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Autore: Snehvide    16/06/2020    3 recensioni
Per alcuni millesimi di secondo, a Dean sembra di non riconoscere la voce che urla alle sue spalle, e la cosa, per sé, è già devastante. Se poi aggiungiamo che suo fratello si accascia a terra come un bisonte ferito da un bracconiere e il suo corpo comincia a vibrare sollevando come una fitta nebbiolina di sabbia intorno a sé, improvvisamente, tutto ciò che Dean ha intorno cessa di avere valore semantico per la sua mente.
WARNING: ferite genitali descritte nei dettagli, particolari crudi: potrebbero fare impressione
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[Hurt/Comfort] [Hurt!Sam, Caring!Dean] [Scritta per la #AtonementH/C Challenge, gruppo Hurt/Comfort Italia]
Genere: Drammatico, Horror, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
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Double, double, thorns and trouble (groin burn, and cauldron bubble)

 – secondo capitolo -


Se non sai a cosa stai dando la caccia, non puoi rischiare. Dean lo ripete sempre tra sé e sé come una nenia, ed è la ragione per cui il suo duffel bag è quasi sempre mezzo vuoto.  Non è solo una questione di praticità: se un wendigo del cazzo o uno schifoso skinwalker ti si para davanti, incazzato come una iena incazzata, non è una pesante santabarbara contenente tutto ciò che hai per sconfiggere qualsiasi creatura extraterrena, a salvarti la pelle: sono le tue gambe. Devi correre. Schizzare via alla velocità della luce, raggiungere Baby, sgommare a tutto gas. Poi, alla prima svolta tranquilla, allora puoi aprire il  generoso arsenale del suo cofano e selezionare con calma ciò che ti serve, prima di tornare indietro e spaccare il culo al mostro.

Se sai cosa stai cacciando, non hai comunque bisogno di un borsone pieno – solo lo stretto necessario per rimandare quell’ignobile essere immondo da dove è venuto. 

In entrambi i casi, solo una cosa non sarebbe mai mancata: la vecchia, arrugginita scatola del pronto soccorso.
Prima ancora di caricare i fucili a sale o di fondere l’argento per i proiettili, Dean si premura sempre di controllare che nella scatola del pronto soccorso ci sia tutto, e che, soprattutto, tutto sia in ordine. Glielo aveva insegnato suo padre prima ancora di compiere otto anni, ed era una delle poche cose che John doveva sempre ispezionare personalmente: non si fidava del ‘tutto okay’ di nessuno, in quel caso. Neanche del suo. E questo, non fece che rafforzare nella sua mente l’importanza di questo prezioso alleato.

L’unica aggiunta che ha fatto Dean a quel kit così perfetto, è la lidocaina. Una piccolezza, un gingillo più che una vera necessità, si dice sempre. È iniziato tutto qualche anno fa, quando hanno salvato il culo ad un dentista di Dallas, e queste erano lì: in bilico sul mobiletto accanto al vampiro a cui avevano mozzato la testa. Prendere le fiale e metterle in tasca è stato un raptus cleptomane spontaneo ed inevitabile. Da allora, è diventata un’abitudine averle con sé. Perché non si sa mai.

Una strega, ad esempio, potrebbe trafiggere con un centinaio di spine di cactus l’intero apparato riproduttivo esterno (augurandosi sia solo quello) di suo fratello.
E forse, in casi simili, potrebbe anche rivelarsi utile: potrebbe anche evitare che a Sam esploda un embolo da qualche parte nel cervello, visto che è stato almeno dieci minuti buoni a urlare e dimenarsi in un dolore che Dean non credeva nemmeno possibile provare.

Superato lo sconforto e messo a tacere il dolore fantasma che si è esteso, di riflesso, anche ai suoi di genitali, Dean si è accertato di avere di nuovo il controllo del proprio respiro, prima di tornare sulla sabbia, scostare i lembi degli indumenti, e osservare da vicino la tragedia.

“Cristo, Sammy—” Se non avesse occupato la bocca con quella frase, probabilmente l’avrebbe occupata un conato di vomito.  Le spine sono tante e di forma e dimensioni differenti; le loro punte aguzze, rese abbaglianti dal sole, trafiggono il pene e i testicoli di Sam creando una sorta di fitto ingarbuglio di rovi dalla quale persino il sangue fatica a ricavarsi dei solchi lungo cui colare.

Nella sua vita aveva visto tante cose orrende Dean, ma un simile, macabro spettacolo, lo pone davvero a rivalutare - o meglio, ridimensionare - la propria esperienza in fatto di ‘orrori’.
Tiene stretta una mano sulla mascella, come se improvvisamente nutrisse dubbi sulla sua capacità di stare su da sola; lo sguardo incatenato su quel quadro raccapricciante. Nella sua mente, un nugolo di pensieri; una serie di nodi indicanti passi da compiere che non riescono tuttavia a concretizzarsi in un’azione. Cosa fare? Come muoversi? Da dove partire?
Un singulto - più simile ad uno spasmo in realtà,-  di Sam sembra offrigli il capo della matassa.
Dean riprende a respirare di nuovo quando i suoi occhi tornano a guardare in faccia Sam.
Sam, che dopo aver esaurito qualsiasi fiato e distrutto qualsiasi rimasuglio di corde vocali, giace adesso sulla schiena, rigido ed immobile come il saguaro che lo scherma parzialmente dal sole. La bocca, imbrattata da una schiuma collosa (probabilmente vomito) è schiusa in una O muta, e si arriccia ogni qualvolta il suo petto si gonfia in un respiro più audace di quanto possa tollerare. Ha ancora gli occhi sbarrati verso il cielo, fissi e privi di alcuno sguardo. È come se il dolore avesse trasportato la sua anima fuori dal suo corpo, e se Dean sin da quando ha memoria non avesse messo al bando un pensiero simile, allora penserebbe che Sam sia ad un passo dalla morte, annientato da un infarto o un ictus, o qualsiasi altra cosa un dolore simile possa aver provocato.

Probabilmente non avrebbe dovuto prendere il volto di Sam tra le mani così avventatamente perché, quando lo fa, Sam fa un tale sobbalzo, accompagnato da un suono gutturale così profondo, da far accapponare ogni singolo centimetro della sua pelle.
Suo fratello scava con i talloni contro la sabbia, agita le ginocchia - nel farlo, un paio di spine nell’inguine vanno a pungerlo da qualche parte nell’interno cosce, e Sam si piega talmente tanto sul bacino che per un attimo, sembra quasi mettersi seduto.

“Nononono, Sammy!—Sam!” Follia. Dean preme la mano destra sul suo petto, la sinistra scorre sino all’osso pelvico. “Non ti muovere, Sam!” grida al volto di suo fratello stretto adesso in una smorfia orrenda.

A Dean ronzano già le orecchie. Sente qualcosa pungergli gli occhi e irradiarsi sino alla gola: quanto gli fa male la gola, e quanto cazzo di aria stanno incamerando i suoi polmoni. Corruga la fronte. No.
Nononono.

Cazzo”, stringe tra pollice e indice la radice del naso, prende un respiro profondo. Ha un bisogno disperato di sollevare gli occhi oltre le dune, di lasciare che il suo sguardo vaghi alla ricerca di qualcosa che non sia Sam agonizzante al suo fianco, e quando nel suo campo visivo entra lei, Baby, parcheggiata sulla strada a circa mezzo miglio da lui, d’improvviso si ritrova in gola tutto il fiato di cui ha bisogno.
Hey,” sembra dirgli, “datti una mossa, dolcezza. Dov’è finito il tuo borsone?”

Il borsone. Le pupille come flipper a segnare la ripresa delle redini e il ritorno alla realtà. Frenetico, Dean si guarda intorno. Il suo duffel bag è proprio dietro di sé, abbandonato a circa una decina di metri da lui.

Sprizzante di un’energia tutta nuova, Dean scuote la testa, si solleva, falcia le dune, corre a recuperarlo. Cinque secondi dopo, è già tornato chino su Sam. Armeggia all’interno della valigetta del pronto soccorso, i suoi occhi emettono come dei lampi di luce. La siringa sibila in un modo disturbante mentre risucchia sino all’ultima goccia la fiala di ‘Xylocaine’, così come recita l’etichetta. Quel suono sembra aver smosso qualcosa anche in Sam: le sue dita stringono pugni di sabbia, la sua testa si abbandona su di un lato. Dean si volta a guardarlo un attimo, sorride entusiasta, prima di tornare a concentrare la sua attenzione sull’aria rimasta intrappolata nella siringa.

“Giuro che se ti lamenterai del mio modo di fare le iniezioni, non appena ti tiro fuori da questo casino te le suono, fratellino.” Richiude la valigetta, si stende verso quell’incubo tra le gambe di Sam.  

Non è facile capirci qualcosa, di quell’ammasso informe di orrore. Dean piega la testa da un lato poi dall’altro, cerca la giusta angolazione per poter anche solo comprendere come approcciarsi. Lo scroto, che inizialmente sembrava messo meglio rispetto a tutto il resto, è in realtà la parte messa peggio. Dean si accorge solo dopo un esame più attento che di spine ne ha persino di più rispetto al pene e all’inguine. Oltre a quelle grandi ed aguzze, infatti, la superficie è ricoperta quasi completamente di piccole spine, nascoste tra i pori irti e i rivoli di sangue, e non passa molto tempo prima che il suo volto perda nuovamente colore.

Si lecca le labbra nervoso, soffia tra i denti quando, piano, con la punta del mignolo, prova a insinuarsi tra gli aculei per trovare un punto di appoggio sotto un testicolo. Può dire di non averlo neanche sfiorato quando Sam risucchia dell’aria con un rantolo secco, e scalcia.
Dean ritira la mano; le spine si sono trasferite sul suo polpastrello. Merda.
Le succhia via, ci riprova. Il pene, anche se ridotto ad un vero e proprio puntaspilli, sembra non avere almeno la fitta barbetta di spine dello scroto, ma gli aculei che sporgono sono quelli più lunghi e appuntiti, e si intersecano tra loro creando una sorta di piccola foresta di arbusti spogli, che a Dean ricordano un po’ quelli che si stagliano lungo le statali del Kansas in autunno. Anche lì, non è facile riuscire a capire da dove cominciare.

Sulle ginocchia, Dean si sposta di qualche centimetro più in basso, sino all’altezza delle anche, china la testa.
Il meato ha una spina conficcata in obliquo al suo interno, e a quel punto, il maggiore dei Winchester proprio non ce la fa a trattenere un ritorno di bile in gola, che soffoca nell’incavo del proprio gomito. Non può permettersi di vomitare. Non adesso. Deve guardare, e deve farlo anche bene. È l'unico modo per poter insinuare il proprio indice verso quella parte del glande apparentemente libera senza scontrarsi con le spine. Lui ha bisogno delle sue mani e Sam dei suoi genitali.
La raggiunge, si piega su di esso, tamburella con il polpastrello la carne pulsante. Sam non sussulta. Trattiene il fiato, trema, ma non fa quell’angosciante suono gutturale che sembrava poter lacerare qualsiasi rimasuglio di sanità dalla sua mente. È un ottimo segno, si dice.
Facendo attenzione agli spuntoni a pochi millimetri di distanza dalla limitata area di suo interesse, Dean lo ripulisce dal sangue accumulatosi su di esso, risalendo alla pelle tumefatta. Non ha un bel colore, ma non ha neanche spine – il che è davvero un ottimo segno.
Dovrebbe disinfettare, ma la sola idea di versare la mezza bottiglia di Jack Daniel’s che ha con sé sui genitali perforati di suo fratello è sufficiente per portargli in mente scenari da macelleria messicana, dunque no, mette via la bottiglia, scarta questa soluzione. Ha pietà per quel suo fratello ridotto ad un colabrodo umano.

Si limita a bagnare le proprie mani e l’ago della siringa, prima di avvicinarsi a quel centimetro di pelle risparmiata. Tira un lungo, profondo un sospiro. Ne ha bisogno per stabilizzare la mano. L’angolazione è pessima, ma deve comunque tentare in qualche modo di bloccare le gambe e il bacino di Sam, perché sa che quello che sta per fare non gli piacerà, ma sa anche che apprezzerà molto il sollievo che ne deriverà, ed è a questo che si aggrappa, mentre distende una gamba sbarrando le ginocchia di Sam e ne immobilizza il fianco con la mano libera.

“Ok, fratellino, tempo di stringere i denti, adesso. Anche se non credo cambi poi molto per te: spina più, spina meno.”

Affonda l’ago piano, Sam torce il bacino, tenta di inarcare la schiena ma, a parte un rantolo umido ruzzolato fuori direttamente dal suo inferno interiore, non arriva nient’altro, e per Dean, questa è già una piccola vittoria.
“Va tutto bene,” La mano sul fianco non è solo lì per trattenerlo. Si lascia andare ad un paio di pacche, carezze camuffate. “Ci siamo quasi.” Ripete l’iniezione su altre parti del membro di Sam, anche piccole zone in cui trova appena lo spazio indispensabile per permettere all’ago di penetrare. Sembra che il fastidio sia minimo, e lo prenderebbe come un buon segno Dean, se solo questa consapevolezza non gli riportasse alla mente quanto debba essere dilaniante il dolore che sta provando.

Riesce in qualche modo ad anestetizzare anche lo scroto e l’inguine, e al termine delle iniezioni, quando la lidocaina ha cominciato ad avere la meglio, anche il respiro di Sam sembra essere più regolare, o almeno, questo è quello di cui vuole convincersi.

Flesse e scosse da tremori, le braccia di suo fratello sono abbandonate ai lati della testa, costeggiano delle guance gonfie e paonazze, come se avesse trattenuto per tutto il tempo il respiro. La smorfia sul suo viso è ambigua. Impossibile dire se sia sveglio o abbia completamente perso i sensi.
Accantonata la siringa, Dean si porta nuovamente all’altezza del viso, lo prende tra le mani, questa volta con delicatezza, memore del precedente errore.

“Sam? Sammy?” La voce di Dean attutita da un bolo di saliva in gola, probabilmente giunge alle orecchie di Sam umida come la leccata di qualche strano animale. Stringe il viso, schiude i pugni, le unghie hanno lasciato dei vistosi segni sui palmi delle mani. “Sam?” gli occhi, Sam, li apre solo quando le dita di Dean vanno a scorrere sulle sue tempie, spostando i capelli impastati di sudore e sabbia verso la nuca.

“Va meglio, Sammy?” Lo guarda con un cipiglio confuso, i suoi occhi arrossati puntano verso di lui con uno sguardo troppo diretto per essere fuori fuoco, ma Dean non sa dire se sia in sé o meno. Non sino a quando Sam non sbatte un paio di volte le palpebre, allenta la tensione sul volto, strofina le dita tremanti sulle ciglia bagnate.

“De—“ non fa neanche in tempo a pronunciare il suo nome per intero che un colpo di tosse gli riporta su tutto ciò che è rimasto di indigesto nel suo stomaco, e Dean è davvero in difficoltà. Spinge le scapole di lato affinché non soffochi nel suo stesso vomito, ma il pensiero di ciò che stia accadendo lì sotto lo mette davvero in crisi. Soffia tra i denti nell’intravedere nuovi rivoli di sangue sulle cosce che il conato aveva pericolosamente contratto, decide tuttavia di non farne parola a Sam. Con le sopracciglia aggrottate,  lo riporta il prima possibile in posizione supina. Lo osserva mentre riprende dolorosamente fiato.

“Stai meglio?” Sam annuisce flebilmente. Scappa qualche singhiozzo da quelle labbra spalancate e inaridite che ingoiano aria.

“Questa volta quelle stronze sono state davvero originali, devi ammetterlo.” Dean non sa se il sorriso che ha fatto riaffiorare sulle labbra sia convincente o meno, ma pensa sia indicato, dal momento in cui Sam sta miseramente fallendo nel suo tentativo di trattenere le lacrime. E pensa anche sia indicato chinarsi sul suo volto, lasciare che suo fratello gli cinga la testa più o meno così come sta facendo anche lui, cercando però di muoverlo meno possibile. E pensa sia più o meno indicato anche lasciarsi scappare quel “Cristo, che spavento, Sammy...” che mormora, e che trova eccessivo già nel momento in cui lascia le sue labbra.

Dopo tanta debolezza, si sente in dovere di raddrizzare il carico: dà un’occhiata veloce alle parti basse di Sam, alterna lo sguardo tra queste e il suo volto, piega le labbra in un ghigno, fa spallucce.
“Certo, non è un bello spettacolo, ma te la caverai alla grande, fratellino. Dammi il tempo di toglierti queste maledette spine e poi andremo insieme a strappare il fegato a quella fottuta figlia di puttana. Lascerò a te l’onore di sgozzarla.”  Stappa la bottiglia di Jack Daniel’s, ne avvicina l’imboccatura alle labbra di Sam, lo costringe a berne l’equivalente di un sorso, prima di decidere che può bastare, a giudicare dai suoi colpi di tosse. Con se stesso, Dean è più generoso.

“Adesso ascolta, dovrò toglierti completamente i pantaloni. Probabilmente non sentirai nulla, ma dovrai restare completamente immobile, d’accordo? Non muoverti e sopratutto non chiudere le gambe per nessuna ragione al mondo, mi hai capito, Sam?”

Non che si aspetti una risposta verbale, ma almeno un cenno, un gesto d’assenso, qualcosa che tarda ad arrivare.

“Sam?”

In effetti, è solo adesso che Dean si rende conto di un piccolo dettaglio che la concitazione aveva precedentemente offuscato. Sente il proprio sangue pulsargli nelle tempie, gli incisivi morire dalla voglia di addentare il proprio labbro inferiore, e lui, in un impeto di ribellione, decide invece di fare tutt’altro; tipo stirare le labbra in una linea stretta e sarcastica che crede capace di donargli un’aria da stronzo. Quella di cui in questo momento ha bisogno.

“Non osare rivendicare diritti di proprietà esclusiva, sai! Conosco il tuo cazzetto da molto prima di te. E devo dire che il mio è sempre stato molto più bello.” annuncia fintamente beffardo, torna al lavoro senza attendere la risposta di Sam. Si dice che ha fretta, ma la verità è che non vuole sentirla.

Rimuove le scarpe, sfila via boxer e pantaloni. La nota positiva è che può finalmente avere una visuale completa del disastro; quella negativa...anche. Un nuovo capogiro, un nuovo conato nel constatare la presenza di spine anche dove pensava non ce ne fossero. Sam ha disteso un braccio lungo i suoi occhi e Dean pensa sia l’idea migliore che possa aver attraversato la sua mente.

Il primo spuntone su cui si concentra è un grosso, grasso aculeo nero che si sporge più di tutti da sotto il glande. È talmente lungo da fare quasi da supporto per gli altri, stagliandosi dal pene di Sam sino ad incastonarsi come un paletto nella sabbia insanguinata. Il modo in cui sostiene l’organo è uno spettacolo disturbante. Non sembra particolarmente difficile da rimuovere, o almeno, questo è quello che Dean si dice in un primo momento; la realtà però, lo pone dinnanzi ad un’altra verità. I primi centimetri scorrono senza troppi problemi, al momento di estrarre la punta però, Dean incontra una certa resistenza.
Tira un po’ di più, sempre con delicatezza; cerca di ignorare le gocce di sudore freddo che si sono create sulla sua fronte, ma non succede nulla. Niente.

Cazzo. E adesso?
Stringe gli occhi, spreme le meningi nella speranza di trovare una risposta all’interrogativo. Ha tra le dita un aculeo lungo almeno sei centimetri e nella testa dei flashback di film splatter guardati con il proprietario del pene, in un motel fatiscente, con una enorme ciotola di popcorn sul grembo e i calzini spaiati ai piedi.
Come non può tornare lui indietro a quei momenti, così non potrà tornare indietro quella spina, dunque, in un impeto di onnipotenza senza alcun fondamento, lo fa: stringe i denti, flette un po’ lo spuntone, e tira via.

Non è convinto sia stata una buona idea, a giudicare dalla quantità di sangue che si ritrova tra le mani.

Figlio di putt—“ Sgrana gli occhi, tenta come può di far pressione sul punto di estrazione, ma in quella sorta di rave party di istrici, riuscire anche solo a premere su di essa con il pollice è un’utopia.

Si può morire in tanti modi, ma morire a causa del dissanguamento del pene, beh – è decisamente singolare come cosa. Non fatica ad immaginare la reazione del reaper che giungerebbe a prelevarlo: si sarebbe fatto grasse risate, oppure avrebbe chiesto le dimissioni il giorno successivo, a seconda di chi sarebbe capitato. Il pensiero è in qualche modo consolatorio.

“Dean—“ Sam sarà anche afono, ma la confusione riesce comunque a trasmettergliela tutta quando, d’improvviso, si sente afferrare per le spalle e venire trascinato, di colpo, sui suoi piedi. “Cos--?” fatica a mantenere su il viso, e forse è una fortuna che Dean non veda bene i toni cianotici che ha assunto.

“Dobbiamo andare in ospedale, Sammy.”

Non è il suono di una sconfitta. Solo di una tregua.
Forse, se Dean lo ripeterà almeno un centinaio di volte, finirà per crederci. Chissà.

Fine secondo capitolo

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- Ve lo avevo detto che questo capitolo sarebbe stato gruesome, no? Il prossimo sarà un po’ più leggero, giuro.
- Pubblicherò un capitolo a settimana. Sono tutti pronti.
- Prompt nato da una sfida sul mio gruppo 
Hurt/Comfort Italia; mi è stato assegnato il prompt “Personaggio A ha il pene pieno di spine, personaggio B deve prendersene cura”, e così...eccoci qui
- Grazie per aver letto! Non è una lettura facile, me ne rendo conto. ^^”

Betata da 
Nattini1, grazie! <3

   
 
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