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Autore: H_A_Stratford    11/06/2020    15 recensioni
«Io…» mormorò Spencer ancora con la mano sulla maniglia della porta. Che fare ora?
Aveva pensato a tutta la notte alle parole della ragazza e in quel momento nessuno dei discorsi pre impostati sembravano funzionare.
«Ho realizzato che niente è normale tra di noi. Tu sei tu, io sono io e insieme… il caos cosmico» ammise la ragazza mordicchiandosi leggermente il labbro. Reid stava per ribattere sul caos cosmico ma si rese conto che non era il momento. Camminavano già abbastanza sui cocci per poter aggiungere carne al fuoco. Però allo stesso tempo non riuscì a trattenere un sorriso.
«E non voglio perdere quello che abbiamo, qualunque cosa sia» continuò guardandolo. «Prometto che ti lascerò tutto lo spazio che ti servirà, tu credi di poter creare un posto nella tua vita per me?»
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Spoiler ottava stagione. Non segue linearmente la serie.
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quattro
 
La lingua può nascondere la verità,
ma gli occhi – mai!
-Michail Bulgakov
 
Una delle prime cose che Spencer si era deciso di fare, dopo aver incontrato Athena per la prima volta, era quella di insegnarle a giocare a scacchi. La ragazza già aveva qualche base, ma oltre a qualche torneo ai tempi della scuola, si poteva tranquillamente dire che non fosse la sua più grande passione. Nonostante fosse veramente facile giocare contro di lei, si divertiva ogni volta, soprattutto per i suoi commenti fuori campo ma mai esagerati.
«Scacco matto» dichiarò Spencer sorridendo divertito, facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza. Non che avesse qualche speranza di vincere contro di lui, ma perdere così miseramente dopo quattro mosse era piuttosto deprimente. Avevano stretto un patto prima di iniziare la prima partita insieme per la prima volta: Spencer non avrebbe mai e poi mai lasciato vincere Athena solo per farla contenta.
«Potresti almeno toglierti quel sorrisetto?» ribatté lei cercando di fare l’offesa ma fallendo miseramente per poi scoppiare a ridere. Ormai aveva perso il conto del numero di partite che avevano fatto quel pomeriggio al parco. Spesso e volentieri erano talmente veloci che quasi non le contavano più.
«Oh, lo sai che sbagliando si impara» disse Spencer riorganizzando i pezzi degli scacchi. Con gli altri avversari era sempre una questione di calcolo, matematica, strategia e tutto quello che ne derivava; con lei gli scacchi erano semplicemente divertenti. Non sorrideva perché aveva vinto, lo faceva perché era felice.
«Non credo di poter fare un’altra partita» disse la ragazza guardando l’orologio. «Devo ancora finire di prepararmi per andare dai miei domani – ammise stringendosi nelle spalle, come se fosse un’impresa olimpica – e dovrò svegliarmi presto, ho il treno all’alba praticamente». Solo lei poteva pensare che prendere il treno fino a Boston fosse una buona idea invece che l’aereo, ma allo stesso tempo avrebbe avuto tempo per pensare a come sganciare la bomba. Sarebbe rimasta a casa dai suoi per tutta la settimana, fino al matrimonio del fratello e forse anche qualche altro giorno dopo. Nonostante fosse abituata a non vedere Reid per molto tempo, quella volta sembrava tutto diverso, sembrava come se fosse la prima volta che si separassero per più di qualche giorno.
«Ah» mormorò Spencer abbassando leggermente lo sguardo. Sapeva benissimo della sua partenza, ma sperava di avere comunque più tempo a disposizione con lei. Da quando aveva realizzato che in neanche un mese si sarebbe trasferita soffriva di piccoli attacchi di ansia da separazione quando si salutavano, come se avesse paura che non sarebbe più tornata indietro da lui.
«Mi accompagni a casa?» disse la ragazza sorridendogli, sapendo che in qualche modo doveva interrompere il suo flusso di pensieri o sarebbe andato in cortocircuito. Spencer annuì e si alzò in piedi. «Niente metropolitana, è un bel pomeriggio. Camminiamo» rispose Spencer sistemandosi gli occhiali da sole dopo aver preso la sua cartelletta. Si perse qualche secondo per osservarla, non lo avrebbe mai detto a voce alta ma il vestito che indossava era uno dei suoi preferiti. Era semplice, come lei, eppure qualcosa lo rendeva speciale. Forse il fatto che si intonasse perfettamente ai suoi occhi.
«Agli ordini capitano» lo prese in giro lei mettendosi al suo fianco mentre si incamminavano verso l’uscita del parco. Quasi si perse ad osservare i bambini giocare spensierati tra di loro, era decisamente invidiosa della loro spensieratezza.
«Sai, non mi hai mai raccontato di com’è -» iniziò a dire lei prima di essere interrotta. «No! Non ti racconterò neanche sotto tortura di come Garcia ha svuotato il sacco con la squadra e mi hanno tartassato per tutta la durata del caso» borbottò Reid cercando di darsi un certo contegno. La ragazza in tutta risposta inarcò un sopracciglio e alzò le mani in segno di resa. «Chiederò a lei» sussurrò lei fingendo un colpo di tosse che il ragazzo fece finta di non sentire. La conosceva bene ormai, sapeva che se si metteva qualcosa in testa non si sarebbe fermata finché non l’avesse ottenuta. Dopo il suo primo incontro con Garcia, aveva rimediato il suo numero personale e ogni tanto la mattina si svegliava con un suo messaggio. Quasi si stava abituando alla sua esuberante personalità, ma era certa di una cosa: l’avrebbe tenuta il più possibile lontana da Beth. Quelle due erano troppo simili per poter stare nella stessa stanza e non fare esplodere qualcosa. Tipo Athena.
«Sei agitata per il matrimonio?» chiese Spencer dopo qualche minuto di silenzio guardandosi attorno. Era abituato a fare quel tragitto, lo conosceva a memoria. Eppure quel giorno qualcosa lo rendeva particolare, ma ancora non si era spiegato cosa fosse.
Athena fece una smorfia, non aveva voglia di parlare della sua famiglia. «Non prenderla male, io amo la mia famiglia, Kate e Justin sono la coppia più perfetta che esista in questo universo ma… farei di tutto per non andare a quel matrimonio. Di tutto» ammise giocherellando con le sue stesse mani. «Sono i parenti, sai? La parte estesa della famiglia, con le loro domande, insinuazioni… Non fanno per me.»
Spencer mascherò a pelo una smorfia. No, lui non lo sapeva. Erano sempre stati solo lui e sua madre. Ultimamente era solo lui, se doveva essere sincero.
«Loro non capiscono visioni differenti dalle loro. Anzi, non è neanche quello. È che sembrano essere su questo binario dal quale non ti puoi scostare, se sei una donna ancora peggio» continuò vedendo che il ragazzo ancora non aveva fiatato, cosa piuttosto strana per lui. «Ti diplomi, se proprio vuoi fare la trasgressiva vai al college, torni a casa, ti sposi, fai figli, fine – disse gesticolando quasi esasperata – e fino a che non farai queste cose in questo esatto ordine, ti riempiranno di domande esigendo spiegazioni sul perché non hai ancora sfornato una squadra da football» e fu in quel momento che Reid scoppiò a ridere. Era decisamente a disagio ma c’era della comicità dietro a tutta quella parlantina della ragazza. «Ah, ma allora mi ascolti» lo prese in giro Athena ridendo a sua volta, dandogli un piccolo colpetto al braccio con la spalla.
«Il tempo mi ha insegnato a stare in silenzio durante i tuoi sfoghi» si difese lui sistemandosi la tracolla sulla spalla. «Ma se vuoi posso iniziare a dirti delle statistiche che…» continuò a parlare ma la ragazza, con la meraviglia di entrambi, gli mise una mano sulla bocca. «No, grazie – disse togliendo la mano – sono già abbastanza spacciata così, non ho bisogno delle statistiche».
«E i tuoi?» chiese Reid guardandola con la coda dell’occhio. Gli aveva accennato qualcosa di tanto in tanto, ma non si era mai aperta più di tanto. In un certo senso però ne era grato, perché avrebbe odiato ricevere la stessa domanda. Avevano questo tacito accordo di non andare mai troppo sul personale a meno che uno dei due non si facesse avanti.
«Loro sono normali, per loro l’importante è che noi figli siamo felici. Probabilmente non saranno entusiasti della mia scelta ma… insomma, Mike è messo peggio di me, quindi la passerò liscia questa volta» rispose girando il viso per guardarlo. Mike, il suo caro fratello, dotato di tanta intelligenza e attitudine, ma tremendo per ogni aspetto che riguardasse la sua vita privata. «Inoltre sono così entusiasti per il matrimonio che potrei arrivare a casa con un tatuaggio in fronte che non lo noterebbero. Se Justin volesse veramente tanto tanto tanto bene a me e Mike, convincerebbe Kate a fare un figlio subito così da allontanare definitivamente l’attenzione da me e mio fratello» concluse scoppiando a ridere. Reid scosse la testa, divertito dal modo di raccontare di lei, ma una parte era invidioso di lei. Gli sarebbe piaciuto avere quel tipo di problemi, quel tipo di normalità e dinamiche famigliare.
Erano quasi arrivati davanti alla casa di lei e Spencer quasi inconsciamente aveva incominciato a rallentare, non voleva lasciarla andare. Per un secondo gli passò per la mente di baciarla, così, dal nulla.
«Se vuoi ti infilo in uno dei borsoni, se ti stringi ci stai» disse Athena notando l’improvviso cambiamento del ragazzo, che però si sentì un po’ in imbarazzo. Spencer si grattò il retro della nuca, come se fosse stato preso con le mani nel sacco, come se lei gli avesse letto nella mente. «Oh, dai, lo sappiamo tutti e due che moriresti dalla voglia di discutere sui centrotavola con mia madre e ricordare a Kate che no, il pesca è un colore terribile per i vestiti delle damigelle» continuò piazzandosi davanti a lui. «Mancherai anche a me» aggiunse sbattendo un paio di volte le ciglia, sfoderando i suoi migliori occhi dolci.
Sì, le sarebbe decisamente mancata, pensò Spencer. Se solo avesse avuto il coraggio di baciarla.
 
Dopo sette ore di treno Athena non solo decise che non c’era modo per sganciare la bomba in modo delicato e che al ritorno avrebbe decisamente preso l’aereo. Lei e la sua testardaggine, un combo terribile che girava per il mondo da ben 23 anni.
Quando arrivò al cancello di casa un’ondata di nostalgia la pervase completamente. Le era decisamente mancata casa. Cercò le chiavi nella borsa per aprire il cancello, non c’era bisogno di suonare per avvertire del suo arrivo. Inoltre nonostante la distanza già sentiva delle urla provenire dal giardino sul retro della casa. Forse la scelta di Justin di lasciare che la madre e Kate organizzassero il matrimonio nel loro giardino non era stata delle migliori.
«Casa dolce casa» mormorò sorridendo tra sé e sé girando la chiave.
Non poteva più tornare indietro. Non poteva di certo scappare in Polonia e nascondersi per il resto della sua vita, vero?
 
«Quindi? Lo hai detto?» chiese Spencer al telefono mentre con la mano libera aggiungeva lo zucchero al caffè. Era solito a mettere più zucchero che caffè, come diceva Athena, ma quella volta stava proprio esagerando. Aveva bisogno di una pausa dai suoi fascicoli e chiamare la ragazza sembrava essere la soluzione migliore. Aveva bisogno di una nota positiva in quella giornata.
«Oh – disse Athena chiudendo la porta della veranda dietro di sé – mamma è scoppiata a piangere, papà crede sia colpa del nonno di quando mi ha insegnato a sparare, Mike non capisce perché mi serve un’altra laurea e Justin, beh, lui è in un mondo tutto suo e sono la sua sorellina preferita, mi sostiene in qualsiasi cosa» rispose lasciandosi quasi cadere all’indietro sul dondolo. Era esausta ma almeno c’era riuscita: aveva sganciato la bomba. Ora doveva solo sperare che non le si rivoltasse contro. «Mi aspettavo peggio.»
Spencer sorrise immaginando l’espressione della ragazza e non si accorse di come i colleghi si fossero girati per osservarlo. Spencer al telefono durante l’orario di lavoro era un’occasione più unica che rara per lasciarsela sfuggire. «Sai sparare?» mormorò poi tornando a concentrarsi sulle informazioni appena ricevute.
«Si, lo so che non sei un grande fan delle pistole, ma era una fissa di mio nonno. Non ho mai sparato a nessun essere vivente, vale?» disse lei mordicchiandosi appena il labbro. Reid a volte le raccontava del lavoro e qualche aneddoto, e quasi sin da subito era stato evidente il suo distacco per le armi. Non che andasse fiera della sua grande mira, ma suo nonno si era immolato alla causa e Athena non poté fare a meno che secondarlo. Alla fine era stato il male minore dato che la nonna voleva farla debuttare in società.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli e scosse appena la testa. «Vale» sussurrò.
Parlarono per qualche minuto buono, poi Spencer si rese conto di essere osservato con grande interesse da metà della sua squadra. Emily, JJ e Derek fecero finta di niente non appena il ragazzo si girò, improvvisando un grande interesse per il pavimento o qualunque cosa stessero tenendo in mano.
«Ehm, devo andare» mormorò Reid agitandosi appena, temendo cosa i suoi amici avrebbero detto. Non era dell’umore per l’ennesimo interrogatorio. Voleva bene a loro, ma aveva bisogno di capire prima lui stesso certe cose per poi essere in grado di esprimerle a terzi. Quindi salutò Athena girando loro le spalle e con un filo di voce per assicurarsi di non essere sentito.
«Manchi anche me» mormorò la ragazza in risposta prima di chiudere la chiamante e lasciare che la testa cadesse all’indietro. Ora doveva solo sopravvivere ai parenti e il gioco era fatto. Sarebbe scappata nel New Hevan il più velocemente possibile senza guardarsi indietro.
«Lui come si chiama?» chiese sorridendo il fratello di Athena dopo essersi seduto di fianco a lei. In tutta risposta Athena alzò gli occhi al cielo e si morse il labbro; non era ancora il momento di parlare di lui con i suoi fratelli. Inoltre si era assicurata di essere da sola fuori, come l’avesse sentita era un mistero.
«Era Beth e fatti i tuoi, Justin» rispose secca, non volendo approfondire. Solitamente i suoi fratelli non si impicciavano nella sua vita privata, quindi sperava che quella breve frase fosse bastata. Erano uniti e si confidavano l’un l’altro, ma erano anche abbastanza rispettosi degli spazi altrui; o almeno questo era quello che credeva Athena.
«E da quando dici a Beth che ti manca? Non sapevo avessi certi orientamenti sorellina» commentò Justin ridacchiando mentre si metteva comodo. Adorava metterla in difficoltà quando si parlava di relazioni sentimentali. Era il fratello maggiore dopotutto. Inoltre era testardo come lei, sapeva che non avrebbe mollato facilmente la presa.
«Oh, Justin! Torna a fare il bravo fratellone e sostienimi in silenzio» borbottò lei dandogli una gomitata scherzosa. Era sempre stato facile confidarsi con lui e cercare rifugio quando ne aveva bisogno, ma in quel momento non aveva bisogno di sentire l’ennesima, identica, opinione.
«Quindi c’è un lui nella tua vita!» esclamò felice alzandosi in piedi. «Mike mi deve venti dollari!» aggiunse vittorioso. Athena non sapeva se: a) scappare b) sotterrarsi c) fingersi morta. Alla fine lasciò perdere, sarebbe stata una settimana infernale se non lo avesse accontentato. Inoltre era stressato dal matrimonio, poteva avere pietà di lui per una volta.
«Se stai zitto potrei dirti qualcosa» disse la ragazza lanciandosi un cuscino in pieno viso che il fratello prese all’ultimo secondo. Si scambiarono uno sguardo di intesa e in una frazione di secondo dopo il fratello si era già riseduto composto pronto ad ascoltare il racconto.
«Ora ripetimi ancora una volta perché non state insieme» disse Justin guardandola seriamente negli occhi. Era pur vero che lui stava per sposare il suo primo amore, fidanzati dai tempi della scuola, e che quindi la sua esperienza era limitata, ma proprio non si spiegava il comportamento dei due. Bastava vedere come gli occhi di Athena si illuminavano quando parlava di Spencer per capire che dovevano essere già da tempo una coppia.
 
La squadra di Hotchner era di ritorno da un caso in Arizona, era stato talmente lungo e logorante che nessuno aveva fiatato per metà del volo. Erano tutti seduti ai loro posti immersi nei loro pensieri. Erano abituati a vedere quello che vedevano, ma a volte certe realtà erano troppo anche per loro.
«Posso?» chiese JJ indicando il posto di fianco a Spencer libero. Il ragazzo alzò lo sguardo dal suo libro e annuì. «Grazie» mormorò dopo essersi seduta. Erano un paio di giorni che voleva parlagli, ma non riusciva mai a trovare il momento giusto. «Come sta Athena?» chiese cercando di essere il più disinvolta possibile. Spencer sorrise appena, sapeva che quel momento sarebbe arrivato prima o poi. Era sempre stata discreta, mai una parola sbagliata, ma sapeva anche quanto morisse dalla curiosità.
«Oh, JJ – rispose chiudendo il libro – non anche tu» sembrava quasi una preghiera. La bionda scosse appena la testa. «Non devi dirmi niente che non vuoi, ma ho capito quanto tieni a questa ragazza e vorrei» iniziò a dire cercando le parole migliori per esprimere i suoi pensieri «Vorrei che la vivessi tranquillamente, sentendoti libero di parlare di lei a chiunque. E magari conoscerla, oh, mi piacerebbe tanto conoscerla.»
Spencer sorrise all’amica, non avrebbe mai potuto rifiutare qualcosa a JJ, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui negli anni. Era un’amica troppo cara per lui, la cosa che più aveva vicina ad una sorella.
«È a Boston, settimana prossima si sposa il fratello ed è tornata a casa per dare una mano» rispose Reid sistemandosi meglio sul sedile. «Justin, è il maggiore. Però è in ansia perché sa già che i parenti la riempiranno di domande e non ama troppo questo tipo di intrusione nella sua vita privata» iniziò a raccontare senza però poi riuscire a fermarsi. Era un fiume in piena, solo che questa volta invece che riempire il silenzio dell’aereo con le sue nozioni scientifiche, lo riempiva di descrizioni di Athena e qualsiasi cosa ricollegabile a lei.
Parlare con JJ era liberatorio, sentiva il peso sulle sue spalle alleggerirsi ad ogni aneddoto raccontato. La bionda di tanto in tanto rideva, felice di aver finalmente trovato un modo di far confidare l’amico. Era bello rivederlo così felice dopo tanto tempo. Avrebbe voluto sapere ancora più cose sulla loro relazione ma per ora le bastava vedere come gli occhi di Spencer si illuminavano quando parlava di Athena.
   
 
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