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Autore: Master Chopper    10/06/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 18: Why Do I Kill?

“Sei proprio sbadata, signorina.” Le disse Quetzalcoatl, restituendo il coltello che aveva preso da terra.

Lei se lo portò al petto, mostrando riconoscenza con un elegante inchino.


“Perché… perché non ha deciso di attaccare ?!” Si domandava Tezcatlipōca, con ancora i sudori freddi per il rischio che il suo amico aveva corso poco prima.

Tutti aveva visto chiaramente Charlotte sfoderare un altro coltello, ma poco prima di affondare un colpo che sarebbe stato fatale, si era arresa.

Anche dall’altra tribuna qualcuno era altrettanto perplesso: Marie Antoinette si sorresse la testa sulle dita, mostrando un’espressione corrucciata. “Una mademoiselle tanto indecisa non deve aver successo con gli uomini… chissà cosa le è successo…”

Ladies and gentlemen… questo scontro sembra diventare ogni secondo più inaspettato.” Comunicarono gli spettatori. “Ad oggi non si è mai visto niente del gen-”

“Ehi, voi due !” Urlò a gran voce Quetzalcoatl, chiudendo le mani attorno alla bocca per amplificare quel grido. Il volume fu così alto da sbalordire chiunque, generando anche una raffica di vento che scalò tutte gran parte degli spalti, per poi raggiungere la cabina dove risiedevano St.Peter ed Adramelech.

Nessuno sfidante si era mai rivolto agli annunciatori durante la battaglia, così quei due non seppero davvero come rispondere.

“Ho una richiesta! Potete cambiare questo campo di battaglia? Non mi piace !”

Tutti i presenti si ritrovarono allibiti ed esasperati di fronte al troppo ingenuo e caotico dio.

 

In poco tempo, dalla terra sorsero delle costruzioni di legno, ferro e plastica: altalene, dondoli, pali per l’arrampicata, scivoli, percorsi ad ostacoli ed altri simili giochi da parco. L’arena dove si sarebbe deciso il destino dell’umanità era diventata un parco giochi.

“Che bello !” Strepitava ora Quetz, saltellando da una parte all’altra e con tutta l’energia del mondo. Di colpo spiccò un balzo ed atterrò davanti a Charlotte, che sorpresa sussultò quando lui le prese le mani.

“Signorina! Intanto che aspetto il mio sfidante, giochiamo un po’ ?” Era candido, puro, ed innocente proprio come un bambino, con un lato infantile che non riusciva proprio a sopprimere.

La ragazza, di fronte a tanto genuino entusiasmo, non poté far altro che commuoversi un po’.

Inclinò la testa di lato, sorridendo dolcemente: “Certo …”

Intanto, tutto attorno a loro, aleggiava una grande confusione. Dèi ed umani si chiedevano cosa ne fosse diventato dello scontro, mentre osservavano i due giocare nel parco come dei compagni di scuola a ricreazione.

 

Tuttavia, per quanto quell’atmosfera fosse giocosa e leggera, Charlotte Corday non aveva affatto perso di vista il suo obbiettivo: grazie alla sua Sefirot, Cochma, riusciva a mostrarsi tanto felice e partecipe ai giochi di Quetz, nel mentre pianificava il modo migliore per ucciderlo.

Normalmente sarebbe bastato uno sguardo sbagliato, la classica occhiata che riceve la preda dal predatore in agguato, per far accorgere il dio mesoamericano del pericolo che correva in ogni singolo istante. Ogni volta che era a pochi centimetri da Charlotte, o ogni volta che le dava le spalle, rischiava la vita. Ma non doveva preoccuparsi di ciò, perché era impossibile scorgere nell’intento omicida della sua avversaria.

E proprio guadagnandosi la sua fiducia, la francese poté studiare molto di lui.

Ad esempio, quando dovettero recuperare la corda da arrampicata legata in un punto troppo alto per essere raggiunto, Quetzalcoatl spiegò un paio di ali verdi e rosse per librarsi in volo. In quella forma pareva essere più veloce di quanto un occhio umano avrebbe potuto rendersi conto.

Oppure, in un momento più rilassante in cui i due giocarono a chi riusciva a schiaffeggiare le mani dell’altro, Charlotte si ritrovò a mancare ogni singolo colpo. Tuttavia, quando si lasciò prendere apposta dal dio, si accorse che la sua forza e la sua velocità di riflessi non era affatto sopra il normale.

-È chiaro, allora …- All’interno della sua mente, dove poteva dare sfogo ai suoi veri pensieri ed impulsi, qualche ingranaggio cominciò a muoversi.

-Quando l’ho attaccato per la prima volta, il coltello mi è stato respinto… e allo stesso modo, con il secondo attacco non sono riuscita a scalfirlo. Eppure non ha evitato tutti quei colpi coscientemente: ha una barriera che lo protegge !-

E a quel punto, osservandolo da vicino e potendo stare attenta a tutti i suoni che produceva il suo corpo, poté accorgersi di un frusciare appena udibile, ma impetuoso, proveniente da una strana aura che gli permeava la pelle.

-Certo !- Gli occhi di lei si spalancarono, riconoscendo quell’ostacolo che avrebbe dovuto superare per portare a casa la vittoria: -Il vento !-

L’armatura di vento che ricopriva Quetzalcoatl era quasi sempre attiva, tranne quando lui voleva volontariamente toccare qualcosa, come era successo prima quando l’aveva presa per le mani. Allora, se mai l’avesse eliminata per sua volontà, sarebbe stato indifeso.

Il “come fare” fu a quel punto la domanda che tormentò Charlotte di secondo in secondo, mentre fingeva di godere della compagnia di quel ragazzino.

 

Insieme tuttavia si divertirono con tutti i giochi che quell’inaspettato parco aveva da offrirgli.

“Sai, mi ricorda la terra in cui sono nata …” Confessò d’un tratto Charlotte, mentre si riposava su di una panchina.

“C’era un parco giochi ?” Domandò curioso Quetz, facendola sorridere.

“No, ero in campagna… ma giocavo tutto il giorno con le mie sorelle, e le amiche delle fattorie vicine. Poi, quando sono andata a vivere in convento ed infine in città, non ho avuto più tempo per giocare.”

“In città non c’era un parco giochi ?” Insistette lui, ma stavolta senza divertirla. Charlotte si incupì un po’, chinando il capo e lasciando che l’ombra del cappello le nascondesse il volto.

“Non era… esattamente un posto in cui divertirsi.”

Si poteva percepire tristezza, amarezza e malinconia, come quando si parla di tempi perduti, ma anche qualcos’altro: una sensazione che ti fa arricciare il naso, sentir caldo alla faccia e contorcere le interiora.

Accorgendosi di aver stretto i pugni per la rabbia epr tutto quel tempo, Charlotte decise di darsi una calmata. Tornando a dissimulare la facciata che aveva avuto fino ad allora, guardò il dio con un sorriso smagliante.

Lo vide, sorprendentemente, assorto nei suoi pensieri ed un po’ già di morale rispetto al solito.

“Ti va di giocare a Ce l’hai ?” Domandò lei, distraendolo da quell’attimo di curiosa introspezione. Lo vide annuire energicamente.

“Però ti avviso: io sono davvero imbattibile ad acchiappare !” Quetzalcoatl si gonfiò il petto, carico di orgoglio.

“Oh, ma immagino …”  Charlotte non si scompose affatto, ed anzi mantenendo vivo quel sorriso giocoso, non esitò un istante a strapparsi la gonna esattamente al centro. Questo gesto inaspettato lasciò di stucco sia il dio che tutto il pubblico circostante, dopodiché lei infierì, strappando anche tutta l’estremità inferiore e lo strascico.

Ora, con le gambe nude e scoperte fino al ginocchio, il suo sguardo si fece più intenso e serio, per quanto continuasse a sorridere.

“ Però non sarò da meno !” Annunciò provocatoria, per poi saettare via.

L’imprevedibilità di quanto era successo fece tentennare il dio per qualche secondo, dopodiché venne scosso da un tremito. Scoppiò a ridere.

“Sì, così mi piaci !” Sghignazzò, acquattandosi come un felino per poi scattare all’inseguimento.

 

“È diventata una gara di… acchiapparella ?!” I due cancellieri e presentatori erano sbigottiti, tuttavia presero a fare la cronaca anche di quell’inseguimento.

Nonostante i movimenti di Quetzalcoatl fossero fluidi come il vento, rendendolo capace di sgusciare tra le costruzioni con grande scioltezza, Charlotte nascondeva la sua presenza dopo esser scomparsa dal campo visivo avversario, così da mantenere un netto vantaggio. La sua resistenza però non era minimamente al livello del dio, che instancabile ribaltava tutto il parco giochi pur di trovarla, mentre lei era costretta a prendere un respiro ogni tanto.

L’inseguimento proseguì proprio vedendo la distanza tra i due accorciarsi esponenzialmente, finché la ragazza non poté più sparire dalla vista di Quetzalcoatl. Era a portata di braccio.

Charlotte si diresse verso il cortile di sabbia dove avevano fatto qualche castello.

Un altro po’ di accelerazione e l’avrebbe raggiunta.

Lei spiccò un balzo. Distese in avanti le gambe più che potesse, mostrandosi agile come un’atleta. Incespicò nel vuoto, e quando atterrò sotto i suoi piedi si trovò inavvertitamente qualcosa.

Intanto Quetzalcoatl l’aveva raggiunta.

Ma quel secondo, inteso come tutto ciò che costituiva quel lasso di tempo tanto breve quanto importante, faceva parte del piano di Charlotte. La ragazza infatti era atterrata su di una paletta, di uso comune per fare le costruzioni di sabbia, ma che in quell’istante si dimostrò una trappola: dopo aver calpestato l’estremità larga, il manico della paletta si sollevò, diventando così un ostacolo davanti alla caviglia del dio.

Lui inciampò, e così fece anche Charlotte, con la sola differenza che lei si era voltata di centoottanta gradi durante la caduta, come per fare da materasso al ragazzo. I suoi intenti però erano molto meno nobili, come dimostrava il coltello che aveva estratto, e sopra il quale precipitò il suo bersaglio. Com’era nei piani.

 

-No !- La ragazza percepì la pressione del vento schiacciarla, ed in quell’istante, in bilico tra la vita e la morte, i suoi sensi si fecero più acuti per rispondere ad ogni domanda.

-Il vento… c’è ancora !- Lo scudo attorno al suo bersaglio era ancora lì, non si era affatto dissolto, ed ora stava facendo rotta di collisione contro la punta della lama.

-Se me lo dovesse respingere adesso… !- Vide già quel coltello venir scagliato nel suo corpo con la forza di un proiettile, e bastò la semplice visione per farle accapponare la pelle.

Spalancò le braccia allora, e come se nulla fosse successo afferrò il ragazzo al volo. In quell’abbraccio improvvisato, caddero sulla sabbia senza farsi male, o meglio, senza morire. Un solo attimo di troppo avrebbe cambiato il corso di quello scontro, ma nessuno lo seppe mai.

Dopo aver comunque accusato una bella botta sul petto, la ragazza mugugnò: “Stai bene ?”

Una domanda ironica da parte di chi l’avrebbe voluto morto.

Lui non le rispose, così insistette: “Stai… bene ?” Ma la voce le morì in gola.

Quello che si ritrovò davanti non era più il giocoso bambino di prima, bensì una creatura mostruosa: la sua pelle si era spaccata in scaglie spigolose, mentre zanne e corna bianche come l’avorio crescevano a dismisura. I colori delle sue piume si erano fatti d’un tratto più feroci, come un ispido mantello di morte.

Un odore sulfureo si levò dal suo corpo.

Prima ancora che Charlotte potesse dire qualcosa, notò con la coda nell’occhio dove fosse concentrato lo sguardo del bambino: sul suo stesso ginocchio, dove una piccola ferita, una sbucciatura, lasciava intravedere il rosso del sangue. Poi, con una scintilla, l’aria prese fuoco.

 

“Ladies and gentlemen !” A stento la voce ai megafoni riuscì a sovrastare il rombante divampare della colonna di fuoco che era esplosa nel campo di battaglia.

“Finalmente abbiamo un assaggio della tremenda furia di Quetzalcoatl !”

Di fronte a quella manifestazione di potenza divina, gli stessi dèi furono sbalorditi, mentre gli umani atterriti.

Tezcatlipōca si limitò a deglutire per lo shock, rilassando poi la schiena sul suo posto a sedere. Fischiò d’ammirazione, ma qualcosa dentro di lui lo rendeva inquieto.

“Quetzalcoatl …” Mormorò, lasciandosi ad un tempo primordiale di cui pochi avevano memoria.

 

“Quetz! Ti piacciono gli umani ?” Aveva domandato al dio, una volta che era sceso a trovarlo sulla Terra.

A turno, loro due ed altri dèi avevano scelto di occuparsi degli umani per rendere il loro mondo un posto migliore. Il suo tentativo, chiamato il Sole di Tezcatlipōca, era stato poco efficace: a causa della ferita riportata contro Cipactili, le sue energie erano state insufficienti per alimentare un sole che donasse abbastanza luce agli esseri umani. E, dopo la decisione unanime di passare il tentativo ad un altro dio più in forze, era toccato proprio a Quetzalcoatl.

Con la potenza smisurata del dio, il sole ardeva intensamente, alimentando di rimando anche l’energia negli uomini. Si svegliavano al levar del sole, e lavoravano fino a quando non calava oltre l’orizzonte. In breve, costruirono una civiltà impressionante.

Tuttavia, a quella domanda posta un giorno da Tezcatlipōca, il dio serpente piumato aveva risposto: “No.”

Se ne stava seduto da solo su di una montagna, con la testa incassata tra le ginocchia a disegnare cerchi sulla terra. Il dio giaguaro, sorpreso, lo guardò con perplessità.

“Che hanno questi umani che non ti piacciono ?”

“Non giocano con me. Stanno sempre tra di loro.” Borbottò infantilmente l’altro. Questa reazione suscitò inevitabilmente un risolino in Tezcatlipōca, ma cercò di trattenersi per rispetto del suo amico.

“Dai, dai, non fare così… sono sicuro che prima o poi giocheranno con te.”

“Ho detto… che non mi piacciono.” Puzza di zolfo.

Il dio si mise in allerta troppo tardi, quando già le nuvole si erano ammassate, nere come un cielo senza stelle e senza sole, sulla terra degli umani. La pressione dell’aria fu schiacciante, crepando il suolo e scuotendo le montagne.

“Non potremmo semplicemente… spazzarli via, e provare con un altro sole ?”

Nella completa oscurità, gli occhi grandi ed ingenui di Quetzalcoatl brillavano, aspettandosi una risposta dall’amico. Tuttavia il dio giaguaro era rimasto senza più parole, contemplando un mondo che era di colpo sprofondato nelle tenebre, e dove l’umanità era stata annientata a causa di un capriccio.

 

“Potremmo… fare un altro gioco a tua scelta… ti va ?”

Sfidando l’ardere delle fiamme che divampavano, i fumi infuocati e la spaventosa morte scarlatta che la minacciava, una tenue voce parlò.

Nel dolore parve delicata come una carezza, o forse un abbraccio. Come l’abbraccio che ora vedeva Charlotte stretta al corpo di quella pira umana che era diventato Quetzalcoatl, con i suoi occhi furibondi di un bianco accecante.

“M-Ma… ma io mi sono fatto male !” Nel fuoco, il dio pianse disperato, e due lacrime rosse gli colarono lungo il viso. Tuttavia la ragazza, resistendo per un dolore infinite volte più intenso, rise: la sua risata era pura e nitida come il gorgogliare di una sorgente.

“Quello? Non è niente. Guarda come passa …” Si chinò ginocchio del dio, e poggiando le labbra su quella pelle incandescente, gli baciò la ferita. Nessuno avrebbe mai potuto credere a quell’evento, se non l’avessero appena visto con i propri occhi.

E, ancor più incredibile, fu ciò che seguì: la pira di fiamme che raggiungeva il cielo si smorzò, fino ad estinguersi in un filo di fumo dissolto nell’aria. Dalla tempesta, alla calma.

Quetz guardò ai suoi piedi, ancora tremante e con il volto bagnato dal pianto: Charlotte sopportava le ferite, marchiata dal fuoco, e con abiti quasi del tutto distrutti, pareva la creatura più bella del creato. Con il sorriso che ora gli rivolse, ripetendo quel “allora, lo scegli tu adesso il gioco”, fece perdere un battito al cuore del dio.

Arrossì, e più in fretta possibile si asciugò la faccia dalle lacrime. Non voleva più farsi vedere come un bambino piccolo.
“V-Va bene, signorina !” E, inorgoglito, mostrò un sorriso smagliante. “Facciamo un gioco della mia terra !”

 

Ladies and gentlemen… a che cosa abbiamo appena assistito ?” Dissero gli annunciatori, con la voce ridotta appena ad un sibilo per lo shock. Tutti i presenti avevano visto quell’esplosione di energia, impressionante persino per un dio, spezzata semplicemente da un gesto amorevole di un’umana.

“È come la favola del topo che toglie la spina dalla zampa del leone.” Commentò Danton, venendo giudicato con un’occhiataccia dall’altro rivoluzionario, Robespierre.

“Ma che dici?! Un’assassina rimane tale, per quanto possa fare qualcosa di buono !”

Ed il pittore David, rimanendo in disparte con i suoi pensieri, assottigliò lo sguardo e si arrovellò il cervello: -Assassina? Sì, è giusto dire che l’obbiettivo di Charlotte è quello di uccidere Quetzalcoatl, ma… ciò che ha fatto adesso era davvero una finzione, un gesto tanto materno e benevolo ?-

Simile fu la riflessione che portò Fobetore ad esclamare: “Ho capito !” E guardando i suoi due compagni: “Sta cercando di uccidere  NON Quetzalcoatl, ma la sua voglia di lottare !”

E, su per le tribune degli dèi, lo stesso pensiero stava angosciando anche il dio giaguaro Tezcatlipōca.

- Quetz… che ha distrutto l’umanità per capriccio! Quetz… che ha un potere spaventoso persino tra gli dèi, ma che è troppo immaturo per controllarlo …- Iniziò a sudare copiosamente, cercando però di non darlo a vedere.

-Effettivamente questa sua ingenuità potrebbe costargli caro! Specie se il bersaglio di Charlotte non è il suo corpo, protetto dall’impenetrabille Barriera di Xolotl… bensì quel suo lato sempliciotto. Se lo spinge ad arrendersi per pietà, si risparmierebbe un cadavere, ma comunque porterebbe la vittoria agli umani …-

La battaglia era lungi dal terminare.

 

Il gioco della terra di Quetzalcoatl si rivelò essere il pok-a-tok, di origine maya. Il dio ordinò che apparissero due piccoli canestri a forma di anello su di una parete dall’arena, in modo che la cavità di uno fosse di fronte a quella dell’altro.

Poi, presa una palla di gomma, la fece roteare sul dito e spiegò: “Tutto ciò che devi fare è mandare la palla nel canestro avversario. Però non puoi usare mani e piedi, questa è l’unica limitazione. Puoi usare ginocchia, fianchi, pancia, testa …”

Mentre lei si perdeva nella spiegazione, intanto la regina Marie Antoinette era contentissima nel vedere finalmente un gioco non violento.

Parbleu! Sembra fantastique! Voglio giocare anche io.” Diceva entusiasta.

“Secondo le regole, la squadra perdente viene sacrificata agli dèi, e le teste bruciate nel fuoco.” Aggiunse un guerriero maya, rovinando completamente la sua aspettativa e facendole mettere su il broncio.

“Ah, grazie tante, eh!”

 

“Credo di aver capito, fammi provare.” Charlotte fece cenno all’altro di passargli la palla. Il passaggio venne eseguito con un atletico e preciso colpo di anca, tracciando una parabola nell’aria. Stranamente però, la ragazza non si preparò ad accoglierlo, e rimase ferma, con i piedi per terra.

All’ultimo secondo si mosse: sollevò il coltello e colpì la palla. Tutti si aspettarono che l’avrebbe sgonfiata, invece la rinviò al mittente con un passaggio alto.

Persino Quetzalcoatl rimase sbalordito. Poi sentì l’odore del sangue.

“Charlotte… !” Sussultò Adramelech, venendo seguito da St.Peter: “… ha deciso di ferirsi ?!”

Sembrava una follia, eppure era chiaro e palese sotto gli occhi di tutti: la francese non stringeva il coltello dalla parte del manico, bensì dalla lama. Le sue mani si erano ferite nell’impatto con la palla, tuttavia, ignorando quelle stille di sangue che scivolavano fino a terra, lei rimaneva impassibile.

“Niente mani.” Disse con sfrontatezza, come per smentire una qualsiasi opposizione a ciò che stava facendo.

Dopodiché, recuperò anche il secondo coltello e lo scagliò in avanti.

 

Gli spettatori trattennero il fiato.

“Ma cosa fa?! C’è la protezione, se l’è dimenticato !” Strillò Ammitt, sorpreso da quel gesto sconsiderato.

Al contrario, Tezcatlipōca balzò in piedi, cogliendo l’attimo: “Ora, Quetz! Ora ti ha mostrato il suo vero intento, uccidila !!”

E tutte le urla di umani e dèi, ognuno che trionfava speranzoso per la propria avanguardia, si spensero in un battito di ciglia quando altro sangue venne versato nell’arena.

Senza alcuna Barriera di Xolotl a proteggerlo, ora Quetzalcoatl aveva un coltello che gli sporgeva esattamente al centro del petto, conficcato nella carne tenera fino all’osso.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Spero vi stia piacendo il proseguo dello scontro! Parliamo un po’ di curiosità:

Per l’aspetto di Quetzalcoatl, o meglio per i colori, mi sono basato sull’animale realmente esistente che gli dà il nome, ovvero il Quetzal. In poche parole il nostro Quetzalcoatl è come un piccolo uccellino, ma con un’armatura a scaglie e occhi da serpente.

Poi, so che il potere di Charlotte sembra inutile, ma mettiamola così: se qualsiasi persona che avete attorno, anche qualcuno che vi è sempre stato vicino (famiglia, amici, il portinaio etc.) volesse uccidervi… quanto facilmente ci riuscirebbe? Sicuramente tantissimo, perché c’è l’insospettabilità che quella persona possa volervi uccidere, e questo vi porterebbe ad essere vulnerabili in qualsiasi istante della vostra vita attorno a lei. Ecco spiegato ciò che sta succedendo tra Charlotte e Quetz… anche se lui, lo avete capito, ha una barriera di vento sempre attiva per proteggerlo anche quando ha la guardia abbassata.

Eppure…! Nel finale sembra essere successo qualcosa. Come mai la barriera non era alzata? Se volete, potete provare ad indovinare.

Ok, un’ultima cosa: la prossima settimana ho un esame importante, forse l’ultimo che mai affronterò in vita mia, e per questo potrei decidere di passare un po’ di tempo a studiare (il che, detto da me, sembra un’assurdità perché nella mia carriera da studente penso di non aver mai studiato seriamente un bel nulla). Quindi potrebbero esserci dei leggeri spostamenti nella pubblicazione del prossimo scontro. Vi farò sapere tra due giorni.

A domani!

   
 
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