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Autore: _Tati2308    03/06/2020    0 recensioni
Dal testo:
"Tutto questo è sbagliato...Noi siamo sbagliati..."
"No...Noi siamo perfetti, loro sono sbagliati, loro che parlano, ma non sanno niente di noi"
"Una volta la cosa più importante per te era seguire le regole..."
"Tu sei l'eccezione che distrugge la regola"
Anche questa storia, come tutte le altre, è possibile ritrovarle con copertina e capitoli in più su Wattpad, il mio profilo è 19ste77.
Buona lettura ;)
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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Il regno è circondato dai boschi, ma a causa della feccia che li abita ai cittatini di Herz è proibito addentrarvisi. Esce il fumo dai camini delle case, nell'aria si sente il suo odore acre, sicuramente in quelle case ci sono famiglie riunite attorno ad un tavolo intente a cenare parlando della propria giornata. Il piccolo Aaron di soli undici anni è inginocchiato sulla cassapanca sotto la finestra della sua cameretta a palazzo, osserva con sguardo sognante ed incuriosito quei comignoli emettere quelle scie di fumo grigio che entrano in contrasto con il nero del cielo, è una notte senza stelle...Immaginava come sarebbe stato ritrovarsi a mangiare insieme in famiglia, parlare del più e del meno, avrebbe voluto raccontare loro le mille idee che gli passavano ogni giorno per quella testolina ricoperta da folti capelli neri. Lui viveva in un altro mondo però, la sua vita era diversa e il suo destino era stato segnato ancor prima della sua nascita. Il padre di Aaron, Kantaric era un uomo tutto d'un pezzo, discendeva da una potente dinastia, i Delake, maghi purosangue dalle innumerevoli doti magiche. Kantaric conobbe Astrid, la madre di Aaron in giovane età, loro erano promessi sin dal giorno della loro nascita. Non vi fu mai un buon rapporto tra di loro: lei era buona, dolce, amava le persone e dedicava ogni singolo istante della sua vita ad aiutare chi in difficoltà. 
Aaron amava sua madre, era l'unica in grado di comprendere ciò che lui non diceva, perché lei era come lui: una sognatrice, aveva un cuore grande, una vita piena di impegni, eppure trovava sempre un po' di tempo, la sera, per leggere la favola della buonanotte al suo amato figlioletto. Aaron amava quel momento, non tanto per la favola, quanto per il fatto di avere l'attenzione della mamma solo per lui. Ogni sera lei si sedeva sul quel letto troppo grande per un bimbo di soli cinque anni, lo faceva sedere sulle sue ginocchia e si metteva a raccontargli storie che narravano di grandi eroi senza paure. Ed il piccolo Aaron ascoltava accoccolato tra le sue braccia quelle fantastiche storie e sognava di poterne vivere una così anche lui da grande. Voleva lasciare un segno, voleva che il mondo si ricordasse di lui. 
Kantaric, invece, non fu mai una vera figura paterna. Lui si occupava giorno e notte di quello che, agli occhi di un bambino, erano inutili documenti e scartoffie politiche, passava le ore seduto nella Sala Grande a sigillare fogli e a tenere conferenze con i suoi consiglieri. 
Aaron era un bambino diverso dagli altri, si sentiva diverso, ma sua madre ripeteva sempre che se si sentiva diverso era solo perché era destinato a distinguersi dagli altri, avrebbe dovuto regnare e per questo doveva distinguersi. 
Eppure l'unica cosa che davvero aveva sempre voluto era sentire suo padre dire che era orgoglioso di lui, leggerglielo negli occhi esattamente come poteva fare in quelli limpidi della madre. 
Non aveva molti amici, paralava poco e in molti lo consideravano strano, c'era però una bambina, una popolana, lo guardava sempre da lontano, l'affascinava vederlo maneggiare la magia, si dovertiva a vederlo cercare di trasformare un sasso in una rana fallendo sempre miseramente. Aaron si era accorto della ragazzina, non si era mai posto il pensiero di avvicinarsi a lei, aveva paira che potesse trovarlo strano, così aveva sempre finto di non vederla. O almeno era sempre stato così...Era estate e come sempre Aaron si stava esercitando con la magia nei pressi del palazzo reale, in una piccola radura nascosta da qualche salice che la rendeva sicura a occhi nemici, era uno dei pochi posti in cui Aaron potesse stare senza che fosse accompagnato dalle gaurdie reali. La bambina se ne stava lì, nascosta dietro un masso, lo guardava annotando di tanto in tanto qualcosa su un taccuino sgualciti dal tempo che stringeva gelosamente tra le piccole mani pallide 
"Hey tu!" 
Ella sparì dietro il masso che usava come nascondiglio al suono della voce del principino che avvisava di averla scoperta.
"Bambina, guarda che ti ho visto ormai, vieni fuori"
La piccola si fece coraggio e un po' intomorita usci da dietro il masso facendo una riverenza in segno di saluto.
"Perché mi segui?" 
Chiese Aaron, ma la bambina non rispose.
"Hai un nome?" 
Provò di nuovo lui, ma la bambina continuava a stare in silenzio. "Insomma fai come vuoi!"
Decretò infine Aaron irritato dal "mutismo" della ragazzina. Lei rimase ferma per un'istante, poi gli girò attorno e andò a sedersi su un masso poco distante da lì, continuando ad osservarlo praticare le arti magiche. Era ormai passata più di un'ora quando Aaron stanco e infastidito dal sentirsi osservato dalla bambina decise di raccogliere le sue cose per tornare a palazzo.
"Tornerai domani?"
All'improvviso la voce della bambina squarciò il silenzio, Aaron stupito, finse di pensarci un attimo e poi rispose
"Solo se mi dici il tuo nome" 
La bimba lo guardò negli occhi e Aaron si stupì nel vedere che la bimba aveva degli occhi verdi così vivaci da illuminare anche il volto più triste "Sono Emeraude, Emeraude de Fenderwerk" 
Il principino le tese la mano con un sorriso da orecchio a orecchio.
"Io sono Aaron e sì, domani tornerò!" Emeraude sorrise a sua volta, anche se il suo fu un sorriso più timido, senza denti in mostra, e ricambiò la stretta.
Per tutto il tragitto del ritorno a palazzo Aaron fantasticava sulle espressioni che avrebbero assunto i volti dei suoi genitori quando gli avrebbe raccontato che lui, Aaron Delake forse aveva finalmente trovato un'amica, la sua prima amica. Ma quando tornò a palazzo sentendo i genitori discutere decise, per qualche sconosciuta ragione di tenere quel piccolo segreto solo per sé.
Il giorno dopo quando Aaron tornò alla radura, lei era lì, seduta su un masso che lo aspettava, intenta a disegnare qualcosa su quel suo taccuino malridotto tra le mani.
Il tempo passava ed il loro legame era sempre più forte, s'incontravano quasi tutti i pomeriggi, quando il piccolo Aaron veniva lasciato lì per allenarsi, lui le mostrava i suoi progressi trasformando piccoli ciottoli in perle di vetro, cambiando il colore dei fiori i trasformando l'acqua in cristalli di ghiaccio. I suoi poteri necessitavano ancora di molta pratica, il giovane Aaron sapeva che erano molto più forti di tanti stregoni adulti, ma non sapeva come usarli, come controllarli. Eppure Emeraude non aveva paura, se ne stava lì gironzolandogli intorno incuriosita dai colorati fasci di li luce che le mani di Aaron emettevano annotando di tanto in tanto qualcosa su quel taccuino. Un girono Aaron incuriosito le chiese cosa annotasse sempre, ma lei non volle rispondere. Si vergognava a confessargli che in realtà su quel taccuino annotava ogni mossa del ragazzino, lo ammirava talmente tanto, non aveva amici, non sapeva controllare i suoi poteri, eppure non si era mai arreso, ci provava e riprovava sempre. La piccola Emeraude, non ebbe un'infanzia facile e per lei fu davvero difficile non arrendersi, ma quando tutto crollava e il vuoto stava per inghiottirla, un taciturno ragazzino dai folti capelli neri era spuntato dal nulla e regalandole un semplice sorriso le aveva salvato la vita senza saperlo. Per questo lei aveva giurato a se stessa che non si sarebbe arresa mai, perché lui l'aveva aiutata e lei doveva ricambiare il favore. E poi, così male non era, Emeraude non si capacitava di come quel ragazzino potesse non avere amici, è vero, non parlava molto e sembrava sempre arrabbiato, eppure lei sapeva che una volta consociuto si scioglieva come neve al sole.
Nessuno dei due si aspettava però che quell'amicizia così pura fosse destinata ad una fine tanto tragica.
   
 
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