldi. Ha immaginato di baciarlo così tante volte da avere la convinzione di conoscere il sapore delle sue labbra. Se chiude gli occhi può sentirle anche in questo momento.
Immaginare le sue mani che tirano giù la zip lentamente, dita calde che disegnano percorsi sul suo ventre e labbra che mordono il collo, capelli ispidi che solleticano il mento e lo fanno sorridere.
Può sentire un corpo caldo premere sul suo, schiacciarlo e stringerlo fino a bloccargli il respiro nei polmoni e farlo ansimare.
E inizia a tossire.
Sgrana gli occhi e la gola brucia. Rotola di lato e si mette a carponi mentre si sente soffocare dal conato che gli lacera le delicati pareti interne. Le lacrime gli annebbiano la vista nel momento che il primo petalo – rosso come sangue – svolazza dalla sua bocca. Altri strisciano per la gola mentre tenta di rigetterarli, di liberarsi i polmoni e il cuore.
Il dolciastro dei fiori si mischia al ferro del sangue ed è un sapore così rivoltante da scatenare continue ondate di nausea e tosse. Per un momento teme di non fermarsi più e perciò continua a tossire anche quando la gola è finalmente libera, quando non mastica più petali e l’ossigeno può tornare a circolare nelle vene. Si affloscia tossendo per un riflesso spontaneo e osserva appena, con gli occhi stanchi e socchiusi, i numerosi boccioli socchiusi accanto al suo viso.
Papaveri.
Rendono dolciastro anche il sangue, un profumo narcotico che accompagna lentamente Naruto nell’incoscienza.
 
*
 
È notte quando Sai si affaccia al balcone della sua finestra, la maschera ANBU spostata di lato e la posa rannicchiata. In un’altra situazione Sakura lo rimprovererebbe, lamentandosi per il non aver bussato alla porta. Ma in un’altra situazione non regge Naruto esamine fra le braccia, con le labbra sporche di sangue e la pelle innaturalmente pallida.
Per un momento Sakura non respira.
Per un momento, che dura finché le sue dita non corrono al polso, teme di aver perso. Ma poi sente il flusso del sangue battere nelle vene, seguendo il ritmo lento e affaticato del cuore. Si accorge del respiro raspante che esce dalla bocca socchiusa e allarga la cassa toracica.
“È solo svenuto” dice Sai, nascondendo la preoccupazione dietro un tono apatico. “L’ho trovato davanti al Monumento. Ho preferito portarlo subito da te”.
Sakura non può che benedire la mente analitica di Sai. Non sa quello che sta succedendo a Naruto, eppure ha capito subito che la scelta più razionale fosse quella di lasciarlo immediatamente alle sue cure che all’ospedale.
Lo guida fino a farlo stendere sul tavolo della cucina, infila un cuscino sotto la sua nuca e accende tutte le luci. Il pallido olivastro del suo viso risalta le occhiaie blu, le labbra rosse di sangue rappreso. Senza esitazione gli apre la giacca e solleva la maglia a rete, scoprendo il busto allenato e piatto. Non ci sono ferite visibili, niente che possa lasciare intendere quello che all’interno del suo corpo lo sta distruggendo.
Chiude gli occhi per un breve secondo, raccoglie la concentrazione necessaria focalizzandosi sul flusso del suo chakra e annulla la presenza silenziosa di Sai al suo fianco. Alza le mani e appena sfiora le pelle tesa del petto brillano di verde, il chakra visibile a occhio nudo mentre sonda lesioni interne.
Può sentire qualcosa di vivo ed estraneo crescere dentro di lui.
Si morde la guancia fino a sentire il gusto del sangue, il piccolo dolore auto inflitto che l’aiuta a mantenersi lucida. Non può lasciare che la preoccupazione le faccia tremare le mani, deve rimanere ferma e precisa mentre guarisce le lacerazioni che i petali hanno provocato al loro passaggio.
Le prende più tempo del previsto, le consuma molto più chakra del previsto – i fiori sembrano nutrirsi di esso – e quando termina un giramento di testa la costringe a sedersi. Sai è ancora lì, è rimasto al suo fianco per tutto il tempo rigido come un soldatino.
“Che cos’ha?” chiede.
Sakura ricorda la promessa e una spina le si conficca nella gola.
“Una brutta tosse”.
Non è una bugia, ma non è tutta la verità.
“Perché il Kyūbi non lo guarisce? Credevo non potesse ammalarsi”.
“È una tosse particolare. Ma starà bene” lo dice solo perché ha bisogno di crederlo per non impazzire. “Grazie per averlo portato qui”.
Sai annuisce. Fa per uscire di nuovo e riprendere il suo turno di guardia al villaggio, ma quando è sul davanzale si ferma colto da un pensiero. Si volta a guardarla di nuovo, ma questa volta tiene qualcosa in mano.
Un bocciolo rosso.
“So che è strano”, inizia e la sua voce sembra esitare nella confusione, “ma vicino a lui ho trovato questo e molti petali”. Fa una pausa, una piccola contrazione delle labbra. “Sono sporchi di sangue. Sai se significa qualcosa?”
Sakura prende il papavero, è tutto spiegazzato e si sfalda fra le sue dita.
“No” mente dolcemente.
 
*
 
Sakura non dorme quella notte. Sposta Naruto nella sua camera da letto e gli pulisce la bocca dal sangue con un panno, poi resta in cucina dove si prepara una caraffa di caffè. Si siede al tavolo della cucina, stringe la tazza calda e fissa il bocciolo assente.
Più si vomita fiori completi più si avvicina alla morte.
Non esiste cura.
Ma deve esserci. Non può finire così, non dopo tutto quello che hanno affrontato, non dopo che sono sopravvissuti a una dea.
Si rifiuta di credere che Naruto possa finire così.
La testa le ciondola verso il sonno quando un improvviso formicolio di chakra la fa sussultare. Con il cuore in gola e l’istinto che la spinge alla difesa punta gli occhi sull’angolo della casa. Nel buio intravede la figura di Sasuke, il viola del rinnegan che scintilla nella penombra.
Si alza così velocemente da far cadere la sedia e non può evitare di guardarlo accusatoria.
“Dove sei stato?!” ringhia.
Non lo vede da giorni, Kakashi le aveva solo detto che aveva preso un permesso per uscire qualche giorno dal Villaggio. In quel momento lo aveva odiato, incredula che l’avesse abbandonata ad affrontare quella tragedia da sola. Spaventata che volesse scappare ancora una volta da loro, lasciare che Naruto morisse.
Non fare nulla.
Sasuke allunga il braccio fuori dal mantello da viaggio e appoggia un rotolo spesso sul tavolo con un sordo toc.
“Da Orochimaru”.
Il nome la fa rabbrividire, ma questa volta non stringe gli occhi e non lo rimprovera per essersi avvicinato di nuovo a quel viscido serpente. Questa volta guarda quel rotolo con una speranza che non osa avere.
“Orochimaru ha studiato l’hanahaki” dice Sasuke. “Questi sono tutti i dati che ha raccolto, compresa la cura”.
Scatta con la mano ad afferrarlo, lo apre quasi strappandolo mentre i suoi occhi febbrili leggono il contenuto.
Poi ride, ma allo stesso tempo vorrebbe piangere.
Questa è la cura, ma…
Ride e singhiozza mentre lo guarda disperata.
“Naruto non accetterà mai”.
 
 
 
 
 
 
La simbologia del papavero è molto ricca.
Per via della mitologia greca viene considerato il fiore della consolazione, perché legato alla figura di Demetra (la dei campi e del raccolto). Si racconta infatti che dopo la perdita della figlia Persefone la dea si sia consolata soltanto bevendo infusi di oppio.
Sempre per il suo legame con l’oppio il papavero è associato all’oblio, al sonno dei sensi e del cuore e al sogno/immaginazione. Infatti non è raro che il dio dei sogni Morfeo venisse rappresentato steso in campi di papaveri o con mazzi di questi fiori in grembo.
Durante il medioevo il papavero fu invece associato, per via del suo colore, al sacrificio di Cristo e alla sua morte, per questa ragione si trova spesso raffigurato in affreschi di chiese risalenti all’epoca medievale.
Mentre nel corso delle due Guerre Mondiali si è presa l’usanza di associare il papavero ai soldati/partigiani morti in battaglia per la patria, quindi possiamo dire ai martiri di guerra.
Questo fiore è stato anche simbolo di fedeltà, in quanto, un'antica credenza vuole che, messo in un palmo della mano un petalo di papavero rosso, se colpendolo con un pugno si sente uno schiocco, allora vuol dire che il proprio amato è fedele.
Per ultimo, nella sua colorazione rossa, è associata all’immagine di uomini influenti e potenti.  Questa tradizione risale ad una leggenda legata all'immagine di Tarquinio il superbo, uno dei 7 re di Roma, il quale, per insegnare al figlio il metodo migliore con cui impossessarsi della città di Gibo, fece abbattere i papaveri dal gambo più alto per dimostrargli che si dovevano abbattere per prima le persone di più alto rango e le cariche più importanti e potenti per poter raggiungere l'obiettivo.
 
Il papavero può avere anche altri significati, ma questi sono quelli che ho voluto intendere per questo capitolo e la storia in generale.
La consolazione sta perché quel monumento funebre con un nome inciso è l’unica consolazione che ha Naruto per sentirsi vicino a Obito.
Il sacrificio di Cristo in questo caso è il sacrificio che Obito ha fatto, la scelta di morire per salvare Naruto (e il mondo shinobi quindi) (senza contare tutti i suoi deliri dove si considera il Messia portatore di pace lol). Quindi sempre per la sua morte (anzi, entrambe le morti) nel campo di battaglia per proteggere i suoi compagni è legato al fiore dei partigiani.
Obito inoltre è stato una figura influente e potente, che ha giocato un ruolo decisivo negli ultimi quindici anni politici del mondo shinobi.
Mentre la fedeltà riguarda Naruto, che continua ad amarlo imperterrito e a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di smettere di farlo.
E poi c’è il significato più importante per questo capitolo, quello che causato l’attacco di tosse. Ovvero il suo essere legato al dio dei sogni e dell’oblio, visto che in questo capitolo Naruto si lascia cullare dall’illusione di cosa sarebbe potuto essere.
 
Come potreste aver intuito, il papavero è il mio fiore preferito hahahaha
Spero che il capitolo vi sia piaciuto^^
Vi mando un bacino per le recensioni lasciate, siete carinissimi!
Hatta.

 

 

   
 
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