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Autore: breezeblock    10/06/2020    4 recensioni
Non sapeva dire con esattezza quando si era perso. Sta di fatto che adesso faticava a ritrovarsi, tra quei ricci ribelli e morbidi, tra i lembi di stoffa del suo vestito color indaco, nell’incavo del collo che il suo maglione largo lasciava scoperto, nella sua bocca che sapeva di tè al limone. Si era perso in quel labirinto che sapeva di lei, c’era scivolato dentro e adesso annaspava per trovare una via d’uscita. [...]
La Granger alimentava i suoi desideri con i fiammiferi e poi li estingueva con secchiate di acqua gelida, tutto con la stessa bocca carnosa maledetta. [...] Sarebbe finito al San Mungo entro la fine dell’anno, di questo era ormai certo.
IN REVISIONE
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Muggle Studies - The Years '
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Eccomi qui con l'ultimo capitolo! Il prossimo sarà l'epilogo e arriverà davvero la fine!
Non so davvero cosa dire, se non che sono felicissima di essere arrivata fino a qui e che spero questa storia vi abbia tenuto compagnia come l'ha tenuta a me scrivendola. Un pezzo che leggerete durante il capitolo verrà forse chiarito meglio in una one shot che scrissi un po' di anni fa e che sto adattando alla storia perché senza accorgermene avevo creato alcune situazioni che qui si sono dispiegate completamente.
BUONA LETTURA.



 
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Muggle Studies 


12.
 
 
Used to talk about where we'd be 
and where we'd go
Now we know
Is it safe to just be who we are?
 
 
 
Poteva sentire il fumo della sigaretta bruciargli gola e polmoni. Aveva perso il conto di quante ne aveva fumate ma ormai era certo il numero fosse oltre a quello solito, che comunque era tanto. Era seduto al falò insieme a qualche suo compagno Serpeverde, ma non il solito gruppetto con cui bighellonava ogni tanto; Astoria era completamente presa da Leo, facendogli intuire che quelle due settimane di vacanza avessero giovato a entrambi. Blaise si era da poco fidanzato “ufficialmente”, così diceva, il che significava aver fatto disperare la metà delle ragazze di Hogwarts. Comunque Draco non avrebbe scommesso nemmeno un galeone in suo favore, era sicuro che nel giro di un mese tutto sarebbe tornato normale. Questa speranza però non l’aveva per sé stesso. 
Era uscito da quel tunnel in fretta e furia perché non sapeva cosa dirle, perché non voleva risponderle e perché infondo non voleva ricascare ai piedi di quegli occhioni color cioccolato. Scappare era praticamente l’unica soluzione plausibile, ormai aveva toccato il fondo. Ma quell’antico senso di vergogna che lo aveva così tanto perseguitato qualche anno prima, era del tutto scomparso. Non provava ribrezzo per come si era ridotto, né voleva disonorare i suoi sentimenti ancora a lungo, aveva finito con il crocifiggersi da solo. Da lì in poi avrebbe semplicemente preso atto del fatto che quella condizione, l’innamoramento, sarebbe stata una cosa passeggera se non alimentata. E come poteva esserlo, visto che l’unico soggetto di quell’amore era così lontano da lui e neanche era a conoscenza di ciò che provava. 
Infondo, seppur cambiato, un briciolo di orgoglio gli era pur sempre rimasto, non si sarebbe mai esposto al rischio, ormai molto probabile, di non essere ricambiato. Perché prendere un due di picche quando poteva semplicemente evitare di giocare? È quello che avrebbe fatto, sarebbe stato lontano dai giochi, tanto ormai gli unici modi impliciti attraverso cui si era espresso con lei, non erano stati colti positivamente. Draco Malfoy aveva perso la sua partita per l'ennesima volta. 
Divertente la coincidenza che si mostrò ai suoi occhi non appena finì di pensare alle battaglie perse. Il prescelto gli stava venendo incontro e praticamente in confronto a lui Draco era un perdente e uno sfigato nato, accecato dalla luce che il sopravvissuto emanava. Essere un antieroe faceva schifo. 
Draco si alzò barcollando un po’. Prese una bottiglia di non sapeva cosa e iniziò a seguire Harry, che nel frattempo aveva superato il suo falò e sembrava dirigersi verso un punto indefinito in disparte.  
“Che vuoi?” fu lui il primo a parlare. Non aveva idea del motivo per cui adesso gli ronzavano intorno così tanti Grifondoro, dal momento che l'unica Grifondoro che voleva non c'era.
“Si può sapere che stai combinando?”, Harry aveva tutta l’aria di uno che aveva bevuto e che adesso voleva provocare.
“Ma di che cosa stai parlando?” Draco buttò giù un sorso di quello che apprese fosse weaskey. Non andava nemmeno matto per quel tipo di alcolico ma in quel momento avrebbe preferito bere persino fuoco piuttosto che continuare a parlare con lui, che più che altro invece che parlare aveva già iniziato ad accusarlo di chissà cosa.
“Senti, giuro che se anche provassi a farle del male questa è la volta buona che ti ammazzo”.
Senti, non ho idea di che cosa cazzo tu stia parlando e smettila di puntarmi la bacchetta addosso, non sei nemmeno lucido, rischi seriamente di cavare l’occhio a qualcuno”, lo schernì Draco.
“Non sai di cosa parlo? Allora spiegami, quello cos’è?”, Harry indicò con la bacchetta un punto non molto lontano in cui Hermione Granger era bagnata dalla testa ai piedi, completamente vestita, rideva e scherzava con alcuni studenti di Corvonero, ed era vicinissima ad Alister. Una vicinanza che ovviamente Potter trovò insolita. 
“Vallo a chiedere a lei, a me sembra sia solo ubriaca, come te”. 
“Malfoy ti avverto, se scopro che lo sta facendo per farti incazzare e poi è l’unica che soffre ti giuro che io...”
“Stanno insieme, pezzo di idiota”, chiarì subito il Serpeverde interrompendolo. Buttò giù un altro sorso perché quella conversazione era veramente assurda. 
“Cosa?”
“Già”.
“Vuoi dire che tu e lei non…?”
“No, cazzo, no! Abbassi questa bacchetta adesso? Altrimenti giuro che la spezzo e la butto nel lago”. 
Harry abbassò la bacchetta, ma aveva le idee più confuse di prima. Hermione non gli aveva parlato del ragazzo con cui adesso sembrava se la stesse spassando a suon di risate e bevute. Non l’avrebbe mai capita del tutto, quella ragazza. E non avrebbe mai capito Malfoy, che era rimasto in attesa che lui dicesse qualcosa. Sembrava avesse voglia di creare scompiglio, e per quanto lo riguardava, lui era così ubriaco che probabilmente avrebbe ceduto alle provocazioni del Serpeverde come mai aveva fatto prima d’ora.
“Siete davvero impossibili”, decretò poi, con la tipica solennità da sopravvissuto.
“Cosa? lei ti ha detto...?”
“Mi ha solo detto che l’hai aiutata con una faccenda privata, ma il resto si capisce da solo, andiamo guardatevi”.
Draco si sentì offeso. Cosa c’era da guardare? La sua follia era ormai nota a tutti? Quella faccenda avrebbe finito per metterlo sicuramente in ridicolo e lui non stava impedendo che succedesse, il che era l’ennesima prova di quanto effettivamente fosse cambiato e di quanto poco teneva all’opinione degli altri. Questo però pensandoci meglio, era sempre stato un suo pregio, perché mai dall’alto della sua superiorità si era preoccupato dell’opinione altrui. I suoi sentimenti e la sua forza interiore che aveva dimostrato negli ultimi mesi non avevano fatto altro che accrescere questa distanza tra lui e le malelingue, che era sicuro ci sarebbero sempre state e che quindi non avrebbe potuto comunque ostacolarle. Tanto valeva essere semplicemente sé stesso. 
“Cosa ci sarebbe da guardare? È con lui che scopa, in ogni caso”.
“Malfoy! Ti prego, non scendere in questi particolari, è della mia migliore amica che stai parlando”.
“Già, sto pur sempre parlando con un Grifondoro, che cosa pensavo?”, rispose lui ironicamente. Harry gli rivolse un’occhiataccia che però Draco finse di non cogliere, poi sprofondarono in un religioso silenzio.
“Senti, non so cosa sia mai successo tra voi, né ci tengo a saperlo, ma mi sembra felice”.
“Ci credo, guardala, è così sbronza che non mi stupirei se svenisse adesso”, nel dirgli questo Draco non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dalla Granger. A quel gruppetto si erano aggiunti anche Ginny, Astoria e Leo. 
“Non parlo di com’è in questo momento, idiota”.
Draco era incerto se continuare. Rimase un momento in silenzio, ma poi, vinto dalla curiosità e visto che ormai lo sfregiato sembrava fosse a conoscenza di tutto, si morse un labbro e poi parlò.
“Ti ha..ti ha detto qualcosa? Di me intendo?”. Non credeva che un giorno avrebbe mai fatto questa domanda a qualcuno, lui che delle sue questioni sentimentali se la sbrigava da solo. E soprattutto non c’erano mai questioni sentimentali, solo puramente fisiche. Era proprio arrivato alla frutta.
“Tu si che ci sai fare con le ragazze, eh Malfoy?”, Harry gli rispose ironicamente, perché quello che aveva davanti non poteva essere sul serio quel Malfoy di cui quasi tutte le ragazze a scuola bisbigliavano sottovoce il nome ridacchiando e arrossendo.
Notando che non ricevette alcun insulto dal Serpeverde, continuò.
“Non mi ha detto nulla, te l’ho detto, mi ha solo parlato di quello che hai fatto per i suoi genitori, ma era..strana, capisci che intendo?”
“No, non capisco Potter”, ed era la verità. Ignorava cosa IL Grifondoro per eccellenza volesse dire con “strana”.
“Quel tipo di strano lì, Malfoy. Lo sei anche tu proprio in questo momento, avete la testa altrove, gli occhi che vi brillano, sembrate due scemi”. 
Alla faccia della sincerità, pensò Draco.
“Anzi, per la verità lo scemo mi sembro io che sto qui a parlare con te di queste cose”, continuò poi.
“È felice, Malfoy. A giudicare da questa scena non so dire se sia felice per te o per quell’altro tipo, come hai detto che si chiama?”
“Alister, Potter. Lo conosci da sette anni”.
“Ah, già. Mi sembra un bel tipo”.
“Insomma che ci fai ancora qui?”, era ormai fin troppo ubriaco e spazientito per poter continuare quella specie di conversazione con lui. La prima pacifica conversazione che ci fosse mai stata tra loro.
“Solo a controllare che non fossi stato il motivo per cui si è sbronzata così malamente ed è in braccia sbagliate”, Harry gli disse tutto questo in modo serissimo, non sembrava più nemmeno così ubriaco come quando aveva iniziato quel discorso apparentemente privo di logica.
“Ma chi sei la posta del cuore? Fila via”, Draco lo mandò via senza nemmeno voltarsi. Lo guardò solamente quando lui cominciò a fare dietro front ed era ormai di spalle.
Odiava ammettere che qualcun altro avesse ragione e lui torto, ma quello che forse odiava di più era che fosse proprio il sopravvissuto ad avere ragione.
Tornò con lo sguardo su Hermione e si accese una sigaretta. Non aveva mai pensato all’eventualità che Alister fosse solo un ripiego. Ma d’altronde perché avrebbe dovuto pensarlo? Nessuno dei due si era tecnicamente fatto avanti e nessuno dei due aveva tecnicamente rivelato i propri sentimenti.
La cosa che adesso lo faceva sorridere amaramente era che all’inizio di tutta quella storia, il loro rapporto era sempre stato cristallino. Gli insulti e i sospetti e i pugni in faccia non erano mai velati, al contrario, sempre esplicitamente palesati. Così come erano stati sinceri la sera del Ballo del Ceppo, e quelle a seguire. Non gli era chiaro da che momento in poi avevano smesso di essere totalmente sinceri e cristallini l’uno con l’altro. Che Alister fosse il risultato di quel nebuloso rapporto e di quella mancata chiarezza? 
Non poteva saperlo con certezza e mai avrebbe indagato. Era stanco, la Granger era libera di fare ciò che voleva, se la faceva stare bene. D’altronde, fu proprio quello che lui le disse la sera del loro primo bacio, quello che Draco quasi subì come un attacco e una sorpresa, quello che meno si aspettava ma che più agognava.
Di fronte a quella consapevolezza, arrivò alla fine del filtro della sigaretta, e si rese conto che seppure lei fosse felice e seppure quella felicità non fosse dovuta a lui, Draco non avrebbe mai potuto avercela con lei, anche nonostante tutte le scelte sbagliate che lei aveva preso, anche se la scelta più sbagliata di tutte fosse stata proprio lui.
 
 
 

Ormai mancavano solo alcune settimane prima della fine delle lezioni di Rune Antiche, alle quali sarebbero seguiti gli esami finali, ed Hermione, che in quella disciplina (e non solo) era la prima della classe, non voleva assolutamente perdersi nemmeno l’ultima delle nozioni che aveva da divulgare la professoressa Babbling. La verità era che per quanto il suo spirito da perfetta e puntuale studentessa non tardasse mai a palesarsi quando si trattava di studiare, concentrarsi sulle lezioni era l’unico modo che aveva per non pensare all’unica cosa che ultimamente le occupava prepotentemente i pensieri. Non aveva più parlato con Draco dall’ultimo incontro nel tunnel, quella volta in cui pur di parlargli gli aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente. Quel silenzio la torturava lentamente e le lasciava sempre la gola secca. 
Tornò a concentrarsi sulle rune, cercando di non volgere lo sguardo alla finestra e alla bella giornata che si proiettava sulle vetrate. L’esercizio del giorno consisteva nell’estrarre cinque rune, ognuna delle quali rappresentava una fase di un percorso. All’inizio dell’estrazione, ogni studente doveva tenere a mente un percorso in particolare, sia uno appena terminato, sia uno appena cominciato o in corso. Dopo l’estrazione sarebbe avvenuta la lettura e l’interpretazione. I pensieri di Hermione arrivarono a un giorno lontano. Pioveva, e nonostante l’acqua scrosciante che si abbatteva sui muri aveva deciso comunque di uscire. Era l’ora di cena, tutti erano in Sala Grande. Ginny l’aveva spronata a scendere con lei, ma optò per rimanere nella sala comune, fino a che quel pensiero irruento non le suggerì di uscire.
Si spinse oltre il ponte, e si fermò poco prima della casa di Hagrid, sull’altura circondata da quei massi di pietre altissime che poi l’anno successivo furono rimosse perché dichiarate pericolanti.
Era il quarto anno ed Hermione aveva quattordici anni e le idee un po’ confuse. Ripensando a quell’anno, ricordava distintamente i sentimenti ancora indefiniti ma pur sempre profondi che iniziavano a tessere un filo sottile verso il cuore di Ronald. Ricordava il dolore provato al suo primo Ballo del Ceppo, le lacrime versate in cima alle scale, lo sguardo colmo di imbarazzo e di sdegno di Malfoy.
Ripensò a Malfoy. 
Nonostante la giovane età, sembrava un fiore che aveva appena finito di spiegare i suoi petali chiari e algidi. I lineamenti del viso erano ancora leggermente arrotondati ma era già molto alto e longilineo, le braccia toniche, le spalle larghe e salde, non ancora gravate dal dolore. Entrambi conoscevano i fronti su cui si sarebbero un giorno schierati. Erano l’uno contro l’altro da un po’ di tempo, l’anno prima gli aveva persino piazzato un pugno in pieno viso facendolo sbattere contro una di quelle grandi pietre ora inscurite dalla pioggia fitta. Eppure, era da un po’ di tempo che non la chiamava mezzosangue, quel nome spregevole che l’aveva definita e confinata in una posizione scomoda, in un posto buio e freddo dove dimorava la sua paura di non essere mai abbastanza, di essere per sempre bloccata nel suo stato di natura. Nel fango. 
Lui però aveva smesso e lei era tornata invisibile. Solo che lui invisibile non lo era per niente. Hermione diciassettenne si ricordò della prima volta in cui si accorse della differenza. Erano a lezione di volo e le posizioni sulle quale si stavano esercitando richiedevano perfetto equilibrio ma anche velocità e destrezza. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto chiaramente rivederlo in quella giornata assolata. La maglietta grigia a maniche corte aveva sostituto la solita camicia con lo stemma per il troppo caldo e i muscoli delle braccia crescevano più solidi a mano a mano che la sua presa sulla scopa si faceva più salda. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto chiaramente rivederlo sulle rive del lago nero insieme ai suoi amici, ridere e fumare durante una pausa dalle lezioni. Era inverno, lei Ron e Harry erano seduti poco più lontano, alle prese con i libri. Krum si stava allenando proprio lì vicino e qualsiasi passo o movimento compisse generava i lunghi e profondi sospiri di alcune studentesse che erano lì solo per vederlo allenarsi. 
Draco e i suoi compagni erano del tutto estranei a quella dinamica imbarazzante, alla quale invece assisteva Ronald, con lo sguardo contrito e con l’aria di chi non avrebbe avuto alcuna speranza con le ragazze.
Hermione guardava in direzione di Krum, ma in realtà osservava chi c’era dietro. Draco aveva questo modo di fumare che seppur solo quattordicenne, emanava un fascino magnetico e paralizzante. Il modo che aveva di sollevare il collo mentre rideva, esponendo la giugulare e il pomo, con i capelli d’argento che gli ricadevano indietro, la mano con la sigaretta appoggiata svogliatamente sulle gambe piegate. 
Eccola la differenza.
Lì fuori al freddo si bagnò in due secondi. Rimase immobile a contemplare gli attimi che scorrevano sotto forma di pioggia sul suo viso, ad occhi chiusi. Non aveva indossato il mantello per la fretta di uscire e nemmeno il maglione. Le calze le si erano appiccicate alle gambe e così i suoi capelli sul viso e la camicia al petto. La velocità con cui si svestì e si tolse il pigiama, le fece dimenticare persino il reggiseno, ma i suoi seni non erano ancora sbocciati, perciò non rimase eccessivamente imbarazzata da quella dimenticanza. Ricordava ancora il freddo, era come se gli si fosse impresso nelle ossa da quel giorno, ma in quel momento non la infastidiva, non c’era nessun istinto a suggerirle di tornare dentro a riscaldarsi. La Hermione quattordicenne era combattuta. Tutto il suo corpo le diceva di correre verso Ron, se solo lui fosse stato più pronto ad accoglierla a braccia aperte, invece di complicare le vite di entrambi con le sue gelosie e scenate. Lo avrebbe fatto sul serio. Aspettava ardentemente quel suo invito al ballo e sperò tutta la sera che lui si convincesse ad invitarla. Non lo aveva ancora fatto nessuno. C’era qualcosa in lui, sepolto dalle lentiggini e dai capelli color del fuoco che era capace di smorzare i suoi angoli più appuntiti. Le piaceva quella sensazione di tranquillità che emanava. Era tutto il contrario delle sensazioni che le provocava Malfoy. A volte, distrattamente, capitava che di notte prima di addormentarsi ripensava al giorno appena trascorso, rivedeva le scene nella sua mente e poi deviava sui dettagli della sua pelle, delle labbra sempre corrucciate come di chi ce l’ha con il mondo, di chi urla, e che puntualmente è inascoltato. In lui c’era quell’irrequietezza che poteva associare all’adolescenza, ma era anche dovuta ad altro, e se lo avesse saputo (se lo avessero ascoltato), forse avrebbe capito. Il modo in cui camminava fiero per quei corridoi come se la sua sola presenza fosse un regalo per tutti gli altri, per l’intera scuola. La maschera di indifferenza e di gelo che indossava ogni volta che si scontravano per i corridoi. Tutt’altro rispetto alla tranquillità e i silenzi accoglienti di Ronald. Lui era un mare in tempesta, i cui movimenti incessanti non facevano altro che tirarla giù. A volte, sempre di notte, quando l'oscurità era un'alleata che mascherava per bene le sue emozioni, pensava che non le sarebbe dispiaciuto perdersi solo per una volta in quelle profondità. La Hermione quasi diciottenne ritornò a quel giorno di pioggia, al momento in cui si era convinta di essere arrivata ad un punto di non ritorno, quello in cui quei pensieri puramente terreni l’avevano vincolata al segreto, al senso di colpa, alla vergogna e all’eccitazione. Ricordava il momento in cui lo vide comparire in lontananza, lo stupore che provò nel trovarlo lì sotto la pioggia e le domande che si pose sul perché mai fosse lì anche lui, e a cui mai trovarono risposta. Ma ricordò anche il senso di profondo imbarazzo che prima di allora non aveva mai conosciuto perché fin troppo giovane. Draco era stato il primo a farle rendere conto che non era più una bambina. 
Anche lui realizzò la differenza, quando si avvicinò a lei, in direzione del ponte. Doveva rientrare e lei gli intralciava il cammino. La camicia targata Serpeverde sul corpo asciutto, alcuni ciuffi di capelli sulla fronte, le mani quasi congelate. Rimase a fissarla per alcuni secondi che a lei parvero un’eternità. Eccolo l’imbarazzo, solo a ricordarlo le guance le si stavano diventando di quel rosso acceso che sfoggiò anche quella notte. Lo sguardo di Draco si era posato in basso, su quei boccioli che aveva al posto dei seni, chiaramente visibili al di sotto della camicia bagnata. Poi tornò sui suoi occhi. Hermione non tentò nemmeno di coprirsi perché era sicura che quel serpente avrebbe comunque letto quello che disperatamente lei avrebbe cercato di nascondere. Il suo respiro pesante sollevava e abbassava il suo petto giovane, pieno di vita. L’aveva praticamente vista nuda.
“Sarà meglio andare, non ci tengo a farmi espellere”, le aveva detto una cosa del genere, con un tono un po’ diverso da quello che usava di solito contro di lei. Aspettò che lei compisse i primi passi verso il ponte e poi si incamminò dietro di lei. 
Lui era la mela e lei, di notte, quando ripensava al giorno appena trascorso, quella mela l’avrebbe morsa senza indugio, e poi si sarebbe vergognata, e probabilmente si sarebbe coperta nel modo in cui non fece di fronte a lui sotto la pioggia. 
Vergogna, pentimento, repulsione. Ecco perché da quel giorno in poi ingoiò quel groppo che aveva in gola e lo buttò giù senza più pensarci. Aveva lottato con tutte le sue forze per opporsi a quei pensieri da adolescente che scopriva la sua intimità per la prima volta. Lo soppresse così bene che alla fine credette al suo stesso tranello. Quindi chi era il vero serpente tra lui e lei?
Krum la invitò al ballo, lei finì comunque con Ronald e adesso aveva pescato quelle rune senza nemmeno sapere cosa stesse facendo.
“Signorina Granger, vuole cominciare lei?”
“Cosa?”, sollevò il viso distrattamente, senza capire cosa la professoressa le stesse chiedendo.
“L’interpretazione, signorina Granger”, ripeté lei cordialmente.
Hermione guardò le rune ma non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. L’imbarazzo le si leggeva in viso, la professoressa si avvicinò e le lesse per lei, ma non le disse nulla, si limitò ad annuire compiaciuta e poi passò oltre.
La giovane Grifondoro rimise le rune nel sacchetto di velluto e attese la fine della lezione. Poi si alzò per prima e con uno scatto felino uscì dalla sala, i libri stretti a quel petto che alla fine lui aveva visto e toccato, veramente.
 
 
 

L’ultima partita di Quidditch della stagione sarebbe stata il classico match Grifondoro-Serpeverde. In quell’ultimo mese dalla festa sul Lago Nero, gli allenamenti delle due squadre si erano fatti più frequenti e intensi. Quella partita non solo avrebbe segnato la fine della stagione estiva e l’inizio dell’autunno, ma anche l’ultima partita che gli studenti del settimo anno avrebbero giocato ad Hogwarts. Vincere era quindi doppiamente importante. 
Draco era nervoso ma anche eccitato. Non vedeva l’ora di scendere in campo e affrontare Potter per l’ultima volta, dopodiché sperava con tutto il cuore di non rivederlo più in vita sua.
In quegli ultimi giorni aveva avuto modo di pensare ai passi successivi una volta finita la scuola, e non poteva negare di essere stato un po’ incoraggiato dalla professoressa Reynards, in quell’idea che aveva cominciato a ronzargli in testa già da un po’ e a cui però non aveva ancora dato voce. 
Dopo che la professoressa lesse il suo report volle incontrarlo in privato nel suo studio. Era davvero soddisfatta dei progressi fatti e non gli nascose che all’inizio era un po’ contrariata alla sua presenza in aula, data la sua notissima fama da giovane Mangiamorte quasi entrato a tutti gli effetti nei ranghi di Voldemort. La Reynards temeva fosse lì solo per prendersi gioco di lei e dei suoi studi o peggio, di tramare qualcosa alle sue spalle che le avrebbe fatto rimettere le penne. 
Eppure, dovette ricredersi, e glielo disse senza troppi indugi né imbarazzi. L’imbarazzo invece, era tutto di Draco, che se ne stava seduto sulla sedia di fronte alla sua cattedra non facendo altro che annuire e arrossire per tutti quei complimenti. Non erano da lui quelle reazioni da ragazzino, ma chissà bene come (perché persino a lui era poco chiaro) in quei mesi il suo rispetto per la Reynards era cresciuto. Il suo metodo di insegnamento era eccellente e la materia non era poi così male.
“Lo stile di questo report è molto diverso da una normale ricerca accademica. Lo ha scritto quasi come se fosse un romanzo, è tutto vero quello che c’è dentro?”, gli aveva detto. 
“Assolutamente. Ho solo descritto le cose come le ho vissute”, aveva risposto lui.
Non aveva citato nemmeno una volta il nome di Hermione e nemmeno quello di sua nonna e dei suoi genitori. Li aveva inventati, facendo delle ricerche su alcuni tipici nomi da babbano. Non aveva fatto cenno a quello che avevano fatto con Hermione, ma fu molto dettagliato sugli usi e costumi dei babbani, citando anche la ricetta che preparò insieme a Jo; descrisse le loro case, i loro hobby, i giochi di società e i costumi che si usavano durante i loro incontri, fece persino un accenno ai loro abiti, sicuramente molto diversi da quelli dei maghi, e per finire accennò alla difficoltà di guidare una macchina non volante e con le marce. 
“Ha mai pensato a scrivere, signor Malfoy?”, gli aveva chiesto poi.
“Lo faccio già, in verità. È un bel passatempo”, aveva risposto lui, un po’ esitante. Non capiva dove volesse andare a parare.
“Non come passatempo, proprio come un lavoro. Scrive bene, sicuramente potrebbe dare il tuo contributo alla mondo della letteratura dei maghi”, concluse la Reynards, il tono fiero di una professoressa che deve raccomandare il suo alunno migliore a qualcuno di importante.
“Un lavoro? No, a dire la verità non ci avevo mai pensato…”.
“Ci pensi, e adesso vada, ha una partita da vincere, se non sbaglio”. La Reynards si alzò dalla cattedra e gli strinse la mano per congedarlo. Lui si alzò ancora un po’ impacciato e con la testa altrove. Pensava alle ultime parole che le aveva detto.
“S..si, già, arrivederci”.
“Arrivederci Draco, mi mandi un gufo quando avrà preso una decisione. Posso parlare di lei ad un paio di editori. Potrebbe cominciare come recensore di manoscritti, cosa ne pensa?”
Draco non sapeva cosa dire. La possibilità di andare via da Malfoy Manor si faceva più chiara.
“Ci penserò assolutamente, grazie professoressa”.
Da quell’ultima conversazione con lei non smise di pensarci un secondo. Infondo l’idea non gli dispiaceva, e la Reynards gli aveva confermato che scrivesse bene, perciò perché non provare?  La professione di scrittore, secondo i suoi, non si addiceva a un Malfoy, ovviamente. Non sapeva perché, ma loro avevano sempre associato la scrittura allo spirito bohémienne di un fannullone, che si arricchiva con delle bugie scritte bene e che poi scialacquava il suo denaro con uno squallido bicchiere di weaskey. Quella carriera era di sicuro una delle meno frequenti nel mondo magico. Esistevano i giornalisti, certo, ma era raro trovarne di seri, solitamente quelli più affidabili erano tutti vecchi, o comunque con un’età un po’ indefinibile, come quella di Silente. Più spesso, tutti iniziavano a lavorare al ministero, uno sbocco piuttosto semplice, perché quasi tutti i maghi finivano lì e poi venivano smistati nelle diverse mansioni. La carriera diplomatica però non gli si addiceva. Era proprio quello che si sarebbero aspettati da lui.
Perché non deluderli ancora?
 
 
 
 
La Sala Grande era gremita di studenti vestiti con i simboli e i colori delle loro rispettive case, o meglio squadre. La partita era ormai alle porte e i giocatori erano gli unici a distinguersi tra quella folla oro e rossa e verde e argento, perché indossavano la divisa ufficiale della propria squadra. Persino Gracie e Ivy, che non facevano parte di nessuna delle due case, si erano colorate la faccia con i colori di Grifondoro e Serpeverde, in segno di solidarietà. Pepper era un po’ contrariata, infatti aveva insistito per mettersi a sedere accanto ad Ivy dal lato della guancia Grifondoro, e tutti al tavolo, scoppiarono in una grossa risata. Alister sedeva al tavolo dei Grifondoro con loro quel giorno, insieme a Morgan, entrambi si erano disegnati i colori verdi e argento sulle guance e obbligarono Hermione a fare lo stesso. “A patto che non mi imbrattiate la faccia di verde e argento”, gli aveva detto, prima di lasciarsi truccare dalle sapienti mani di una Gracie ridacchiante ed eccitata.
Nell’aria si respirava una strana atmosfera. Era come se quel momento segnasse la fine di un’epoca, ed effettivamente, per alcuni di loro era proprio così. Da quel giorno in poi qualsiasi cosa sarebbe stata l’ultima che avrebbero fatto ad Hogwarts. C’era chi era felicissimo all’idea di non dover più riscaldare le sedie dei banchi di scuola, chi invece era un po’ nostalgico anche se non lo diceva ad alta voce. Hermione aveva intenzione di godersi fino all’ultimo di quei momenti, consapevole che forse un giorno li avrebbe rivissuti da un’altra prospettiva ma che comunque non sarebbe più stato lo stesso.
Draco era al tavolo Serpeverde con i suoi compagni di squadra. Sembrava che Astoria, Daphne e Pansy avessero avuto la stessa idea per il trucco, ma c’erano solo due colori ad ornare i loro lineamenti austeri. Leo, seppur avversario in quell’occasione, era al tavolo con loro, seduto accanto ad Astoria. 
Hermione continuava a guardarlo, superando i volti delle due compagne che aveva davanti e che avevano già capito a cosa stesse mirando. Rimasero perciò in silenzio, complici. 
La Grifondoro non riusciva a stare ferma sulla panca, doveva assolutamente parlargli. Durante quel mese si videro a stento, se non fosse stato per le lezioni in comune probabilmente non si sarebbero mai visti. Draco la stava evitando proprio come aveva cominciato a fare dal quarto anno in poi. Era tornata invisibile, ma non aveva intenzione di rimanere ancora a lungo nell’ombra. Non avrebbe fatto più lo stesso errore.
Perciò quando lo vide alzarsi per uscire dalla sala Grande con i suoi compagni di squadra si alzò di scatto e senza dire nulla ai presenti lo seguì all’uscita.
Ivy e Gracie si voltarono incuriosite. Harry, Ginny e Ron erano alle prese con le ultime tattiche da gioco da definire. 
“Draco!”, lo chiamò lei ad alta voce.
Lui era di spalle, aveva oltrepassato le grandi porte della Sala Grande quando udì il suo nome chiaramente scandito da quella voce. Sgranò gli occhi e si fermò di colpo, guardandosi intorno per verificare, invano, che lo avesse sentito solo lui. 
Non lo aveva mai chiamato per nome in pubblico e non capiva perché doveva iniziare proprio adesso.
Si voltò lentamente, gli altri compagni di squadra proseguirono con un cenno di Blaise, che prevedeva fuoco e fiamme, come al solito, quando si trattava di loro.
Hermione lo raggiunse con una corsetta leggera, i capelli sciolti si agitavano sulle sue spalle seguendo i suoi movimenti. Sembrava una cheerleader della squadra Grifondoro, con quella maglietta rosso scuro e il simbolo della sua casa in alto a sinistra cucito con fili d’oro. La gonna nera scopriva molte più gambe di quanto Draco ricordasse. In effetti, non avendo mai svolto lezioni d’estate, gli studenti non avevano mai necessitato di una divisa estiva e i professori accettarono gli indumenti personali dato l’evento straordinario. Le guance colorate le davano un tocco decisamente più sbarazzino di quello a cui era abituato lui. Faceva quasi sorridere.
Quasi. Era bravo a mascherare qualsiasi emozione, se lo voleva.
“Ho una partita da giocare, Granger”, le disse neutro, una volta che lo raggiunse. 
Hermione si sentiva come quando aveva quattordici anni, lo stomaco aggrovigliato e le mani sudate. Lui aveva gli stessi occhi di quel giorno di pioggia, quando la sorprese nel prato, bagnata dalla testa ai piedi, la stessa espressione corrucciata. Erano passati tre anni e lui era cambiato, oh, eccome se lo era. Aveva davanti un ragazzo più irrobustito, il viso più scarno, gli occhi vigili e così chiari che ci si sarebbe potuta specchiare dentro e vedersi, forse per la prima volta, come lui la vedeva. 
Solo che non era sicura del modo in cui la vedeva ora, sentiva dal tono della sua voce che qualcosa si era incrinato, e lei non aveva fatto niente per impedirlo, anzi ne era stata la causa.
“Lo so, non ti toglierò molto tempo”.
Draco fece un respiro profondo, aveva smesso di guardarsi intorno, ormai qualsiasi cosa gli altri avessero pensato sarebbe stata forse la verità.
“Cosa c’è?”.
Osservò Hermione fare un intenso respiro e mordersi il labbro nervosamente.
“È finita. Con Alister, è finita”, disse lei tutto d’un fiato.
Draco sgranò gli occhi dalla sorpresa ma solo per qualche secondo, poi tornò composto come prima, una statua greca, distante e fredda.
“Oh...”
Hermione lo guardò per la prima volta con speranza.
“Mi dispiace”, disse solo questo.
L’espressione della Grifondoro mutò in un istante, sprofondando nel nero più immenso. 
“Oh, non è niente. Lo abbiamo deciso insieme”, rispose lei, guardandosi le scarpe.
Draco continuava a guardarla guardarsi i piedi, i capelli le erano scivolati sul viso, le mani si torturavano a vicenda. Lui invece non muoveva un muscolo. Solo il respiro lo tradiva un po’, ma la ragazza di fronte a lui sembrava non essersene accorta.
“Beh..ci si vede”.
Draco concluse la conversazione repentinamente. Fece qualche passo indietro da lei e poi si voltò definitivamente. 
Ivy e Gracie le comparvero subito al suo fianco.
“Herm, vieni alla partita con noi?”, chiese quest’ultima. 
A quel punto Hermione sollevò lo sguardo sulle sue amiche e sorrise fintamente. 
“Io...ho lasciato una cosa nel dormitorio. Vi raggiungo”. Mentì.
Le due la guardarono allontanarsi in fretta e prendere le scale. Sospirarono e poi scorsero Malfoy in lontananza. Procedeva a passi veloci verso il ponte.
Non era riuscito a dire nulla perché non sapeva effettivamente cosa dire. Da quelle vacanze ne era uscito distrutto, fisicamente e mentalmente, e di certo non voleva rischiare ulteriormente la pelle. Lui che i rischi li evitava sempre a monte dei problemi e che invece si era completamente fiondato tra quei lunghi capelli bruni senza pensarci due volte. Anzi, erano troppe le volte che ci aveva pensato, ai suoi capelli, a lei nei corridoi, sotto la pioggia, tra le lenzuola, nel suo cuore. Aveva iniziato ad occupare spazio, ad allargarsi nella sua anima giorno dopo giorno, fino a che di lui non era rimasto che una piccola parte. Il resto si era confuso con lei. Ma di fronte a quelle parole si era trovato inerme. La possibilità che ci fosse veramente, una possibilità lo aveva paralizzato. Non aveva mai pensato all’eventualità che quel giorno sarebbe arrivato. Si era abituato alla costante insoddisfazione, lei sarebbe stata la parola sulla punta della lingua che non avrebbe mai ricordato, un sassolino nella scarpa che lo avrebbe tormentato fino a che non l’avrebbe dimenticata. In quei giorni passati in totale solitudine si era persino convinto che sarebbe riuscito a dimenticarla, bastava ignorarla, evitarla, allontanarla. 
“Ma che sto facendo…”
Si bloccò di colpo, aveva appena superato il ponte con i ragazzi.
“Blaise, reggimela, torno subito”. Draco lanciò la sua scopa al compagno.
“Ma che stai dicendo, abbiamo pochissimo tempo per allenarci prima della partita! Draco! Dove cazzo vai?”.
Ma il Serpeverde era già lontano.
Sulla strada incontrò Ivy e Gracie.
“Dov’è?” chiese lui sopraggiungendo di corsa. Non si fermò nemmeno quando ottenne una risposta da Ivy.
“Nella sala comune dei Grifondoro!” dovette urlare per raggiungerlo.
Gracie si voltò verso la sua amica e iniziarono a ridacchiare per l’emozione improvvisa. 
 
 
Hermione era arrivata al settimo piano trascinandosi sulle scale a passi pesanti e lenti. La Signora Grassa non la finiva di parlare di quanto avesse bisogno di una messa in piega mentre lei desiderava solo entrare e piangere a dirotto. Non era riuscita nemmeno in quel momento a dirgli la verità. La sua indifferenza l’aveva paralizzata esattamente come quella volta di cui si era ricordata a lezione. 
Però doveva dirgli qualcosa, anche se non sarebbe servito a nulla, doveva. Lui le era stato accanto per tutto quel tempo, a volte senza che neanche lei se ne accorgesse. Era entrato con lei nella sezione proibita rischiando forse l’espulsione, l’aveva coperta al Lumaclub, l’aveva aiutata con i suoi, e non aveva mai chiesto niente, se non il suo aiuto nelle lezioni di Babbanologia. Il perché si era iscritto a quel corso lo vedeva solo adesso. Voleva però avere delle conferme, non poteva esistere tutto solamente nella sua testa.
Si voltò di scatto e lasciò la signora grassa a parlare da sola, mentre riprese in fretta le scale per scendere. Nessuno le intralciava il percorso, il castello si era svuotato proprio per via della partita imminente.
Draco stava facendo le scale a due a due per il timore che queste cambiassero strada e ostacolassero il suo intento. Il mantello della tuta lo intralciava un po’ nei movimenti, e ogni tanto aveva rischiato seriamente di inciampare, ma l’adrenalina era così tanta che non lo avrebbero fermato di certo quei piccoli intoppi.
Secondo piano.
Terzo piano.
Quarto piano.
Si fermò all’improvviso quando scorse Hermione da un piano più in alto. Lei fece lo stesso e il suo volto si illuminò. Proprio quando il Serpeverde stava per riprendere la corsa però, le sue scale procedettero verso la direzione opposta. 
“No”, mormorò contrariato.
Hermione nel frattempo continuò a scendere fino a che non fu costretta a fermarsi proprio per l’assenza delle scale su cui si era bloccato lui, che adesso si erano fermate attaccandosi ad un altro pezzo sospeso nel vuoto.
Tuttavia, a quella distanza potevano vedersi chiaramente e sembrava non ci fosse nessuno nei paraggi che avrebbe potuto sorprenderli. Erano stanchi dei sotterfugi, comunque.
Draco si fermò sul ciglio delle scale aspettando che si muovessero di nuovo.
“Scusa se ci ho messo un po’”, gli disse lui, alzando la voce in modo che lei riuscisse a sentire.
Hermione sorrise.
“Forse siamo entrambi un po’ in ritardo”, gli rispose lei. La voce le tremava. Non credeva possibile quello che stava succedendo. Tra i due quella che più aveva sepolto quelle sensazioni era stata lei. Era stata così brava a fingere che non significasse nulla, così vittima delle opinioni altrui e della poca considerazione verso sé stessa, che non aveva mai realizzato davvero quello che stavano facendo.
Le scale ricominciarono a muoversi di nuovo, ma con una lentezza che entrambi trovarono esasperante. Draco riprese a salire gli ultimi gradini e fece un salto quando le scale erano vicine. Hermione non si mosse di un millimetro, se lo ritrovò davanti in un batter di ciglia e posò timidamente le mani sul suo petto.
“Non lo siamo”, decretò alla fine lui. Le circondò la vita e la strinse a sé. Per la prima volta, senza nascondersi, senza far finta che quello fosse altro rispetto alla verità.
“Sei così ostinata…” le disse lui, mentre si chinava verso di lei e poggiò la fronte alla sua. 
Hermione non gli rispose, si sollevò sulle punte sbilanciandosi in avanti e lo baciò aggrappandosi al collo. Draco fu preso leggermente alla sprovvista, ma poi sorrise sulle sue labbra e la sollevò di poco da terra, stringendola più forte. 
La sosteneva dalla schiena, le mani erano scese sotto la maglietta rossa cercando la sua pelle fresca. Più tardi avrebbe fatto dei commenti maliziosi su quella gonna cortissima, le avrebbe fatto notare che il rosso e l’oro sul suo viso gli erano finiti in faccia, mentre lei avrebbe commentato sul fatto che i colori della sua casa non gli stavano poi così male e avrebbe continuato a prenderlo in giro bonariamente. Ma in quel momento non c’era nulla da dire. Rimasero incollati per una quantità di tempo che sembrava infinita, a volte sospirando profondamente, ormai al sicuro da qualsiasi malinteso e liberi dagli sguardi degli studenti. Gli unici sguardi che dovettero sorbirsi furono quelli dei quadri, che forse avevano assistito a tutto fin dall’inizio e avevano capito più di quanto loro si erano permessi di capire in tutti quegli anni.
Ripresero le scale solo quando Hermione toccò di nuovo terra ricordandogli della partita.
Fecero le scale con così tanta velocità che gli sembrava stessero letteralmente camminando sull’aria. 
Le mani si sfioravano non proprio accidentalmente ogni tanto, e gli capitò durante il percorso di scambiarsi qualche bacio fuggevole alla luce del sole. Specie quando furono al ponte e si ricordarono della terribile sbronza che presero insieme quel lontano febbraio, e di quanto fossero stati stupidi a non dirsi niente prima. Ma forse doveva andare così.
Erano ormai giunti in prossimità del campo. Draco si voltò improvvisamente verso di lei, che approfittò di quella posizione per baciarlo ancora e ancora.
“Mi terresti questo, durante la partita?”, riuscì a chiederle, tra un bacio e un altro.
Draco si tolse l’anello d’argento che aveva sull’indice e glielo porse. Hermione si rese conto che quello era l’anello che indossava quella notte nel reparto proibito, quello con cui aveva imparato a riconoscerlo e che le piaceva perché era perfettamente liscio e tondo, senza sfumature né simboli antichi e lontani che non gli appartenevano più.
Annuì e lo prese in mano, poi il ragazzo che ormai andava di fretta le lasciò un bacio fugace sulla fronte e si smaterializzò negli spogliatoi, consapevole di aver infranto la regola di Hogwarts che vietava la smaterializzazione all’interno della scuola, ma di regole, ormai con lei, ne avevano infrante così tante che una in più non avrebbe fatto male.
Hermione indossò l'anello sul pollice, l'unico posto in cui le stava meglio perché abbastanza largo e poi si precipitò al campo di corsa. 
Harry rivide Draco in campo con un’espressione che non gli aveva mai visto prima. 
“Finalmente ce l’hai fatta!”, gli disse, lasciando il Serpeverde a chidersi se intendesse che ce l’avesse fatta a presentarsi alla partita o se invece alludesse a qualcos’altro. Harry sorrideva di sbieco, un po’ complice, con un'intesa mai prima d’ora considerata con lui.
Draco lo guardò dall’altra parte del campo. Aspettava solo il lancio della pluffa.
“Pensa al boccino, Potter”, gli rispose sornione lui, fluttuando dall’altra parte del campo. Il ragazzo che era sopravvissuto sorrise al ragazzo che non aveva avuto altra scelta.
La prima vera scelta della sua vita se ne stava sugli spalti a tifare per la squadra a lui avversaria.
Come la piccola ostinata Grifondoro che era e sempre sarebbe stata.
Il boccino si sollevò in aria e si perse tra le pieghe della luce del sole che splendeva alto in cielo.
  
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