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Autore: DrarryStylinson    19/05/2020    1 recensioni
Stiles è frutto di un esperimento genetico mal riuscito: metà uomo e metà lupo. Quando l’animale prende il sopravvento, la rabbia e l’istinto di far del male al prossimo sono impossibili da controllare. Solo un altro come lui potrebbe avere le capacità per fronteggiarlo.
Derek, rimasto solo al mondo e con un conto in sospeso con Stiles, si offre volontario per diventare anch’egli un mezzo lupo per poter così catturarlo.
Quando però la verità viene a galla entrambi dovranno rivalutare le loro posizioni in questa sorta di guerra.
Sterek!AU
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4


Fu prevedibilmente facile rubare un cellulare. Mi trovavo in ascensore con altre tre persone e infilai furtivamente la mano nel camice di un uomo anziano sottraendoglielo. Me lo misi in tasca e uscii fischiettando dalle porte che si aprirono con uno scampanellio. Quando fui al sicuro controllai che non avesse la suoneria accesa. Essendo un cellulare aziendale fortunatamente, quel vecchio, non si era neppure premurato di mettere un codice pin.
Entrai in palestra continuando a fischiettare. La dottoressa Martin mi aspettava insieme ad altri due medici e tre uomini in smoking che non avevo mai visto. Indossavano un cartellino con la parola “Visitor” appuntato sulla giacca. Mi tolsi i vestiti, piegandoli con cura e appoggiandoli su una sedia. Restai in intimo mentre uno degli scienziati si avvicinava per prepararmi.
Era il giorno dei test. Una routine che svolgevo ogni settimana, da quando ero uscito dalla capsula, per tenere monitorate le mie abilità. Prova di resistenza, dove correvo ad una velocità esorbitante sul tapis roulant mentre indossavo una maschera, degli elettrodi alle tempie e sul petto e dei tubi infilati in entrambe le braccia in cui scorreva un liquido.
Olfatto, vista, udito. Tutto sotto stretta osservazione. Ogni settimana mi accorgevo di diventare sempre più forte.
Notai interesse sul volto di quegli sconosciuti silenziosi.
“LUPO-02” mi chiamò Lydia. Sapevo che lo faceva solo per sembrare professionale, ma quel nome lo detestavo. Mi faceva assomigliare a Stiles. “Trasformati” ordinò.
Abbassai la testa e guardai il mio petto nudo, solo velatamente sudato per colpa dello sforzo fisico a cui ero stato sottoposto, gli stimolatori appiccicati al petto e agli addominali, i fili che conducevano ad un computer. Vidi la maschera appannarsi a causa dei miei respiri. Non era ossigeno quello che stavo inalando, era gas nervino e su di me non faceva alcun effetto. Ero un fenomeno da circo.
Sollevai la testa spalancando gli occhi blu e respirando affannosamente. Io mi ero offerto volontario per diventare un lupo mannaro solo per catturare Stiles!
Vidi il liquido entrarmi nel corpo attraverso i tubi nelle mie braccia. Erano sonniferi, tranquillanti che avrebbero steso un elefante in meno di dieci secondi. Gli artigli scattarono e i peli mi si allungarono sul volto. Mi levai la maschera dalla faccia e uno dei dottori spense l’afflusso del gas.
Mentre percepivo le orecchie allungarsi e i canini cominciare a pungere, pensai ancora a Stiles. Anche lui aveva subìto questi trattamenti. Che razza di vita aveva avuto quel ragazzo? La morte della madre per demenza frontotemporale a otto anni; il morbo di Batten; cinque anni della sua vita sprecati tra medicine ed incubazione e quando finalmente avrebbe potuto essere libero, nonostante non fosse più totalmente umano, lo avevano sottoposto pure a questi test.
Ringhiai con quanto più fiato avessi in gola. La stanza tremò e le persone si tapparono le orecchie. “Soddisfatti?” domandai grugnendo.
Mi strappai gli elettrodi e mi rivestii in fretta mentre la dottoressa Martin invitava i tre uomini a uscire. Sentii che dicevano che avrebbero parlato con il dottor Argent, poi i loro passi si allontanarono. Lei rientrò, marciò velocemente verso di me e mi prese per un braccio. Mi lasciai trascinare davanti al computer. Indicò il monitor con una mano aperta, poi incrociò le braccia al petto e iniziò a tamburellare nervosamente per terra con un piede.
“Derek” disse il mio nome sussurrando. “Stavi per perdere il controllo” mi sgridò con fare materno.
Guardai lo schermo luminoso: segnava che il mio cuore era arrivato a 272 battiti al minuto. Sì, lo avevo percepito. Avevo pensato a lui e il lupo aveva quasi preso il comando. Strinsi la sua foto all’interno giacca.
“A cosa pensavi?” mi chiese preoccupata.
Annusai il suo sincero dispiacere. Forse, pensai, oltre che di Scott mi potevo fidare anche di lei.
“Alla notte dell’incidente” mentii. Non potevo certo dirle che stavo pensando a Stiles. Che provavo pena per il suo passato.
“Sai chi erano quelle persone?” domandò armeggiando con il computer e cancellando quel risultato anomalo sotto i miei occhi.
“Sai benissimo che non lo so” replicai scrutandola con gratitudine.
“Agenti del governo. Sono interessati a te” spiegò.
Mi allarmai. “Per quale motivo?”.
“Una volta che avrai catturato Stiles dovrai pur trovarti un altro impiego” borbottò a disagio. Il suo cuore ebbe un breve aumento quando pronunciò il nome del licantropo.
“Lavorare per il governo?” chiesi alzando la voce. Loro erano quelli che avevano ordinato ad Argent di mettermi l’AconiRAL nel collo! Sovrappensiero, toccai con la punta delle dita la base del collo sentendo il dispositivo muoversi sotto la pelle. “Tu sapresti toglierlo?” le chiesi.
Si morsicò il labbro inferiore. “Mi arresterebbero se lo facessi” disse stringendosi nelle spalle.
Annusai la sua sensazione di colpevolezza e la tranquillizzai poggiandole la mano sul braccio e accarezzandolo. Il suo cuore batté rilassato. “Solo che… non mi piace l’idea di essere manipolato” mi giustificai stupidamente. A nessuna persona al mondo sarebbe piaciuta l’idea di avere un dispositivo nel corpo in grado di localizzarti e paralizzarti, lasciandoti solo la facoltà della parola. Mi ero sentito così vulnerabile, una macchina nelle mani del dottor Argent e forse era così che Stiles si era sentito per tutta la sua vita.
“Meglio che vada a farmi una doccia” mi congedai.


Sotto l’acqua quasi fredda pensai al mio cellulare. Era così ovvio che Stiles voleva che lo contattassi. Non era una decisione saggia, anzi era una stronzata colossale! Per quale motivo avrei dovuto chiamare la persona che avevo tentato di uccidere? No, non lo avrei mai fatto, non ero così stupido. E allora perché avevo già rubato un altro cellulare?
D’accordo, gli avrei dato trenta secondi. Se in mezzo minuto non mi avrebbe detto nulla di interessante allora ciao, basta. Una sola possibilità.
Ancora in accappatoio, mi sdraiai sul letto e composi il numero del mio telefono. Fece solo uno squillo, poi udii un respiro dall’altro capo. Non era sicuro che fossi io quindi preferiva non parlare, lo capivo.
“Mi hai rubato il cellulare” mi palesai.
Lui stette in silenzio, forse per capire se fossi solo. Se avesse sentito altri respiri o battiti oltre al mio avrebbe riattaccato.
“Che spirito di osservazione” parlò allegramente.
“Voglio risposte” andai subito al dunque. Chris Argent mi nascondeva qualcosa e io avevo un disperato bisogno di sapere la verità.
“Le avrai. In cambio voglio qualcosa” disse, ogni traccia di allegria scomparsa per lasciare spazio alla serietà.
“Cosa vuoi? Che dica ad Argent di smettere di darti la caccia perché in fondo sei un bravo lupetto?” sbottai guardando il telefono e notando che i trenta secondi erano passati.
“Voglio una tua maglietta”.
Mi sollevai a sedere. Spalancai la bocca ma non ne uscì alcun suono.
“Devi averla indossata almeno da due giorni e non lavata” aggiunse non finendo di stupirmi.
“Prego?” domandai con la voce diventata quasi acuta a causa della sorpresa.
Stiles sbuffò una risata dall’altro capo del telefono. Ero sicuro che stesse ascoltando il battito del mio cuore tamburellare nel petto ad una velocità anomala. Che voleva farci con una mia maglietta usata?
“Incontriamoci stanot-”.
Chiusi la chiamata prima che potesse finire di parlare. Mi sentivo sottosopra. Chiamarlo era stata una pessima idea. Provavo sentimenti troppo contrastanti per quel ragazzo. Il cellulare del vecchio vibrò per un messaggio: “So come togliere l’AconiRAL” diceva semplicemente.
“Oddio” mormorai. In che situazione mi stavo cacciando?
Guardai la lavagna: 3 agosto 2091, la data scritta con il pennarello nero e sottolineata due volte in rosso. Qual era il modo migliore per sapere la storia di quella notte? Semplice: farsela raccontare dalla persona che l’aveva vissuta.
Lo chiamai di nuovo e, senza nemmeno aspettare una sua risposta, dissi: “Stanotte, alle tre. Sul tetto della scuola”. Riattaccai immediatamente. Non avevo il coraggio di sentire di nuovo la sua voce.
Mi alzai dal letto e diedi un’occhiata ai vestiti che avevo messo nella cesta e che l’indomani mattina sarebbero passati a prendere per lavarli. Raccolsi una maglietta grigia e la nascosi sotto il cuscino. Ripresi in mano il cellulare e cancellai ogni traccia della conversazione avuta con Stiles.

 

 


La luna era piena e illuminava il cielo insieme al fuoco. Le fiamme diventavano sempre più alte. Cercai di parlare ma ero intossicato dal fumo e un fiotto di sangue mi uscì dalla bocca dopo un colpo di tosse. Guardai l’ombra coprire la luna, stagliarsi sopra di me e fissarmi con i suoi occhi gialli. Poi si avvicinò alla macchina ribaltata e in fiamme. Tentai di nuovo di dire qualcosa. La vidi abbassarsi per guardare all’interno dell’auto e sporgersi per fare qualcosa. “Non osare farlo!” urlò una persona. L’ombra sussultò, portò una mano dietro la testa e spiccò un balzo. Attraversò le fiamme e sparì nel buio. Uno sconosciuto si inginocchiò al mio fianco e mi tenne la mano mentre chiamava i soccorsi. Guardai la macchina continuare a bruciare. 6 QGM 387, fu l’unica cosa che riuscii a leggere. Cercai di chiedere aiuto. In quella vettura c’erano altre tre persone. Dovevano tirarle fuori. Sentii una lacrima scivolare via da un occhio, percorrere la tempia e incastrarsi tra i capelli. Guardai di nuovo il cielo con gli occhi offuscati, mentre sentivo le prime sirene avvicinarsi. La luna era piena. Così bella e letale.

 

 


La notte arrivò troppo alla svelta. Più volte ero stato tentato di rinunciare ma alla fine radunai tutto il mio coraggio e uscii dalla stanza con le chiavi del motorino in una mano e la maglietta grigia in un’altra. Incontrai solo una persona a quell’ora, ma non fece domande. Non era insolito vedermi uscire nel pieno della notte, dopotutto ero pur sempre un lupo!
Arrivai alla Beacon Hills High School troppo presto. Mi arrampicai con facilità sul tetto e lui era già lì.
“Sei in ritardo” esordì immediatamente. I suoi occhi erano gialli per potermi vedere meglio al buio. La luna, quella notte, era sottile come un filo di lana.
“Sei tu ad essere in anticipo” borbottai.
Stiles sfilò il mio cellulare dai suoi jeans e mi mostrò l’ora: le 3:17. Ero in ritardo. Me lo lanciò e lo afferrai al volo. Restammo qualche minuto in silenzio e a debita distanza, poi fu lui a rompere il ghiaccio.
“Vedo che l’hai portata” spezzò la quiete indicando la maglietta che penzolava dalla mia mano.
“Che spirito di osservazione” risposi a disagio.
Stiles sorrise. “È la seconda volta che copi una mia battuta” mi rimproverò bonariamente. Fece un passo in avanti ma, quando vide i miei occhi diventare blu, si bloccò.
In quel momento nessuno sapeva dove fossi. Dubitavo che qualcuno mi stesse monitorando a quell’ora di notte quindi, se avessi provato di nuovo a staccargli la testa, l’AconiRAL non si sarebbe attivato. Mi ero risvegliato da due mesi e mezzo e avevo vissuto inconsapevolmente per tutto quel tempo con un’arma nel collo. Riusciva difficile fidarmi ancora del dottor Argent. Ma come potevo fidarmi di Stiles?
“Immagino che ti stia domandando per quale motivo hai accettato di incontrarmi” intuì il ragazzo continuando ad avvicinarsi un passo alla volta.
Era maledettamente bravo nel percepire le mie emozioni.
“So che sei giunto a qualche conclusione”.
Annuii guardando i suoi occhi gialli e luminosi. Gli stessi che avevo visto quella notte. “Oggi, durante i test, sono venuti tre sconosciuti a studiarmi” rivelai. “Il loro odore non mi è piaciuto”. Sapevo che mi avrebbe compreso. Forse era l’unico che poteva concepire il modo in cui mi ero sentito per tutto quel tempo.
“Agenti del governo?” chiese. “Vennero anche da me” fugò ogni mio dubbio.
Strinsi la maglietta tra le dita bucandola con gli artigli.
“Non sei stupido, Derek” disse ormai a due passi da me. “Avrai già dedotto la fine che farai una volta che mi avrai catturato”.
Sì, l’avevo capito. Sarei diventato un’arma nelle mani del governo e avrei dovuto fare qualsiasi cosa mi ordinassero (una missione suicida in Corea del Nord; infiltrarmi nell’MI6 di Londra; assassinare il Presidente americano). Sarei diventato uno schiavo al loro servizio e l’AconiRAL nel collo era la chiave per tenermi legato a loro per tutta la vita.
“Toglimelo” ringhiai.
Il cuore nel suo petto batté più forte. “Seguimi” mormorò solamente, lanciandosi giù dal tetto della scuola. Presi una breve rincorsa e lo imitai. Atterrammo davanti all’ingresso. Stiles forzò la serratura ed entrò. Lo seguii silenziosamente nel corridoio pieno di armadietti fino a quando svoltò in un’aula vuota. Facemmo entrambi una smorfia quando il tanfo di prodotti chimici ci avvolse.
Sfilò una sedia da sotto un banco. “Siediti” ordinò mentre lo vidi prendere degli attrezzi.
“Cosa sono?” chiesi diffidente.
“Questo serve ad incidere la pelle” rispose facendomi vedere una lama tagliente. “E questo serve per togliere il dispositivo” aggiunse indicando una pinzetta.
“Tutto qui?” chiesi confuso. “Posso farlo anche da solo” borbottai.
Lui mi fissò con un sopracciglio sollevato. “Prego, accomodati” disse annoiato mentre mi porgeva i due strumenti che teneva tra le dita.
Roteai gli occhi blu. Lydia mi aveva già detto che farlo da solo era impossibile. La ferita si richiudeva in pochi secondi e la precisione doveva essere millimetrica.
“E gli artigli a cosa ti servono?” domandai sarcastico.
Stiles fissò le proprie mani, sbuffò un piccolo ringhio e le guardò in mano modo, come se stesse ordinando alle granfie di ritirarsi con la forza del pensiero.
“A niente” borbottò prendendo uno straccio e squarciandolo a metà. “Sono usciti perché sono agitato”.
“Rassicurante” lo schernii annusando il suo odore di nervosismo.
“Ora ti vuoi sedere a cavallo della sedia e poggiare i gomiti sulla spalliera?” chiese quasi supplicandomi e invitandomi con un gesto plateale delle braccia. Gettai la maglietta grigia sul banco e vidi Stiles lanciarle un’occhiata. Era davvero un tipo strano. Mi sedetti a cavalcioni e feci come richiesto.
“Bravo. Ora mi servono i tuoi artigli” disse sardonico posizionandosi dietro di me e inspirando profondamente. Mi stava, per caso, annusando?
“Perché?” sbottai voltandomi a fissarlo.
Spalancò gli occhi gialli e mi sbuffò sonoramente in faccia. Fiutai il suo alito: emanava aroma di liquirizia.
Feci scattare gli artigli di entrambe le mani. “Solo gli indici”. Poggiai i gomiti sullo schienale e tenni gli indici sollevati in aria. Mi sentivo davvero stupido.
“Okay, ora praticherò un’incisione di circa nove centimetri” spiegò. “Tu puoi ringhiare, sbavare, dirmi parolacce, ma resta immobile”.
Annuii abbassando la testa e lasciando visibile il collo. Ero esposto. Vulnerabile. Fragile. Poteva uccidermi con facilità.
La lama perforò la mia pelle. Strinsi i denti e i canini cominciarono a crescere. Stiles gettò per terra il coltellino e mi afferrò i polsi portando le mie mani dietro la testa.
“Tieniti la ferita aperta” ordinò posizionandomi con cura gli artigli degli indici. Un breve ringhio mi scappò dalla gola mentre mi artigliavo la pelle, che sentivo chiudersi velocemente, per aprirla.
“Ancora un po’” mormorò Stiles. Stava diffondendo sempre più odore di agitazione. Era davvero in ansia all’idea di uccidermi.
Percepivo delle gocce di sangue scendermi dal collo e udii qualcos’altro in lontananza: battiti di cuori. Tanti battiti. Qualcuno stava per far irruzione nella scuola.
“L’ho preso” esultò Stiles alitandomi addosso.
Sarebbe stato fin troppo facile – in quel momento – girarmi, metterlo fuori combattimento e portarlo da quelle persone.
“Fatto. Puoi togliere gli artigli”.
Mi alzai dalla sedia, presi lo straccio che Stiles poco prima aveva disintegrato per sfogarsi e mi tamponai la ferita piena di sangue. Guardai il ragazzo che puliva l’AconiRAL con un pezzo di stoffa. Mi avvicinai e studiai il dispositivo: era una fiala piena di liquido viola.
“Distruggilo. Che aspetti?” lo esortai.
Stiles scosse la testa. “Anche così è pericoloso” disse osservando l’oggetto con curiosità quasi morbosa. Era talmente concentrato che non si era nemmeno accorto che delle perone erano entrate nella scuola e tra poco ci avrebbero scoperto.
“Cosa vuoi farci?” chiesi ancora indeciso su come agire.
“Loro non si fermeranno mai” mormorò. “So che sono qua fuori. Li ho sentiti” bisbigliò. I suoi occhi gialli si spensero, prese la maglietta che avevo portato e si sedette sulla sedia che avevo appena utilizzato.
“Vattene, Derek” disse stringendo in mano l’AconiRAL. “Resteresti intossicato e moriresti nel giro di novanta secondi”.
Intuendo la sua decisione mi piazzai davanti a lui. Non ero più indeciso. Sapevo quello che dovevo fare: la cosa più giusta. Certo, la scelta giusta non era la più facile e andava contro tutto quello in cui avevo creduto negli ultimi due anni ma, come si dice, solo gli stupidi non cambiano mai idea.
Sollevò gli occhi castani e guardò il blu dei miei. “Abbiamo all’incirca quaranta secondi. O distruggi l’AconiRAL uccidendo anche me, oppure ci lanciamo dalla finestra e scappiamo assieme” proposi.
Sorpresa, dubbi, speranza. Il mio naso fu sopraffatto da una valanga di sensazioni.
“Vuoi diventare un latitante per me?” mi chiese sbalordito. Allungai una mano con il palmo verso l’alto e mossi le dita un paio di volte.
“Venti secondi” dissi.
Stiles guardò la porta dell’aula. Udiva i passi delle persone e il rumore metallico delle loro armi che venivano caricate.
“Dieci” sussurrai. I suoi occhi ritornarono gialli e mi porse l’AconiRAL. Lo poggiai con attenzione sulla scrivania insieme al mio cellulare mentre la porta veniva aperta con un calcio.
Corremmo verso la finestra e le prime scariche di proiettili ci raggiunsero. Uno mi prese la spalla e Stiles venne colpito al braccio e alla schiena. Saltammo quasi contemporaneamente e frantumammo il vetro. Atterrai con malagrazia nel giardino della scuola e Stiles cadde al mio fianco ringhiando di dolore a causa del colpi subìti.
“Sto bene” ansimo ruggendo e voltandosi a pancia in su. Si era già trasformato per velocizzare il processo di guarigione.
Gli uomini si affacciarono e, prima che potessero riprendere a spararci, afferrai Stiles per un braccio e lo aiutai a sollevarsi. Per terra vidi i due proiettili che il suo corpo aveva espulso.
Una volta in piedi ricominciammo a correre. Avevo appena tradito Chris Argent.  Avevo appena sputato sul mio passato e sulla mia missione. Mi ero offerto volontario per farmi trasformare in un lupo mannaro per catturare Stiles e ora mi ritrovavo a scappare con lui.
Nel mezzo della riserva di Beacon cominciammo a rallentare. La ferita alla spalla si era appena rimarginata.
“Sei lento a guarire” mi fece notare divertito rallentando il passo e camminando.
“Però sono più forte di te” mi vantai.
Lui si bloccò. “Oh, no!” si lagnò pestando un piede per terra. “Ho perso la tua maglietta” cantilenò dispiaciuto.
“Ma posso sapere a cosa ti serve?” chiese sinceramente curioso.
“Per annusarla” rispose come se fosse ovvio e per niente morboso. Dovette percepire quello che stavo provando perché fece una smorfia e si allontanò infastidito a passo di marcia, mentre un verso per niente umano usciva dalla sua bocca.
“D’accordo, fermati. Puoi annusare questa” lo accontentai.
Stiles si voltò e mi raggiunse ad una velocità da lupo. I suoi occhi gialli rimasero fissi sulla mia maglietta nera, la percorsero interamente con lo sguardo e mi annusò a distanza di sicurezza.
Presi il bordo della maglietta e la sollevai per fargliela arrivare sotto il naso.
“Posso?” mi chiese tentando di celare l’entusiasmo, come se ne valesse della sua stessa vita.
“Sì, ma non renderlo più imbarazzante di quanto già non sia” borbottai cominciando a sentire un anomalo calore affluire alle guance.
“Sta’ zitto, devo concentrarmi. Non so se me lo ricordo ancora” sussurrò quasi rapito. Posò una mano sulla mia, che ancora stringeva il bordo della maglietta, senza nemmeno accorgersene e si avvicinò. Lo scrutai con gli occhi blu e lo vidi socchiudere le palpebre e affondare il naso nel tessuto di cotone. Inspirò profondamente e…



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