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Autore: UnGattoNelCappello    19/05/2020    1 recensioni
Kei realizza durante il suo secondo anno di liceo che probabilmente è innamorato di Yamaguchi da quando ha dieci anni. Per quanto incapace possa essere a gestire la situazione, Kei prega almeno di non esserlo tanto quanto Hinata e Kageyama. Ma a quanto pare, è proprio così. *TRADUZIONE*
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Shouyou Hinata, Tadashi Yamaguchi, Tobio Kageyama
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12

Il linguaggio del suo primo cuore

 

 

Mia cara, cara Amica; nella tua voce sento

il linguaggio del mio primo cuore e leggo

i miei primi piaceri nella luce dardeggiante

dei tuoi occhi selvaggi.

 

Wordsworth – righe scritte a poche miglia sopra Tintern Abbey

 

 

“Kinoshita-san pensava che fossi il tuo ragazzo, Tsukki.”

Kei quasi inciampa anche se è fermo in piedi sotto il portico di casa sua. La mano gli cade dal pomello della porta. Yamaguchi è rimasto in silenzio lungo quasi l’intero tragitto verso la casa di Kei. Stavi pensando a questo? Si chiede Kei.

“L’ho notato.”

Yamaguchi fissa un punto sopra la spalla di Kei. C’è una tesa pausa prima che il ragazzo parli di nuovo, come se non fosse del tutto sicuro di dove voglia andare a parare. Neanche Kei lo è. La fredda aria serale gli morde le orecchie. Resiste l’impulso di aggiustarsi inutilmente gli occhiali.

“Tsukki, ti metteresti mai con una ragazza?”

Kei deglutisce. “No.”

“Mai?”

“No,” ripete fermamente.

“Oh.”

Yamaguchi si muove agitato sul posto. Le mani di Kei si incontrano per stringersi in modo ansioso.

Kei non sta mentendo. Pensa che se avesse voluto avere una ragazza, ormai l’avrebbe già avuta. Ha avuto molte possibilità. Yamaguchi lo sa. Nessuna scatola di cioccolatini, non importa quanto dolci, ha mai addolcito i suoi margini taglienti. Nessun tocco di una ragazza l’ha mai lasciato senza fiato. Nessuna dichiarazione gli ha mai accelerato il cuore o gli ha fatto sudare i palmi delle sue mani tremanti.

Eccetto una.

Kei compila una lista mentale delle sue caratteristiche; mani pallide, fianchi larghi, occhi dorati. La sua bocca, il suo pene. Sono queste le cose a cui Yamaguchi pensa quando si tocca (è ancora così, o immagina curve più morbide ora?), e Kei non ha ancora superato quella confessione. È senza dubbio alcuno la dichiarazione preferita tra le dozzine che ha ricevuto. Non sa cosa pensare del fatto che sia a sfondo sessuale invece che sentimentale. Non pensa di essere un granché su nessuno dei due fronti, anche se non ci sono abbastanza prove a sostegno della sua teoria.

Kei si chiede se questo abbia fatto sentire Yamaguchi insicuro; il fatto che Kei abbia aperto le sue labbra per lui ma non il suo cuore. Deve sapere che a Kei importa di più di lui che solo il suo aspetto, giusto? Certo, certo, si risponde Kei, certamente riesce a vedere il modo in cui lo guardo.

E se invece non fosse così?

“Non ti ho baciato solo per il tuo aspetto,” dice Kei perché Yamaguchi merita di saperlo.

Non si permette di pensare alla sempre più lunga lista di cose che Yamaguchi merita che lui gli dica, lasciando invece che quest’unica rimanga sospesa in aria tra di loro. Yamaguchi spalanca la bocca ma la sua risposta, se mai ne aveva una, gli muore in gola. Sbatte lentamente i suoi occhi attenti. Protetto dal buio intorno a loro, Kei si sente più coraggioso.

“Non ti bacerei mai solo per il tuo aspetto.”

Kei non ricorda di aver mai svelato una cosa tanto intima sui suoi sentimenti. Il cervello finalmente raggiunge la sua bocca e il cuore gli inizia a correre. La luce sul portico sfavilla. Ricorda che sua madre ha detto qualcosa sul fatto che deve essere riparata.

“Zitto,” ringhia Yamaguchi.

“…Cosa?”

Il cuore scalpitante di Kei gli cade in fondo allo stomaco. Osserva le mani di Yamaguchi, strette in un pugno e tremanti ai suoi fianchi. Yamaguchi, anche se più basso di Kei, sembra in qualche modo sovrastarlo. Irradia furia come se fosse calore da un termosifone.

“Non puoi dirmi queste cose, cazzo,” sbraita, il labbro superiore teso sui denti bianchi. “Non puoi continuare a dire che vuoi essere mio amico e poi dire quelle cose. Non capisci?!”

Mantiene la propria posizione per un altro secondo. È in assoluto il secondo più lungo dell’intera adolescenza di Kei.

Poi Yamaguchi si gira sui tacchi e se ne va.

Kei lo guarda allontanarsi dalla veranda finché la sua figura non si amalgama con le ombre del crepuscolo. La lampadina sopra di lui fa un ronzio e poi si spegne. Kei rimane lì in piedi per un minuto prima di entrare in casa, immerso nell’oscurità e con la nausea che gli sale allo stomaco.

I suoi piedi lo portano in cucina.

“La lampadina in veranda si è fulminata,” dice a sua madre.

Lei alza lo sguardo dalla rivista che sta leggendo per rispondergli ma si blocca quando lo vede.

“Kei? Che succede?”

“Huh?”

Subito dopo, è al suo fianco. Alza una mano e accarezza con il pollice sotto l’occhio di Kei. Gli sparge la lacrima sulla guancia.

Ne cade un’altra, e un’altra. Kei se ne accorge a malapena. Sua madre lo guarda con occhi grandi, preoccupati, e Kei stringe le labbra. Se aprisse la bocca, ne uscirebbe più di quanto non voglia.

Ma non può evitare un suono soffocato quando sua madre lo prende delicatamente tra le braccia. Gli accarezza la schiena disegnano cerchi con la mano e Kei alza le braccia per stringerla forte. Posa la fronte sulla sua spalla e le lacrime impregnano il ruvido materiale del suo maglione. Lei lo consola con tono rassicurante come faceva quando era piccolo.

Ciò lo fa piangere ancora più forte.

Emette un grido sonoro, disperato contro la spalla della madre, e non gli importa di sembrare come se stesse morendo perché è così che si sente. È a questo che l’ha portato il suo tenere le distanze e il pensare troppo. Si è fatto tutto questo da solo, e non sa come farlo smettere.

Se ho mai fatto sentire così Yamaguchi, pensa Kei, non mi merito di stare con lui.

“Non posso – non posso essere suo amico, mamma,” singhiozza.

“Va bene, tesoro. Ecco, fammi prendere gli occhiali.”

Lui se li sfila e glieli porge, le lenti bagnate e gocciolanti.

“Credo che mi odi,” gorgheggia. “Si è finalmente stufato di me, credo. Sette anni è davvero troppo tempo, mamma, e adesso si è stufato.”

“Tadashi?” mormora lei.

Kei annuisce con forza. Altre lacrime gli cadono lungo le guance quando lui chiude gli occhi stringendoli forte.

“Tadashi non ti potrebbe mai odiare, amore.”

Invece sì, vuole urlare Kei, potrebbe, potrebbe! Tu non ne hai idea! È sicuro che un sacco di persone lo odino. Anche quelle che considera amici o quasi-amici lo hanno odiato in passato, come Hinata e Kageyama. Il resto della squadra lo sopporta solo perché deve, e probabilmente lo eviterebbe se avesse una scelta.

Pensa, non è ormai tempo che anche Yamaguchi mi odi? Non è ormai da anni e anni che mi dovrebbe odiare?

“Tu e papà eravate buoni amici prima di mettervi insieme,” farfuglia Kei, abbassando ancora la testa per appoggiarla sulla spalla di sua madre. “Poi avere iniziato a uscire insieme, ed eravate innamorati, e poi non lo eravate più. Vi siete lasciati, e una volta eravate innamorati. Una volta eravate amici, buoni amici, e adesso neanche vi parlate.”

“Kei–”

“E la stessa cosa è successa a tua sorella e allo zio, non è vero?”

“Sì, ma–”

“Se succedesse a me, non potrei a sopportarlo. Non ci riuscirei, mamma,” continua senza prendere fiato, e spera che sua madre capisca quello che vuole dire. “Io ho bisogno di lui, sempre.”

Si tira indietro per guardarla. Lei corruga le sopracciglia e gli prende il viso tra le mani morbide. Il metallo dell’anello che porta all’indice è freddo contro il viso bagnato e accaldato di Kei.

“Tu non sei me e non sei tuo padre, e neanche Tadashi.”

“Lo so,” Kei tira su con il naso.

“Non sei tua zia o tuo zio. Certe cose succedono, questo lo sai. Ma se vale qualcosa, Kei, io non penso che possa mai succedere tra te e Tadashi.”

Vuole crederle, ma c’è una voce assillante in fondo alla sua testa che gli dice che lei è sua madre, e parla così solo perché si sente obbligata. Tira di nuovo su con il naso e si asciuga il viso sulla manica della giacca. Sua madre lo tira giù così da dargli un bacio sulla fronte. Kei si sente tanto, tanto giovane. Si sente vulnerabile in un modo presente e tangibile, come se potesse prendere la sensazione e tenerla tra le mani.

“Potrebbe,” mormora Kei a sé stesso quando è sdraiato a letto, quella sera. “Potrebbe succedere anche a noi, un giorno. Ma penso che non me ne importi più.”

 

________

 

La madre di Kei lo sorprende quando gli permette di rimanere a casa il giorno dopo. Quando lui le chiede il motivo, lei lo guarda con aria interrogativa. Inclina la testa e l’orecchino che le pende dall’orecchio scompare tra i suoi capelli biondi.

“Kei, non ti vedevo piangere da quando avevi dodici anni.”

Kei insiste che non ha bisogno di rimanere a casa (non è così patetico, o almeno vuole pensare che non lo sia) ma rimane comunque a letto. Lei gli dà un bacio sulla fronte prima di uscire per andare al lavoro, facendolo ancora una volta sentire come un bambino. Il profumo che ha messo è dolce. Rimane sospeso in aria per un po’ dopo che se n’è andata.

Si dev’essere davvero logorato la sera precedente – sono davvero passati cinque anni dall’ultima volta che ha pianto? – perché Kei continua a dormire per tutta la mattina e fino al pomeriggio. Si risveglia ogni tanto quando arrivano dei messaggi sul suo telefono, ma non fa alcuna mossa per controllarli. Il sole sta scivolando in fondo al cielo quando Kei si alza finalmente dal letto. C’è una leggera pioggia primaverile che batte contro le finestre della casa.

Va in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e poi ritorna subito al caldo materasso. Si tira su le coperte intorno al busto e allunga una mano sul comodino per prendere il telefono. Con un sospiro, apre i messaggi.

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: guarda fuori

omg sta piovendo

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: guarda fuori

stai venendo?

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: guarda fuori

è tardi Tsukki, muovi il culo

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: ???

sto uscendo,, ci vediamo a scuola ??!

 

Da: Tadashi ★

 

Oggetto: ???

sono scivolato quattro volte venendo a scuola stamattina…. :<

 

da: Hinata S

oggetto: aiutamiiiii

tsukishima sei nella tua classe??? mi serve aiuto per matematica

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: ???

ok era una bugia……….. sono inciampato SEI volte

 

Da: Hinata S

Oggetto: woah woah wOAH

vieni in giardino o mio dio c’è questo scarabeo fichissimo. yamaguchi è tipo impazzito

 

da: Kageyama

oggetto: Allenamento

Non vieni neanche all’allenamento di questo pomeriggio?

 

Da: Hinata S

Oggetto: woah woah wOAH

oh ok yama ha detto che non sei venuto oggi??? dovevo immaginarlo visto che non c’eri prima in palestra??? ooops

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: hey

vorrei venire da te a vedere come stai ma non se stai tipo vomitando l’anima :o

 

Da: Tadashi ★

Oggetto: tsukki

sei arrabbiato con me?

 

Da: Mamma

Oggetto: lavoro

Stasera lavoro fino a tardi tesoro. Mangia qualcosa se ti viene fame ok?

 

Da: Kageyama

Oggetto: Allenamento

Pesaculo

 

“Cazzo!” grida Kei nel silenzio della sua casa vuota, solo perché gli va. Spegne il telefono e lo lancia in fondo al letto. Si sente esausto solo per aver letto quei messaggi (quattordici? Seriamente?). A dir la verità potrebbe dormire un altro paio d’ore. Si sdraia e fissa il soffitto.

Semmai, dovrebbe essere Yamaguchi ad essere arrabbiato con lui. Il senso di colpa gli attorciglia lo stomaco. Kei aveva pensato che Yamaguchi sarebbe stato furioso, che l’avrebbe ignorato, invece la prima cosa che ha fatto quella mattina è stata scrivergli, aspettando che Kei passasse a casa sua. Proprio come sempre. Forse l’ha fatto semplicemente per abitudine. Dopo tutto, Kei non è sicuro che lui e Yamaguchi sappiano come ignorarsi. Sono talmente integrati l’uno nella vita dell’altro che Kei pensa che cadrebbero a pezzi se si separassero.

Si mette a sedere e si tira via le coperte di dosso, improvvisamente irrequieto.

Il leggero ticchettio della pioggia pervade la stanza di Kei quando lui apre la finestra sopra il suo letto. Fa un respiro profondo. Un’umida, fredda brezza invade la camera. È una piacevole sensazione sul suo torace nudo e il ragazzo espira lentamente.

I tre colpi alla porta d’ingresso suonano terribilmente rumorosi nella casa silenziosa.

Kei la apre rivelando la sua faccia lentigginosa preferita. Yamaguchi gli rivolge un sorriso stanco. Kei si sposta di lato e lascia entrare Yamaguchi in casa Tsukishima senza dire una parola. Lo guarda mentre si toglie lentamente le scarpe. Si dirige verso la camera di Kei e Kei e lo segue, una miriade di domande sulla punta della lingua. Ma ad essere onesti, è contento anche solo di essere nella generale prossimità di Yamaguchi dopo l’assoluto disastro della sera precedente.

Yamaguchi lascia cadere a terra il suo zaino vicino alla scrivania di Kei e appende meticolosamente la giaccia sullo schienale della sedia. Attraversa la stanza. Kei si irrigidisce quando lo vede salire sul letto. I suoi capelli marroni si spargono sul cuscino di Kei mentre chiude gli occhi. Fuori, la pioggia inizia a cadere più forte di prima. Kei rabbrividisce inspiegabilmente.

“Gli allenamenti sono stati un sacco duri oggi,” mormora finalmente Yamaguchi.

“…Ah sì?” lo sollecita Kei.

Si sente uno strofinio quando Yamaguchi annuisce contro il cuscino. Kei lo percepisce a malapena sopra il rumore della pioggia. Medita per un attimo se sedersi sul letto accanto a lui, ma all’ultimo secondo gli manca il coraggio e opta invece per il pavimento. Si siede a terra a gambe incrociate e poggia i gomiti sul letto, accanto alla fronte di Yamaguchi. Si tiene il mento tra le mani.

“Ci hanno fatto correre un sacco,” continua Yamaguchi, gli occhi ancora chiusi.

“Che scocciatura.”

“Che schifezza,” aggiunge Yamaguchi.

Kei fa uno sbuffo dal naso, una brutta imitazione di una risata.

“Ho catturato uno scarabeo fico a pranzo.”

“Di che tipo?” chiede Kei.

“Non saprei. Non eri lì ad identificarlo per me,” lo rimprovera Yamaguchi.

“Beh, che aspetto aveva?”

“Era piccolo e di un verde brillante come una gemma,” lo informa, “ma sotto le ali era di un colore rossastro, come il bronzo.”

“Un Agrilus smeraldino, probabilmente.”

È solo quando Yamaguchi apre gli occhi per la prima volta dopo essersi sdraiato che Kei realizza quanto siano vicini i loro visi. Yamaguchi lo guarda sbattendo lentamente le palpebre. Kei si ricorda dell’aspetto furioso che aveva la scorsa sera, con quegli occhi stretti e taglienti. Pensa ai suoi pugni stretti contro i fianchi come se volesse colpirlo. Kei se lo sarebbe meritato. Almeno si sentirebbe fisicamente come si sente all’interno; distrutto e dolorante.

Yamaguchi allunga un braccio dietro di sé senza guardare e tira su il piumino di Kei a coprirgli il corpo, su fino al mento. È probabilmente ancora caldo per essere stato avvolto intorno a Kei, non più di cinque minuti fa. Yamaguchi emette un sospiro soddisfatto e chiude di nuovo gli occhi. Fa un sorriso pigro. Kei osserva le lentiggini meno evidenti alla base del suo naso.

“A te neanche piacciono gli insetti.”

“No.”

“Eppure sai un sacco di cose su di loro,” dice Yamaguchi sbadigliando. “Ti ricordi di quando ti portavo i gusci vuoti delle cicale quando eravamo piccoli? Quelli che trovavo attaccati alla ringhiera a casa dei miei nonni?”

“Sì.”

“Le odiavi.”

“È vero.”

“Però continuavo comunque a portarteli, vero, Tsukki?”

Ti amavo allora e ti amo adesso, Tadashi, il cervello di Kei sceglie inaspettatamente quel momento per ricordarglielo.

“Gli insetti mi piacciono solo nei libri. Hai messo il rossetto?”

“Deve essere quello di Mamiko,” risponde Yamaguchi senza pensare.

Kei sente di poter scoppiare nuovamente a piangere.

“So quello che ho detto ieri sera,” dichiara fermamente Yamaguchi, “e non mi scuso. È quello che penso.”

Il brusco cambio di argomento lascia Kei di sasso. Toglie i gomiti dal letto e abbassa la testa per la vergogna. Yamaguchi tiene gli occhi chiusi, ma Kei li vede muoversi sotto le palpebre. Sarebbe inquietante se in quel momento Kei avesse la capacità di concentrarsi su qualcosa. Il cuore gli sbatte rumorosamente contro le costole. Kei pensa a quanto forte ha pianto non più di ventiquattro ore prima, i suoni delle sue grida e singhiozzi estranei alle sue orecchie. Ricorda la sensazione di svuotamento che ha provato dopo. Si sentiva come uno straccio appeso fuori ad asciugare. Fissa lo sguardo su Yamaguchi e si chiede, ti senti mai così?

Ma Yamaguchi aveva ragione – ovviamente Yamaguchi aveva ragione – Kei è stato fuori luogo. Raramente gli sfuggono le parole a quel modo. Ma comunque è stato bello dirlo: non ti bacerei mai solo per il tuo aspetto. Kei non pensa che bacerebbe mai nessuno solo per il loro aspetto, Yamaguchi meno di tutti. Non perché a Kei non piaccia il suo aspetto fisico; gli piace, lo adora, ne è praticamente ossessionato. Ma c’è così tanto altro in lui che eclissa il suo aspetto esteriore, è sempre stato così.

Come è stato crudele dire ciò a Yamaguchi dopo tutti i muri che Kei ha alzato. Vorrebbe buttarli giù. Preferirebbe scrivere le loro iniziali sulla sabbia, ora. Vorrebbe sentire il sole sulla pelle e l’acqua salata intorno alle caviglie e Yamaguchi al suo fianco.

“Allora neanch’io mi scuso per quello che ho detto,” espira finalmente Kei.

Quando gli occhi di Yamaguchi si aprono con un guizzo, Kei si aspetta di vedere la stessa rabbia tagliente che la luce sotto il suo portico aveva illuminato la sera prima. Ma Yamaguchi lo guarda con occhi morbidi. Sembra quasi che stia cercando qualcosa e se Kei sapesse cosa, gliela darebbe subito senza fare domande. Yamaguchi si muove sotto le coperte di Kei.

Fuori, la pioggia si è attenuata. Nel nuovo silenzio, Kei sente Yamaguchi deglutire.

“Vorrei dire una cosa adesso,” ammette Kei, “ma ho paura di farti arrabbiare di nuovo.”

“Tu? Paura?” chiede Yamaguchi incredulo.

Kei annuisce. “Terrificato.”

Yamaguchi fa un suono divertito mentre i suoi occhi continuano la loro ricerca. Kei non perde il modo in cui scendono lungo il suo collo soffermandosi sulle clavicole. Mordile, pensa automaticamente. Delle familiari scintille ribollono in fondo al suo addome. Il volto di Yamaguchi prende una leggerissima sfumatura cremisi, e Kei non se ne accorgerebbe se non lo stesse osservando così attentamente. Acuti occhi marroni guizzano su ad incontrare quelli dorati di Kei.

“Allora non dirlo,” decide Yamaguchi, chiudendo di nuovo gli occhi.

“Okay.”

Yamaguchi non lo odia, e Kei decide che per adesso va bene.

Mamiko può lasciargli il rossetto sulle labbra, certo, ma può guardare Yamaguchi mentre si addormenta sul suo letto? Sa i progressi che ha compiuto su tutti i fronti da quando aveva dieci anni? Conosce gli esatti movimenti che compie il suo sguardo quando è nervoso, e riesce a capire quando sta mentendo solo dal tono della sua voce melodica? Può dire a Kei qual è la più grande paura di Yamaguchi (lui sostiene che sia l’altezza, ma in realtà sono i temporali violenti) e può fare una lista di tutti i suoi Pokémon preferiti nel corso degli anni (Nidoqueen, Mantine, Herdier, Furfrou, Sylveon)? Sa riconoscere il suo respiro mozzato quando rivela un segreto che ha tenuto troppo a lungo? Può Mamiko amare Yamaguchi nel modo che merita: incondizionatamente? Può venerarlo, per sempre?

Kei può; Kei già lo fa.

Anche a me piace quando sei nel mio letto, pensa. Anche a me piace quando sei nel mio letto, Tadashi.

Nella sua testa, grida quel pensiero ripetendolo all’infinito. Forse se si concentra abbastanza, Yamaguchi lo sentirà. Non lo dirà ad alta voce, perché Yamaguchi gli ha detto di non farlo, ma Kei può pensarlo quanto vuole. Quindi lo fa.

E prega che anche Yamaguchi lo pensi.

 

  
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