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Autore: kenjina    26/05/2020    2 recensioni
ATTENZIONE: spoiler Hogwarts Mystery anno 6, capitolo 18/19
Alla luce di ciò che accade durante il sesto anno, Gwendolyn e la sua combriccola di amici devono trovare il modo di andare avanti anche per chi non può più farlo. Sarà un processo difficile, lungo e doloroso. Ma lo affronteranno insieme.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Castle of Glass

Capitolo 4

 

 

Era l’inizio di una lunga, lunghissima settimana e aveva saltato la colazione. Non perché non fosse riuscita a svegliarsi in tempo; non aveva chiuso occhio tutta la notte ed era già vigile prima che la sua sveglia babbana facesse tremare le pareti.

No, semplicemente aveva lo stomaco chiuso dalla nausea e dall’ansia. Era persino peggio dell’attesa per il suo primo G.U.F.O., perché almeno aveva la (non tanto) confortante presenza di Rowan che si lagnava di non essere pronta abbastanza.

Lì, immobile davanti alla porta spalancata dell’aula di Incantesimi, poteva intravvedere i due posti che avevano occupato fin dal primo giorno di lezioni. Gli altri si stavano velocemente riempendo, in un silenzio quasi innaturale, ma lei non riusciva a muoversi. Era già difficile dover far fronte a un baldacchino vuoto e impersonale; non poteva affrontare anche quello. Come poteva solo pensarlo?

Qualcuno le afferrò con delicata fermezza un polso e si ritrovò davanti il volto serio, ma affettuoso di Andre. «Io e Tulip ti abbiamo riservato un posto in mezzo a noi. Andiamo?»

Il sollievo l’abbracciò come un vecchio amico e mai come allora ringraziò il cielo di avere Andre nella sua vita. Annuì, incapace di trovare le parole, e insieme si diressero sull’ala opposta rispetto a quella dove si sedeva sempre. Da lì poteva vedere meglio quei due posti vuoti, ma il suo sguardo sarebbe finito sempre lì, nonostante la posizione.

Qualcuno aveva sistemato due pacchetti di piume di zucchero sul posto occupato da Rowan e si diede della stupida. Perché non ci aveva pensato lei? Era stata – e lo era ancora – una pessima amica, e lo vedeva anche da quelle piccole cose. Cosa aveva fatto per meritarsi la sua fiducia, se non ignorarla e osservarla con sospetto?

«Smettila.»

Spostò lo sguardo su Andre, che neppure la guardava ma sapeva esattamente cosa le stesse passando per la testa.

«Smettila tu, dannazione. Ti ricordo che tra i due sono io la legilimens.»

Le pizzicò un fianco, facendola saltare sulla panca dalla sorpresa e dal solletico, e gli rifilò una sonora gomitata sulle costole.

«Avete intenzione di continuare così per il resto della lezione?» domandò Tulip, sporgendosi in avanti per guardarli entrambi in viso. «Perché se la risposta è sì, voglio unirmi anche io.»

Nessuno dei due ebbe il tempo di replicare, perché Vitious si schiarì la gola e, dall’alto del suo trono fatto di libri, li salutò con un sorriso caloroso ma chiaramente spento. Ben arrivò in aula proprio in quel momento, testa china e sguardo buio.

Dopo una breve introduzione sull’elaborazione delle perdite, simile a quella di Silente, e una pessima battuta sulla concentrazione che di sicuro era bassa quanto lui, il professore decretò che avrebbero dedicato quel giorno al ripasso degli incantesimi imparati in quell’anno. «Capisco che riprendere il quotidiano come se niente fosse sia per alcuni difficile e irrispettoso, ma questo sarà un piccolo passo verso la giusta direzione. La signorina Khanna era una studentessa avida di sapere ed è proprio studiando e imparando ciò che lei non potrà più, che terremo vivo il suo ricordo. Ora cominciamo con qualche domanda di teoria.»

Non seppe dire se il suo Direttore di Casa evitò di proposito di interrogarla e di dimostrare i suoi impeccabili incantesimi, ma qualunque fossero le sue ragioni gli fu infinitamente grata.

Al termine della lezione, che passò fin troppo lentamente, Gwendolyn cercò Ben ma il Grifondoro era già sparito. Accadde la medesima cosa a lezione di Difesa Contro le Arti Oscure: arrivò giusto in tempo per la lezione e scappò subito dopo la fine. A pranzo non si fece vedere.

Sembrava che Ben avesse messo in atto il piano che aveva formato nella sua stessa testa qualche giorno prima. Sparire. Più lei lo cercava e provava a capire cosa gli passasse per la mente, più lui sgusciava via, come una mano che tentava di afferrare invano un fantasma.

Non voleva pressarlo a parlare, perché sapeva cosa volesse dire subire un trattamento simile. Ma era preoccupata e doveva trovare il modo di avvicinarlo e sostenerlo in un momento così difficile. Il nuovo Ben rifiutava l’idea di aver bisogno di aiuto e non voleva tanto meno riceverlo. Ma se i propri sensi di colpa erano così grandi e pesanti, non voleva immaginare cosa stesse sopportando lui. Specialmente dopo l’ultima chiacchierata che avevano affrontato.

Rowan era morta per salvarlo. La stessa Rowan che aveva puntato il dito contro di lui quando pensava che non ci si potesse fidare, aveva poi sacrificato la sua vita per lui.

E ora temeva che potesse fare qualcosa di sconsiderato. Quello sguardo vacuo, che gli aveva visto il giorno della commemorazione in Sala Grande, e le parole velenose che le aveva sputato contro solo qualche giorno prima, la perseguitavano da notti intere.

Era quasi peggio di quello senza vita di lei.

Una mano le afferrò il braccio quando inciampò sulla solita sporgente e umida lastra in pietra verso l’aula di Pozioni. Barnaby tentò un sorriso, di quelli che non aiutavano affatto le sue povere ginocchia deboli, e ci mancò poco che inciampasse di nuovo (ma questa volta il pavimento sconnesso non aveva colpe). Strinse i suoi preziosi libri al petto, un’ancora in quel calderone di imbarazzo, paure e sensi di colpa, e decise di prestare più attenzione a dove mettesse i piedi.

Non voleva inciampare di nuovonon sul pavimento, né sui propri sentimenti.

L’aula fredda e buia di Pozioni fu una boccata di aria fresca dopo tanto annaspare, e lo sguardo impassibile di Piton una goccia di normalità di cui tanto aveva bisogno: le ampolle ordinatamente sistemate ed etichettate, l’odore degli ingredienti più pungenti che faceva arricciare il naso prima di uno starnuto, lo scoppiettio confortante del fuoco sotto il calderone. Il suo amore per l’arte delle pozioni era inversamente proporzionale alla stima di Piton nei suoi confronti, ma neppure le continue lamentele del professore e i punti che perdeva per futili ragioni non erano motivo sufficiente a farle odiare la materia. La calmava come poche cose al mondo, perché richiedeva una concentrazione assoluta, precisione e cura, e non poteva pensare ad altro se stava contando le rimestate in senso antiorario o pesando esattamente gli ingredienti di cui aveva bisogno.

Penny era sempre disponibile ad aiutarla a preparare pozioni avanzate, ma la realtà delle cose era che sapeva farle anche lei: semplicemente le mancava il tempo e, quando doveva risolvere problemi in fretta e furia, lavorare in due era sempre meglio che da soli.

Stava per sorridere di sollievo, quando tornò alla realtà e il posto vuoto accanto al suo gridò sempre più forte l’assenza di Rowan. I tavoli erano ormai quasi tutti occupati e Andre non era ancora arrivato per tenerle calda la sedia accanto alla sua; così non le rimase che riprendere il suo posto, come sempre, all’angolo con Merula e il fantasma dei ricordi dall’altro lato.

«Ti dispiace se mi siedo qui?»

La domanda timida e gentile di Liz giunse inaspettata come un temporale in estate e rimase a fissarla qualche secondo di troppo prima di risponderle.

«Se non vuoi, posso... sì, insomma, pensavo che io e Barnaby potessimo scalare così, per starti vicino, ma... come non detto, scusami, torno al mio posto—»

«No, aspetta Liz. Puoi... sì, puoi sederti, se vuoi. Tanto è vuoto, ormai.» Anche il tono con cui aveva pronunciato quelle parole era vuoto, tanto da lasciarle un sapore amaro in bocca, e si morsicò la lingua. «Mi farebbe piacere averti accanto, ecco.»

Il sorriso di Liz illuminò l’intera aula e Gwen sospirò, felice di non averla offesa. Barnaby, altrettanto contento, spostò libri e calderone di un posto, facendo un gran baccano, ma nessuno osò rimproverarlo.

Piton entrò in classe poco dopo, il lungo mantello nero che accarezzava l’aria come una nuvola di fumo denso. Unì le mani sotto il mento, spostando lo sguardo su tutti gli studenti presenti e soffermandosi su di lei. «Perdere qualcuno vicino ai propri affetti può trasformare il sonno da riposo a tortura.»

Gwendolyn strinse le labbra, colpita e affondata, e per un breve istante spostò l’attenzione dagli occhi di Piton ai cerchi sempre più scuri sotto quelli di Merula.

«Per coloro il cui sogni sono preda di ricordi dolorosi, la Pozione del Sonno Senza Sogni garantirà un po’ di riposo e sollievo. Seguite attentamente le mie istruzioni, o rischierete l’effetto contrario.»

Gwen riportò lo sguardo sul professore e mai come in quel momento fu lieta di assistere alla sua lezione. Un po’ di riposo non le avrebbe fatto male, visto che non dormiva da giorni. Avrebbe dovuto ringraziare il mago dopo la lezione, anche a costo di essere mandata via a suon di schiantesimi. Persino Merula stava prendendo appunti con maniacale precisione, anche se aveva borbottato qualcosa di sciocco come “il sonno è per i deboli.

Come sempre le istruzioni di Piton differivano parecchio da quelle dettate dal libro, ma aveva imparato ormai che dovesse seguire le prime per evitare catastrofi e appuntò ogni modifica sul bordo della ricetta. Quando fu il suo turno di recuperare gli ingredienti, Liz si offrì subito di aiutarla; era un compito che svolgeva sempre con Rowan e ora non era più sicura se la decisione della Serpeverde di prendere il posto della sua defunta amica a pozioni fosse un sollievo. Accettò comunque il suo aiuto, perché non aveva il coraggio di rifiutarla; era fin troppo buona e dolce per farlo. Un altro punto a favore della futura magizoologa per sostituire anche il suo posto nel cuore di Barnaby.

Fu quando dovette lasciar cuocere la mistura per settanta minuti, dopo aver eseguito perfettamente i primi otto punti, che si concesse di sgranchirsi il collo e guardarsi intorno. Merula sembrava più distratta del solito, ma non aveva ancora commentato sull’aspetto orribile della sua pozione, il ché aveva dell’incredibile; Ismelda, al suo fianco, aveva la lingua sul labbro superiore per la concentrazione e l’espressione omicida di una che non avrebbe perdonato il calderone se avesse sbagliato a cuocere a dovere; Andre e Tulip, seduti al banco dall’altra parte dell’aula, chiacchieravano a bassa voce, con le spalle rivolte verso di lei e tanta poca voglia di lavorare. Liz, invece, stava mormorando qualcosa sui modi barbari con cui si recuperava il muco di vermicolo, mentre Barnaby era... beh, Barnaby.

Gwendolyn dovette ricorrere a tutto il suo poco autocontrollo per evitare di fissare gli avambracci nudi del ragazzo, che aveva prontamente rimboccato sui gomiti le maniche della camicia e della veste per non sporcarsi. Non poté evitarsi, invece, di disegnare con lo sguardo il viso spigoloso dell’amico, i capelli artisticamente arruffati, che tanto desiderava districare tra le dita, e le labbra sottili che stavano mordicchiando una piuma.

Era bello da far male.

Scacciò con forza la prepotente immagine di quelle stesse labbra sulle sue e si concentrò sull’espressione del viso. Era crucciato, concentrato sulla ricetta e sugli ingredienti, ma sembrava confuso su come procedere. Era riuscito a passare al corso avanzato di Piton dopo interminabili ore di studio con lei, Penny e Rowan, un sistema di memorizzazione che gli avevano cucito a pennello (e una buona parola di Silente all’esaminatore di turno), e fu solo grazie alla sua testardaggine e alle nottate di studio che Barnaby era riuscito nell’impresa; eppure ancora oggi il ragazzo si domandava come diamine fosse riuscito a prendere un Eccezionale nella materia più ostica che conoscesse e che, a quanto pareva, continuava a dargli noie.

Gwendolyn sapeva bene quale fosse il suo problema e non si trattava certo di quanto fosse stupido—perché non lo era affatto: lui lo diceva sempre di non andare d’accordo con le lettere, specialmente se doveva prendere appunti in fretta. E in quella lezione doveva scrivere più che velocemente per stare al passo di Piton.

Gli preparò un bigliettino stando attenta al professore, ben conscia dell’ultima volta in cui Piton aveva letto alla classe intera la domanda più imbarazzante che avesse mai scritto. Gli appuntò pochi ma chiari consigli su come amalgamare nel mortaio la lavanda e l’ingrediente standard, e di mescolare sette volte in senso orario e non cinque dopo aver aggiunto i quattro radici di valeriana, e tutti gli altri accorgimenti che, ne era sicura, non aveva fatto in tempo a trascrivere lui stesso e che si prendevano a pugni con le istruzioni del libro.

Chiunque avrebbe avuto problemi, non solo lui.

«Pssst—Bee!»

Il Serpeverde alzò gli occhi smeraldini su di lei e il suo povero cuore ne risentì il colpo. Fece volare la missiva quando Piton diede loro le spalle e il sorriso grato di Barnaby ripagò qualsiasi punizione avesse appena rischiato.

Presto fu tempo di completare l’intruglio, che nel frattempo aveva acquisito un bellissimo color viola; stava per dare l’ultimo tocco, quando Merula imprecò e lanciò un mestolo sul tavolo, rischiando quasi di colpire il compagno di Casa seduto di fronte.

«C’è qualche problema, Miss Snyde?»

Piton volò al loro banco come un avvoltoio pronto a far festa sui loro cadaveri e Merula arrossì di imbarazzo e frustrazione. Doveva aver aggiunto troppe gocce di muco di vermicolo, perché la sua pozione era più nera che viola e Gwendolyn sapeva che se l’avesse bevuta avrebbe avuto l’effetto contrario.

Quando si trattava di preparare una pozione alla perfezione, il professore era intransigente persino con i suoi stessi Serpeverde e si preparò all’ennesimo rimarco sarcastico—quella volta a spese di Merula. Fu parecchio sorpresa, e con lei l’intera classe, quando Piton si limitò a sospirare e alzare gli occhi al cielo. Con un colpo di bacchetta fece sparire l’intruglio andato a male e se ne andò verso un altro tavolo.

Gwendolyn osservò la propria pozione e, giacché Piton aveva raccomandato loro di non abusarne, arrivò alla conclusione che potesse dividerla con un’altra persona. Ce n’era a sufficienza per un paio di settimane, del resto; non voleva sprecarla o diventarne dipendente. Fu solo quello il motivo per cui riempì due ampolle anziché una, non certo perché il viso sciupato di Merula la preoccupasse più del dovuto e fosse rimasta senza.

La Serpeverde inarcò un sopracciglio alla volta della bottiglietta infiocchettata che comparve sotto il suo naso e la studiò come se dal tappo in sughero fosse spuntata una testa. «Che cosa credi di fare? Vuoi per caso avvelenarmi, Vane?»

«No, Merula, voglio solo—» Gwen richiuse la bocca e scosse il capo. Che senso aveva spiegarle che volesse aiutarla? Non lo avrebbe mai accettato.

«Puoi tenertela», sbottò infatti l’altra. «Non ho bisogno di dormire sonni tranquilli.»

«No, hai proprio bisogno di andare in letargo», sbuffò Ismelda. «Hai pianto anche ieri notte. Almeno lanciati un incantesimo silenziatore, se proprio devi farlo.» Gwendolyn avrebbe giurato che avesse aggiunto un “proprio come faccio io, ma non era dell’umore adatto per punzecchiare l’altra Serpeverde.

«E non ho intenzione di bere niente preparato da—Ismelda Murk! Rimangiati subito quello che hai detto!»

«Perché dovrei? È la verità!»

«Bugiarda! Stai dalla mia parte o no?»

Ismelda alzò gli occhi al cielo. «Se non lo fossi non ti direi di accettare quella schifezza per il tuo bene. Ma fai pure come cavolo ti pare.»

Gwendolyn notò alcuni studenti voltarsi verso il battibecco e lo sguardo inceneritore di Piton che come sempre sembrava dare la colpa a lei. Quando riportò l’attenzione sulle due litiganti, Merula aveva incrociato le braccia al petto, borbottava come una teiera e la pozione che le aveva dato era sparita.

Fu difficile, difficilissimo ingoiare un sorriso vittorioso, specialmente quando sentì Liz al suo fianco ridacchiare dietro una mano senza troppi problemi.

Al termine della lezione, Andre si scusò subito per non aver fatto in tempo a tenerle un posto accanto al suo, ma dopo due ore Gwendolyn si rese conto che Liz non le dispiaceva poi tanto. Sarebbe stato difficile affrontare il giorno in cui lei e Barnaby avessero deciso di civettare a due passi, ma ci avrebbe pensato al momento. Aveva fin troppe preoccupazioni per la testa per aggiungere anche quella.

«E poi mi distrarresti troppo, alla fine vorresti che salvassi i tuoi disastri ma sarei troppo occupata a sistemare i miei per colpa tua. Non funzionerebbe mai.»

«Sei sempre così dolce con me», sospirò Andre con fare sarcastico. «Ricordati di queste parole, la prossima volta che ti servirà aiuto con il guardaroba.»

Non ce ne sarà bisogno, pensò Gwen con il cuore pesante, rubando un ultimo sguardo a Barnaby. Non ho più tempo per appuntamenti romantici.

All’uscita dall’aula trovò una sorpresa poggiata contro il muro di fronte. Skye Parkin, braccia incrociate sul petto e sguardo imperscrutabile come sempre, sembrava stesse aspettando proprio lei.

«Hey, Skye, cosa—»

«È ora degli allenamenti. Andiamo?»

Gwen fermò i propri passi. Poco più in là il capitano della squadra per quell’ultimo anno insieme, Orion, se ne stava in disparte con un pacifico e paziente sorriso in viso. Quei due le avevano insegnato così tanto, prima ancora di tentare un provino per la squadra, e ora vederli insieme speranzosi di riprendere a giocare la fece sentire in colpa per aver solo pensato di lasciare il quidditch.

Magari avrebbe potuto continuare a giocare... il quidditch implicava meno sentimenti e complicazioni di una relazione amorosa, del resto. Non avrebbe spezzato il cuore a nessuno, se avesse dato il massimo in quell’ora di allenamento giornaliera.

Ecco... magari solo al ragazzino dal volto dipinto. E a Penny. E a Murphy. E Skye stessa e il resto della squadra. Ma era tutto più facilmente affrontabile rispetto al volto triste di Barnaby Lee.

«Allora?» la esortò Skye con impazienza. «Dobbiamo farti vedere una cosa prima di iniziare. Ci muoviamo? Ho bisogno di volare.»

Li seguì senza realmente rendersi conto di farlo. Andre, al suo fianco, le cinse le spalle con un braccio e si diressero in silenzio verso il campo di allenamento.

L'atmosfera negli spogliatoi era densa quanto una vellutata di carote e tutti i compagni di squadra le rivolsero un sorriso impacciato e qualche parola di conforto; qualcuno osò distendere la tensione con qualche battuta, ma non molti si unirono all’ilarità. Fu quando Orion prese posto al centro della stanza, richiamando la squadra intorno a sé, che Gwendolyn tornò con i piedi per terra e strinse la sua scopa, il nome intagliato di Rowan ben visibile sul manico.

«Vi ringrazio per essere presenti, nonostante il duro colpo che la nostra Casa, la nostra scuola e la nostra cacciatrice hanno subito nei giorni scorsi. Siamo una squadra in campo, siamo una famiglia fuori e dobbiamo rimanere uniti come tali soprattutto nei momenti di sconforto.» Orion accarezzò con lo sguardo ogni membro della squadra, soffermandosi su di lei. «Non dimenticheremo mai una compagna come Rowan, né il suo tifo e il suo affetto. Per questo motivo abbiamo deciso di onorare il suo ricordo seguendo l’idea di Gwendolyn.»

Guardò con occhi increduli le scope dei compagni di squadra, compresa quella di Andre, tutte intagliate con il nome della sua migliore amica sul manico, e quella volta non poté niente contro le lacrime di commozione e gratitudine che provò per quel piccolo gruppo di ragazzi su cui era inciampata un paio di anni prima.

Si voltò verso Andre, sicura che fosse stata una sua idea, ma l’amico la sorprese.

«Ringrazia il nostro Capitano», le disse infatti, battendo una mano sulla spalla di Orion, già pronto a sollevare le braccia per regalare il merito dell’idea alla squadra e non a se stesso. «Io potrei avergli fatto solo notare la tua nuova decorazione.»

L’affetto che già provava per quel bizzarro ragazzo crebbe a dismisura e lo abbracciò senza una parola, incapace di parlare. Orion ricambiò con un braccio, mentre usò l’altro per invitare il resto dei presenti a unirsi.

«Vinceremo la coppa di quest’anno con un rinvigorito obiettivo», disse Orion, «non solo per noi e per la nostra maglia. Ma per Rowan Khanna.»

«Per Rowan Khanna!» ripeterono in coro gli altri.

Gwendolyn annuì. Ogni scelta o strada che avesse intrapreso da quel momento in poi, sarebbe stata per lei, per onorarne il ricordo e per non rendere vana la sua morte.

Avrebbe trovato Jacob. E poi R e la Rakepick e tutti i loro alleati: e li avrebbe consegnati ad Azkaban, dove meritavano di marcire. Nel frattempo si sarebbe sfogata col quidditch, avrebbe scaricato tutte le sue frustrazioni nel vento e nelle grida; ma nessun’altra distrazione.

Per Rowan.

Fu Skye la prima a dileguarsi, sella in scopa e la determinazione di una campionessa che non si faceva abbattere da niente. «Se vogliamo vincere dobbiamo allenarci. Forza, muoviamoci!»

«Merlino, non si riesce a starle dietro,» sbuffò Andre, scuotendo il capo.

«Ma ha ragione.» Gwendolyn si strinse nelle spalle, infilando l’elmetto all’amico e sistemandoglielo sulla testa. «Andiamo, lumacone.»

«Per il tuo bene farò finta di non aver sentito.»

Gwen gli voltò le spalle, salì in sella alla sua scopa e voltò il capo il tanto giusto per mostrargli un ghigno. «Come preferisci, lumacone.»

E volò via, prima che potesse lanciarle addosso una scarpa o qualcosa di peggio.

 

 

 

---

 

Note: breve capitolo di intermezzo, per un ritorno alla normalità che sembra difficile e surreale come quello che stiamo vivendo.

Spero che stiate tutti bene—vi abbraccio e vi penso!

E spero di aggiornare presto, ora che ho ripreso più o meno un ritmo di vita normale.

A presto,

Marta

 

   
 
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