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Autore: PiscesNoAphrodite    19/05/2020    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati d'asfodelo, capitolo VI

 

 

XV

 

Ero certo che le lusinghe di Sileno mi avrebbero condotto di nuovo al cospetto di Apollo, nella sua dimora sontuosa, per la precisione. Io non volevo vederlo, lo temevo ed ero risentito per come mi aveva trattato; ma quel genio teriomorfo, che ormai reputavo alla stregua di un confidente – non riuscivo ancora a definirlo alleato a causa della mia diffidenza innata –, mi aveva convinto, rassicurandomi, per poi guidarmi con passo saltellante attraverso un dedalo di cunicoli sotterranei il quale, dalle fondamenta, aveva accesso diretto alla residenza di Delfi.

 

Allungai una mano prendendo un frutto dalla cornucopia, in mostra al banchetto ridondante di allettanti leccornie, fingendomi parco sebbene avessi ancora molta fame. Non ero riuscito a soddisfare del tutto il mio appetito che il dio mi avvicinò con la solita subdola grazia. Avevo imparato la lezione, sebbene non fossi certo di saper dissimulare i miei pensieri e sentimenti in sua presenza. Trattenni il respiro, per poi modularlo in silenzio, alla ricerca affannosa di un'improbabile tranquillità interiore. Febo affondò nei miei capelli la mano affusolata districando il groviglio di steli dei fiori intrecciati i quali, a mo' di corona, mi cingevano il capo. Quella stessa mano scivolò poi, dalla tempia, lungo il viso percorrendo l'escoriazione prodotta dai rovi che mi ero trascinato appresso precipitando nel fosso. Con la medesima gentilezza sfiorò il braccio destro lasciato scoperto dalla tunica e i lividi svanirono, come per incanto, nel modo in cui presumevo fossero svaniti anche i graffi sul volto.

Alzai lo sguardo e finalmente trovai il coraggio d'incontrare quello fulgido di mio padre... per la prima volta riuscivo a definirlo tale. Mi strinsi nelle spalle e lo scrutai con attenzione come non avevo mai fatto in precedenza: era coronato di lauro e notai il colore dei capelli – biondo tendente al rosso – uguale al mio.

“La paura rende fragili, e il disgusto per il sangue si manifesta in risposta a un istinto di conservazione ancestrale” disse.

Fui colto dal dubbio che stesse giustificando una debolezza per cui venivo spesso deriso, e il suo atteggiamento amichevole mi disorientava. Non scorgevo alcun indizio di disappunto sul volto serafico e ne desumevo una propensione al dialogo e indulgenza inaspettati. Pur senza comprendere le sue motivazioni, realizzai che sarebbe stato saggio non pormi altre domande investigando oltre quanto mi fosse consentito, era frustrante ma non potevo pretendere di saperne di più. Sospirai, godendomi l'insperato momento di quiete, e di tregua, tra noi.

“È stata una piacevole sorpresa saperti consapevole di non poter prevaricare un dio” continuò Apollo. “Questo ti fa onore.”

Trasecolai... lo avevo pensato davvero, ed era una considerazione sorta in sua presenza benché nutrissi alcuni dubbi: nelle gesta degli eroi si contemplava anche il trionfo sugli dèi, o si trattava soltanto di leggende architettate ad arte per esaltare le imprese dei campioni di Athena? Dopotutto la storia è sempre narrata dalla prospettiva dei vincitori e spesso alcuni aneddoti vengono omessi. Sostenni il suo sguardo, incantato dall'intensità di quegli occhi – brillanti come stelle ma profondi e colmi di antica saggezza – desideroso di esporre il quesito che mi logorava senza però averne il coraggio. Abbassai la testa per guardare le figure incasellate tra girali sul pavimento a mosaico, sfregandomi il naso, infastidito dall'odore di carbone affumicato esalato dai bracieri e frammisto all'aroma d'incenso.

“Nell'universo vige una gerarchia e va rispettata, opporvisi equivale a sovvertire l'ordine naturale” esordì il mio interlocutore inducendomi a guardarlo in faccia, e mi morsi inavvertitamente l'interno della guancia. Apollo carpiva i miei pensieri, soppesava ogni stilla del mio tormento interiore.

“Quello che ti hanno raccontato corrisponde a una mezza verità” affermò. “E lo scoprirai da solo.” Il suo volto sembrò incupirsi, adombrato da un'oscurità inesistente, come per effetto delle sue stesse parole. Parole che mi incuriosirono instillando altri dubbi: “Vorreste dire che la storia è stata abbellita?”

“Osserva la veste che indossi.” Egli indicò il mio abito, e in risposta tastai il tessuto grezzo dell'indumento il quale, privo della passamaneria dorata, sarebbe stato dozzinale.

“Le divinità non potrebbero dirsi tali se così non fosse” conclusi, dopo aver riflettuto, e addentai il frutto. La mia riflessione fu prodotta dal riconsiderare il pensiero comune sugli immortali: gli dèi non sono affatto crudeli ma incarnano la sovranità degli elementi naturali su cui l'arroganza umana non può prevalere; e a questo proposito ricordai le parole di Sileno, le allusioni ambigue sul significato e il presunto fine insito nelle azioni del dio.

Febo mi prese il mento e lo fece con dolcezza, smisi di masticare deglutendo il boccone e sentii scorrere il sudore lungo il dorso. “Non leggerò più i tuoi pensieri poiché sei stato lesto a comprendere quel che dovevi” sentenziò, cogliendomi alla sprovvista. Sospirai allentando la presa sul torsolo della mela lasciandola cadere a terra e in quel preciso istante lui si scostò da me, dandomi le spalle.

“Durante la tua permanenza qui potrai dilettarti con ciò che preferisci: dal cibo allo svago; intrattenerti con donne...” Si voltò di nuovo per guardarmi e poi sorrise. “Oppure uomini.”

Febo ignorava, o era molto più probabile fingesse d'ignorare, le consuetudini osservate da chi è votato ad Athena Parthenos; sebbene le regole esistano per essere infrante e talvolta si eludono con discrezione affinché nessuno sappia e se ne dolga... Il mio viso avvampò nel vedere uno dei convitati leccarsi le labbra unte con la lingua; forse avevo cambiato colore e mi chinai, con la scusa di raccogliere la mela masticata dal pavimento, per distogliere l'attenzione altrui dal mio imbarazzo.

“Vieni” soggiunse il dio e, dopo aver recuperato il mantello di lana deposto sullo scranno, mi apprestai a seguirlo, succube del suo fascino e senza indugi oltre la soglia della residenza.

Il vento m'investì il volto accaldato scompigliando i capelli, e assicurai la clamide intorno alle spalle col fermaglio. Le solenni vestigia dalle colonne di tufo e di ordine dorico, che ci lasciammo indietro, s'integravano alla perfezione al contesto naturale: quel luogo idilliaco e remoto, che nella mia fervida immaginazione evocava la leggendaria Arcadia, aveva un qualcosa di familiare ancorché sorgesse ubicato fuori dal tempo.

Fui condotto nei meandri intricati della foresta, probabilmente a lui cara, Febo si soffermò in un punto riparato dalle fronde dei sempreverdi che stormivano sospinte dall'aria frizzante.
Inebriato dall'essenza odorosa di timo e rosmarino, nonché assorto a rimuginare le mie inquietudini, non mi ero accorto che il dio portasse con sé un arco e delle frecce infilate nella faretra. Lo strumento di legno di tasso sembrava così flessibile nelle sue mani esperte, lo maneggiava senza l'uso dei guanti e lo tese in atto dimostrativo evitando d'incoccare la freccia. Lo rilasciò poi deponendolo accanto al tronco di un albero e in quel momento una lepre, celata tra gli arbusti, sbucò fuggendo via.

“Sapresti usarlo?” domandò.

“Non lo userei contro una creatura inerme” replicai, aspettandomi di udire le sue risa di scherno. “Ai Santi di Athena è interdetto l'uso delle armi” puntualizzai subito dopo.

Arricciò le labbra ben definite: “Tu stesso sei il custode delle dodici armi che completano le Sacre Vestigia di Libra.”

Sì, era una contraddizione bella e buona, ed esitai prima di esporre il mio pensiero: “Non so darmi una risposta per tutto perché ogni cosa è in contrasto sulla Terra.”

“L'essere umano è incoerente per natura” replicò Apollo, lisciando la piuma di una freccia con le dita. “Ma lo sono anche gli dèi” soggiunse in tono così pacato da farmi sospirare di sollievo.

“Armi a parte, io so cosa cerchi” insinuò ricollocando il dardo nella faretra. “O meglio, ciò di cui abbisogni.”

Dovetti rimanere a bocca semiaperta e con gli occhi spalancati, come un idiota, perché non riuscivo a interpretare le parole di colui che si esprimeva per enigmi. Non stavo cercando nulla ed ero semplicemente il custode della Settima Casa, strappato quasi a forza dal proprio Tempio! Afferrai la stoffa della tunica stringendola nel pugno senza badarci.

Febo corrugò la fronte, il suo sguardo tagliente – ingentilito da seriche e folte ciglia – si assottigliò; gli indumenti candidi catturavano col movimento i tenui riflessi della vegetazione circostante, egli sedette su un masso esortandomi, con un gesto, a pormi accanto a lui. Lo assecondai e rimasi in silenzio sfregando le mani sudate contro il tessuto della veste.

“Cosa saresti disposto a fare per gli altri?” Mi sorprese con una domanda del tutto inaspettata.

“Nulla di mia iniziativa, credo” affermai quasi meccanicamente, non potevo nemmeno vantarmi di essere altruista. “Se non quello per cui sono abilitato.”

Mi irrigidii avvertendo la sua mano tra i capelli, li accarezzò percorrendone la lunghezza. “Sei sincero e l'onestà è una virtù che paga quasi sempre, a tempo debito.” Erano delle belle parole, non ricordavo di aver ricevuto simili elogi al Santuario, nella nuova vita, e malgrado ciò non riuscivo a esprimere nemmeno gratitudine se non un silenzio col quale annuii. Doveva essere davvero lungimirante, magnanimo come si conviene a un'entità dotata di poteri taumaturgici, ma implacabile al punto da scagliare strali venefici contro il genere umano. D'un tratto sentii gli occhi umidi di lacrime e un nodo mi strinse la gola, sganciai l'alamaro del mantello che scivolò dietro la schiena.

“Sei conscio di servire una divinità ingrata – per quanto prevalga una componente umana a influire nelle sue scelte?”

Immaginavo alludesse all'infatuazione idealistica della dèa vergine per il suo campione, e riuscì quasi a strapparmi un sorriso, ma mi limitai ad annuire con ritrosia: “Siamo pedine sullo scacchiere degli dèi. Con alcuni di noi, Athena, ha dato sfoggio d'ingratitudine e poi ha fatto ammenda.” Gli risposi, sebbene fossi consapevole della sua onniscienza, supponendo però che sarebbe stato gratificante per lui apprendere quella verità dalle mie labbra.

“Sono Cloto e Lachesi a tessere il filo del fato” esplicitò. “E tu, Santo di Libra, rinnegheresti la dèa della guerra, della sapienza e delle arti, a cagione della sua grettezza?”

“Già una volta l'ho rinnegata, ma ora non potrei farlo e nemmeno vorrei” dissi, tormentando un ricciolo di capelli tra pollice e indice.

“Non vorresti, hai detto...” Si elevò occultando la luce del sole che filtrava attraverso le fronde degli alberi; mi prese per le spalle inducendomi ad alzarmi a mia volta e poi catturò il mio volto tra le mani rimuovendo col dito quella lacrima che mi aveva bagnato le ciglia a scapito della volontà. “Per auto incensarti?”

“Non per vanagloria, ma per fedeltà alla divinità cui sono votato” risposi e indietreggiai inciampando in una radice che spuntava dal terreno. Apollo mi afferrò per il polso, impedendomi di cadere, e mi fissò dritto negli occhi per poi lasciarmi andare. “Una lealtà che non va disattesa e perseguo a prescindere... seppur non sia incluso nella cerchia dei prescelti” tagliai corto con una punta di amarezza. Se il dio stava cercando di fomentare rancore nei confronti di Athena vi riuscì in parte perché non potei esimermi dal rivangare il passato, ma ormai era un risentimento indebolito dalla mera accettazione del ruolo risicato tra i grandi – e io non ero che un'ombra sbiadita paragonato a loro.

“La gloria ha un prezzo, Misty” sentenziò asciutto.

“Lo so” convenni. Ero pervenuto a quella verità apprendendo, con invidia e a malincuore, l'importanza dei sacrifici degli altri, pur sapendo che in tutto giocasse un ruolo fondamentale l'ineluttabilità del destino. Ciò instillò altri interrogativi nella mia mente: cos'altro intendeva dire Apollo con quelle parole? Avevo, da sempre, rincorso la gloria come un fatuo vagheggiamento, senza mai raggiungerla, e non ne avevo sperimentato il prezzo. Pertanto egli alludeva a un riconoscimento che non mi era dovuto, sebbene tale insinuazione non suonasse al pari di una considerazione sprezzante...

 

...

 

Sbirciai da sotto le ciglia, ancora immerso in una sorta di dormiveglia, fluttuavo in bilico tra sogno e realtà ma poi realizzai di essere sveglio e di trovarmi nell'alcova in una stanza che non riconoscevo. Una stanza semicircolare, in parte priva di mura, circondata da un diptero di colonne doriche e adorna di drappi svolazzanti attraverso i quali scorgevo uno scenario boschivo e la luce diurna. Sentivo il tepore dei raggi solari sulla pelle, era un calore inusuale nella stagione che precedeva l'inverno, ma il tempo – che al Santuario scorreva con la rapidità di una freccia che fende il vento – in questa dimensione aliena sembrava dilatarsi all'infinito. Sbattei le palpebre col risultato di focalizzare di nuovo le stesse immagini; inumidii le labbra con la lingua percependo un sapore gradevole come il profumo di kipros di cui erano impregnate le vesti spiegazzate e intrise di sudore che ancora indossavo dalla sera prima. Dovevo aver trascorso la notte in compagnia di qualche etèra, ninfa, o cortigiano... chissà? Non ricordavo nulla, ma non era poi così importante ricordare benché il sospetto di aver giaciuto con qualcuno mi desse la nausea. Affondai il viso nel cuscino e le dita tra i capelli umidi, ma d'un tratto qualcosa mi sfiorò il capo cosicché fui indotto a rialzarlo. Vidi planare una penna e allungai la mano per prenderla, la lisciai con le dita per sistemare le barbule, doveva essere di un uccello dal piumaggio marezzato e poco appariscente. Infatti la civetta si palesò appollaiandosi sulla spalliera del letto e mi scrutò per un breve istante, prima di librarsi in volo e scomparire. Athena...

Stavo divenendo parte del mondo al quale mi ero assuefatto poco a poco, lasciandomi cullare da una dolce inerzia, così insoddisfacente per chi cerca un riscatto onorevole dalla propria vita vuota; da un'esistenza piatta, in ombra, talvolta scossa e illuminata da labili sprazzi di luce. Da mio padre avevo udito parole gentili, dovevo esserne compiaciuto ma probabilmente non ero che un gingillo da esibire: il clone del compianto Giacinto, la parvenza di un ricordo. Mi domandavo se avesse intenzione di includermi nelle sue schiere, nella sua Guardia, o quantomeno – con la mia condiscendente presenza – mi ero illuso di stornare le sue presunte mire di conquista e sventare così un cataclisma. Ma egli non sembrava essere in procinto di muovere guerra ad Athena... allora cosa stava tramando?

Rotolai tra le lenzuola sgusciando fuori dal letto, forse in modo così brusco da vacillare a causa di un capogiro. Dovetti accostarmi di schiena a ridosso di una colonna, scivolai contro la superficie di pietra e sedetti a terra inspirando profondamente; percepii rivoli di sudore colare lungo le tempie e divenne buio per un attimo. Era un malessere passeggero, ne ero sicuro, dovuto più che altro al mio stato d'animo che non a un vero e proprio disagio fisico. Mi riebbi pian piano con quella consapevolezza, approssimandomi carponi al bacile per rinfrescarmi il viso bianco come calce che fece capolino riflesso nell'acqua.

Sfilai la tunica dalla testa, e me ne procurai un'altra che indossai fermandola in vita con una cintura. Calzai i sandali dorati e recuperai la clamide ponendola intorno alle spalle. Una volta giunto all'esterno sostai tra le colonne, per poi sedermi sullo stilobate di roccia calcarea e sospirare annoiato, c'era troppa quiete.

“Non riesci neanche ad apprezzare la bellezza che ti circonda” esordì una voce. Avevo riconosciuto l'amico Sileno e alzai la testa, che tenevo dapprima china sulle ginocchia, per accingermi a guardare all'orizzonte: sì, il paesaggio era ridondante di colori inimmaginabili sulla Terra. La foresta lussureggiante, smeraldina, esibiva l'oro e l'argento delle foglie scintillanti al sorgere del sole, e risuonava del canto degli uccelli...

“Preferisco concentrarmi su me stesso.”

“Ti gioverebbe distogliere per un po' l'attenzione da te stesso” rispose Sileno accoccolandosi sul gradone più basso di fronte a me per poi ergersi sulle zampe caprine. “Coglieresti dettagli importanti che ti sfuggono”

Si sporse in avanti prendendomi il volto e percepii gli artigli affondare di poco nelle guance, ne fui intimorito e ciò mi indusse a ritrarmi ma il satiro mollò per tempo la presa.

“Non mi piace il tuo atteggiamento passivo” disse.

“Passivo?”

“Sì, passivo. Hai la tendenza a lasciarti trascinare dagli eventi... ma cambierai.”

“Cosa vorresti dire? Mi nascondi qualcosa?” domandai. “Dovrei farti ubriacare per estorcerti la verità...” insistetti lasciandomi sfuggire una risata.

Non rispose e quel suo fissarmi con insistenza mi lasciò del tutto indifferente, abbassai le palpebre rivolgendo i miei pensieri altrove. Mi destai poco dopo rigirando lo stelo di una rosa che avevo evocato tra le dita, accostai il fiore alle narici e al tempo stesso scoccai un'occhiata di traverso a Sileno.

“È stato lui a insegnartelo?” chiese, stringendo gli occhi a fessura.

“Lui, chi?”

“Il tuo fratellino” commentò. “Quello schivo e altezzoso...”

“Aphrodite” sospirai con insofferenza repressa. “Non me lo ha insegnato.”

“Continui a emularlo.”

“Non ho bisogno di emularlo” replicai accartocciando la rosa nel pugno, irritato. Gli aculei penetrarono nelle carni. “Ma non posso negare sia un buon esempio” ammisi a malincuore.

“E perché dovrebbe essere un buon esempio?” domandò lui, e poi mi prese la mano accostandola alle labbra per succhiare il sangue da un dito. Lo guardai, frastornato, in balia della sua sfrontatezza.

“Si è redento compiendo un gesto eroico e di grande altruismo.”

“Sai che ti dico, Misty? Rodersi il fegato per il successo degli altri è sinonimo d'infelicità. È controproducente” disse, lasciandomi la mano e puntando quegli occhi scuri dentro i miei.

Il successo degli altri...

 

***

 

XVI

 

Il Sommo Sacerdote ci attendeva all'esterno del Tredicesimo Tempio, sullo spiazzo che ospitava la statua di Athena, e da quell'angolazione si poteva ammirare la valle sacra – ora immersa nelle tenebre notturne. Raggiungemmo la sua figura ammantata dopo aver percorso il breve tragitto rischiarato dalla luce dei bracieri. Dohko non proferì parola, sembrava assorto in un momento di profondo raccoglimento, benché avesse preso atto della nostra presenza esternandolo con un cenno. Emise un sospiro, uno sbuffo di condensa fuoriuscì dalle labbra, e poi decise di degnarci della sua attenzione voltandosi, poiché girato di tre quarti, in modo da guardarci in faccia. Le fiamme di alcune torce dissipavano l'oscurità e notai con chiarezza l'espressione sul volto giovane, ma forse confondevo tranquillità con rassegnazione. Rassegnato? A cosa? Mi riscossi dal dubbio, probabilmente indotto dalla paura. Paura dell'ignoto, paura di apprendere qualcosa che non mi piacesse o mi sgomentasse al punto da rendermi inerme. Perché non c'era niente di peggio, per me, che languire senza poter far nulla.

Un colpetto sulla spalla mi fece sussultare. “Sembri immerso in sogni tutti tuoi” disse Algol di Perseus, sottovoce, riportandomi in qualche modo alla realtà.

Fissai con impazienza il volto imperturbabile del Sommo ed egli finalmente si destò: “Ho pensato ti premesse accompagnare Athena per assisterla nel corso delle trattative.”

Restai in silenzio, in parte compiaciuto per la considerazione dimostratami, ebbi la conferma che un mio coinvolgimento fosse implicito... e non poteva essere altrimenti. L'affermazione del Sommo Sacerdote smentiva in qualche modo il presunto disinteresse o avversione nei confronti di mio fratello, e sottintendeva gli stesse a cuore anche la sua sorte oltre l'armatura. Forse Saga e gli altri avevano interpretato male le sue parole, chissà. Dohko era, sì, pedante, indisponente, talvolta burbero, ma anche saggio e dal cuore nobile ed era plausibile avesse perso le staffe in un momento di rabbia. Doveva essere stato senz'altro così. Materializzai una rosa, come se cingere il gambo del fiore tra le dita assumesse per me una connotazione rituale. “Come desiderate” replicai.

Dohko si rivolse ad Algol di Perseus: “Sei stato convocato in quanto unico testimone alla defezione del Santo d'Oro di Libra. Ma, pensandoci bene, ho deciso che non prenderai parte alla missione, se così si può definire.”

“Una missione che avrebbe più lo scopo di voler conseguire un accordo tra le parti” dedusse il Santo d'Argento. “Ed è meglio non presentarsi al cospetto di Apollo con al seguito una folta schiera di Santi.”

“Esatto. Una negoziazione è ciò che Athena si propone di attuare” confermò il Sommo, e poi lo vidi volgere un fugace sguardo al cielo. “Nella speranza che non sopraggiungano imprevisti.”

Imprevisti... chinai il capo e dopo lo sollevai, che non abbia già interrogato le stelle? Scrutai nell'oscurità inframezzata dal brillio sparuto delle fiaccole che punteggiavano la valle in lontananza simili a capocchie di spilli. Trassi poi un sospiro: “Sommo Sacerdote”, proferii rompendo gli indugi. “Siete stato sull'Altura delle Stelle? Avete consultato gli astri?”

“Sì” affermò laconico, e la risposta telegrafica fu una limpida esortazione a indurmi a rispettarne il riserbo. Avevo imparato a conoscere Dohko, in poco tempo, abbastanza da comprendere quando ritenesse chiuso un argomento.

“Avete rilevato astri negativi, in opposizione, o in congiunzione favorevole?” insistetti, rigirando ripetutamente lo stelo della rosa. Perseus mi guardò notando il gesto liberatorio ma, forse, così melenso da fargli imprimere sul volto una smorfia di scherno.

“Da quando ti diletti con lo studio dell'astrologia?” chiese il Sommo con smaccato sarcasmo e un sorriso gli increspò le labbra, mi stava letteralmente prendendo in giro anche lui.

“Non me ne intendo, infatti” rettificai, indignato. “E, da profano, mi rivolgo a voi.”

“Non crucciarti, non c'è nulla da temere per il momento”, fece Dohko tornando serio. “Adesso c'è qualcosa di più urgente a cui pensare, Athena ti sta aspettando.”

Così, su due piedi... non immaginavo Athena avesse intenzione di agire subito perché mi era sembrata titubante l'ultima volta, ma forse aveva riflettuto risolvendo di affrettare i tempi. Mi congedai muovendo un passo all'indietro e Dohko rivolse uno sguardo verso l'alto, dopo aver ammiccato accennando un sorriso.
Algol di Perseus si accostò al mio fianco. “Hza saeidaan” disse. “Mi sarebbe piaciuto partecipare, ma gli eventi hanno preso un'altra piega a quanto pare” concluse alzando gli occhi al cielo.

Emisi un profondo sospiro e annuii col capo senza proferire parola. Non avevo parole, o meglio, non trovavo quelle giuste e strinsi la cappa intorno alle spalle affrettando il passo.

 

 

Feci un inchino scrutando di sottecchi quella sua figura gracile – spenta, priva dell'emanazione di cosmo che solitamente l'accompagnava – seduta sullo scranno maggiore nella Sala delle Udienze. Le dita esili stringevano i braccioli del trono, e poi cambiò posizione scostandosi dallo schienale dello scranno per congiungere le mani in un intreccio; il volto era messo in ombra dalla fioca illuminazione alle spalle. Quasi mi vergognavo di me stesso perché, nonostante mi fossi sempre approcciato con rispetto, riconobbi di aver tenuto la dèa in scarsa considerazione; ma l'ipocrisia era un tratto distintivo del mio carattere e ci convivevo senza troppi sensi di colpa. Saori Kido sciolse l'intreccio delle dita con cui teneva avvinghiate le mani in grembo, esortandomi ad alzarmi in piedi. Assentii. Dopo essermi alzato arretrai di un passo e sfilai l'elmo ponendolo sotto un braccio, e nel mentre cercai invano il suo sguardo celato nel fitto delle ombre.

“Aphrodite” disse. “So bene cosa significa essere in pena per qualcuno.”

Trasecolai, quello non era un pensiero che avrei attribuito alla dèa Athena. Dovetti schiarirmi la voce per sciogliere il groppo in gola: “Credevo che l'armatura fosse la priorità.”

“Ci tengo a recuperare entrambi: le Sacre Vestigia d'Oro di Libra e il possessore.” Si alzò in piedi. “Ho sempre messo i Santi tutti sullo stesso piano" affermò scendendo i gradini di pietra e un fascio di debole luce le lambì il volto eburneo. Sembrava triste e provai compassione per lei, ma stentavo a credere a quelle parole, sebbene avesse ormai conquistato la mia fiducia e quella degli altri.

Avanzò sulla passatoia scarlatta fino a giungermi di fronte: così minuta e fragile da mettermi quasi a disagio nel sovrastarla con la mia ombra imponente. Mi prese la mano libera stringendola nella sua e infondendomi calore.

“Gli interessi personali non dovrebbero essere contemplati negli obiettivi di un Santo di Athena” soggiunse. “Ma io, per prima, ho anteposto i sentimenti alla causa giusta e non vedo perché ciò debba essere precluso a chi annulla se stesso – reprimendo altresì i propri desideri – per devozione.”

“Vi accompagnerò perché il Sommo Sacerdote me l'ha ordinato, e non per ricongiungermi con mio fratello” risposi. “Sappiate che, per quanto possa sentirmi legato a lui, non antepongo l'affetto al mio status. Sono un Santo di Athena ancor prima d'essere un mortale.”

D'un tratto l'aura dorata la pervase irradiando anche il volto addolcito da un timido sorriso. “Ho apprezzato il gesto del Santo di Libra e ho come la sensazione ch'egli, col suo ruolo, in questa vicenda fungerà da ago della bilancia.”

“Da paciere, intendete dire? Senz'altro”, convenni. “Voglio credere abbia agito con consapevolezza e forse, per una volta, non spinto da mire opportunistiche.”

“Non sembrano parole di elogio, le tue.”

“No, milady, non lo sono. Tutto sommato seppure con qualche riserva, nutro sincera ammirazione nei confronti di Misty” dissi calcando l'elmo sul capo.

Avvertii la presenza di un cosmo arcinoto, ma non mi scomposi. Una figura bardata in un'armatura di bronzo era emersa dalle ombre, lo riconobbi dopo, alla luce: il Santo di Pegasus si accostò a braccia conserte accanto a una colonna. Esibiva sempre un contegno sostenuto in presenza della dèa come a voler rimarcare il proprio status di eroe. Seiya, ai miei occhi, rimaneva un bambino cresciuto e tracotante. Sospirai, mesto, perché quasi mi infastidiva interpormi tra lui e Saori.

 

 
   
 
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