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Autore: _Joanna_    19/06/2020    0 recensioni
Piccola fan fiction dedicata a Merope Gaunt.
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Dal testo del primo capitolo:
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"Un debole rumore di zoccoli, attutito dalle foglie umide sparse sull’acciottolato, annunciò l’arrivo di una carrozza.
Merope, come ogni giorno, si nascose dietro la rozza staccionata che delimitava la proprietà dei Gaunt.
Pochi attimi dopo, una bella carrozza scura risalì il lento pendio. Il tettuccio era stato tirato su, ma le tendine erano aperte e il profilo di un giovane dai lucidi capelli neri fece capolino.
Merope, estasiata dalla sua bellezza, lo guardò passare, beandosi di quei lineamenti precisi ed eleganti, di quegli occhi grigi e profondi che mai si erano posati su di lei.
“Un giorno” pensò Merope “Un giorno gli andrò a parlare”."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merope Gaunt, Orfin Gaunt, Orvoloson Gaunt, Tom Riddle Sr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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- Questa storia fa parte della serie 'Orfani'
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4.4


Epilogo






Il tiepido sole, ancorché tenue e pallido, era già alto nel cielo quando Merope si svegliò. Accanto a lei, ancora profondamente addormentato, c'era suo marito, il suo Tom. Nel guardarlo, le labbra di Merope si incresparono in un timido sorriso, subito sostituito da un'espressione più dura, risoluta.
Quella notte, infatti, mentre si rigirava tra le lenzuola, dolcemente cullata dal respiro di lui, aveva preso una decisione.

   Da qualche settimana Merope si sentiva strana: nausee, stanchezza e altri sintomi l'avevano indotta a temere di essersi ammalata, così, il giorno prima, nel pomeriggio, si era recata dal medico Babbano del paese.
Il dottor Jones era un uomo buffo, tarchiato e quasi calvo, nonostante non potesse avere più di trent'anni. Quando l'aveva fatta distendere sul lettino e aveva cominciato a farle molte domande, Merope era un fascio di nervi.
“Non si preoccupi, signora Riddle” aveva sentenziato il dottore al termine della visita. “Lei non è affatto malata” aveva aggiunto con un ampio sorriso “Aspetta un bambino, direi da due mesi, dieci settimane al massimo”.
Un bambino.
Dopo neanche un anno di matrimonio, Merope era incinta del suo Tom.
Tornata a casa, aveva dato la bella notizia a suo marito, che, pazzo di gioia, l'aveva presa tra le braccia, tempestando il suo piccolo corpo di baci e carezze, travolgendola con il suo amore e la sua intensa, irrefrenabile passione.
Si era addormentato, esausto, solo dopo averle reso onore per ore, benedicendo il suo ventre e la nuova vita che, di lì a qualche mese, sarebbe venuta al mondo.
Ed era stato allora che Merope aveva deciso.
Non voleva più soggiogare a quel modo la volontà di suo marito: avrebbe smesso di somministrare a Tom il suo potente filtro d'amore.
“Ora basta” aveva detto quella notte alle tenebre “Lui mi ama, avremo un bambino, un figlio nostro, lui mi ama” si era ripetuta.
Sì, lui l'amava davvero adesso, ne era certa.
Certo, se non fosse stato per la pozione, Tom non l'avrebbe mai notata, ma adesso, dopo mesi passati insieme, dopo che Merope aveva dato tutta se stessa per lui, ricoprendolo di attenzioni e di affetto, adesso che nel suo ventre stava crescendo suo figlio, il simbolo del  loro amore, Tom non avrebbe potuto non amarla.
“Lui mi ama” ripeté di nuovo a se stessa, prima di cacciare via le coperte e alzarsi.
Tom si rigirò nel sonno, ma non si svegliò.
Merope indossò la vestaglia e scese in cucina, per preparare la colazione.
Il filtro, che teneva nascosto in alcune boccette di vetro, scintillò tenue alla luce del sole.
«Lui mi ama» disse di nuovo, ad alta voce questa volta.
Prese le fiale e, una per una, ne rovesciò il contenuto nel lavandino.
«Lui ci ama» disse una volta terminato, accarezzandosi il ventre.

     Nei giorni seguenti, Tom si comportò in modo strano: era insofferente, quasi scontroso, e molto sospettoso.
Occhi imparziali avrebbero detto che l'amore tra i due era finito, che della tenerezza e della premura che facevano di quell'uomo il marito perfetto non era rimasta traccia.
Ma gli occhi di Merope non erano imparziali, al contrario, la ragazza era rimasta vittima del suo stesso incantesimo.
Merope non aveva mai nascosto le sue particolari abilità al marito e lui ne era sempre rimasto affascinato.
Ma ora, quando lei agitava la bacchetta e le fiamme del camino si accendevano, calde e vivaci, non c'era ammirazione sul volto di Tom, bensì disprezzo e disgusto.
Merope non lo vedeva, non voleva vederlo e la dura realtà, la tremenda verità, la colse di sorpresa un mattino, appena una settimana più tardi.
Si svegliò quando il giorno era già iniziato da un pezzo. Aveva dormito profondamente, eppure si sentiva stanchissima. La testa le doleva terribilmente e un senso di angoscia le opprimeva il petto.
Accanto a lei, il letto era freddo.
Sopra il cuscino, scritto nell'elegante calligrafia di Tom, c'era un biglietto.

Non ho più alcuna intenzione di sopportare questa situazione, non posso più vivere con un mostro e non posso fare da padre alla tua creatura che, certamente, sarà ugualmente strana e mostruosa come te.

Addio.

Tre righe.
Qualche misera decina di parole.
Tanto bastò a Merope per sprofondare nella tristezza infinita da cui era risorta solo qualche mese prima.
La bella casa, il paradiso che aveva accolto Merope e il suo sogno impossibile era stata pagata con i soldi di Tom e così e lei fu costretta ad andarsene.
In quel minuscolo paesino, poco fuori Londra, tutti la evitavano adesso.
In realtà, lo facevano anche prima, solo che, ancora una volta, Merope non aveva voluto vedere.
Sola, senza denaro e con una vita che cresceva inesorabile dentro di lei, Merope si trascinò per le strade e i vicoli malsani della grande metropoli inglese.
Qualche volta riusciva a rimediare un pasto nelle mense per i poveri, poche in confronto alle tante bocche affamate della città; altre volte riusciva a rubare un pezzo di pane a un fornaio distratto; spesso digiunava.
L'estate fu sopportabile, ma quando arrivò l'autunno e le giornate presero a farsi sempre più fredde e le notti sempre più lunghe, fu allora che Merope capì che le restava una sola possibilità.
Il medaglione di Salazar Serpeverde, il solo oggetto di valore che avesse mai posseduto, pesava come un macigno appeso al suo collo troppo esile.
Per salvaguardare la vita del suo bambino, prese l'unica decisione possibile, anche se sapeva che suo padre, ovunque fosse in quel momento, l'avrebbe uccisa con le proprie mani piuttosto che permetterle di compiere quel sacrilegio.
Raggiunse Diagon Alley, la via dei maghi, e da lì si incamminò per lo stretto vicolo denominato Nocturn Alley.
Le vetrine sporche e opache di Magie Sinister, la sua destinazione, brillavano come fari accecanti in quella notte di dicembre.
Nevicava forte.
Con mani tremanti, consumata dalla vergogna, ma ancora di più dal freddo e dalla fame, consegnò nella mani ruvide e avide del proprietario, il signor Burke, il prezioso medaglione.
Dieci galeoni le fruttò quel gesto disonorevole.
Dieci galeoni che le permisero di sopravvivere quel tanto che bastava per trascinarsi fino all'Orfanotrofio Wool, dove, stremata, diede alla luce il suo bambino.
«Tom» disse, quando le venne chiesto se voleva dare un nome alla creatura appena nata «Come suo padre, Tom Riddle, che possa essere bello come suo lui» disse, e aggiunse «Marvolo, come mio padre. Tom Marvolo Riddle».
Il volto del suo Tom, del suo unico amore, ammiccò debolmente nella sua mente offuscata, mentre suo figlio, straordinariamente tranquillo, le veniva posto tra le braccia.
«Ricordati che ti amo» sussurrò debolmente, accarezzando il volto perfetto del suo bambino; quindi, con l'animo straziato, ma appagato, mentre le campane della chiesa vicina battevano gli ultimi rintocchi dell'anno, chiuse gli occhi per sempre.










N.A.

Mi sono resa conto solo ora che avevo lasciato questa ff incompiuta e dunque, eccomi qui a completarla XD

  
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