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Autore: Marti Lestrange    19/06/2020    11 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Note iniziali: ci tengo a specificare che ciò che Rosier e Pucey pensano di Lucy Weasley non rispecchia nel modo più assoluto il mio pensiero, e me ne discosto, ma ho voluto inserirlo per esigenze di trama e di caratterizzazione.

 



PARTE SECONDA

 

4.

CAPITOLO QUATTRO

 

 

Quel martedì mattina di gennaio, James Sirius Potter si svegliò presto. Si girò e si rigirò nel suo letto, sprimacciò il cuscino, si tirò le coperte fin sopra la testa. Tutto inutile: il sonno lo aveva ormai abbandonato. 

L’orologio poggiato sul comodino diceva che erano le sette, quindi aveva ancora due ore prima dell’inizio delle lezioni. Si alzò scalciando via il piumone e, seduto sul bordo del letto a baldacchino, si stropicciò i capelli castani e sbuffò. Si diresse in bagno quasi barcollando e si lavò la faccia con l’acqua fredda, rabbrividendo nel pigiama leggero. 

I suoi compagni dormivano ancora e Louis Weasley russava leggermente. James si era abituato, il russare del cugino era ormai una ninnananna. 

Si liberò del pigiama e indossò la divisa da Quidditch. Dopo essersi infilato la felpa rossa dalla testa (un capo di vestiario che era stato recentemente aggiunto al “corredo” in dotazione ai giocatori, molto più pratico e caldo da utilizzare durante gli allenamenti invernali), agguantò gli occhiali sul comodino, il suo manico di scopa (una modernissima Firebolt 30001) e uscì senza fare rumore.

La Sala Comune di Grifondoro - un ampio spazio circolare affollato di divani, poltrone e tavoli in legno - era ovviamente deserta, ma il fuoco già crepitava allegro nel caminetto. James si arrampicò nel buco del ritratto e sbucò nel corridoio. Sperò ardentemente di non incontrare nessuno, perché non si era portato dietro il Mantello dell’Invisibilità. Poco male, avrebbe rifilato la solita scusa: allenamento mattutino. La divisa da Quidditch e la scopa da corsa lo avrebbero giustificato. 

Uscì dal castello e raggiunse il campo da Quidditch senza vedere anima viva, per fortuna. Non aveva voglia di parlare e di interagire con altri esseri umani, non a quell’ora e non con la mente affollata di pensieri che si ritrovava in quel momento. 

Non era la prima mattina che sgattaiolava fuori nel parco così presto, ormai senza sonno e preda delle preoccupazioni. Erano passati circa dieci giorni dall’incidente, ma a James sembrava fosse successo appena il giorno prima. Non riusciva a togliersi dalla testa la faccia di Karl Jenkins, che ormai popolava persino i suoi sogni. 

Salì sulla sua scopa, si diede una spinta con i piedi e in un attimo fu in alto, nel cielo grigio dell’inverno, a sorvolare le gradinate deserte e le montagnole di neve ammucchiate qua e là. Da lì poteva vedere il Lago Nero, ma distolse lo sguardo. Si concentrò solo sul volo. Volare gli schiariva la mente, lo faceva sentire più leggero, cancellava tutto lo stress e gli dava modo di respirare a pieni polmoni. Era un po’ la sua terapia, quella, meglio di qualsiasi altra cosa avesse mai provato e vissuto. Volare per James era sempre stato un po’ come camminare, e la scopa da corsa era come se fosse un naturale prolungamento del suo corpo. Suo padre gli aveva regalato il suo primo manico di scopa quando aveva compiuto sei anni, ed era un manico di scopa vero, non uno di quelli giocattolo per i bambini più piccoli, e gli aveva insegnato a volare come un adulto, nel giardino di casa Potter. E, da quel giorno, James aveva capito che non avrebbe voluto fare nient’altro, nella vita, a parte quello. 

Poi era cominciata la scuola, e sua madre gli aveva fatto capire, categoricamente, che avrebbe dovuto sudare sui libri, se voleva ancora continuare a volare. E così James aveva messo tutto se stesso anche nello studio e, al suo secondo anno, aveva passato le selezioni per la squadra di Quidditch, come Cercatore, naturalmente, proprio come suo padre e suo nonno. 

E così, James Sirius si era ritrovato ingabbiato in una duplice natura: era sempre lo scavezzacollo al quale bastava un sorriso impertinente e uno sguardo in tralice per cavarsela anche nelle situazioni più difficili, e al quale piaceva da morire fare scherzi agli studenti più piccoli e azzuffarsi con i Serpeverde, ma era anche lo studente modello, intelligente senza essere secchione, che imparava tutto con estrema facilità, amato dagli insegnanti per il suo acume e rispettato dai compagni, che a lui guardavano come una specie di “eroe mitico”, irraggiungibile, un modello per le future generazioni di maghi e streghe. Il suo cognome gli aveva aperto molte porte, e mai James se n’era vergognato, mai aveva desiderato di rinnegarlo. Era fiero di essere un Potter. 

Il pensiero di suo padre - e di quello che avrebbe pensato se solo avesse saputo - lo colpì in pieno petto. Cos’avrebbe pensato di lui? Lo avrebbe guardato deluso, e mortalmente triste, avrebbe scosso la testa abbassando le spalle, facendosi piccolo e abbattuto, e stropicciandosi gli occhi stanchi da sotto le lenti degli occhiali. E James si sarebbe vergognato amaramente delle sue azioni, e lo avrebbe pregato di perdonarlo, proprio lui che non lo aveva mai, mai deluso. Ora invece si sarebbe vergognato di suo figlio, sì, e forse il loro rapporto non sarebbe più tornato come prima. Aveva rovinato tutto. 

James scosse la testa, aggirando i tre anelli della porta e ripartendo a gran velocità, l’aria che gli scompigliava i capelli e gli entrava nei polmoni come mille aghi ghiacciati. 

Quello che aveva fatto non gli dava pace, e non solo per via di suo padre e di ciò che avrebbe pensato di lui, ma anche per se stesso, e per cosa James pensava di James. Quello che era successo andava ben al di là di qualsiasi scorribanda e scherzo e malefatta ordita ai danni del vecchio Gazza, di qualsiasi festa clandestina organizzata nella Sala Comune o diversivo per distrarre qualche insegnante e saltare le lezioni. «Io non sono così», aveva detto a suo fratello. Come se poi Albus lo fosse stato… uno che andava in giro ad occultare cadaveri e fare come se niente fosse, ma in quel momento, lì sulle rive del Lago Nero, aveva sentito di odiarlo un po’, e ora se ne vergognava, ché Albus era suo fratello, il suo stesso sangue, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerlo. Nonostante tutte le burle, e gli scherzi, e le prese in giro bonarie di quand’erano bambini, e freschi studenti di Hogwarts, James gli voleva un bene dell’anima, come ne voleva a tutta la sua famiglia, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, neanche sotto tortura. Era pur sempre James Sirius Potter, aveva una reputazione. 

Scese in picchiata, quasi a sfiorare l’erba del prato, perfettamente tagliata ma ghiacciata, e poi risalì in alto, sempre più in alto, quasi a voler toccare il sole. Poi chiuse gli occhi e si lasciò planare dolcemente verso terra, guidato solo dall’aerodinamica della sua scopa e dall’aria che gli sfiorava dolcemente le orecchie. 

Quando si permetteva di abbassare le palpebre, vedeva come prima cosa il volto di Jenkins, gli occhi aperti e sbarrati nella notte, privi di vita, il corpo abbandonato sull’erba; vedeva se stesso allungare la bacchetta e Trasfigurarlo; vedeva Albus buttare la pietra nel Lago, e poi tutti e sei che risalivano verso il castello, lui a chiudere il corteo, il Mantello a drappeggiargli le spalle stanche; e infine era di nuovo nella Sala Comune, e a Rose tremavano le mani, e Roxanne gliele stringeva, e Caitlin… Caitlin lo aveva guardato un’ultima volta ed era salita nel suo dormitorio, e James l’aveva guardata allontanarsi. Non si parlavano da quella sera. 

James scese a terra, barcollando leggermente. Si passò una mano tra i capelli, ed era un po’ un tic, per lui, quel gesto che faceva da che aveva memoria, e che lo faceva sentire al sicuro. Si allontanò dal campo, diretto al dormitorio, dove si sarebbe cambiato prima di andare a colazione. 

Si fermò di colpo fuori dallo stadio quando intravide Teddy Lupin scarpinare sul prato, diretto al castello, le mani buttate nelle tasche del montone e i capelli verdi. James rimase nascosto finché non lo vide raggiungere il portone di quercia e sparire all’interno. Borbottò leggermente a mezza bocca e si incamminò a sua volta. In un’altra occasione avrebbe raggiunto il cugino e si sarebbe unito a lui, e sarebbe stato felice di vederlo e scherzare e chiacchierare. Aveva sempre amato le visite di Teddy a casa Potter, e il loro era un rapporto quasi fraterno. Odiava quella situazione, odiava dovergli mentire e odiava la maschera che doveva mettersi addosso tutte le volte in cui l’Auror gli si avvicinava e gli parlava. Avrebbe tanto voluto raccontargli tutta la verità, e liberarsi di quel peso, ma non poteva, non poteva farlo, non poteva permettersi che succedesse. 

James strinse i denti ed entrò nel castello. 


 

«… grazie, Prudence, buona giornata anche a te.»

Teddy e Roger si alzarono dal loro tavolo, dopo aver consumato una veloce colazione ai Tre Manici di Scopa a base di uova, bacon e caffè forte. Si strinsero nei cappotti e presero la porta, diretti al castello. 

Quello che non si aspettarono fu la gente che li stava aspettando all’esterno del locale. Una piccola folla si era riunita sulla strada e sul marciapiede, e si stringeva intorno ad una donna alta, i capelli biondi acconciati in perfetti boccoli e un completo gonna e mantello di un bel verde acceso, il colletto bordato di piume color porpora. Rita Skeeter. L’affiancava un fotografo, vestito di nero, che accanto a lei sembrava un corvo denutrito. 

La donna stringeva tra le mani un blocco e una Penna Prendiappunti e, non appena vide uscire i due Auror, sbarrò gli occhi, pervasi da una gioia quasi malsana, e si avventò su di loro, vorace come un rapace. 

«Lupin! Davies!» esclamò con voce acuta.

Dopo tutti quegli anni, la Skeeter non aveva ancora perso la voglia di assaltare la gente per intervistarla. 

Teddy girò leggermente il viso, alzando gli occhi al cielo. Roger fece un passo avanti. Era solito gestire lui il rapporto con la stampa, dopo quello che era successo una volta con un inviato della rivista “Il male oggi2, che aveva insistito per chiedere a Teddy come facesse a celare la sua natura di licantropo e lavorare allo stesso tempo come Auror, e lui per poco non gli era saltato addosso. 

«Rita», bofonchiò Roger, diplomatico come sempre.

«Ditemi un po’, come procedono le indagini?» chiese la donna avventandoglisi contro, e quasi abbarbicandosi sul suo petto.

«Sai che non possiamo rilasciare dichiarazioni in merito alle indagini, Rita, si tratta di informazioni riservate.» Roger l’allontanò con garbo, mentre lei alzò gli occhi al cielo con fare teatrale. Intanto, il fotografo scattava foto all’impazzata. Teddy si grattò un sopracciglio. 

«Uffa, ma neanche una piccola chicca per i lettori del Profeta, Roger caro? Piccola piccola.»

«Posso solo assicurare i tuoi lettori che stiamo facendo tutto il possibile per fare chiarezza su questo caso.»

«Peccato, speravo che potessi dirmi qualcosa in più sul rapporto dei Mortuari… » attaccò lei, il sorriso trasfigurato in un ghigno. «Quello dove c’è scritto che si tratta di una morte magica…»

«E lei come diavolo fa a saperlo, eh?» sbottò Teddy. Non ce la faceva più a starla a sentire, e quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Decisamente.

Roger si girò a trattenerlo e Rita quasi sobbalzò. 

«La vuole smettere di sputare veleno?» continuò Teddy. «È morto un ragazzo e lei viene qui solo per sperare di vendere qualche copia in più scrivendo cazzate!»

«Teddy, Teddy, ora basta», esclamò Roger. «Non dire altro.»

«Interessante, Lupin, la sua reazione denota un certo nervosismo di fondo, una sorta di… come dire… senso di colpa? Magari per non essere ancora riuscito a fare chiarezza? Per non essere riuscito a trovare il povero Karl ancora vivo? O per non avere avuto il coraggio di consigliare alla Preside di farsi da parte vista la sua Magi-sclerosi3

Il mondo di Teddy si fece rosso. Era tutto un trionfo di cremisi e borgogna, un arazzo di furia e odio e rabbia cieca. Sentì le braccia di Roger stringerlo ancora più forte, mentre interveniva un altro paio di maghi. 

«Lo ripeta!» esclamò quindi. «Lo ripeta se ne ha il coraggio. Non le permetto di insultare Minerva McGranitt davanti a me, ha capito? Se ne vada al diavolo, brutta stronza piena di—»

«Silencio!»

Teddy aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono. Puntò gli occhi su Roger e questo lo guardò, serio, la bacchetta in mano, e poi lo spinse via, lontano dalla folla, lontano dalla Skeeter, lontano da tutto. Si fermarono solo ai margini del villaggio, quando Roger ringraziò i maghi che gli avevano dato una mano e liberò Teddy dall’incantesimo di silenzio. 

«Ma sei matto?» esclamò quindi, infuriato. In parte la bolla di rabbia si era sgonfiata, ma si sentiva ancora scosso e tremante, pieno di ceneri fumanti di furia trattenuta. «Non farlo mai più, okay?»

«Scusami», disse Roger dandogli una pacca sulla spalla. «Non ho avuto altra scelta. Ti saresti pentito di tutto ciò che stavi per aggiungere, te lo assicuro.»

«E invece no», replicò Teddy. «Penso tutto ciò che ho detto e non vedo l’ora di rivedere quella stronza maledetta per finire ciò che ho iniziato.»

«Teddy, ehi, ascoltami bene», disse Roger duramente, afferrandolo per le spalle e scuotendolo. Teddy non lo aveva mai visto così serio e quasi arrabbiato, se non con lui, per tutta la situazione che si era venuta a creare. 

«Camminiamo su un filo, capito?» continuò. «Dobbiamo cercare di fare luce sulla faccenda e credimi se ti dico che non vedo l’ora di tornarmene a casa, questa gita a Hogwarts si sta rivelando più ostica del previsto, e non solo perché non abbiamo trovato Jenkins vivo.»

«Anche io avrei voluto spaccarle la faccia per ciò che ha detto, soprattutto sulla McGranitt, ma è il suo lavoro, okay? La conosciamo, sappiamo ciò che fa e ciò che ama dire e scrivere per seminare zizzania e veleno e per vendere copie, per cui non possiamo permetterci di cedere alle sue provocazioni. Soprattutto non ora.»

«Dobbiamo già tenere a bada i Jenkins, e questo basta. E andare avanti con il nostro lavoro. E non posso permettermi di perderti e di vederti sollevato dall’incarico per aver risposto male a quella stronza, d’accordo? Siamo intesi

Teddy annuì stancamente. Il suo collega era stato chiarissimo. 

«Ora io torno là a cercare di riparare ai tuoi casini», concluse Roger. «Tu avviati al castello e mettiti al lavoro, io ti raggiungo.»

«Va bene», rispose Teddy passandosi una mano dietro la nuca. 

«Posso lasciarti solo o tenterai di assaltare qualche studente?» Roger lo guardò alzando le sopracciglia, e sorridendo.

Teddy scosse la testa. «Tranquillo.»

«Okay.» Gli diede un’altra pacca sulla spalla e tornò sui suoi passi. Teddy invece sospirò e si diresse a passo sostenuto verso il castello. 

Ora, a mente fredda, si vergognava profondamente della sua scenata. Roger aveva ragione: la Skeeter viveva per provocare gli altri, e lui ci era cascato con tutti e due i piedi. Stupido che non era altro. Si era comportato da ragazzino inesperto e tronfio, bravo solo ad alzare la voce per farsi valere. Si era trasformato in tutto ciò che aveva sempre disprezzato. 

Solo che l’accenno della giornalista al rapporto dei Mortuari lo aveva fatto uscire dai gangheri: come diavolo faceva ad esserne al corrente? Doveva essere un’informazione riservata, quella, e immaginò ci fosse stata una fuga di notizie dal San Mungo. Il rapporto era arrivato loro la sera prima, tramite Hestia Jones, e li aveva lasciati basiti e contraddetti: Jenkins non era morto per cause naturali, quindi avevano dovuto escludere la caduta accidentale, e la successiva morte per annegamento e/o assideramento, ma per cause magiche, nello specifico per un ritorno di fiamma di una bacchetta, presumibilmente la sua, che però non era stata rinvenuta presso il cadavere, e nemmeno nei dintorni del luogo del ritrovamento (avevano perquisito la zona e chiesto aiuto ai Maridi del Lago Nero tramite la McGranitt, ma con scarsi risultati); inoltre, la relazione medica riportava che il corpo di Jenkins era reduce da una Trasfigurazione recente, che lasciava tracce magiche sul corpo o sull’oggetto trasfigurato, tracce che potevano essere rinvenute con speciali Incantesimi Avanzati. Teddy e Roger erano quindi rimasti piuttosto di stucco nell’apprendere tali notizie, e questo apriva loro davanti svariati scenari, e il più plausibile di tutti era quello in cui Jenkins avesse tentato un incantesimo, contro chi non lo sapevano ancora, e che un ritorno di fiamma lo avesse ucciso, e che poi il suo corpo fosse stato Trasfigurato da colui che era stato vittima del suddetto attacco; successivamente, il corpo era finito nel Lago. Oppure, ipotesi agghiacciante, vi era stato gettato di proposito. Teddy si era arrovellato il cervello per buona parte della notte, prima di addormentarsi sfinito intorno alle tre, senza essere arrivato ad una conclusione. Quella mattina, prima di scendere a colazione, aveva scritto frettolosamente un appunto a Harry, allegando anche una copia del rapporto, per tenerlo informato sulle ultime novità.

Ora, arrivato davanti al portone di quercia, e trovatolo semiaperto, entrò nella sala d’ingresso, dove si imbatté nella professoressa Simson, l’insegnante di pozioni e direttrice di Serpeverde. Quando lo vide, la donna si fermò in mezzo al passaggio. La Simson era stata anche la sua insegnante, e Teddy ricordava che gran parte dei ragazzi aveva una cotta colossale per la bella professoressa dai lunghi capelli corvini e gli occhi azzurri che sapeva farli sentire piccoli come Asticelli. 

«Lupin», lo salutò. 

«Professoressa Simson», ricambiò lui. 

«Ti unisci a noi per la colazione?»

«Ho già mangiato ai Manici di Scopa, la ringrazio», rispose sorridendole. 

Era tornato all’improvviso uno studente, e sperò vivamente di non essere arrossito di fronte all’invito della Simson.

«Colgo l’occasione per comunicarle che avrei piacere di parlare con Pucey e Rosier, oggi», disse cercando di scacciare quei pensieri dalla testa.

La donna annuì. «Non dovrebbero esserci problemi, parla direttamente con loro per sapere quando avranno un’ora libera.»

«Molto bene.»

La Simson gli sorrise. «Sappi che puoi contare sulla mia più completa disponibilità, Lupin. Jenkins è—», ma si interruppe, girando gli occhi intorno, sospirando e scuotendo la testa, «era… un mio studente… Lo farei per chiunque studente, sia ben inteso, ma ovviamente capirai quanto io mi senta responsabile… e coinvolta…»

Teddy fece un passo avanti. «Non deve, nel modo più assoluto. E sappia che la collaborazione di voi insegnanti è molto importante, per noi, per cui grazie.»

La donna annuì e, rivolgendogli un ultimo, triste sorriso, veleggiò in Sala Grande e scomparve. Teddy sospirò e si diresse all’aula-studio. Si lasciò cadere sulla sua sedia e poggiò i gomiti sul ripiano in legno della scrivania. Sarebbe stata un’altra lunga giornata. 

 

 

Benjamin Pucey4 e Morgan Rosier4 attendevano fuori dall’aula quando Teddy arrivò. Il primo era basso e largo di spalle, i capelli biondicci tagliati corti e le maniche della camicia arrotolte fino al gomito, la stazza da Battitore. Il secondo era più fine e smilzo e leggermente più alto, fisico perfetto per un Cacciatore, i capelli scurissimi e spettinati e gli occhi più neri che Teddy avesse mai visto. 

«Salve», li salutò tirando fuori la chiave dell’aula e aprendo la porta. «Prego, entrate.»

Teddy aveva avuto modo di parlare con i due ragazzi durante il pranzo, quando si erano messi d’accordo per vedersi proprio quel pomeriggio, e gli avevano dato l’impressione di essere disponibili e volenterosi nell’aiutare a far luce sulla morte del loro amico. Li fece sedere su due sedie di fronte alla sua scrivania e sedette a sua volta, togliendosi il montone e facendo un po’ di ordine in mezzo alle pergamene spiegazzate e le piume d’oca spennacchiate. 

«Il suo collega non c’è?» chiese Rosier togliendosi il mantello. Sembrava a suo agio e per nulla teso, a differenza di Pucey, che continuava a mangiarsi le unghie. Teddy gli lanciò un’occhiata stranita e poi si rivolse all’amico. «Sta arrivando, ma noi possiamo cominciare.»

Tirò fuori il blocco degli appunti e fece mente locale sulle domande che si era prefissato di porre ai due studenti, ma poi chiuse tutto, decidendo di andare a braccio. Non gli erano mai piaciuti gli schemi pre-impostati che amavano tanto i suoi colleghi. Sistemò una Penna Prendiappunti su un foglio intonso di pergamena e poi poggiò i gomiti sul ripiano in legno, guardando in viso i due ragazzi che gli sedevano di fronte, e loro ricambiarono il suo sguardo, ora vagamente guardinghi. 

«Tutti mi hanno detto che eravate ottimi amici di Karl.»

Morgan Rosier annuì, lanciando un’occhiata circospetta alla Penna. «Ignorala», disse solo Teddy. «È una formalità.»

«Ci conosciamo da quasi sei anni», rispose quindi il ragazzo.

«Ci conoscevamo», lo corresse Pucey guardandosi intorno circospetto. 

L’amico lo guardò e annuì. «Ci conoscevamo, sì. È strano, non credo mi ci abituerò mai.»

«È normalissimo, soprattutto i primi tempi. Non fatevi problemi», li rassicurò Teddy.

«Ci siamo conosciuti ovviamente durante il nostro primo anno», continuò Rosier, che gli sembrò fin da subito il più loquace dei due. «Siamo stati Smistati tutti e tre a Serpeverde e abbiamo legato fin da subito.»

«Quindi non eravate solo semplici compagni di scuola e di dormitorio, ma anche ottimi amici.»

«Sì», intervenne Pucey. «Sa come succede… quando capisci subito che con quella persona ti troverai bene? Perché ragionate allo stesso modo e vi piacciono le stesse cose?»

Teddy annuì. Eccome se lo sapeva… Ripensò a tutti i suoi amici dei tempi della scuola, e ai pochi con cui ancora aveva dei contatti, seppur sporadici. Da quando era entrato all’Accademia Auror, le cose erano cambiate, le amicizie si erano sciolte e lui si era creato un nuovo giro tra i suoi compagni e futuri Auror e poi tra i colleghi del Dipartimento. 

«Ben e io facciamo parte della squadra di Quidditch, ma per Karl non è mai stato un problema, anzi, molto spesso ci raggiungeva agli allenamenti, per stare in compagnia e farsi due risate.»

«Eravate i suoi unici amici, qui? Nessun altro?»

Pucey scosse la testa, muovendosi a disagio sulla sedia. Sembrava seduto su un branco di Knarl. «Solo noi. Karl era una persona schiva e silenziosa, si faceva gli affari suoi e si dedicava allo studio. Non era l’anima della festa, se capisce cosa voglio dire…»

«Forse sì, ma magari il concetto è cambiato, con gli anni», rise Teddy, che voleva che quei due si lasciassero andare e tirassero fuori i dettagli “succosi”. Sapeva che dovevano essercene.

«Non è cambiato, glielo assicuro», rise a sua volta Rosier. Il suo era un sorriso che voleva essere affascinante, e Teddy lo immaginava a sfoderarlo quando più gli faceva comodo, e per ottenere tutto ciò che voleva e quando voleva. «Non era tipo da organizzare feste clandestine e portare dentro Firewhisky e altre cose così, per intenderci.»

«Qualcuno porta dentro Firewhisky?» si stupì Teddy, facendo finta di non ricordarsi quando lo facevano anche loro, al sesto e settimo anno, e nascondevano le bottiglie sul fondo dei bauli. 

«Oh, », asserì Rosier sempre con il solito sorrisetto. 

Pucey gli diede una gomitata e scosse la testa. L’altro si scansò e lo guardò irritato. 

«Hei, hei, hei», intervenne Teddy. «Allora? Cosa non mi volete dire? Vi devo ricordate che è un colloquio ufficiale con un Auror, nonostante vi sembri una normale chiacchierata ai Tre Manici di Scopa?»

Lo guardarono entrambi in silenzio, e Teddy capì che il suo tono autoritario e serio aveva sortito gli effetti desiderati. Era ora di ristabilire una certa gerarchia. 

«Pucey?»

«Non penso sia giusto buttare merda sugli altri.»

«Be’, potresti anche avere ragione, ma io voglio sapere tutto, quindi… Rosier?»

Morgan Rosier sorrise soddisfatto e accavallò una gamba sulla sua sedia. «Mi riferisco a Potter e Malfoy», iniziò. «So bene che li conosce, ma forse conosce una versione di loro ben diversa da quella che tirano fuori qui a scuola… Sono loro che procurano il Firewhisky e organizzano feste e fanno casino, e numerose volte hanno messo Karl in difficoltà, considerato il suo ruolo di Prefetto. E ovviamente la volontà di Karl di adempiere al proprio incarico e di riportare l’ordine in sala comune gli ha attirato le loro antipatie.»

«Vai avanti», gli fece cenno Teddy con una mano.

«Non si sono mai stati molto simpatici, ecco. Diciamo proprio per niente», si corresse subito. «Quei due sembrano i padroni del dormitorio, vanno in giro agitando la coda come pavoni e snobbando tutti noi, come se solo loro portassero dei cognomi celebri…»

Teddy cercò di non farsi scappare una smorfia. Se per cognomi celebri Rosier parlava del suo… be’… forse il suo concetto di “celebrità” andava rivisto. 

«Mi sembra che anche a voi non stiano così simpatici, o no?»

«Be’, a me sono piuttosto indifferenti», intervenne Pucey scrollando le spalle larghe. «E Scorpius gioca con noi nella squadra, io cerco di conviverci. Certo, non siamo amici», aggiunse. «Direi proprio di no, ma nemmeno ci odiamo, ecco.»

Teddy annuì. Rosier, davanti a lui, digrignava i denti. 

«Cos’è successo dopo la prima partita di Quidditch?» chiese loro Teddy sganciando la bomba.

Rosier sbuffò e Pucey scosse la testa, portandosi una mano alla fronte. 

«È meglio se glielo racconto io», rispose quindi quest’ultimo. 

«Sono tutt’orecchi.»

«Diciamo che non c’è molto da dire, in realtà. Abbiamo perso la partita e c’è stato un piccolo alterco fuori dagli spogliatoi, una di quelle situazioni dove ci si addossa la colpa a vicenda e si cerca di trovare un colpevole, nonostante un solo colpevole non ci sia.»

«Già, il Quidditch è uno sport di squadra, da quel che mi risulta.»

«Esatto, però si sa, quando si perde si è tutti incazzati, e i toni si alzano e scappano parole che normalmente nessuno direbbe… Insomma, per farla breve, Karl è sopraggiunto perché, come al solito, si unisce a noi nel dopo-partita, e ci aspetta fuori dagli spogliatoi. Noi siamo usciti discutendo e litigando e, in quanto Prefetto, ha cercato di riportare la calma. E lui e Albus si sono attaccati. Se le sono date di santa ragione, per Salazar!»

«Albus ha attaccato Karl, Ben», esclamò Rosier con veemenza, pronunciando il nome di Albus come se stesse parlando del diavolo. Teddy si chiese cosa mai avesse fatto o detto Albus Potter per suscitare una tale antipatia in Morgan Rosier. «Non cercare di difenderlo! Lui non doveva neanche essere lì!»

«Non lo sto difendendo, dico solo che tutti e due le hanno prese, quindi non vedo differenza.»

«Okay, calma», esclamò Teddy. «Fatemi capire bene: chi ha iniziato? E mi pare di capire che Albus abbia raggiunto la squadra come aveva fatto anche Jenkins, no?»

«Karl ha cercato di placare gli animi», cominciò a spiegare Pucey, ignorando l’ultimo appunto di Teddy. «In quanto Prefetto, appunto. Albus gli ha detto di non mettersi in mezzo, e Karl gli ha risposto che lui si metteva in mezzo quanto e come gli pareva, visto che tra l’altro neanche Albus era nella squadra, e poi gli ha tipo indicato la spilla da Prefetto che portava sempre… Mi sembra che Albus lo abbia snobbato, o comunque insultato, e allora Karl ha replicato e da lì Albus è scattato e gli è saltato addosso.»

«Be’, Albus lo ha insultato pesantemente, c’è da dire», si mise in mezzo Rosier con tono aspro. «Dicendogli qualcosa come “figlio di cagna” e altri insulti che non mi piace ripetere. Per questo dico che Karl è stato provocato ad alzare le mani.»

Teddy aveva qualche dubbio a riguardo. Gli sembrava praticamente impossibile che Albus Potter arrivasse a chiamare qualcuno “figlio di cagna”, ma mai dire mai, non voleva escluderlo ma neanche fidarsi più di tanto: aveva capito che le parole di Rosier erano filtrate dall’antipatia che provava verso il giovane Potter e, per tanto, erano da considerarsi poco attendibili.

«Dài, Morgan, si sono provocati a vicenda, non è che Karl se ne stia stato zitto, no? Gli ha risposto insultando a sua volta la madre di Potter, e allora si sono azzuffati», disse Pucey, vagamente infastidito. Teddy si chiese quanto avrebbero discusso, quei due, una volta usciti di lì.

«Ho capito, ho capito», disse lui quindi alzando le mani per sedare un altro volitivo intervento di Rosier nei confronti dell’amico. «Credo di avere piuttosto chiara la situazione. State certi che chiederò in giro, voglio far luce sul rapporto tra quei due.»

Rosier lo guardò, leggermente spiazzato. «È certo che le verranno fornite svariate versioni dell’accaduto. La nostra è la più fedele, glielo assicuro.»

«Ah, sì? E perché mai?» chiese Teddy ironico. Quel Rosier stava cominciando a dargli seriamente sui nervi. 

«Be’, siamo amici di Karl, e abbiamo a cuore ciò che è successo, e vogliamo che sia fatta chiarezza, e che venga preso il colpevole.»

«Il colpevole? Chi vi dice che ci sia un colpevole?»

«Credo che Morgan intenda dire la persona che molto probabilmente si trovava con Karl quella sera…»

«Allora, mettiamo ben in chiaro una cosa», iniziò Teddy. «E vorrei che spargeste un po’ la voce anche presso i vostri compagni, vista la vostra celebrità», qui rischiò seriamente di scoppiare a ridere, ma riuscì a trattenersi. «Non credete alle voci che girano, e a nulla che non sia frutto di un comunicato ufficiale da parte della autorità. In questo caso, di noi Auror. Non c’è nessun colpevole da acciuffare e nessun omicidio da risolvere, siamo intesi? Toglietevelo dalla testa.»

I due ragazzi annuirono, anche se non gli sembrarono particolarmente convinti.

«Siete stati voi a denunciare la scomparsa di Karl, dico bene?» Rosier rispose di sì, e Teddy continuò: «Mettiamo caso che sia scomparso proprio la notte del 2 gennaio… Nessuno dei due si è accorto di niente? Nessuno si è accorto che Karl si alzava e lasciava il dormitorio?»

«Eravamo tutti piuttosto stanchi, temo», rispose Pucey.

«E il tuo russare copre qualsiasi altro rumore», aggiunse Rosier alzando gli occhi al cielo. 

«Io non russo, cretino.»

«Okay, okay, non mi interessa, detto sinceramente», intervenne Teddy, paziente. 

«Lo abbiamo visto l’ultima volta mettersi a letto, e il giorno dopo, non vedendolo a colazione, abbiamo pensato che fosse già andato a lezione», spiegò Rosier. «Quel giorno non seguivamo lezioni insieme, e quando la sera a cena non lo abbiamo visto arrivare, abbiamo deciso di andare dalla Simson. E lei ci ha portato dalla preside.»

Teddy annuì. Il racconto coincideva con quello che gli aveva fornito Hestia quando aveva presentato il caso a lui e Roger. 

«C’è qualcos’altro di cui mi vorreste parlare?» chiese infine appoggiandosi alla sua sedia.

«Tenga d’occhio Potter e Malfoy», rispose Rosier. «Quei due sono sempre lì che tramano cose.»

«Pucey?» Teddy si rivolse all’altro, cercando di ignorare l’istinto che gli suggeriva di spedire un “Silencio” a Rosier. 

«Per adesso nient’altro», rispose stringendosi nelle spalle. «Spero solo che riusciate a capire cos’è successo, tutto qui.»

«Ah, a proposito!» esclamò Teddy. «Me ne stavo dimenticando… Ho saputo che Karl ha avuto una storia, diciamo, con Lucy Weasley. L’anno scorso, se non sbaglio…»

I due si scambiarono uno sguardo, sghignazzando. Per la prima volta da quando si erano seduti su quelle sedie, Teddy li vide coesi. 

«Che c’è tanto da ridere?»

«Niente, niente», rispose Pucey alzando le mani. 

«Ma no, è che Karl ha dovuto lasciarla perché la Weasley è una pazza furiosa», spiegò Rosier continuando a ghignare.

«Pazza furiosa?»

«Pazza furiosa», confermò l’altro. «Gli diceva quando parlare e cosa dire, si lamentava quando lui passava del tempo con i suoi amici ed era gelosa, non poteva tollerare di vedere Karl parlare con altre ragazze… E Karl… be’, riscuoteva un certo successo presso il pubblico femminile, mi capisce, no?»

I due si guardarono e scoppiarono a ridere, e si spintonarono come due orchi. Teddy avrebbe tanto voluto cacciarli via a calci nel sedere.

«Quindi si sono lasciati per colpa di Lucy, ho capito bene? Karl ha dovuto lasciarla…?»

«Eh, sì, amico, dopo un po’ non ne poteva proprio più. Tu cosa avresti fatto?» Rise Pucey.

Cercando di non mettere le mani al collo a Benjamin Pucey per quell’amico, Teddy ritirò tutte le attenuanti precedentemente fornite alla sua coscienza a favore del ragazzo, e ripensò alle parole di Lucy Weasley: «Credo che Jenkins sia un pallone gonfiato… Sai, un po’ sbruffone, sicuro di sé, e anche piuttosto schizzato. Una di quelle persone che non inquadri mai davvero, e che celano sempre qualcosa sotto la superficie…», e si chiese quanto di ciò che gli avevano detto quei due deficienti corrispondesse alla realtà. Sinceramente, tendeva a credere di più a Lucy. 

«Quello che farei io importa poco, direi», disse alla fine alzandosi in piedi. Ne aveva abbastanza di Pucey e Rosier, per quel pomeriggio e per il resto della sua esistenza. «Abbiamo finito, potete andare.»

I due Serpeverde si alzarono e Rosier recuperò il suo mantello, mentre Pucey si schiariva la gola. 

«Dovesse venirvi in mente qualcosa, qualsiasi cosa, sapete dove trovarmi, d’accordo?»

Annuirono e poi Rosier tese la mano a Teddy, che gliela strinse, e Pucey lo imitò prontamente. Volevano comportarsi da adulti, ma tutto ciò che Teddy aveva capito parlandoci era che erano solo due ragazzini, proprio come tutti gli altri. 
 



Note:

1. Firebolt 3000: erede della più nota Firebolt; di mia invenzione.
2. “Il male oggi”: rivista di mia invenzione.
3. Magi-sclerosi: ovviamente, non esiste nel canon, ho pensato ad una versione magica della nota malattia Babbana.
4. Benjamin Pucey e Morgan Rosier: Serpeverde del sesto anno; personaggi di mia invenzione.


Come vi avevo anticipato nelle note allo scorso capitolo, tornano i ragazzi e ritroviamo un James piuttosto combattuto e preoccupato, mentre Teddy ha a che fare niente di meno che con Rita Skeeter, in persona, questa volta, e alla fine deve pure sorbirsi Pucey e Rosier, che però gli forniscono un quadro piuttosto interessante delle vicende - seppur con i dovuti filtri. La pressione comincia a farsi sentire, ma il prossimo capitolo si apre con una bella (o almeno spero) scena tra Rose e Scorpius e continua con altri interessanti sviluppi, quindi mi raccomando non perdetevelo. E sappiate che sto già pensando ad un prequel o un sequel "delle fantastiche avventure di Teddy Lupin", vi terrò aggiornati.

 

Grazie come sempre per l’attenzione e per l’interesse che continuate a dimostrare per questa storia. Alla prossima settimana, Marti.

   
 
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