In the
still of the night
5.
Il
tempo passa.
L’autunno
arriva e se ne va come ogni anno, dopo aver lasciato sul terreno un manto di
foglie arancioni ed alberi sempre più spogli come segni del suo passaggio.
Lascia spazio al freddo dell’inverno. Le giornate si fanno più grigie e buie.
La
bevanda che verso nel thermos tutte le mattine adesso è calda: contribuisce a
mantenere le mie mani calde, insieme ai guanti di pelle, mentre cammino nel
bosco.
Ho
ceduto alle vecchie abitudini e ho cominciato ad indossare l’equipaggiamento
invernale che Cinna ha creato per me: pantaloni e maglie che mantengono il
calore corporeo, senza contare la quantità di giacche antivento e di cappotti
di lana che riempiono il mio armadio. Tutta un’altra cosa rispetto ai vestiti
che usavo di solito durante l’inverno.
Non
sono più costretta a muovermi di continuo per evitare di congelare, anche
quando cade la prima neve dell’inverno e le temperature crollano sotto lo zero.
Spesso resto seduta su un tronco, a bere il mio tè caldo, e guardo il nuovo
giorno nascere. Il sole è quasi sempre coperto dalle nubi, ma un pallido raggio
riesce sempre ad oltrepassarle.
Stamattina
c’è Gale con me, ad accogliere il nuovo giorno.
Il
nostro rapporto sembra essere tornato quello di sempre, quello che avevamo
prima che quel bacio si mettesse tra di noi. Nessuno di noi due ha più
accennato all’argomento e, da una parte, preferisco così. È già tutto troppo complicato
e, da brava egoista quale sono, non voglio che ad aggravare ulteriormente la
situazione si vadano ad aggiungere i sentimenti di Gale per me.
Perché
è così: anche un cieco riuscirebbe a capire che Gale non prova per me quello
che io provo per lui. Lui è il mio migliore amico, ma io, per lui, sono
qualcos’altro.
Tutti
al Giacimento hanno sempre guardato me e Gale come ad una coppia, quel genere
di amici che sarebbero finiti col mettersi insieme, prima o poi. Eravamo, e
siamo tuttora, spiriti affini… anche se le nostre teste pensavano, e pensano
ancora, molto diversamente.
Non
posso fare a meno di continuare ad osservare che le persone la penserebbero
ancora così se non fosse stato per gli Hunger Games, e a tutto quello che
questi hanno comportato. Nessuno avrebbe mai pensato di vedermi insieme al
figlio del fornaio, prima di tutto.
Il
rapporto con Peeta è cresciuto pian piano fino a diventare quello che è adesso:
sincero, dolce, sorprendente. Sorprendente perché, nonostante sia partito come
una relazione di facciata e ci ritenessimo dei semplici amici, si è trasformato
in qualcosa di più forte. Non avrei mai pensato di potermi legare così tanto ad
una persona dopo così pochi mesi di conoscenza. Dopo tutti questi anni, invece,
con Gale non è mai successo.
E
se lui non accenna mai al bacio, forse è perché sente costantemente le voci che
circolano nel Distretto. “Voci da pettegoli”, le definisco io.
Gran
parte di queste dicerie sono uscite fuori dalla bocca di Haymitch; ovviamente
la maggior parte sono false, e lo sa benissimo perché è stato proprio lui a
inventarsele. Sa che odio quando si prova a mettere bocca nella mia vita
privata – mia e di Peeta, in realtà, perché volente o nolente anche lui ne
rimane coinvolto –, ma lui lo fa lo stesso e si diverte un mondo.
Dice
che è tutto un esercizio per la mia… nostra vita futura.
-
La tua vita privata non sarà mai davvero privata. Rassegnati all’evidenza, dolcezza
– mi ha detto una volta in risposta alle mie proteste.
Da
un lato ha ragione, ne ho già avuto un assaggio nei mesi precedenti e tra poche
settimane, con l’inizio del Tour, ne avrò di nuovo la conferma. Haymitch
sopporta tutto questo da venticinque anni…
Non
c’è da stupirsi se è continuamente sbronzo.
L’aria
è gelida ed il terreno scricchiola sotto le suole dei miei scarponi, proprio
come un pezzo di ghiaccio. È uno degli inverni più rigidi da che ne ho memoria.
Dicembre sta volgendo al termine… l’anno sta volgendo al termine.
Domani
sarà il primo giorno dell’anno nuovo.
È
un anno a cui cerco di non pensare, ma invano. Segnerà il mio ingresso
ufficiale come mentore agli Hunger Games; è un chiodo fisso che mi spaventa,
scatena la mia paranoia. Non faccio altro che pensare ai visi dei ragazzini che
dovrò accompagnare nell’arena a morire, e le mie paure sono aggravate dal fatto
che conosco alcuni di quei ragazzini.
Uno
di questi potrebbe essere il fratellino di Gale, o Prim. Essere la sorella di
una vincitrice/mentore non la salverà dalla mietitura quest’anno.
Quante
probabilità ci sono che il suo nome possa venire estratto in due anni
consecutivi? È mai successo?
Non
nel 12. E negli altri?
-
Katniss?
Sobbalzo
nel sentire la voce di Gale. Lo guardo, stupita di trovarmelo davanti, a
sovrastarmi con la sua statura. Siamo qui da stamattina, quindi non dovrei stupirmi
ogni volta che mi si avvicina. Ma per un momento, un secondo, ho avuto la
sensazione che fosse appena arrivato.
-
S-scusami, Gale, io… pensavo… - balbetto.
-
Ultimamente pensi troppo, posso dirtelo? – Gale inarca un sopracciglio e indica
qualcosa verso i miei piedi. – Quello lo prendi tu?
Seguo
il suo dito, puntato verso un tacchino morto le cui zampe sono strette nelle
mie mani. Quando ho preso questo tacchino?
Non
va bene, stamattina. Non va.
-
S-sì. Lo prendo io – mi riprendo abbastanza da riuscire a ricordare quello che
devo fare. – La mamma vuole cucinarlo per la cena di stasera.
Rassegnatasi
all’idea di me di nuovo nei boschi, mia madre ha almeno cercato di fare in modo
che non mi mettessi nei guai e che le portassi qualcosa, senza dover lasciare o
barattare qualcosa al Forno. Per stasera mi ha chiesto un tacchino, con la
scusante di voler preparare una cena speciale in vista dell’anno nuovo.
Non
abbiamo mai avuto un buon motivo per festeggiare finora, soprattutto dopo la
morte di nostro padre, e poi non potevamo mai permetterci grandi cose. Di
solito consumavamo la nostra cena e, con lo stomaco che desiderava altro cibo,
ci sdraiavamo sotto le coperte in attesa che il vecchio orologio sopra al
camino battesse la mezzanotte. Al Giacimento, nessuno festeggiava o poteva
permettersi di festeggiare il Capodanno.
Quello
di mia madre sembra più il tentativo di voler trovare a tutti i costi una
scusante per poterlo fare. Ma finché si tratta di una cena succulenta in
famiglia posso accontentare le sue richieste. E poi, il fatto che mi chieda di
cacciare la dice lunga: possiamo permetterci di comprare la carne dal
macellaio, ma da un po' evita di farlo.
Evidentemente,
preferisce la selvaggina fresca.
-
Katniss?
Di
nuovo.
Chiudo
gli occhi, uno sbuffo fuoriesce dalle mie labbra. – Scusa, stavo…
-
Pensando, lo so – Gale non sembra troppo convinto. – A cosa sono dovuti tutti
questi pensieri?
A
troppe cose, e tutte quante insieme: questa è la risposta giusta che dovrei
dare a Gale. Sono poche parole che a prima vista possono sembrare vuote, quasi
inutili, ma in realtà racchiudono un mondo di significati. Ma resto in silenzio,
concentrando tutta la mia attenzione sul tacchino. Mi inginocchio e comincio a
spennarlo, anche se il resto del lavoro andrà fatto a casa.
Gale
mi si inginocchia di fianco e mi accarezza una spalla, un gesto che ha già
fatto milioni di volte. – Sai che puoi dirmi tutto, vero? Tutto quello che ti
passa per la testa. Non devi preoccuparti – mi rassicura.
Certo
che lo so.
Lo
guardo, e dentro di me sono sicura di non poterlo accontentare. – Non so se
posso farcela.
Il
tacchino che porto a casa si trasforma, con il trascorrere della giornata, in
un succulento arrosto arricchito di salsa all’arancia; non si avvicina
minimamente ai piatti elaborati che ho avuto modo di assaggiare durante la mia
spedizione a Capitol City, ma tutto sommato lo preferisco. Con contorno di
patate e cipolline, è senza dubbio il cibo più suntuoso che abbiamo mai avuto
alla nostra tavola.
Peccato
che io sia l’unica rimasta a goderselo.
Esattamente
pochi minuti prima che ci sedessimo a tavola hanno bussato alla porta di casa:
una donna del Giacimento stamattina è entrata in travaglio e temevano
l’insorgenza di complicazioni perché, nonostante il trascorrere delle ore,
sembrava che non ci fossero progressi.
Mia
madre non è stata mai capace di negare il suo aiuto a chicchessia, e sono
sicura che anche il suo più acerrimo nemico scatenerebbe la sua sensibilità se
si trovasse in un bisogno estremo di cure; così ha preso il cappotto e una
borsa piena di tutto quello che le sarebbe potuto servire ed è andata al Giacimento.
Anche Prim è andata con lei: in questo è più forte di me e molto simile alla
mamma, e immagino che un giorno la affiancherà nel suo lavoro, più di come fa
oggi.
Ovviamente
non hanno idea del tempo che ci vorrà, se solo qualche ora o tutta la notte. Così
eccomi qui, da sola, davanti ad un tacchino che potrebbe sostentarmi per almeno
una settimana.
Nonostante
l’ottimo sapore che mi invade la bocca, riesco a mangiare solo una piccola
parte della porzione di cui mi sono servita. Non ho appetito, quindi sparecchio
la tavola e porto tutto il cibo in cucina, sistemandolo in modo che si conservi
per domani.
Cercando
di tenermi impegnata come posso, riordino la tavola della sala da pranzo e il
grande tavolo della cucina. Lavo le stoviglie che si trovano nell’acquaio,
spazzo il pavimento, recupero dalla legnaia sul retro altri ciocchi per
mantenere il fuoco acceso. Alla fine, mi lascio cadere sulla sedia a dondolo
davanti al camino. Il vecchio orologio mi dice che sono da poco passate le otto
di sera.
Non
sono abituata alla visione della cucina vuota. Da quando ci siamo trasferite
qui è sempre stata piena di rumori e odori: l’odore del cibo che cuoce sul
fuoco e quello delle spezie, delle erbe e degli infusi che la mamma non ha mai
smesso di preparare. La cucina è sempre stata la mia stanza preferita della
casa, non solo di questa ma di tutte in generale: non la definiscono forse
“focolare domestico”? È il luogo in cui tutte le famiglie, anche le più
disastrate, si riuniscono tutti i giorni per i tre pasti giornalieri, quello in
cui vengono svolte la maggior parte delle attività quotidiane.
Mi
agito sulla sedia, inquieta, sistemandomi in una posizione più comoda. Cerco di
farmi venire in mente qualcosa da fare.
Di
solito, quando davanti a me si prospettano ore vuote, vado da Peeta,
che sembra
sempre felice di avermi tra i piedi. Non mi ha mai fatto capire in
alcun modo se la mia presenza gli sia di peso ed io, di conseguenza, ho
sempre paura di
disturbare. Ma stasera non posso andare da lui, così come tutte
le sere in
generale.
Sebbene
non veda con grande felicità il nostro rapporto, la mamma ci lascia trascorrere
insieme la maggior parte delle giornate, a patto che la sera rimanessimo ognuno
nella propria abitazione. Poteva contare inoltre sul fatto che Peeta si rechi a
cena dalla sua famiglia tutte le sere.
È
per questo che non posso andare da lui: la sua casa è buia, segno che non è
ancora rientrato. E vista anche la ricorrenza che cade in questa giornata, non
so quanto farà tardi.
Alla
fine, decido di lasciare la sedia a dondolo per andare a fare un bagno caldo,
non prima però di aver gettato un pezzo di legno sul fuoco. Per ingannare il
tempo, aggiungo all’acqua fiori secchi e uno strano olio viola che Effie ha
mandato qualche giorno fa dalla capitale.
Il
bagno lascia la mia pelle profumata di non so che tipo di fiore – non l’ho mai
sentito prima d’ora – e morbida all’inverosimile. Ho trascorso molto tempo
dentro l’acqua, tanto che le mie dita adesso somigliano a prugne secche, ma
allo stesso tempo mi sembra di esserci stata solo per cinque minuti.
Metto
il pigiama e scivolo sotto le coperte, anche se so che non riuscirò a prendere
sonno ancora per un bel pezzo. E poi sono troppo inquieta. Mi rannicchio in un
bozzolo al centro del letto e guardo il cielo buio fuori dalla finestra, ma
dopo pochi secondi sono di nuovo in piedi, trascino lo sgabello della toeletta
fino alla finestra e mi siedo, osservando le stelle.
Se
hai la sfortuna di nascere in un Distretto povero come il nostro, col tempo
impari ad apprezzare le poche cose belle che la natura ha da offrirti. Io ho
imparato ad apprezzare il tappeto di stelle che prende vita la notte,
sovrastando le nostre teste con la loro bellezza. Vivere quasi totalmente senza
elettricità ti permette di osservarle al meglio, con la luna come unica fonte
di luce. Stanotte, il cielo è totalmente sgombro dalle nuvole.
A
Capitol City non si vedono le stelle: troppe luci artificiali. Alcune volte
penso che la vita dei suoi abitanti sia triste, in fondo; hanno tutto, eppure
perdono qualcosa di così meraviglioso.
Nell’arena
invece le stelle si vedevano benissimo, anche se non erano stelle vere ma solo una
loro proiezione.
Completamente
assorta nella contemplazione del cielo notturno, non mi accorgo subito del
bagliore che proviene dalla casa di Peeta. Le tende nella finestra del suo
soggiorno non sono state tirate, così riesco a vedere quello che succede al suo
interno. Non riesco a vedere Peeta, ma la luce accesa può significare solo una
cosa.
È
tornato a casa.
Cerco
con tutta me stessa di provare a non comportarmi come una bambina impaziente e
di resistere alla tentazione di precipitarmi da lui. Penso che forse sia
stanco, che vuole andare a dormire senza essere disturbato. Penso che per una
volta non avermi tra i piedi sia un sollievo per lui.
Come
previsto, tutto questo non serve a nulla. Senza neanche provare a mettere
addosso qualcosa di più decente del pigiama azzurro che indosso, scendo le
scale a rotta di collo, infilo gli scarponi e il cappotto ed esco di casa.
Sto
infrangendo le regole, penso mentre percorro i pochi metri
che separano le nostre case. La mamma non sarà felice di saperlo.
In
fondo, non sono mai stata brava a rispettarle.
Busso
alla porta e dopo un secondo mi pento di averlo fatto. Sono nervosa e uno
strano senso di frustrazione mi pervade il corpo, anche se non riesco a capire
il motivo per cui provo queste sensazioni. Scendo un gradino con l’intenzione
di andare via, nella speranza che Peeta non abbia sentito il mio bussare, ma la
porta si apre rivelando la sua figura.
Un’espressione
di sorpresa gli attraversa il viso, ma dura solo un istante prima che venga
sostituita dal più bello dei suoi sorrisi. – Ciao!
-
Hey – sussurro, infilando le mani nelle tasche del cappotto. Non so cosa dire.
Mi ritrovo spesso nella condizione di non saper cosa dire quando sono con
Peeta.
Ma
lui mi salva sempre, e lo fa anche stavolta. – Vuoi entrare?
Peeta
mi fa togliere il cappotto e mi guida in cucina, una cucina che, come quella di
casa mia, è piena di odori. Vive da solo in questa casa enorme, eppure si sente
lo stesso calore e lo stesso conforto di una casa piena di gente.
Mi
offre una camomilla – la beve sempre prima di andare a letto, lo aiuta quando
non riesce ad addormentarsi – e mi chiede se mia madre non sia contrariata
all’idea di noi due insieme, in una così tarda serata. Gli rispondo che lei e
Prim sono al Giacimento ad assistere una partoriente – la verità – e che io non
riuscivo a prendere sonno, stando da sola in casa – una mezza bugia, ma il
pigiama che ho addosso la rende più credibile.
-
Sei sicuro che non disturbo? Posso anche andare via se vuoi stare da solo –
provo a dire, ma la sua mano che stringe la mia blocca ogni mia ulteriore proposta.
-
Non disturbi mai – mi rassicura.
Gli
regalo un piccolo sorriso. Di certo non è bello come i suoi, ma è il meglio che
posso fare. – Pensavo che fossi dalla tua famiglia…
-
Sono stato con loro fino a poco fa, ma ho preferito andare via prima che si
facesse troppo tardi. A loro ho detto che ero stanco, ma in realtà voglio
lavorare un po' al quadro che sto finendo…
-
Allora vado, vedi che-
-
Tu non vai da nessuna parte, mi servi! – esclama divertito. – Ti avrei comunque
chiesto di passare domani, ho bisogno del tuo aiuto per quello che sto
dipingendo.
Un
aiuto, io? – Che genere di aiuto?
-
Un consulto. Vieni, ti faccio vedere – Peeta mi prende per mano e mi fa alzare
dal tavolo. Abbandoniamo le nostre tazze semi vuote per andare nel suo studio.
________________________
In origine, questa
avrebbe dovuto essere la prima parte di un capitolo ricco, ricchissimo anzi!, che
ho però preferito tagliare a metà. In parte per la sua lunghezza, ed in parte perché
è ricco, appunto. Ma ricco di cosa? Sono così perfida che ho deciso di non
rivelarvelo prima della prossima settimana!
Sono riuscita a rispettare
la promessa che vi avevo fatto qualche giorno fa e a regalarvi un doppio
aggiornamento, questa settimana :) il prossimo non sarà di lunedì, e a dire la
verità non ho ancora deciso quando lo farò… questo perché voglio tenervi sulle
spine *ridacchia*
Grazie a tutti,
soprattutto a chi è arrivato in fondo alla pagina! Ci sentiamo presto!
D.