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Autore: Deruchette    19/06/2020    1 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 5

In the still of the night

 

 

 

 

 

 

5.

 

Il tempo passa.
L’autunno arriva e se ne va come ogni anno, dopo aver lasciato sul terreno un manto di foglie arancioni ed alberi sempre più spogli come segni del suo passaggio. Lascia spazio al freddo dell’inverno. Le giornate si fanno più grigie e buie.
La bevanda che verso nel thermos tutte le mattine adesso è calda: contribuisce a mantenere le mie mani calde, insieme ai guanti di pelle, mentre cammino nel bosco.
Ho ceduto alle vecchie abitudini e ho cominciato ad indossare l’equipaggiamento invernale che Cinna ha creato per me: pantaloni e maglie che mantengono il calore corporeo, senza contare la quantità di giacche antivento e di cappotti di lana che riempiono il mio armadio. Tutta un’altra cosa rispetto ai vestiti che usavo di solito durante l’inverno.
Non sono più costretta a muovermi di continuo per evitare di congelare, anche quando cade la prima neve dell’inverno e le temperature crollano sotto lo zero. Spesso resto seduta su un tronco, a bere il mio tè caldo, e guardo il nuovo giorno nascere. Il sole è quasi sempre coperto dalle nubi, ma un pallido raggio riesce sempre ad oltrepassarle.
Stamattina c’è Gale con me, ad accogliere il nuovo giorno.
Il nostro rapporto sembra essere tornato quello di sempre, quello che avevamo prima che quel bacio si mettesse tra di noi. Nessuno di noi due ha più accennato all’argomento e, da una parte, preferisco così. È già tutto troppo complicato e, da brava egoista quale sono, non voglio che ad aggravare ulteriormente la situazione si vadano ad aggiungere i sentimenti di Gale per me.
Perché è così: anche un cieco riuscirebbe a capire che Gale non prova per me quello che io provo per lui. Lui è il mio migliore amico, ma io, per lui, sono qualcos’altro.
Tutti al Giacimento hanno sempre guardato me e Gale come ad una coppia, quel genere di amici che sarebbero finiti col mettersi insieme, prima o poi. Eravamo, e siamo tuttora, spiriti affini… anche se le nostre teste pensavano, e pensano ancora, molto diversamente.
Non posso fare a meno di continuare ad osservare che le persone la penserebbero ancora così se non fosse stato per gli Hunger Games, e a tutto quello che questi hanno comportato. Nessuno avrebbe mai pensato di vedermi insieme al figlio del fornaio, prima di tutto.
Il rapporto con Peeta è cresciuto pian piano fino a diventare quello che è adesso: sincero, dolce, sorprendente. Sorprendente perché, nonostante sia partito come una relazione di facciata e ci ritenessimo dei semplici amici, si è trasformato in qualcosa di più forte. Non avrei mai pensato di potermi legare così tanto ad una persona dopo così pochi mesi di conoscenza. Dopo tutti questi anni, invece, con Gale non è mai successo.
E se lui non accenna mai al bacio, forse è perché sente costantemente le voci che circolano nel Distretto. “Voci da pettegoli”, le definisco io.
Gran parte di queste dicerie sono uscite fuori dalla bocca di Haymitch; ovviamente la maggior parte sono false, e lo sa benissimo perché è stato proprio lui a inventarsele. Sa che odio quando si prova a mettere bocca nella mia vita privata – mia e di Peeta, in realtà, perché volente o nolente anche lui ne rimane coinvolto –, ma lui lo fa lo stesso e si diverte un mondo.
Dice che è tutto un esercizio per la mia… nostra vita futura.
- La tua vita privata non sarà mai davvero privata. Rassegnati all’evidenza, dolcezza – mi ha detto una volta in risposta alle mie proteste.
Da un lato ha ragione, ne ho già avuto un assaggio nei mesi precedenti e tra poche settimane, con l’inizio del Tour, ne avrò di nuovo la conferma. Haymitch sopporta tutto questo da venticinque anni…
Non c’è da stupirsi se è continuamente sbronzo.
L’aria è gelida ed il terreno scricchiola sotto le suole dei miei scarponi, proprio come un pezzo di ghiaccio. È uno degli inverni più rigidi da che ne ho memoria. Dicembre sta volgendo al termine… l’anno sta volgendo al termine.
Domani sarà il primo giorno dell’anno nuovo.
È un anno a cui cerco di non pensare, ma invano. Segnerà il mio ingresso ufficiale come mentore agli Hunger Games; è un chiodo fisso che mi spaventa, scatena la mia paranoia. Non faccio altro che pensare ai visi dei ragazzini che dovrò accompagnare nell’arena a morire, e le mie paure sono aggravate dal fatto che conosco alcuni di quei ragazzini.
Uno di questi potrebbe essere il fratellino di Gale, o Prim. Essere la sorella di una vincitrice/mentore non la salverà dalla mietitura quest’anno.
Quante probabilità ci sono che il suo nome possa venire estratto in due anni consecutivi? È mai successo?
Non nel 12. E negli altri?
- Katniss?
Sobbalzo nel sentire la voce di Gale. Lo guardo, stupita di trovarmelo davanti, a sovrastarmi con la sua statura. Siamo qui da stamattina, quindi non dovrei stupirmi ogni volta che mi si avvicina. Ma per un momento, un secondo, ho avuto la sensazione che fosse appena arrivato.
- S-scusami, Gale, io… pensavo… - balbetto.
- Ultimamente pensi troppo, posso dirtelo? – Gale inarca un sopracciglio e indica qualcosa verso i miei piedi. – Quello lo prendi tu?
Seguo il suo dito, puntato verso un tacchino morto le cui zampe sono strette nelle mie mani. Quando ho preso questo tacchino?
Non va bene, stamattina. Non va.
- S-sì. Lo prendo io – mi riprendo abbastanza da riuscire a ricordare quello che devo fare. – La mamma vuole cucinarlo per la cena di stasera.
Rassegnatasi all’idea di me di nuovo nei boschi, mia madre ha almeno cercato di fare in modo che non mi mettessi nei guai e che le portassi qualcosa, senza dover lasciare o barattare qualcosa al Forno. Per stasera mi ha chiesto un tacchino, con la scusante di voler preparare una cena speciale in vista dell’anno nuovo.
Non abbiamo mai avuto un buon motivo per festeggiare finora, soprattutto dopo la morte di nostro padre, e poi non potevamo mai permetterci grandi cose. Di solito consumavamo la nostra cena e, con lo stomaco che desiderava altro cibo, ci sdraiavamo sotto le coperte in attesa che il vecchio orologio sopra al camino battesse la mezzanotte. Al Giacimento, nessuno festeggiava o poteva permettersi di festeggiare il Capodanno.
Quello di mia madre sembra più il tentativo di voler trovare a tutti i costi una scusante per poterlo fare. Ma finché si tratta di una cena succulenta in famiglia posso accontentare le sue richieste. E poi, il fatto che mi chieda di cacciare la dice lunga: possiamo permetterci di comprare la carne dal macellaio, ma da un po' evita di farlo.
Evidentemente, preferisce la selvaggina fresca.
- Katniss?
Di nuovo.
Chiudo gli occhi, uno sbuffo fuoriesce dalle mie labbra. – Scusa, stavo…
- Pensando, lo so – Gale non sembra troppo convinto. – A cosa sono dovuti tutti questi pensieri?
A troppe cose, e tutte quante insieme: questa è la risposta giusta che dovrei dare a Gale. Sono poche parole che a prima vista possono sembrare vuote, quasi inutili, ma in realtà racchiudono un mondo di significati. Ma resto in silenzio, concentrando tutta la mia attenzione sul tacchino. Mi inginocchio e comincio a spennarlo, anche se il resto del lavoro andrà fatto a casa.
Gale mi si inginocchia di fianco e mi accarezza una spalla, un gesto che ha già fatto milioni di volte. – Sai che puoi dirmi tutto, vero? Tutto quello che ti passa per la testa. Non devi preoccuparti – mi rassicura.
Certo che lo so.
Lo guardo, e dentro di me sono sicura di non poterlo accontentare. – Non so se posso farcela.

 

Il tacchino che porto a casa si trasforma, con il trascorrere della giornata, in un succulento arrosto arricchito di salsa all’arancia; non si avvicina minimamente ai piatti elaborati che ho avuto modo di assaggiare durante la mia spedizione a Capitol City, ma tutto sommato lo preferisco. Con contorno di patate e cipolline, è senza dubbio il cibo più suntuoso che abbiamo mai avuto alla nostra tavola.
Peccato che io sia l’unica rimasta a goderselo.
Esattamente pochi minuti prima che ci sedessimo a tavola hanno bussato alla porta di casa: una donna del Giacimento stamattina è entrata in travaglio e temevano l’insorgenza di complicazioni perché, nonostante il trascorrere delle ore, sembrava che non ci fossero progressi.
Mia madre non è stata mai capace di negare il suo aiuto a chicchessia, e sono sicura che anche il suo più acerrimo nemico scatenerebbe la sua sensibilità se si trovasse in un bisogno estremo di cure; così ha preso il cappotto e una borsa piena di tutto quello che le sarebbe potuto servire ed è andata al Giacimento. Anche Prim è andata con lei: in questo è più forte di me e molto simile alla mamma, e immagino che un giorno la affiancherà nel suo lavoro, più di come fa oggi.
Ovviamente non hanno idea del tempo che ci vorrà, se solo qualche ora o tutta la notte. Così eccomi qui, da sola, davanti ad un tacchino che potrebbe sostentarmi per almeno una settimana.
Nonostante l’ottimo sapore che mi invade la bocca, riesco a mangiare solo una piccola parte della porzione di cui mi sono servita. Non ho appetito, quindi sparecchio la tavola e porto tutto il cibo in cucina, sistemandolo in modo che si conservi per domani.
Cercando di tenermi impegnata come posso, riordino la tavola della sala da pranzo e il grande tavolo della cucina. Lavo le stoviglie che si trovano nell’acquaio, spazzo il pavimento, recupero dalla legnaia sul retro altri ciocchi per mantenere il fuoco acceso. Alla fine, mi lascio cadere sulla sedia a dondolo davanti al camino. Il vecchio orologio mi dice che sono da poco passate le otto di sera.
Non sono abituata alla visione della cucina vuota. Da quando ci siamo trasferite qui è sempre stata piena di rumori e odori: l’odore del cibo che cuoce sul fuoco e quello delle spezie, delle erbe e degli infusi che la mamma non ha mai smesso di preparare. La cucina è sempre stata la mia stanza preferita della casa, non solo di questa ma di tutte in generale: non la definiscono forse “focolare domestico”? È il luogo in cui tutte le famiglie, anche le più disastrate, si riuniscono tutti i giorni per i tre pasti giornalieri, quello in cui vengono svolte la maggior parte delle attività quotidiane.
Mi agito sulla sedia, inquieta, sistemandomi in una posizione più comoda. Cerco di farmi venire in mente qualcosa da fare.
Di solito, quando davanti a me si prospettano ore vuote, vado da Peeta, che sembra sempre felice di avermi tra i piedi. Non mi ha mai fatto capire in alcun modo se la mia presenza gli sia di peso ed io, di conseguenza, ho sempre paura di disturbare. Ma stasera non posso andare da lui, così come tutte le sere in generale.
Sebbene non veda con grande felicità il nostro rapporto, la mamma ci lascia trascorrere insieme la maggior parte delle giornate, a patto che la sera rimanessimo ognuno nella propria abitazione. Poteva contare inoltre sul fatto che Peeta si rechi a cena dalla sua famiglia tutte le sere.
È per questo che non posso andare da lui: la sua casa è buia, segno che non è ancora rientrato. E vista anche la ricorrenza che cade in questa giornata, non so quanto farà tardi.
Alla fine, decido di lasciare la sedia a dondolo per andare a fare un bagno caldo, non prima però di aver gettato un pezzo di legno sul fuoco. Per ingannare il tempo, aggiungo all’acqua fiori secchi e uno strano olio viola che Effie ha mandato qualche giorno fa dalla capitale.
Il bagno lascia la mia pelle profumata di non so che tipo di fiore – non l’ho mai sentito prima d’ora – e morbida all’inverosimile. Ho trascorso molto tempo dentro l’acqua, tanto che le mie dita adesso somigliano a prugne secche, ma allo stesso tempo mi sembra di esserci stata solo per cinque minuti.
Metto il pigiama e scivolo sotto le coperte, anche se so che non riuscirò a prendere sonno ancora per un bel pezzo. E poi sono troppo inquieta. Mi rannicchio in un bozzolo al centro del letto e guardo il cielo buio fuori dalla finestra, ma dopo pochi secondi sono di nuovo in piedi, trascino lo sgabello della toeletta fino alla finestra e mi siedo, osservando le stelle.
Se hai la sfortuna di nascere in un Distretto povero come il nostro, col tempo impari ad apprezzare le poche cose belle che la natura ha da offrirti. Io ho imparato ad apprezzare il tappeto di stelle che prende vita la notte, sovrastando le nostre teste con la loro bellezza. Vivere quasi totalmente senza elettricità ti permette di osservarle al meglio, con la luna come unica fonte di luce. Stanotte, il cielo è totalmente sgombro dalle nuvole.
A Capitol City non si vedono le stelle: troppe luci artificiali. Alcune volte penso che la vita dei suoi abitanti sia triste, in fondo; hanno tutto, eppure perdono qualcosa di così meraviglioso.
Nell’arena invece le stelle si vedevano benissimo, anche se non erano stelle vere ma solo una loro proiezione.
Completamente assorta nella contemplazione del cielo notturno, non mi accorgo subito del bagliore che proviene dalla casa di Peeta. Le tende nella finestra del suo soggiorno non sono state tirate, così riesco a vedere quello che succede al suo interno. Non riesco a vedere Peeta, ma la luce accesa può significare solo una cosa.
È tornato a casa.
Cerco con tutta me stessa di provare a non comportarmi come una bambina impaziente e di resistere alla tentazione di precipitarmi da lui. Penso che forse sia stanco, che vuole andare a dormire senza essere disturbato. Penso che per una volta non avermi tra i piedi sia un sollievo per lui.
Come previsto, tutto questo non serve a nulla. Senza neanche provare a mettere addosso qualcosa di più decente del pigiama azzurro che indosso, scendo le scale a rotta di collo, infilo gli scarponi e il cappotto ed esco di casa.

Sto infrangendo le regole, penso mentre percorro i pochi metri che separano le nostre case. La mamma non sarà felice di saperlo.
In fondo, non sono mai stata brava a rispettarle.
Busso alla porta e dopo un secondo mi pento di averlo fatto. Sono nervosa e uno strano senso di frustrazione mi pervade il corpo, anche se non riesco a capire il motivo per cui provo queste sensazioni. Scendo un gradino con l’intenzione di andare via, nella speranza che Peeta non abbia sentito il mio bussare, ma la porta si apre rivelando la sua figura.
Un’espressione di sorpresa gli attraversa il viso, ma dura solo un istante prima che venga sostituita dal più bello dei suoi sorrisi. – Ciao!
- Hey – sussurro, infilando le mani nelle tasche del cappotto. Non so cosa dire. Mi ritrovo spesso nella condizione di non saper cosa dire quando sono con Peeta.
Ma lui mi salva sempre, e lo fa anche stavolta. – Vuoi entrare?

 

Peeta mi fa togliere il cappotto e mi guida in cucina, una cucina che, come quella di casa mia, è piena di odori. Vive da solo in questa casa enorme, eppure si sente lo stesso calore e lo stesso conforto di una casa piena di gente.
Mi offre una camomilla – la beve sempre prima di andare a letto, lo aiuta quando non riesce ad addormentarsi – e mi chiede se mia madre non sia contrariata all’idea di noi due insieme, in una così tarda serata. Gli rispondo che lei e Prim sono al Giacimento ad assistere una partoriente – la verità – e che io non riuscivo a prendere sonno, stando da sola in casa – una mezza bugia, ma il pigiama che ho addosso la rende più credibile.
- Sei sicuro che non disturbo? Posso anche andare via se vuoi stare da solo – provo a dire, ma la sua mano che stringe la mia blocca ogni mia ulteriore proposta.
- Non disturbi mai – mi rassicura.
Gli regalo un piccolo sorriso. Di certo non è bello come i suoi, ma è il meglio che posso fare. – Pensavo che fossi dalla tua famiglia…
- Sono stato con loro fino a poco fa, ma ho preferito andare via prima che si facesse troppo tardi. A loro ho detto che ero stanco, ma in realtà voglio lavorare un po' al quadro che sto finendo…
- Allora vado, vedi che-
- Tu non vai da nessuna parte, mi servi! – esclama divertito. – Ti avrei comunque chiesto di passare domani, ho bisogno del tuo aiuto per quello che sto dipingendo.
Un aiuto, io? – Che genere di aiuto?
- Un consulto. Vieni, ti faccio vedere – Peeta mi prende per mano e mi fa alzare dal tavolo. Abbandoniamo le nostre tazze semi vuote per andare nel suo studio.

 

 

 

 

 

 

 

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In origine, questa avrebbe dovuto essere la prima parte di un capitolo ricco, ricchissimo anzi!, che ho però preferito tagliare a metà. In parte per la sua lunghezza, ed in parte perché è ricco, appunto. Ma ricco di cosa? Sono così perfida che ho deciso di non rivelarvelo prima della prossima settimana!
Sono riuscita a rispettare la promessa che vi avevo fatto qualche giorno fa e a regalarvi un doppio aggiornamento, questa settimana :) il prossimo non sarà di lunedì, e a dire la verità non ho ancora deciso quando lo farò… questo perché voglio tenervi sulle spine *ridacchia*
Grazie a tutti, soprattutto a chi è arrivato in fondo alla pagina! Ci sentiamo presto!

D.

   
 
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