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Autore: Mary P_Stark    01/06/2020    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4.

 

 

Settembre 2022

 

 

Il fuoco stava ancora divorando diversi stabili nella parte più bassa di Hiroshima, incuranti della pioggia nera caduta sulla città, o del vento che era imperversato per ore intere, devastando il devastabile.

Astrea lo fissava con occhi lividi, i piedi ridotti a ulcere vive e che le dolevano ogni volta che attraversava ciò che restava del fiume Ōta.

Quella volta, però, due braccia robuste la sollevarono per impedirle di percepire altro dolore e, sconvolta, Astrea si volse a mezzo per conoscere chi l’avesse strappata al suo personale supplizio.

Quando vide il volto sorridente di Alekos – quel giorno, aveva i capelli legati in una coda di cavallo – la dea si accigliò e disse: «Non avevo bisogno di aiuto.»

«Mia madre mi ha insegnato a essere galante. Non vorrai di certo che io la deluda, vero?» replicò lui, scortandola oltre le acque basse del fiume per poi poggiarla nuovamente a terra, sul selciato ricoperto di macerie.

Astrea sbuffò irritata, passando nervosamente le mani sulle vesti lacere, dopodiché infilò le dita tra la massa informe di capelli bruciacchiati e borbottò: «Non hai bisogno di essere gentile con me. Non lo merito.»

«Se lo dici tu… io, comunque, farò in modo che mia madre non sia scontenta di me. Tu, porta pazienza» scrollò le spalle Alekos, offrendole il braccio prima di aggiungere: «Sai, mamma tende a essere un tantino dispotica, quando le cose non vanno come vuole lei.»

Astrea accennò un mezzo sorriso – senza però accettare il braccio di Alekos – e asserì: «Sì, ricordo qualcosina degli attacchi isterici di Athena.»

Scoppiando a ridere con fare complice, Alekos ritirò il braccio con nonchalance e mormorò con fare da cospiratore: «Ecco, appunto… visto che lo sai, sii buona con me e non mettermi nei guai.»

Scuotendo il capo per l’esasperazione, Astrea allora allungò la sua mano dalla pelle riarsa e disse: «E va bene! Offrimi pure il braccio. Ma tu guarda se doveva capitarmi un visitatore così compito ed educato.»

Alekos gli sorrise pieno di soddisfazione, trattenendo per sé il dolore nel vedere quelle tenere carni straziate dalla fiamma nucleare.

Astrea viveva ogni giorno la pena sofferta dagli abitanti delle due città giapponesi abbattute dalle atomiche e, ogni giorno, il suo corpo veniva riarso, scorticato e abraso dalla violenza di quegli eventi così terribili.

Non aveva la ben che minima idea di cosa volesse dire tutto ciò – lui aveva reagito nel modo opposto, perciò il suo corpo era diventato più potente che mai – ma era ben deciso a strapparla a quel dramma quotidiano. Solo, gli sembrava di stare facendo ben pochi progressi.

Erano mesi che continuava a fare visita ad Astrea e, se le prime volte aveva avuto non poche difficoltà a trattenerla accanto a sé per più di qualche minuto, adesso le loro chiacchierate duravano anche ore.

Solo, erano del tutto infruttuose, ai suoi occhi. Astrea continuava ad apparire debole, piagata e stanca, niente affatto la potente dea che doveva essere stata in passato.

Sua nonna, però, si era raccomandata più volte di non forzare la mano e, soprattutto, di non mostrare il proprio dolore ad Astrea. Lei avrebbe potuto immaginarlo, ma non doveva assolutamente vederlo dipinto nei suoi occhi.

«Dimmi una cosa… dove vivi, esattamente, qui?» gli domandò Alekos, mentre raggiungevano la loro solita collina, poco sopra le rovine di Hiroshima.

Astrea scrollò una spalla, replicando: «Non ho una casa. Dormo sul ciglio della strada, quando voglio riposare.»

Alekos fece per ribattere alle sue parole disincantate, ma la percezione di un’altrui presenza lo spinse a dire in un sussurro: «Vieni con me!»

Lei lo fissò sorpresa per un attimo prima avvertire l’energia della madre e, annuendo, si trasmutò con lui prima che la dea potesse vederli.

Trattandosi di un piano astrale, Alekos poteva trasmutare i propri pensieri ovunque, quindi non aveva bisogno di alcuna divinità per fare ciò che, nel mondo reale, non avrebbe potuto fare.

Dopo aver studiato con attenzione i dintorni di Hiroshima, aveva più volte pensato di portare Astrea in un luogo più appartato rispetto alla caotica città in fiamme. Trattandosi di un piano astrale altamente riprodotto, Alekos era più che certo che avrebbe trovato, nel mondo della dea, ciò che realmente si trovava nella prefettura di Hiroshima.

Cogliendo la palla al balzo, quindi, la condusse nei pressi del fiume Yawata, a poca distanza dalla città, ma riparato da dolci colline verdeggianti e sopravvissute al bombardamento.

Lì, decise di riprendere corporeità nei pressi di una sponda sabbiosa del fiume e, ridendo sommessamente, ammiccò all’indirizzo di Astrea e disse: «Eos mi odierà a morte per questo colpo basso, lo so già.»

Astrea annuì complice e, non potendo evitarselo, si lasciò andare a una breve, scoordinata risata che riempì il cuore di Alekos di speranza e soddisfazione.

Era la prima volta, in quei mesi, che il suo volto scarnificato veniva solcato da un sorriso e, per lui, fu come veder sorgere il sole.

Per un attimo, ciò che ella era stata in passato gli si presentò dinanzi agli occhi con immensa chiarezza e, con tutte le sue forze, Alekos desiderò strapparla a quel mondo perché tornasse con lui.

L’attimo, però, passò in fretta e Astrea tornò a essere la solita donna debole e scarmigliata che Alekos aveva conosciuto.

«Sì, mia madre ti odierà, ma io ti ringrazio. Davvero non sopporto di vederla venire qui, ogni giorno, per dirmi costantemente che sbaglio» sospirò la donna, scuotendo mesta il capo. «So di farla soffrire, ma lei non capisce.»

E pensare che le avevo chiesto di non fare esattamente questo, sospirò tra sé Alekos, irritandosi non poco di fronte alla chiara cecità di Eos.

Capiva quanto fosse difficile, per lei, sopportare l’autoimposta prigionia della figlia, ma affrontarla a muso duro non era servito nei settantasette anni precedenti. Dubitava fortemente sarebbe servito ora.

Alekos annuì al suo dire, dichiarandosi solidale con lei e, nel piegarsi per cercare alcuni ciottoli arrotondati e piatti, mormorò pensieroso: «I genitori fanno del loro meglio, per noi, ma a volte ciò non basta o, altre volte, non è ciò che vogliamo noi.»

Risollevatosi, lanciò poi alcuni ciottoli sulla superficie liscia del fiume, facendoli rimbalzare più e più volte e Astrea, osservandolo pensierosa, disse: «Non ho mai imparato a farlo, sai?»

Lui, allora, le offrì i restanti ciottoli e replicò: «Non sarò Achille, ma mi destreggio bene con i giochi di mano.»

«Hai conosciuto il Pelide? E’ dunque vivo, nella tua realtà?» domandò lei mentre Alekos le si poneva alle spalle, posizionandola nel modo corretto per lanciare.

«Sì. L’ho conosciuto. E’ stato lui a insegnarmi a guidare il mio primo kart. E’ una piccola automobilina che si una in circuiti chiusi, dove si svolgono delle gare» le spiegò lui, sfiorandole il gomito piagato perché sollevasse un poco il braccio. «Oppure, come in questo caso, mi ha insegnato a lanciare i sassi nel fiume.»

Con delicatezza, le sfiorò una mano perché ruotasse un poco il polso e, dentro di sé, sperò ardentemente di non procurarle ulteriore dolore, pur se dubitava di riuscire in una tale evenienza. La sua pelle era troppo abrasa perché il minimo tocco non producesse scariche dolorose.

Ugualmente, cercò di non pensarci e si concentrò sulla lezione che le stava impartendo e Astrea, nel seguire docilmente le manovre di Alekos, mormorò: «Non è dunque un soldato, in questa vita?»

«Tutt’altro. Fa l’insegnante di atletica in una scuola italiana e, nel tempo libero, corre con sua moglie nelle gare di rally… sono corse con le auto, ma non in piste regolamentari. E’ abbastanza pericoloso ma molto, molto elettrizzante» le spiegò lui, portando indietro il braccio destro di Astrea con grande lentezza. «Ecco, ci siamo quasi… ora mi scosto, così puoi lanciare.»

Lei annuì e, con una mezza torsione del braccio, scagliò lontano il sassolino, che rimbalzò un paio di volte prima di colare a picco inesorabilmente.

Astrea sgranò gli occhi per un istante a quella vista e, accigliandosi, borbottò: «Ne ha fatti solo due! Tu ne hai fatti di più!»

Alekos sorrise tra sé. Quella che stava parlando era una dea, l’inconfondibile spirito di una dea che non voleva essere inferiore a un semidio. Non era la donna sconfitta dagli eventi che gli era parsa fino a quel momento.

«Beh, è solo una questione di pratica… e di capacità innate. Non è detto che tu ne sia in grado» sottolineò serafico Alekos, fissandola dall’alto al basso con espressione divertita.

Astrea lo fissò arcigna per diversi secondi prima di borbottare: «Si sente che condividi il filato con Eris. La tua lingua è forcuta.»

Alekos scoppiò in un’allegra risata, a quel commento e, scusandosi, asserì: «Sì, forse in passato non avrei risposto così, ma credo sia stata la cosa giusta da dirti, ora come ora.»

«Hai fatto tutto questo per non farmi pensare a ciò che mi sono lasciata alle spalle, vero?» replicò lei, osservando le verdeggianti colline a cono che li circondavano e l’acqua verdastra del fiume. Tutto appariva puro, intonso e lindo, in quell’angolo di mondo, eppure lei non riusciva a dimenticare ciò che si celava oltre quei colli.

«So perfettamente che il tuo pensiero è sempre lì, o non ci troveremmo qui, ti pare?» ribatté Alekos, scrollando le spalle. «Ma niente mi impedisce di divertirmi con te, se me lo permetti. Dopotutto, quando si va in visita da amici, si tenta anche di passare delle ore liete, no?»

«Non hai di meglio da fare, nella vita reale?» lo irrise a quel punto lei. «Non hai una ninfa, o una mortale, che spasimano per te?»

«Sono un topo da biblioteca, se sai cosa vuol dire… inoltre, la tua compagnia mi piace, anche se vorrei portarti a Disneyland, una di queste volte. L’atmosfera sarebbe migliore.»

«Che cos’è?»

«Un parco dei divertimenti dove poter ridere e scherzare senza alcun freno…» cominciò col dire lui, prima di interromperla e aggiungere: «…e, prima che tu mi sbrani, lasciami dire una cosa. So perfettamente perché tu vuoi colpevolizzarti e rimanere qui, negandoti proprio la possibilità di ridere e scherzare. L’ho provato sulla mia pelle.»

Accigliandosi, Astrea replicò incredula: «Dubito che un ragazzino della tua età possa aver sopportato una simile pena. A meno che, ovviamente, nel mondo non si sia abbattuta una catastrofe simile a questa.»

Nel dirlo, tornarono automaticamente al colle sopra Hiroshima e Alekos, sfiancato ma non vinto, disse: «Stava per abbattersi una sciagura ben peggiore. E sarei stato io a causare una simile, immane distruzione.»

Astrea lo fissò senza parole, non sapendo come interpretare il suo dire e Alekos, nel prenderle le mani scabre, aggiunse: «Tu ti sei imposta il dolore, come risposta alla follia del mondo. Io, risposi all’oscurità con l’assolutismo. Per questo, Eris fu costretta a scindere il suo filato e sostituirsi a Érebos.»

«Cosa vuoi dire?» mormorò lei, tremante.

Stringendo maggiormente le sue mani, Alekos deglutì a fatica e ammise: «Ricordi che ti dissi che, per salvarmi, Érebos spezzò il proprio filato in due per sostituire il mio, che era stato reciso da Atropo al momento della mia morte. Al tempo stesso, mentre mi conduceva da Ade, Thanatos mi tenne in vita legando la mia anima a quella di mia madre, in modo tale che io potessi resistere abbastanza a lungo perché Érebos terminasse ciò che stava facendo.»

Astrea annuì cauta. Rammentava ogni suo racconto, ogni suo commento come ogni sua battuta e, pur se all’inizio vi aveva dato poco peso, col passare delle settimane aveva bramato con sempre maggiore forza il suo ritorno. Le sue parole. I suoi racconti.

La sua vita era diventata, per lei, stimolo ad attendere ogni suo ritorno e, come un assettato alla fonte, si era abbeverata delle sue parole con sempre maggior vigore.

Perciò sì, rammentava l’impresa epica di Érebos, e ancora non comprendeva perché ora, Alekos, dovesse condividere proprio con Eris il suo filato. Cos’era dunque successo? E perché Alekos si incolpava di colpe così gravi?

«L’amore tra mia madre e mio padre Miguel, creò in me una luce mai vista prima. Persino Chaos la riconobbe come tale. Unica» gli spiegò lui, reclinando colpevole il capo. «Questa luce, combinata coi poteri immensi dell’oscurità primigenia di Érebos, mi avrebbe fatto diventare un essere dalle capacità inimmaginabili. La pura luce che avevo in me, però, divenne sempre più sfolgorante e, paradossalmente, più assolutista che mai.»

«La quintessenza dell’oscurità produce la quintessenza della luce» mormorò turbata Astrea, vedendolo annuire in risposta.

«Più diventavo grande, più mi abbeveravo – non sapendolo – del potere di Érebos, accrescendo così la luce che mi aveva lasciato il mio primo padre. Così facendo, però, persi di vista la realtà delle cose, persi equilibrio e stabilità e mi convinsi che, annullando l’oscurità e asservendo a me qualsiasi creatura, avrei portato pace e luce nel mondo. Come sai, però, la luce abbisogna delle tenebre, per sopravvivere, ma io questo non volevo accettarlo. Volevo che le tenebre sparissero dalla faccia della terra.»

«Ma così…» tentennò Astrea, non volendo terminare la frase.

«La mia divinità prese il sopravvento sulla parte umana, e si dichiarò disposta a distruggere qualsiasi forma di oscurità, pur di portare la luce ogni dove, convinta… convinto com’ero che fosse l’unica soluzione per sconfiggere i mali del mondo» ammise Alekos, scuotendo contrito il capo. «Come semidio, non potevo gestire il filato così potente di Érebos, e questo mi fece impazzire, portandomi a un passo dal far esplodere il mondo intero con la mia visione folle della vita. Fu Eris a impedirlo.»

«Ma Eris è solo…»

«…Discordia?» disse per lei, sorridendole mesto. «No. Ho imparato a mie spese il dualismo delle divinità. Ognuno di voi ha due volti, e questo bilancia il vostro potere. Io, avevo solo la visione distorta della luce, a governarmi, ed Eris mi permise di fare mia l’oscurità che mi serviva per gestire ciò che io sentivo dentro, togliendomi al tempo stesso parte del potere che mi sbilanciava.»

Astrea fece per strappare le mani da quelle di Alekos, già temendo le sue prossime parole, ma lui le trattenne e terminò di dire: «Ho peccato di vanità, e il mio peccato ha quasi ucciso mio padre, oltre che tutti coloro che volevo proteggere. Ma ho avuto fiducia in Eris e questo mi ha salvato, come ha salvato l’umanità.»

Lappandosi nervosamente le labbra, Astrea mormorò: «Perché dici a me i tuoi peccati? A cosa pensi possa servire?»

«Non credi che anch’io, ogni giorno, non pensi a quanto ho fatto soffrire coloro che amo? Lo faccio sempre, nonostante loro mi abbiano perdonato» le spiegò lui con dolcezza. «Ma è inutile rimuginare senza agire. Nessuno può cancellare ciò che ho quasi fatto, e io posso solo accettare di non aver avuto abbastanza coraggio da chiedere aiuto quando avrei potuto fermare il mio Io divino, senza mettere in pericolo tutto il Creato.»

«E’… è diverso. Tu eri controllato dal tuo alter ego. Io no!» sbottò Astrea, strappando finalmente le sue mani da quelle del giovane. «Io non ho mosso un dito per salvare il mondo pur essendo pienamente cosciente di me stessa, e questi sono i risultati!»

A quelle parole, lo scenario cambiò nuovamente e Alekos visse in prima persona l’arrivo della bomba e il suo scoppio in aria, con la conseguente ondata di fuoco e radioattività che ne conseguì.

Astrea attese l’onda a testa alta, ineluttabile quanto la morte, ma lui non accettò passivamente quell’energia dilagante e mortifera.

Si gettò su di lei per proteggerla e, mentre la dea gli urlava di andarsene, di non rimanere vittima di quel fuoco terribile, lui le sorrise mormorando: «Te l’ho detto. E’ inutile rimanere fermi senza agire. E io non permetterò che quell’orrore ti colpisca per l’ennesima volta.»

Astrea fece per ribattere, ma l’onda di fuoco li avvolse e Alekos, colto in pieno da quel massiccio rigurgito di calore e radioattività, gridò. Gridò fino a farsi dolere la gola, mentre la pelle e gli abiti venivano divorati e i suoi muscoli subivano danni terribili.

Astrea allora scatenò tutta la sua forza e, nello spingere via il giovane, urlò: «Salvati almeno tu!»

Alekos non resistette a un tale impeto e, non potendo impedirselo, venne scagliato nuovamente nel suo corpo, sotto gli occhi inorriditi di Psiche ed Eros, che lo avevano vegliato fino a quel momento.

Eros fu lesto a prendere i medicamenti che Esculapio aveva lasciato per i casi di emergenza mentre Psiche, aiutando Alekos a mettersi seduto, gorgogliava terrorizzata: «Tesoro, ma cos’è successo?!»

Alekos tossì copiosamente più e più volte, portandosi le mani al volto e notando così la pelle riarsa dal fuoco, screpolata e rossa, così come gli abiti bruciati e ritorti sulla sua carne. Sgranando gli occhi di fronte a quel disastro – pur non avvertendo ancora pienamente il dolore connesso a simili ferite – guardò turbato una preoccupata Psiche che, con le lacrime agli occhi, esalava: «Agapí, ma che hai fatto?»

Eros si affrettò a togliere di dosso ad Alekos ciò che poteva eliminare senza procurargli dolore e, aggrottato in viso, iniziò a ricoprire la sua pelle coi medicamenti di Esculapio, borbottando nel frattempo: «Ha fatto il maledetto eroe, ecco cosa! Scommetto che le hai fatto da scudo o qualcosa di simile, eh?»

Alekos assentì meccanicamente, per nulla turbato che Eros continuasse a spogliarlo sotto gli occhi di Psiche. In quel momento, la sua mente era blindata in un unico istante terribile, da cui non riusciva a sfuggire.

Gli occhi di Astrea, fissi nei suoi, mentre il fuoco li avvolgeva.

«Miseriaccia schifosa…» brontolò Eros mentre terminava di spogliarlo, così da avere sott’occhio l’intero quadro della situazione. «…sembri un arrosto cotto a puntino. Tua madre mi farà a fettine, quando ti vedrà ridotto così.»

«Lei… non deve…» iniziò col dire Alekos, quando una nube argentata si materializzò nella stanza delle preghiere di Anita, dove tutti loro erano raccolti.

Eros imprecò vistosamente mentre Psiche, colpevole, reclinava il capo alla comparsa di Athena, torva in viso e chiaramente già al corrente delle condizioni del figlio. La gravidanza cominciava a risultare evidente e, se qualsiasi altra donna sarebbe apparsa più docile o fragile, così non fu per Athena, non per la dea della guerra.

«Non devo, cosa? Sapere come stai?» replicò caustica Athena, avanzando verso il figlio con occhi di ghiaccio. «Pensi davvero che, avendo l’anima in comune, io non percepisca il tuo dolore?»

Alekos rammentò troppo tardi quel particolare e, reclinando a sua volta il capo, mormorò: «Scusa.»

Da quando il suo equilibrio psichico era stato ristabilito, il legame tra lui e sua madre era tornato stabile, e questo implicava anche che lei fosse sempre in grado di stabilirne la buona salute o meno.

Nulla di più facile che, con simili ferite, lei stessa avesse ricevuto un contraccolpo psichico – se non addirittura fisico – non indifferente. Il solo pensiero lo fece star male, soprattutto pensando alle particolari condizioni della madre.

Tutto avrebbe voluto, tranne causarle un dolore proprio durante la gravidanza, eppure era successo.

«Scusaci, Athena, non abbiamo fatto buona guardia di lui, e ora…» iniziò col dire Psiche, quando Athena la interruppe con un sorriso.

«No, cara, voi non c’entrate nulla. Eravate qui, mentre Alekos si trovava in un piano psichico ben lontano da voi, perciò non potevate che controllare i suoi impulsi vitali» replicò Athena, inginocchiandosi accanto al figlio mentre Eros terminava di ricoprire le piaghe visibili con l’unguento di Esculapio. «Devo dedurre che le protezioni della nonna non siano servite, stavolta.»

«Diciamo che, stavolta, la bomba mi è esplosa proprio sopra la testa» ammise Alekos, sorprendendo i presenti mentre sollevava i dorsi delle mani per mostrare i segni rossastri lasciati dalla radice di Henna. «A ben vedere, sono le parti più sane, ma anche loro poco hanno potuto, contro quell’energia terribile.»

Sospirando di fronte all’espressione apparentemente imperturbabile della madre, il giovane poi aggiunse: «Abbiamo litigato, e il suo senso di colpa ha fatto il resto. Pensavo che, parlandole di ciò che avevo fatto, di quanto fossi stato vicino a danneggiare il mondo intero, Astrea avrebbe compreso come, in realtà, il confine tra luce e tenebra è assai labile, e non sempre è la tenebra a essere pericolosa. A quanto pare, però, non ha compreso – o voluto comprendere – il mio punto di vista… ed è successo questo.»

Eros gli mosse delicatamente la testa per controllare la condizione del suo cuoio capelluto e, sbuffando, borbottò: «Dovrai fare un taglio radicale, ragazzo. I tuoi bei riccioli sono bell’e che rovinati.»

«Merda» si lasciò sfuggire il giovane, portando istintivamente una mano alla testa, prima di lagnarsi per il gran male al braccio.

«Piano, campione! I tuoi muscoli sono rinsecchiti dal caldo atomico e, prima che tu possa muoverti come si deve, dovrai aspettare diverse settimane» lo rabberciò bonariamente Eros.

Athena sospirò dopo un ultimo sguardo alle condizioni miserevoli del figlio e, nel guardare per un istante la porta della stanza, disse: «Nonna sarà qui tra poco, visto l’orario e, onestamente, non voglio che ti veda così conciato. Le parlerò io e le dirò che la tua uscita dal piano astrale non è andata per il meglio.»

Annuendo, Alekos mormorò spiacente: «Scusa, mamma.»

«Non hai niente di cui scusarti» sospirò Athena, trattenendosi dal carezzargli il viso per non procurargli ulteriore dolore.

La vista del figlio così malridotto le faceva male al cuore, ma sapeva di non potergli impedire di fare ciò che sentiva nel cuore. Era un adulto, e come tale l’avrebbe trattato. Inoltre, comprendeva bene cosa lo stesse spingendo, e non voleva ostacolare in nessun modo la sua ricerca di redenzione.

«Lo porteremo a casa noi, e ci prenderemo cura di lui finché non sarai di ritorno» le promise Psiche.

Athena annuì e, dopo un sorriso al figlio, si diresse verso l’esterno della dependance a piedi, così da non mettere in allarme Anita con entrate in scena estemporanee.

Rimasti soli, i tre si guardarono vicendevolmente finché Eros, ammiccando alla compagna, non disse: «Tesoro, prima che Alekos si ricordi che è nudo come un verme, posso chiederti di raggiungere Esculapio per recuperare altri medicamenti?»

Psiche sorrise divertita mentre il ragazzo si ricopriva di un virgineo rossore – visibile nonostante le copiose scottature presenti anche sul suo volto – e, ammiccando, svanì in una nuvola d’argento profumata di rosa.

«Potevi anche evitare di dirlo, sai?» sbuffò Alekos, guardandosi con aria vergognosa.

«Noi divinità ce ne sbattiamo della nudità, cosa credi?» rise sommessamente Eros, prima di tornare serio e aggiungere: «Ora che non c’è nessuna donna in ascolto, puoi dirmi cos’è veramente successo?»

Alekos storse il naso, di fronte a quella domanda diretta, e ammise: «L’ho attaccata di petto, dicendo che era inutile che lei continuasse a rimanere bloccata nel suo mondo, senza agire in alcun modo per scoprire ove potesse migliorare le cose. Credi abbia esagerato?»

«E’ difficile dire come una donna possa interpretare un attacco del genere…» ammise Eros, pensieroso. «… però, di sicuro, il tuo gesto di proteggerla l’avrà sicuramente colpita. Tra l’altro, perché l’hai fatto? Lei è più potente di te, e poteva reggere molto meglio gli influssi della bomba.»

Il giovane reclinò il viso, di fronte a quell’affermazione e, dopo un lento e pesante sospiro, mormorò: «Non potevo sopportare che altro dolore la colpisse.»

«Oh» disse soltanto Eros, senza esprimere alcun tipo di commento. «Beh, sarà meglio che ti riporti a casa per cominciare il secondo ciclo di cure. La tua pelle ha già assorbito tutta la crema di Esculapio, e credo che le tue chiappe abbiano bisogno di una razione doppia di unguento… cosa che non hanno potuto ancora avere, visto che te ne stai tutt’ora seduto sulle tue stesse piaghe.»

Alekos assentì senza forze, non riuscendo neppure a replicare alle battute di spirito di Eros. Grazie al potere del cugino, quindi, raggiunsero la sua casa in un batter di ciglia dove trovarono ad attenderli la figura accigliata di Érebos.

Era chiaro che Athena avesse già parlato col compagno in merito alla salute del figlio, e che quest’ultimo volesse sincerarsi sulle sue condizioni.

Mentre il dio dell’amore sistemava lenzuola in più sul letto perché il materasso non si inzuppasse di unguenti, Alekos lanciò un’occhiata spiacente al padre, che si limitò a sorridergli comprensivo.

«Immagino facciano molto male» chiosò il dio Ctonio, non arrischiandosi a toccarlo.

«Per la verità, comincio a sentire qualcosa solo adesso… quindi, immagino che il peggio debba ancora arrivare» mormorò Alekos, scuotendo il capo per poi guardarsi le mani, quelle stesse mani che l’avevano sfiorata con delicatezza, quando si erano trovati lungo il fiume.

Pochi attimi dopo, le sue mani l’avevano afferrata con decisione perché non sfuggisse alle sue parole e, da ultimo, l’avevano spinta a terra per permettergli di proteggerla dal fuoco atomico.

Ricordava ancora chiaramente la sensazione di averla accanto, di sentire la scabra consistenza della sua pelle… di percepire il suo rifiuto a comprendere le sue parole.

E poi, quella assurda richiesta!

Salvati almeno tu!

Come poteva avergli chiesto proprio quello? Come poteva pensare che lui potesse salvarsi da solo? Era mai possibile che non comprendesse quanto fosse forte, in lui, il desiderio di salvarla?

Érebos lo fissò spiacente, asserendo: «Vado a chiedere ad Apollo dei calmanti adatti ai casi di ustione. Credo che, nelle prossime ore, ne avrai estremo bisogno.»

Ciò detto, pregò Eros di prendersi cura di lui, dopodiché svanì in uno scintillio dorato.

Rimasto solo con il cugino, Alekos lo guardò con occhi vulnerabili e persi, e mormorò: «Eros… temo di essere nei guai.»

«Già, lo credo anch’io» ammise senza problemi il dio, mentre Psiche faceva ritorno con le creme medicamentose per Alekos.

Nel vederli persi nei rispettivi sguardi, la dea poggiò delicatamente i contenitori sul comodino appresso a lei e, turbata, domandò: «Va tutto bene, ragazzi?»

Eros si limitò a sorriderle e, con una punta di ironia, disse: «Aiutami a stendere un nuovo strato di crema. Ho idea che d’ora in poi Alekos non farà più una piega, in tua presenza.»

«In che senso, scusa?» domandò burbera Psiche. «Sono forse diventata meno bella di prima?!»

Eros rise di fronte al suo palese risentimento e, senza risponderle, iniziò a spargere medicamento sulla pelle già in via di guarigione del cugino. Certi segreti tra uomini, erano inviolabili. Anche se a chiederti lumi era il tuo amore imperituro.

***

Rannicchiata sotto la sua pianta preferita, mentre gli occhi sgranati erano fissi sull’orizzonte senza realmente vederlo, Astrea mormorava incessantemente il nome di Alekos.

Fu così che la trovò Eos.

Per una volta, la figlia non si diede alla fuga e le permise di avvicinarla. Quando però le si inginocchiò accanto, trovò solo una fragile creatura ferita, non la combattiva dea che l’aveva scacciata per decenni senza degnarla di parola alcuna.

Un unico mormorio sembrava ossessionarla, in quel momento e, ancora una volta, non era rivolto a lei, ma forse a nessuno in particolare. Non era però un insulto, una richiesta o una preghiera, a turbarla, ma un nome.

Il nome di Alekos venne ripetuto infinite volte, nel tempo in cui Eos passò accanto ad Astrea e, mai una volta, la giovane dea della giustizia si risolse a spiegargliene i motivi.

Il suo sguardo, perso in un incubo senza fine, era immobile, vuoto, mentre le labbra, ricoperte di ragadi e sangue, continuavano incessanti a lasciar sgorgare dalla bocca il nome del giovane.

Non sapendo che altro fare, Eos carezzò ciò che rimaneva dei bei capelli biondi di un tempo di Astrea e, dando finalmente ascolto alle parole del figlio di Athena, mormorò: «Sono qui con te, amore. Solo questo.»

 


 

 




N.d.A.: direi che l'ultima missione di Alekos non è andata per il meglio. O forse sì? Voi che ne pensate?
  
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