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Autore: Anna Wanderer Love    30/05/2020    2 recensioni
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.
O:
Thranduil rimane ferito mentre viaggia per raggiungere le sue truppe, che si stanno radunando per cacciare il male da Bosco Atro. Da chi sarà salvato? E come farà a tornare dal suo popolo?
Kairos: dal greco, "momento giusto o opportuno, momento supremo". Un momento in cui accade qualcosa di speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIII

 



L’elfo di guardia era terribilmente annoiato. Stringendo in mano la lancia, in piedi da un paio d’ore, era consapevole che avrebbe dovuto fare attenzione al ponte e alle figure maestose degli alberi che celavano alla sua vista la vita della foresta, ma la sua mente vagava distratta. Avrebbe voluto che la fine del suo turno arrivasse rapida, così da poter sgusciare nelle cucine e farsi dare di nascosto da Indis uno dei biscotti di mandorle che le cuoche stavano finendo di preparare per la festa, che sarebbe iniziata di lì a poco.
L’intero palazzo era preda di un fermento che non si era visto da anni. Finalmente la guerra stava andando per il verso giusto, gli Orchi stavano scappando verso Dol Goldur e presto sarebbero stati cacciati dal regno. Per i ragni ci sarebbe voluto più tempo, ma era un inizio, e il popolo era dell’umore giusto per festeggiare. Presto i canti sarebbero risuonati come dolci echi tra le pareti, accarezzando le orecchie degli elfi che si sarebbero lasciati andare a risa e vino. Per la prima volta da anni timori e paure non avrebbero appestato l’aria.
Da quando il re aveva deciso di muoversi per la guerra e cacciare gli sporchi mostri che infestavano il bosco, tutte le creature che lo abitavano avevano cominciato ad uscire allo scoperto, a cantare; persino gli alberi sussurravano calde parole di antiche melodie. La vita stava tornando, e bisognava celebrare.
Non aiutava che il paesaggio davanti a lui fosse uguale al solito. Sentiva gli acuti cinguettii delle cinciallegre e dei pettirossi che facevano frullare le ali appollaiati tra le foglie, i fruscii delle frasche al suono del vento e dei piccoli conigli che correvano di qua e di là. I suoi pensieri andavano ai dolci occhi di Indis, le dolci labbra che sarebbero state sue quella sera.
Un movimento dietro alle grandi radici catturò la sua attenzione, riportandolo alla realtà. Strinse con forza l’asta, protendendola verso l’esterno, indietreggiando di un passo. Sentì un movimento leggiadro accanto a sé mentre il suo compagno ripeteva i suoi stessi movimenti con un istante di ritardo.
Almeno non sono l’unico distratto, si consolò.
- Chi è là? – esclamò con voce minacciosa.
Per un istante ebbe l’infausto presentimento che si sarebbe perso la festa, mentre una figura emergeva dal folto degli alberi. Poi realizzò che era una sagoma minuta, avvolta in un mantello nero, con il cappuccio a nascondere il volto, che non poteva costituire chissà quale problema per cui sarebbe stato punito. Trattenne un sospiro di sollievo e aggrottò la fronte.
- Ho detto chi è là – ripeté alzando la voce.
Osservò la figura incedere lentamente, esitante, lungo il ponte. Era molto più bassa di loro, e mentre si avvicinava l’elfo riuscì a scorgerne il mento, la linea della mascella che delineava due guance piene, le mani cosparse di lentiggini che stringevano nervose il bordo del mantello.
Si fermò a qualche passo da loro, mentre un pensiero improvviso fulminava l’elfo.
Come ha fatto ad arrivare fin qui?
- Non fate un altro passo – intimò.
La figura si arrestò al suono della sua voce. Un istante di silenzio calò, prima che sollevasse una mano tra loro, mentre le guardie reagivano all’istante puntando la punta delle lance alla sua gola.
Duilin sussultò quando il suo sguardo si posò sul palmo dell’intruso, e il suo compagno emise un’esclamazione sgomenta.
- Dove l’avete preso?
Sulla pelle pallida della mano, l’anello dalla gemma acquamarina del re.

Thranduil si trovava nelle sue stanze quando sentì i passi lievi di Lindir raggiungere la porta nel corridoio. Era sdraiato sul grande letto, immerso tra i cuscini, e fissava con sguardo vacuo l’alto soffitto dell’antro, decorato da meravigliosi affreschi in oro che ripercorrevano le vicende del suo popolo.
Sospirò quando sentì due lievi tonfi sul legno, segno che l’elfo aveva bussato come suo solito.
- Avanti – disse, la voce annoiata, le iridi nebulose che scorrevano fino all’ingresso dove la figura di Lindir fece capolino.
Il suo volto non lasciò trapelare la sorpresa che lo colse nel vedere il suo re ancora sdraiato, con indosso solo i pantaloni, i capelli che lo circondavano come una corona d’oro bianco sulle coperte di velluto blu.
- Mio signore – si profuse in un inchino, mentre Thranduil si metteva seduto. Sul suo ventre si poteva distinguere la pallida cicatrice rosata che non era più scomparsa dalla sua pelle.
- Lindir.
Il sovrano si alzò con grazia, anche se tutto ciò che voleva era rimanere sdraiato e immobile a fissare le figure dorate e a crogiolarsi nella sua malinconia. Con un gesto, intimò al maggiordomo di seguirlo e scese gli scalini dell’alcova dove dormiva, entrando nel più ampio spazio dove erano ripiegati e appesi i ricchi vestiti che formavano file e file di indumenti.
Si fermò con impazienza all’ingresso della sala, percorrendo con lo sguardo le pareti affrescate e cercando di scegliere cosa indossare. Esitò, sentendo una stretta al cuore quando scorse la camicia bianca e i pantaloni neri con cui era tornato all’accampamento, poco più di un anno prima, appesi in fondo alla stanza, appena visibili in quanto coperti dagli altri tessuti infinitamente più preziosi. I suoi servitori avevano cercato di eliminarli, ma quando Thranduil se ne era reso conto si era infuriato e aveva punito i responsabili mandandoli a pulire le segrete per un mese, finché i pavimenti non avevano brillato. Da lì in poi, nessuno si era più azzardato nemmeno a pensare di gettare via quei rozzi vestiti umani.
Sospirò, mentre Lindir lo superava senza accorgersi della sua incertezza.
- Ricordate che ci saranno anche gli ambasciatori di Re Elrond, mio sire.
Thranduil alzò gli occhi al cielo, emettendo l’ennesimo sbuffo annoiato, riprendendo il controllo delle sue emozioni. Una parte del suo cuore ancora doleva, quando si soffermava a pensare agli eventi che lo avevano portato a cambiare così radicalmente, ma non poteva permettersi di indugiare adesso. Quelli che doveva vestire erano i panni dell’altero sovrano di Bosco Atro, non del sofferente innamorato.
Innamorato.
Era una parola che all’inizio aveva faticato ad accettare. Solo dopo lungo tempo era riuscito a prenderne possesso, a non negare la realtà. Perché la realtà era quella, perché per quanto breve fosse stato il tempo trascorso tra le montagne, era stato abbastanza per farlo innamorare di nuovo. Aveva cercato di camuffarlo, sotto forma di rabbia, di fastidio, di irritazione, ma era così. Se ne era accorto, e si era detestato per quello, perché non poteva essere possibile. Eppure lo era, e alla fine era riuscito ad accettare quel sentimento devastante e dolente che aveva intaccato lo specchio di ghiaccio che si era costruito attorno al cuore per non soffrire più, che l’aveva sciolto fino a fargli scoprire una parte di se stesso che aveva dimenticato da millenni.
Thranduil si riscosse dalle sue riflessioni quando Lindir gli si avvicinò, tenendo tra le braccia una preziosa veste di velluto ricamato con fili d’argento e un mantello di un rosso intenso. Li prese dalle braccia del suo servitore, osservando i disegni di fiori che si intrecciavano lungo il mantello, e sospirò.
- Va bene – mormorò.
Una punta di curiosità trapelava dai fini lineamenti di Lindir mentre guardava il sovrano infilarsi la veste e raccogliere i lunghi capelli biondi per poi lasciarli ricadere sulla schiena. Lo aiutò ad avvolgersi nel mantello e fece un passo indietro per ammirarlo.
Il re era maestoso e nobile, di una bellezza raffinata. Di sicuro tutti gli occhi sarebbero stati attirati dal suo incedere quando avrebbe fatto la sua apparizione nelle sale della festa. Ma c’era qualcosa di indecifrabile nel suo volto, una tristezza diffusa nei suoi lineamenti eleganti che il servitore non riusciva a spiegarsi. Da secoli serviva il suo re, da secoli conosceva i suoi gusti, da secoli sapeva interpretare ogni sua espressione e gesto, segretamente conosceva i modi con cui blandire la sua rabbia o suscitare il suo interesse. Ma fin da quando Thranduil era scomparso in seguito all’attacco subìto dagli orchi, per un periodo così breve che era però stato un incubo per tutti i suoi sudditi, qualcosa era cambiato.
Lindir però non riusciva a capire cosa.
- Siete pronto?
L’elfo annuì, risalendo gli scalini per poi soffermarsi davanti al grande specchio che ornava la parete della sua stanza. Il servitore lo raggiunse dopo qualche istante, con una sottile tiara d’argento tra le mani. Thranduil voltò il volto verso di lui e lasciò che la posasse sul suo capo, tornando a guardare il proprio incantevole riflesso. Esaminò i suoi occhi, quel grigio che riprendeva il colore dei ricchissimi tessuti che lo rivestivano, un grigio spento, privo di luce.
- È ora, immagino – sospirò.  
I grandi antri erano stati addobbati a festa e splendevano alla luce delle lanterne pregiate. Piccoli gruppetti di elfi vestiti con i loro abiti più eleganti affollavano gli spazi, mentre il suono dolce di arpe e canti armoniosi riecheggiava nei soffitti a cupola scavati nella roccia decorata da pitture preziose. Vesti bianche, rosse, blu, verdi si muovevano e mescolavano, formando un turbinio di pennellate graziose mentre gli elfi si destreggiavano nelle danze e si muovevano leggiadri per raggiungere amici e sconosciuti e scambiarsi saluti e felicitazioni.
Quando era apparso, il vuoto accanto a lui lasciato dall’assenza di Legolas fin troppo evidente, gli occhi di tutti erano stati attirati dalla sua figura regale attorniata da un gruppo di elfi dalle più nobili discendenze. Guardie, servitori, semplici invitati si erano profusi in eleganti inchini mentre si faceva strada tra la folla, lo sguardo vacuo fisso davanti a sé e un’espressione impenetrabile sul volto. Il sovrano di Bosco Atro emanava un’aura feroce e terribile, che intimava di stare alla larga.
Fu solo uno l’incauto che osò avvicinarsi.
Mentre Thranduil camminava, rivolgendo freddi cenni di saluto attorno a sé, una piccola sagoma sgusciò tra la folla e si interpose sul suo cammino. L’elfo si arrestò, osservando sorpreso la piccola bambina che lo guardava ad occhi sgranati, le iridi di un intenso verde che gli ricordavano uno sguardo fin troppo familiare. Il re provò una stilettata al cuore, mentre la piccola, dai lunghi capelli neri e la bocca spalancata per la meraviglia, si avvicinava a lui tra i sussurri della folla, fino a che Thranduil non fu costretto ad abbassare completamente la testa per guardarla, un’espressione di dolcezza che intaccava appena il gelo dei suoi lineamenti.
La piccola allungò le braccia verso l’elfo e un mormorio sgomento percorse gli invitati.
Lei non batté ciglio e continuò a fissarlo, finché un’elfa trafelata riuscì a farsi spazio tra le persone che li attorniavano e li raggiunse, chinando il capo e profondendosi in scuse interminabili mentre si chinava per riprendere la figlia. Thranduil alzò una mano in un gesto imperioso per fermarla.
Si abbassò, lentamente, osservando il volto delicato e pieno di stupore davanti a lui, intento a fissare la sua tiara luccicante, i suoi occhi grigi, le vesti dagli intricati disegni pregiati.
Senza proferir parola, il re la afferrò per i fianchi e la sollevò, prendendola in braccio mentre un rumoroso brusio si sollevava dalla folla, e si accentuava quando la bambina osò allunga una mano per toccare sorridente i suoi capelli d’oro bianco, accarezzandoli, rapita dallo scintillio che sembravano emanare alle luci delle lanterne.
Thranduil sorrise, suo malgrado, una dolcezza sconosciuta che gli avvolgeva il cuore.
Infine, ho la risposta alla vostra domanda. Persino i bambini vogliono essere presi in braccio dal re.

Il sovrano non avrebbe voluto trovarsi lì, attorniato da una folla che lo faceva sentire ancora più solo, ma la sua nuova, piccola amica alleviò la malinconia che lo opprimeva. Per qualche tempo rimase con lei, che non pronunciò nessuna parola, ma lo intrattenne con i suoi occhi spalancati e il braccio che si tendeva periodicamente ad indicare le colonne, o i fregi, o i biscotti di mandorla. Sembrava nutrire una particolare curiosità verso le volute sinuose che si innalzavano verso i grandi soffitti maestosi, e le figure incise che narravano la storia di tempi remoti, nonché per ogni cosa che brillasse o fosse di un caldo colore dorato. O fosse ingeribile. Più volte Thranduil dovette con dolcezza frenare i suoi tentati furti volti a prendere possesso della sua tiara.
I presenti erano sconvolti dal modo in cui il sovrano, solitamente così freddo e rigido, aveva permesso a una bambina di giocare con il suo mantello, o di prenderlo per mano e trascinarlo con i suoi piccoli passi verso le grandi tovaglie di velluto dove riposavano vassoi d’argento ricoperti di dolci, indicandogli le schiere di dolcetti per farsene prendere a decine, o aveva accettato di prenderla in braccio e farsi accarezzare i capelli. Le loro occhiate li avevano seguiti finché il re si era voltato e aveva lanciato uno sguardo agli elfi che lo attorniavano, e l’atmosfera si era improvvisamente gelata. Tutti erano tornati alle loro chiacchiere, e sebbene Thranduil fosse consapevole che il giorno dopo i racconti sulla bambina che aveva sciolto il cuore ghiacciato del sovrano sarebbero risuonati in ogni ala del palazzo, si era permesso di non pensarci e godersi quello stupore incantato sul volto della piccola, ricordando con nostalgia quando quell’espressione era solita comparire sul volto di Legolas.
Il suo seguito si era pian piano disperso, lasciandolo solo con la familiare presenza di Lindir, che guardava meravigliato quello che avrebbe potuto essere considerato un miracolo. Thranduil si era rifugiato in una piccola sala più appartata, dove le poche persone presenti non lo degnavano di un’occhiata per paura di infastidirlo. Seduto sulla base di una colonna, osservava la piccola dagli occhi verdi mangiare un biscotto con le guance piene, una spolverata di briciole sulla piccola tunica bianca. Aveva i capelli lucidi intrecciati con fili d’argento, ma la treccia si era sfatta e ciocche ribelli le incorniciavano il volto. Avvertendo il suo sguardo, la bambina lo fissò e esitò, prima di addentare quello che rimaneva del dolcetto. Abbassò lo sguardo sull’ultimo che teneva nell’altra mano e con un’espressione timida lo allungò verso il re.
Thranduil trattenne un sorriso, per un attimo dibattendosi nel dubbio. Non avrebbe voluto prenderle l’ultimo, ma la bambina ne aveva mangiati fin troppi. E poi Legolas non aveva di certo ereditato la sua passione per i dolci dalla madre.
Prima che potesse afferrarlo, però, e prima che la bambina potesse intrappolargli la mano tra le sue minute per osservare gli anelli che impreziosivano le sue dita, un rumore di passi veloci gli fece alzare lo sguardo. Tauriel si dirigeva verso di lui, il volto cupo, l’inquietudine ben leggibile negli occhi scuri.
Si fermò a qualche passo di distanza, mentre la sua sorpresa nel vedere l’insolita compagnia del re trapelava dal suo volto, e si inchinò brevemente. Thranduil fece cenno a Lindir di portare via la bambina, che lo guardò triste mentre l’elfo la prendeva in braccio e la riportava dalla madre, persa tra la folla.
- Mio signore, abbiamo un problema – mormorò l’elfa.
Il re si alzò, rimpiangendo di non aver preso il biscotto alle mandorle, ma segretamente fu sollevato nel sentire le parole del suo capitano. Aveva la scusa perfetta per sgusciare via dalla festa.
- Non volevo disturbarvi, ma dovete venire con me.
L’elfo inarcò un sopracciglio, sorpreso dall’irriverenza di quel commento, fissandola torvo. Ma Tauriel sostenne il suo sguardo.
- Seguitemi – mormorò, e Thranduil sbuffò lievemente, pensando a quali punizioni avrebbe potuto infliggerle per la sua sfacciataggine. La seguì, mentre la folla si scansava al loro passaggio, mormorando curiosa nel vedere il re abbandonare così presto i festeggiamenti.
La seguì, scendendo ripide scale a chiocciola e percorrendo bui passaggi, mentre i suoni delle arpe e dei flauti si facevano sempre più fiochi, finché si rese conto che erano diretti verso le prigioni.
- Tauriel, cosa succede? Non lo chiederò un’altra volta.
Il silenzio fu l’unica risposta al tono minaccioso delle sue parole, ma prima che potesse dar sfogo alla rabbia girarono l’angolo e videro due guardie disposte a sorvegliare una delle celle. Nel vederli avvicinarsi, Thranduil vide i due elfi guardarlo nervosi. Un dubbio fugace attraversò la mente del sovrano, che per un momento si ritrovò a temere di dover avere a che fare con qualche nuova, malvagia oscenità. Un orco? Un nuovo mostro maligno creato dalle tenebre? Qual era l’ennesima e infida creatura che spezzava l’unico momento di quiete che il tempo aveva loro concesso?
Ma quando si avvicinò alle sbarre, nell’oscurità vide solo una figura incappucciata, abbandonata in un angolo della cella, seduta sulla pietra liscia e nera. Thranduil aggrottò la fronte, ma il suo cuore mancò un battito quando la sagoma girò la testa verso di lui e degli occhi di giada lo fissarono da sotto il cappuccio.
- Chiavi – esclamò, la voce un tuono rabbioso che mandò in frantumi il silenzio nervoso delle sue guardie.
Sentì Tauriel trasalire dietro di lui.
- Ma, sire… - Asinna si stava rialzando, entrando nel cono di luce che spezzava a metà la cella. Nel sentire le parole dell’elfa rimase impietrita, fissandolo sconvolta, ma non era quello ciò a cui Thranduil stava dedicando la sua attenzione. Gli occhi tempestosi del re erano fissi sulla cicatrice ancora fresca che partiva dalla tempia, le attraversava lo zigomo ed arrivava al mento.
- Ho detto le chiavi – non aveva urlato, ma la furia nella sua voce fece tremare i tre elfi presenti, e persino l’umana. Era carica di rancore, un presagio del terribile castigo che avrebbe inflitto ai suoi soldati se non avessero eseguito istantaneamente i suoi ordini.
La guardia alla sua sinistra si affrettò ad infilare le chiavi nella serratura, che scattò tre volte, mentre Thranduil rimaneva immobile e imperioso a sostenere lo sguardo di Asinna, che lo fissava con una nuova consapevolezza negli occhi. Ora vi vedeva un briciolo di timore, di incertezza, mentre le sue iridi si soffermavano sulla tiara che gli cingeva la fronte, sui suoi ricchi vestiti, sul tremore delle guardie al suono delle sue parole.
- Aveva il vostro anello, mio signore – Tauriel fece un passo avanti, cercando testardamente spiegazioni, mentre finalmente la porta della cella veniva aperta.
Thranduil la interruppe alzando la mano.
- Lasciatemi solo – intimò, e nessuno osò disobbedire. Le due guardie si affrettarono ad allontanarsi, sollevate dal suo congedo, e anche Tauriel dopo qualche istante di indugio si decise a voltarsi. Il re aspettò finché sentì i loro passi svanire del tutto, prima di fare un passo indietro, mentre Asinna rimaneva immobile al centro della cella, il volto deturpato estremamente pallido. Non lo ricordava così magro, così stanco. Le occhiaie violacee erano l’unico tocco di colore sulla sua pelle.
- Uscite – mormorò con voce dolce l’elfo. Il contrasto con le sue parole tiranniche di qualche secondo prima fece rabbrividire la donna, ma obbedì, mentre lo sguardo pallido del sovrano scorreva lungo la sua figura che emergeva alla luce delle torce. Il mantello le cadeva largo addosso, aveva perso la rotondità con cui Thranduil aveva imparato a riconoscerla.
Asinna emerse dalla cella, a un solo passo di distanza, gli occhi fissi su di lui. La luce tremolante delle torce dipingeva sfumature mutevoli e inquietanti sul suo volto.
- Sire? – mormorò dopo qualche secondo.
La sua voce tremava, nonostante si fosse sforzata di parlare con calma. Thranduil abbassò lievemente il capo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla sua cicatrice. Un dolore sordo si stava scontrando contro una gioia selvaggia nel suo petto, e non sapeva a quale cedere.
- Siete il re? – chiese Asinna, inquieta, incredula, e per la prima volta la maschera composta che aveva indossato fino ad allora si infranse, e lasciò che l’elfo vedesse la paura e il terrore che l’avevano accompagnata fin lì. Thranduil sentì una stilettata di sofferenza lacerargli il cuore quando cercò di prenderle la mano e lei si tirò indietro.
- Asinna – mormorò, la voce un morbido canto che acquietò il panico che minacciava di soffocarla. Asinna sentì le lacrime affiorare agli occhi, mentre la realtà la colpiva in pieno, mentre la consapevolezza che finalmente era lì, era salva, era con lui, le spezzava il respiro. Si lasciò andare a un respiro tremante, mentre Thranduil eliminava la distanza tra loro, la avvolgeva tra le sue braccia, le abbassava il cappuccio e le accarezzava dolcemente i capelli, i corpi premuti uno sull’altro, mentre le sue mani si aggrappavano disperate ai suoi fianchi e i singhiozzi trovavano il via libera. Si strinse all’elfo, che la cullò dolcemente, lasciando che piangesse e sfogasse la tristezza e la paura che l’avevano attanagliata per quei mesi, finché il battito lento del cuore del sovrano sotto alla guancia la aiutò a rallentare il respiro, a riprendere il controllo. Sentì le labbra dell’elfo sfiorarle la fronte, la sua mano accarezzarle delicata la schiena.
- Mi dispiace – sussurrò, la voce rotta dalle lacrime. I capelli d’oro attorno a lei si mossero quando lui scosse la testa, e la sua bassa risposta le accarezzava le orecchie.
- Non scusatevi.
- Volevo… volevo davvero non venire qui, ma non ho avuto scelta – Thranduil si scostò, e Asinna si odiò. Non voleva che si allontanasse, voleva che la stringesse a sé, che il suo abbraccio la scaldasse ancora e ancora, per l’eternità. Ma il re le prese il volto tra le mani e le asciugò le lacrime con le dita delicate, guardandola preoccupato, mentre lei stringeva il tessuto rosso del mantello tra le mani per non lasciarlo andare, una sorda disperazione dipinta sul viso stravolto.
- Non parliamone qui – mormorò il re. La prese per mano e si voltò, e Asinna non ebbe altra scelta che seguirlo, il cuore che batteva impazzito nel petto.

Asinna era riemersa dall’acqua fumante sentendosi una persona nuova. Stordita dalla novità –davvero era il re? Quello che aveva quasi insultato? Quello che aveva biasimato, colpevolizzato, su cui aveva fatto ogni tipo di domande? Ancora non riusciva a crederci- l’aveva seguito per i lunghi corridoi e le scale tortuose, mentre risalendo verso l’alto passavano da una grotta all’altra. Camminando, aveva sentito echi di canti e melodie arcaiche risuonare tra le pareti, ma non si erano avvicinati alla fonte di quei suoni meravigliosi. Non che le dispiacesse, perché non avrebbe sopportato molto altro. Era già impegnata a fissare a bocca aperta le grotte che attraversavano, alcune decorate da preziose colonne e affreschi colorati, altre spoglie e scure, illuminate solo dalla luce delle torce, tutte collegate da passaggi aperti che lasciavano solo immaginare quanto grande e maestoso potesse essere quel posto, sconfinato a vista d’occhio. Per tutta la durata del tragitto, la mano dell’elfo non aveva ammorbidito la presa sulla sua, ma il suo passo impaziente si era frenato quando aveva capito che non le restavano molte forze e non era in grado di sostenere la sua velocità. L’aveva guidata fino ad arrivare a quelle che sospettava fossero le sue camere, una serie di grotte finemente decorate da dipinti e mobili splendenti. Nella sala centrale un enorme tappeto intrecciato di fili d’oro e d’avorio giaceva al centro della sala, e alle pareti erano allineati vari specchi, che moltiplicavano la grandezza degli spazi, già enormi. Non aveva prestato grande attenzione all’enorme tavolo, o ai soffici cuscini dai toni tenui in angolo; o almeno, non ne aveva avuto il tempo, perché l’elfo l’aveva condotta verso un’apertura laterale, nascosta da varie tende. Avevano attraversato altre sale sfarzose, mentre la bellezza delle decorazioni e dei colori le faceva girare la testa, finché l’elfo era arrivato davanti a una spaccatura nella roccia che formava un’entrata nascosta da veli argentei.
- Andate, manderò qualcuno ad aiutarvi – aveva detto, ed era scomparso senza nemmeno darle il tempo di proferire parola. Asinna era entrata, scoprendo con meraviglia che si trattava di una sala con un’enorme quadrato interrato pieno d’acqua calda. Si era spogliata e si era immersa, rimanendo immobile nell’acqua, senza avere nemmeno la forza di lavare via il sudore e la sporcizia, finché aveva sentito dei passi leggiadri e una presenza alle sue spalle. Un’elfa bellissima era arrivata e l’aveva aiutata a lavarsi, nonostante il suo imbarazzo. Le aveva lasciato degli indumenti puliti prima di svanire, silenziosa come era arrivata.
Si era vestita dopo essersi asciugata con un telo morbidissimo -altro che quelli ruvidi che aveva avuto sulle montagne-, sentendosi vagamente a disagio con indosso quelle vesti riccamente decorate, di un verde scuro su cui si intrecciavano ricami d’oro.
I capelli bagnati le solleticavano il collo, mentre era uscita dalla stanza, per ritrovarsi davanti all’elfa che le aveva fatto cenno di seguirla. Aveva obbedito, osservando meravigliata le nuove stanze -che non aveva ancora percorso- che attraversarono, il cuore pieno di meraviglia e di timore.
Come poteva avere la presunzione di trovarsi ?
Lei, fragile umana, aveva cercato l’elfo sperando di trovare un po’ di pace, un luogo dove poter riposare dalla terribile tragedia che le era piombata addosso. Si era immaginata mille scenari, ma nulla poteva competere con ciò che aveva davanti agli occhi, con la realtà in cui lui era un elfo importante ben al di là della sua immaginazione. Si sentiva fuori posto, in quel luogo. Persino l’elfa davanti a lei la metteva in soggezione, perché ormai era ben consapevole della crudele striscia rossastra ancora non guarita che le attraversava il volto, del suo corpo così umano, della sua posizione nella gerarchia sociale che paragonata a quella dell’elfo poteva essere considerata meno di niente.
Quando aveva salvato la vita a quell’elfo riverso per terra, immerso nel sangue nero e cremisi, tra decine di corpi caduti, non si sarebbe mai immaginata tutto ciò. Mentre lo raccoglieva da terra con le lacrime agli occhi e il petto che sembrava scoppiare per l’orrore che riempiva i suoi occhi, non avrebbe mai pensato di salvare la vita del re degli elfi. Né che, per quel puro atto di umanità -perché lei l’aveva salvato per pura compassione, perché non poteva rimanere immobile a lasciarlo morire così, così come lei un tempo aveva rischiato di morire- lui le avrebbe dato la speranza di poter sopravvivere ancora una volta, di ritrovare una quiete che non credeva avrebbe mai avuto di nuovo.
I suoi pensieri svanirono d’un tratto quando sbucò in una sala più raccolta, decorata da effigi d’argento lungo le pareti di pietra lucente al chiarore delle lanterne, dove il suo sguardo si fermò sulla figura maestosa dell’elfo, che si voltò a guardarla.
Si era cambiato, indossava una semplice tunica bianca che lo faceva sembrare una creatura ancora più magica e intoccabile. Asinna sentì una morsa contorcerle lo stomaco, e fu grata del digiuno che aveva sofferto per giorni, perché star male di stomaco in quelle circostanze era lo scenario peggiore che potesse immaginare. L’elfa li aveva lasciati soli, se ne rese conto quando lui le fece cenno di non sostare sulla soglia e si avvicinò al tavolo al centro della stanza, dove erano disposti vari piatti colmi di cibi che sembravano squisiti. Asinna obbedì, suo malgrado intimidita, mentre le iridi grigie dell’elfo la osservavano. Seppe subito che aveva notato la sua timidezza, ma per fortuna non fece commenti. Non poteva fingere di non essere stata piegata di nuovo, non poteva fare battute argute, non aveva la forza di prenderlo in giro. E gli era grata, perché lui l’aveva capito. Aveva capito che avrebbe avuto bisogno di tempo per tornare come prima, e che non doveva aspettarsi che si comportasse come si era comportata quando erano soli tra le montagne. Non lì, nel cuore delle colline, del raffinato splendore del regno elfico, dove il semplice verde e azzurro delle montagne l’aveva abbandonata.
Thranduil si accomodò accanto a lei, e per un attimo Asinna fu trascinata indietro nella memoria, quando ancora erano relativamente sereni, seduti al tavolo tondo della misera casetta che aveva ospitato l’elfo per poco più di una settimana, su sedie traballanti non ricoperte da velluto. L’imbarazzo scemò, mentre lui faceva scivolare un piatto pieno di un’invitante stufato davanti a lei, sorridendo appena.
- L’avete fatto voi? – un sorriso illuminò le labbra del sovrano, un fulmine di serenità nel mezzo della tempesta di emozioni che oscuravano l’atmosfera.
- Non sono ancora così bravo, nonostante i vostri insegnamenti. Mangiate.
Ma Asinna scosse la testa, guardandolo incerta.
- Devo assaggiare prima io? – mormorò il re, e l’opprimente preoccupazione che gli attanagliava le viscere sparì quando vide un sorriso esitante illuminare le labbra della donna.
- Non ho fame.
- Non credo sia così – replicò con dolcezza Thranduil.
Asinna si strinse nelle spalle, evitando il suo sguardo. – No, ma non voglio mangiare. So già che starei male.
Era vero. Era troppo nervosa. Rimasero in silenzio, finché lei riportò gli occhi su di lui, osservando il suo volto splendente nella gloria di sovrano, la sottile corona a cingergli la fronte.
- Siete davvero il re? – non riuscì a impedirsi di ripetere la domanda, e Thranduil sorrise.
- Sì.
Asinna si prese il volto tra le mani, nascondendo la cicatrice alla sua vista, sconvolta.
- Non riesco a crederci.
Sollevò di nuovo gli occhi su di lui, abbagliata da un pensiero, aggrottando la fronte. – Vostro figlio è il principe?
Thranduil annuì, inclinando la testa, e lei si massaggiò la fronte, fissando il piatto pieno davanti a lei. Il suo stomaco si contorceva, il profumo delizioso era quasi doloroso, ma non riusciva nemmeno a pensare di mangiare in quel momento. – Assurdo.
Il sovrano di Bosco Atro allungò il braccio per afferrarle la mano, e Asinna seguì il suo gesto sorpresa, lasciando che lui la rigirasse per guardare le sue dita. Al medio non c’era il suo anello.
- Me l’hanno preso le guardie – mormorò, capendo al volo cosa stesse cercando. Lo sguardo del re si incupì, ma la donna gli afferrò il polso, chinandosi verso di lui.
- Dovreste esserne felice. Hanno svolto il loro lavoro alla perfezione.
L’elfo sbuffò, con un sorriso ironico. Ancora una volta l’umana non si lasciava intimidire e parlava chiaramente. Era felice che almeno quello non fosse cambiato. Poi il suo sguardò scivolò dal verde delle sue iridi alla cicatrice che le spezzava la carne.
- Farò di modo che vi sia restituito. Ormai è vostro. Cosa è successo? – chiese, ignorando lo stupore che illuminò il viso dell’umana a quelle parole. Asinna sospirò, un velo di tristezza le scese sul viso. Rimase in silenzio a lungo, cercando di raccogliere i pensieri e raccontare l’orrore ancora vivido nella sua mente, ma riuscì a trovare le forze solo quando la mano di Thranduil le sfiorò in una delicata carezza il braccio, infondendole coraggio. La afferrò e intrecciò le dita tra le sue, incurante delle gemme che le graffiavano la pelle e dello sguardo sorpreso di lui. Incurante che quelle che stava stringendo fossero le dita del re.  
- Dopo che ve ne siete andato sono tornata a vivere al villaggio. Tutto era tornato alla normalità, per un periodo sono riuscita a diventare quasi felice. Vivevo con Traen – a quelle parole vide l’elfo irrigidirsi e per un attimo la sua espressine abbandonò ogni tristezza, evidentemente divertita dalla sua reazione, - e andavo avanti giorno per giorno. Poi, è cambiato tutto.
Si morse le labbra, il volto ora di nuovo roseo perso in ricordi dolorosi.
- Quello che avevate detto si è rivelato vero. I ragni alla fine sono arrivati.
Thranduil sospirò, un’ondata di rabbia che irrigidiva ogni muscolo del suo corpo. La voce della donna era intrisa di dolore –e non riusciva a sopportarlo. Era infuriato, con le forze del male che l’avevano massacrata ancora una volta, e con se stesso, perché non era riuscito a evitarle quell’ennesimo dolore. Perché aveva dovuto andarsene. Perché se ne era andato, lasciandola lì.
La stretta di Asinna si rafforzò, mentre la donna puntava lo sguardo sul dipinto della notte stellata appesa davanti a loro, di un realismo tale da spezzarle il fiato.
- Hanno distrutto tutto – sussurrò. Una lacrima, una sola lacrima, le solcò la guancia e l’elfo alzò la mano libera per asciugarla, mentre un respiro spezzato usciva dalle labbra tormentate dell’umana al suo tocco.
- Era di notte, è stato come rivivere un incubo. Non riesco nemmeno a descriverlo. Hanno fatto a pezzi ogni cosa, ucciso decine di persone. Traen è morto nel sonno – sussurrò. Si morse a sangue la bocca e scosse la testa. – Ho assistito chi potevo assistere, poi mi sono ricordata quello che mi avevate detto. Non volevo venire qui. Non è il luogo per me, per un’umana…
Thranduil avrebbe voluto ribattere, ma sapeva che in quelle parole c’era un’amara verità. Rimase in ascolto, confortandola solo con la sua presenza familiare mentre riportava a galla l’orrore di ciò che aveva vissuto. – Ma non avevo altra scelta. Sapete, il vecchio pazzo mi aveva detto ciò che sarebbe successo, ma ero troppo confusa per capirlo – rivelò, incontrando il suo sguardo serio. Osservò quel grigio cristallino, quel volto che per notti intere aveva sognato, che aveva desiderato di rivedere, e che ora era lì, davanti a lei, come in un sogno che avrebbe potuto svanire da un momento all’altro. Ma non era un sogno, non era la sua immaginazione, lui era davvero lì, davanti a lei, la sua mano serrata mentre stringeva con forza le sue dita. Per un attimo fu sommersa dall’emozione, poi riuscì a riprendere il controllo.
- Eravate la mia unica speranza, perciò ho deciso di tentare di trovarvi. Pensavo che sarei morta, stavolta per davvero. Non ho visto nessun alce, nessun animale, stavolta la foresta era oscura, tremenda, spaventosa. Ma alla fine ci sono riuscita, non so nemmeno io come. Ho abbandonato le ceneri e seguito il mare – mormorò, ripensando alla sensazione che l’aveva portata in salvo, al modo in cui l’anello dalla gemma acquamarina sembrasse indicarle la direzione più sicura da prendere, tra le radici enormi e terrificanti del bosco. Asinna si riscosse e guardò l’elfo, un’espressione che esprimeva tutta l’incertezza e la paura che provava.
- Perdonatemi se sono venuta qui. Non sapevo… - Thranduil la zittì, posandole una mano sulla bocca. Osservò i suoi occhi sgranati, il volto spaurito, e un’ondata di dolcezza lo aggredì, mentre le sue dita accarezzavano spudorate le sue labbra morbide e calde, il respiro della donna ad accarezzarle, mentre lei lo fissava con gli occhi sgranati, come un cerbiatto colto di sorpresa da un cacciatore.
- Voi mi avete salvato la vita. Ora è tempo che io ripaghi il mio debito – disse con calma. Il sollievo nel volto della donna cancellò ogni pensiero, di ogni preoccupazione. In quel momento, l’unica cosa che importava era lei. – Rimarrete nell’unico posto dove potrete essere al sicuro. Al mio fianco – mormorò.
Asinna cercò di scacciare le lacrime, e l’elfo si alzò, invitandola a seguirlo. Scostò le tende in fondo alla stanza che rivelavano un’apertura nella roccia scura, lasciando intravedere il cielo stellato, e sotto ai raggi della luna piena la strinse a sé, sentendosi finalmente in pace mentre teneva tra le braccia quel corpo tremante e amato.
Asinna alzò gli occhi verso di lui, e l’elfo si chinò, accarezzandole la guancia, i cuori che battevano forte mentre le loro labbra si sfioravano esitanti e insicure all’inizio, poi sempre più desiderose, mentre la lontananza che avevano sofferto finalmente svaniva e lasciava posto solo alla felicità che scorreva impetuosa nelle loro vene. Asinna si aggrappò alle sue spalle, mentre il sovrano si chinava e senza alcuno sforzo la sollevava, stringendola a sé, mentre lei gli circondava la vita con le gambe, il bacio che si faceva sempre più intenso mentre i loro respiri acceleravano.
Asinna accarezzò i biondi capelli del re, scostandosi per un attimo, sorridendo mentre osservava quel volto meraviglioso davanti a sé, quegli occhi grigi che la guardavano come se fosse la stella più brillante nel cielo, il fiore più bello di ogni giardino.
- Cosa? – mormorò Thranduil, inebriato dal profumo di gelsomino e vaniglia, dal calore del suo corpo, dalla giada dei suoi occhi. Asinna baciò con dolcezza le sue labbra, godendo di quel contatto, soffermandosi per lunghi minuti mentre sentiva il battito potente del suo cuore sotto al palmo della mano, posata sul tessuto argenteo che gli copriva il petto.
- Non so ancora qual è il tuo nome – mormorò, e il re rise, una risata gioiosa, cristallina, che risuonò tra le pareti della stanza come una ventata d’aria allegra e primaverile.
- Thranduil, melamin.


 
 

* amore mio (poetico).
 
 
 
Angolino dell’autrice:
aand… that’s a wrap!
Non so come esprimere quello che sto provando in questo momento, perché è un insieme di emozioni contrastanti, amare e dolci allo stesso tempo. So solo che questa storia ha segnato il momento in cui mi sono riavvicinata alla scrittura dopo anni e anni, facendomi riprendere il coraggio di esprimere attraverso le parole il mio mondo interiore e i miei pensieri più profondi, riaprendo una vecchia via che credevo perduta per sempre. Per questo, questa storia avrà sempre un significato particolare per me. Per questo, Thranduil e Asinna per me rappresenteranno sempre ciò che ho voluto simboleggiare attraverso il loro arco narrativo: la forza di rialzarsi, tirarsi su tra le macerie e incamminarsi di nuovo, percorrendo nuovo percorso e aggrappandosi alla speranza di poter cambiare le cose.
Proprio su questa nota, vorrei due dedicare due brevi parole a ciò che sta succedendo in questo momento. A parte la pandemia, a parte la speranza che voi tutti stiate bene così come i vostri cari, in questi giorni abbiamo assistito a qualcosa di una gravità impressionante. L’assassinio di una persona sulla base della discriminazione per il colore della sua pelle, del pregiudizio nei confronti di un essere umano che chiedeva un aiuto che gli è stato negato fino a togliergli la vita. Spero che anche voi siate consapevoli che, sebbene nulla di tutto ciò sia MAI stato accettabile, ora è diventato ancora più palese di prima. Perciò, anche nel nostro piccolo, vi invito a provare a cambiare le cose: diamo voce a questo problema, offriamo aiuto e supporto a chi ne ha bisogno. Firmate petizioni, discutetene con la vostra famiglia e i vostri amici, informatevi; è di questo che la comunità oppressa ha bisogno. Ascoltate le loro parole: fate ciò che vi viene chiesto, perché solo loro sanno di che tipo di supporto hanno bisogno. Lottiamo tutti assieme per la vita, per la fine di questo incubo, perché siamo tutti uguali, siamo tutti esseri umani, eppure c’è gente che ancora non lo capisce.
Passando a toni più leggeri, tornando alla storia, io non so come ringraziarvi per essere arrivati fino a qui. Ho potuto leggere dai vostri commenti, dalle vostre recensioni, le vostre impressioni e le vostre idee, ed è esattamente questo che mi spinge a scrivere e a impegnarmi sempre di più per migliorare e dare vita a personaggi e a mondi che possano offrire un angolino di conforto in questi momenti bui. Spero di essere riuscita ad emozionarvi, in modo positivo, negativo, non importa; spero di essere riuscita a farvi affezionare, arrabbiare, indignare, intenerire, persino piangere, perché se è così vuol dire che la storia è riuscita nel suo intento. È riuscita a smuovervi dentro, a farvi pensare. A farvi emozionare.
Perciò, un grazie dal profondo del cuore a tutti voi che vi siete presi del tempo per leggere, per recensire, per scrivermi i vostri pareri in privato, per averne magari parlato ai vostri amici. Grazie davvero di cuore.
Mi mancherà, tanto. Però spero di ritrovarci presto. Magari nelle altre storie che sto scrivendo.
Per l’ultima volta, un bacio.
Anna
   
 
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