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Autore: _Kalika_    20/06/2020    2 recensioni
*Questa Fanfiction partecipa al 3 Days of Pride 2020 indetto dal forum FairyPiece – Fanfiction&images*
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«È una persona strana perché la prima volta che l’ho vista indossava una felpa larga.» Percepì lo sguardo scettico dell’altro e iniziò a irritarsi «Non dire niente e fammi finire. Poi la seconda volta era…» La lingua gli si fermò da sola mentre gli occhi guizzavano dall’altra parte della strada, attirati da qualcosa. Un rosa fragola, un azzurro appena visibile, vestiti in un paio di jeans e una felpa. Prese Izou per un braccio e attraversò la strada di corsa. «È lui! Cioè, lei! È lì!»
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Eustass Kidd, Izou, Marco, Reiju Vinsmoke, Shachi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
Capitoli:
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20 giugno: identità di genere – gender fluid


Capitolo 2


Il timer a forma di pulcino azzurro trillò e Shachi si alzò dal tavolo, lasciando in sospeso la sua ricerca al computer. Rigirò il sugo e pesto nella padella prima di scolare la pasta, poggiando poi pesantemente la pentola vuota nel lavello e sospirando. Era passata quasi una settimana e non aveva ancora trovato niente che potesse aiutarlo a schiodarsi da quella situazione.
D’altro canto, la convivenza con Marco si era rivelata oltremodo interessante. Aveva scoperto lati dell’amico che solo una lunga serie di giorni a stretto contatto nel suo ambiente naturale avrebbero mai potuto rivelare; alcune abitudini di cui Shachi era assolutamente certo di poter fare a meno di conoscere, come il girare per casa con solo un asciugamano addosso dopo aver fatto la doccia – e il sospetto era che l’asciugamano l’avesse soltanto per una questione di decenza nei confronti dell’ospite – altre più simpatiche, come il parlare alle pianticelle del terrazzo mentre le innaffiava, altre ancora strane o addirittura oscure. Ma il comportamento più insolito e tuttavia evidente era la sua costante, apparentemente incomprensibile, genuina e quasi ossessiva preoccupazione per il fatto che Izou non si faceva sentire da circa dieci giorni.
E va bene che in effetti Izou era solito dare notizie di sé almeno una volta al giorno e non mancava mai né di rispondere alle chiamate né di partecipare alle serate al Cocoyashi, ma era impossibile che un adulto grande e vaccinato come Marco non potesse capire che tutti passavano dei momenti in cui preferivano stare da soli o più semplicemente erano troppo impegnati per uscire.
Versò con cura la pasta scolata nella padella con il condimento e chiamò il coinquilino per avvisarlo che la cena era pronta. Marco arrivò nel giro di un minuto, cellulare all’orecchio e sguardo teso. Shachi gli lanciò un’occhiata indagatoria ma lui non rispose, continuando a camminare in cerchio in assoluto silenzio. Una manciata di secondi ancora, poi riabbassò il cellulare con un sospiro e andò ad apparecchiare la tavola mentre l’amico divideva la pasta nei due piatti di ceramica.
«Izou ancora non risponde?»
Marco sembrò esitare un attimo, quel tanto che bastava perché Shachi si chiedesse se era il caso di ripetere la domanda. «…già. Pensi che domani dovremmo andarlo a trovare?»
Il rosso si girò accigliato. Ma che gli prendeva? Non era lui il tipo che aveva sempre disdegnato le visite a sorpresa?
«Non saprei…» Cominciò prudentemente mentre si sedeva a tavola, percependo con la coda dell’occhio Marco alzare lo sguardo sorpreso. «Stiamo parlando di Izou. Se si trovasse in difficoltà ne parlerebbe con noi, no? Kidd ha detto che non si sentiva molto bene sabato, magari è solo pieno un periodo impegnativo all’Università.»
«Se così fosse, se ne sarebbe lamentato almeno una volta su Whatsapp.»
Shachi rigirò un po’ la pasta con la forchetta. Non negava che fosse un comportamento strano da parte di Izou, ma tutta quell’attenzione lo confondeva. Insomma okay, Marco e Izou erano migliori amici, ma c’era davvero un tale rapporto di dipendenza? «Forse è davvero tanto impegnato» tentò poco convinto. «Ma non ti sembra di star ingigantendo la questione?»
Si fissarono negli occhi, uno interrogativo e l’altro apparentemente impassibile. Marco sembrò sul punto di dire qualcosa, poi invece abbassò lo sguardo e commentò con tono strascicato. «Forse hai ragione.»
«No, no, aspetta un attimo! Che cos’era quello?»
«“Quello” cosa?»
«Quello sguardo!» Si sporse appena verso di lui, le sopracciglia corrugate nel tentativo di mettere insieme i pezzi. «Sarà che ormai ti conosco da anni o che in casa tua sei meno impassibile, ma è chiaro come il sole che volevi dire qualc…» Si bloccò in mezzo alla frase, un presentimento in testa. «Tu c’entri qualcosa col motivo per cui Izou è sparito? Non voglio farmi gli affari tuoi ma-»
«Non c’entro niente, te lo posso assicurare. E non ne so neanche il motivo.»
«Ma allora perché tutta questa apprensione?»
«Non sono apprensivo.»
Shachi alzò un sopracciglio. Davvero? Non aveva neanche un minimo di autocritica? «Comincio a pensare che Izou avesse ragione» incrociò le braccia al petto, la labbra già piegate in un sorriso scemo «Kidd si è fatto sostituire da un clone ed è partito per godersi il clima e le bellezze di Raftel qualche settimana fa, e l’hai seguito. Ma il clone che ho davanti non è affatto realistico.»
Marco sbuffò una risata, piantando gli occhi sul piatto di pasta mezzo vuoto. «Giuro che sono io.»
«E come puoi dimostrarlo?» Shachi continuò lo scherzo, preferendo alleggerire l’atmosfera che tirar fuori con le pinze qualunque fosse il segreto che Marco si portava dietro.
«Mh, vediamo» finse di rifletterci l’altro «Solo il vero Marco saprebbe che il mio cibo preferito è la torta all’ananas e il mio colore preferito è il verde acqua.»
«No, non è vero» lo sfidò Shachi intrecciando le dita con aria saputa «Questo potrebbe avertelo detto il vero Marco. Per convincermi devi aggiungere dettagli, darmi un contesto, dire cose che neanche io potrei conoscere…»
«Contesto dici…» stette al gioco il biondo «..la torta all’ananas è il dolce che preparava mia madre quando ero bambino, preferito non solo da me ma anche da papà e da Haruta, mentre il verde acqua è il mio colore preferito da… dalla festa di fine anno di secondo liceo, quando Izou indossò un kimono di quel colore decorato a foglie d’acero, e che altro posso dirti di segreto…» lanciò un’occhiata all’amico che lo osservava fingendosi giocosamente rapito dal suo racconto «…sono un fan accanito di Lie to Me e, per finire con un pizzico di piccante, l’assenza di Izou negli ultimi giorni è ampiamente compensata dalla sua presenza nei miei sogni erotici.»
Shachi si spalmò sulla sedia ridacchiando mentre si portava un bicchiere d’acqua alle labbra. «“Segreto” non vuol dire che ti puoi inventare la prima cosa che ti viene in mente! Ammesso che sia inventato perché altrimenti, amico, la mia diagnosi finale è che sei gay, e anzi sei molto, molto gay per Izou.»
«Già.»
L’acqua che Shachi stava bevendo invertì il suo corso e per poco non si riversò sul tavolo. «C-che cosa?» Ora sì che si collegava tutto. Ma possibile che dovesse scoprirlo così? Alzò lo sguardo verso l’amico per confermare ogni sospetto. «Ti piace Izou?»
Marco poggiò i gomiti sul tavolo guardandolo serafico. «Tanto sorpreso?»
L’altro lo guardò di traverso. «Be’, sì. Cioè no, voglio dire, se ci penso ha senso. Ora parecchie cose hanno senso. Quando pensavi di dircelo?»
L’espressione prima rilassata si indurì impercettibilmente. «Non programmavo di dirvelo.»
«Cosa? Perché? Non potete mica tenerlo nascosto in eterno!» Shachi lo sguardò confuso prima di realizzare la gaffe. «O Izou non…»
Marco distolse lo sguardo. «Izou non lo sa, e non intendo dirglielo» e fissò penetrante il rosso con un chiaro messaggio: tu non glielo dirai. Si alzò in piedi, iniziando a sparecchiare mentre concludeva il discorso con tono morbido. «Ci conosciamo da quando siamo alti così, e per me è insostituibile. Non voglio rovinare la nostra amicizia, siamo in perfetto equilibrio così e…» scrollò la testa guardando il vuoto «potresti non essere d’accordo ma non voglio rischiare. Forse è egoista, ma-»
«Ehi, ehi, è una tua decisione che riguarda la tua vita!» Shachi lo interruppe con un sorriso incoraggiante. «Non posso che appoggiarti, amico, davvero. Lo capisco.» Da premurosa la sua espressione si trasformò in quella da deficiente che aveva sempre prima di sparare qualcuna delle sue. «Ma sei proprio di conoscere bene Izou? Voglio dire, è parecchio impegnativo da sopportare. Voglio solo assicurarmi, eh!»
«Certe volte me lo chiedo anch’io» rise Marco complice. E Shachi lo guardò e si accorse che per la prima volta da giorni gli brillavano gli occhi. Adesso che lo sapeva, gli era inevitabile chiedersi come non se ne fosse accorto prima. Marco era assolutamente, totalmente, inequivocabilmente innamorato di Izou, e il fatto che sembrasse risorto dalle sue stesse ceneri mentre stavano lì a chiacchierare e scherzare sul moro ne era la prova. Vederlo così insolitamente allegro, pure se in un periodo complicato, era una gioia per gli occhi. Shachi si augurò genuinamente che un giorno Izou si accorgesse dell’effetto che aveva sul suo migliore amico, e che magari se ne prendesse le responsabilità.
«Comunque com’è che non mi hai mai parlato di Lie to me? Lo adoro anch’io!»
 
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Parcheggiò in doppia fila il più velocemente possibile non appena notò la figura di una persona seduta sui gradini di casa Vinsmoke, con i lampioni che la illuminavano abbastanza da poter distinguere gli inconfondibili capelli rosa.
«Reiju!»
Si avvicinò di corsa mentre i suoi occhi riconoscevano meglio le forme, a partire dalle sue braccia sottili che si abbracciavano le ginocchia e la testa reclinata verso il basso, che si mosse sorpresa quando si sentì chiamare.
«Che ti ha fatto? Stai bene?» Il tono agitato vagamente nascosto sotto uno strato di preoccupazione, Kidd si fiondò istintivamente accanto a lui e gli si sedette vicino. Gli prese con foga il viso tra le mani spostandolo in tutte le angolazioni, quasi temesse di star nascondendo qualche taglio o livido.
«Sto bene… oh! Ehi!» Reiju si liberò dalla presa sgranando gli occhi «Sto bene ho detto!»
Kidd continuò a fissarlo, non convinto. «Ma ho sentito… Ti stava urlando contro e-»
«Sì, mi stava urlando contro, ma non si azzarderebbe mai a colpirmi.» Abbassò le mani di Kidd che ancora erano bloccate a mezz’aria. «Non è violento. E soprattutto… per lui sono sempre una “dolce ragazza indifesa”.» Commentò amaramente.
«Quindi non sei ferita?»
«Ferito. E no, non lo sono.»
Kidd sentì un peso levarglisi dal cuore, e si concesse un respiro sollevato. Abbassò la testa, le mani ancora strette tra quelle di Reiju. «Non pensavo che la situazione fosse tanto tesa a casa tua.»
Lui scosse la testa girandosi a guardare il rosso. «Di solito è un po’ più tranquillo. Di solito fingo sempre di essere una ragazza, e casomai pensano che voglia solo vestirmi da maschiaccio.» Il tono di voce era calmo ma Kidd sentiva dentro di esso una tristezza incredibile, che gli placava ogni traccia di rabbia e gli faceva venire voglia di abbracciarlo. «Però certe volte non ce la faccio proprio a nascondermi.» Gli occhi si fecero più lucidi a ogni parola che passava.
«Certe volte vorrei gridare al mondo che in quel momento non sono una donna, e che voglio che nessuno mi tratti come tale. E poi invece se provo anche solo a usare una parola al maschile, mio padre inizia a urlarmi contro.»
Stava iniziando a parlare a ruota libera, a sfogarsi, e Kidd rimase in silenzio lasciandolo fare. Tremò, forse per il freddo forse per qualcos’altro, e strinse i pugni mentre sputava una parola avvelenata dopo l’altra. «Hai idea di come ci si sente a cambiare genere senza preavviso, e comunque essere obbligati a mostrarti sempre uguale?» Fece per guardare in faccia Kidd ma all’ultimo la testa gli crollò verso il basso. Non era più solo triste, era stanco.
«Non ne posso più di passare da una parte all’altra.» E la sua voce, che quasi sussurrava, iniziò a tremare di rabbia mentre le sue mani, prima ad abbracciarsi da solo le spalle, si passavano in rassegna il corpo con nervosismo. «E adesso non la voglio questa stupida voce acuta, e questa stupida gonna,» si toccò il petto all’altezza dei seni quasi con ribrezzo mentre la vista gli si appannava di lacrime «e queste… non ci faccio niente, non le voglio! Eppure fra qualche ora mi andranno bene! Ma perché non posso essere normale?»
Si sentì trascinare con impeto a sinistra e sussultò quando si ritrovò il viso contro il petto di Kidd, il suo braccio caldo a riscaldargli le spalle. Eustass non era mai stato bravo a confortare ma questa volta sapeva che non c’era bisogno di dire molto, e l’istinto aveva fatto il suo lavoro quando si era stretto l’amico. Lo sentì singhiozzare contro di lui e lo abbracciò più forte, poggiando il mento sulla sua testa, carezzandogli la schiena.
Rimasero un po’ così, in muta comprensione, fino a che Reiju non si mosse appena. Allora l’altro lo lasciò andare e gli scostò una ciocca di capelli dal viso mentre gli si avvicinava, un’idea sorta nella sua testa. «Non c’è niente di male a non essere normali. Prendi Izou!» Aggiunse, e Reiju rise tra le lacrime. «Lo dici tanto per dire.»
«Perché io sono proprio il tipo che mente per consolare la gente.» Non staccò per un istante gli occhi da Reiju mentre lui si asciugava gli occhi. «E poi te l’ho già detto una volta, ma a quanto pare non l’hai ascoltato abbastanza bene. Tu sei Reiju. Non importa quale sia il tuo genere. E se questo non ti aiuta per niente con la disforia, almeno sappi che io e Izou e tutti gli altri ci saremo sempre per sostenerti.» Una vocina nella sua testa si congratulò con lui per aver preso parte alle lezioni di Izou, grazie alle quali sapeva cosa fosse la disforia. Era un discorso motivazionale di merda, ma in qualche modo funzionò.
Aspettò che Reiju tornasse a sorridere prima di avvicinarsi un altro po’: «Sai cosa facciamo ora?» Gli chiese mentre si toglieva il giacchetto di pelle e glielo metteva sulle spalle. «Ora ti porto a fare un giro e ci compriamo vestiti per ogni occasione. Per quando sei maschio, per quando sei femmina, anche se mi sa che di quelli ne hai già tanti, per quando non sei niente e per quanto sei tutto.» Gli si seccò la gola alla fine della frase, perché si accorse che era sul punto di aggiungere qualcosa che non era assolutamente nel suo stile. Perché dai, quale razza di decerebrato avrebbe mai potuto pensare di dire a qualcuno “sei sempre il mio tutto”? Gli vennero i brividi solo all’idea. No, non aveva assolutamente pensato una cosa del genere e soprattutto non aveva pensato di dirla a Reiju. Assolutamente no.
«’nsavo non ti piacesse fare shopping.» Kidd si risvegliò quando Reiju si alzò in piedi, aspettando che il rosso facesse lo stesso per iniziare a camminare verso la macchina.
«E invece mi piace. Izou si veste come una donna ma a conti fatti se ne intende di vestiti, e insiste per accompagnarmi perché altrimenti “non saprei neanche abbinare una giacca a una cravatta”. Come se le indossassi, le cravatte.»
 
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Scostò il ciuffo rosato con un movimento del capo mentre faceva vagare gli occhi da una parte all’altra della vetrina alla ricerca di un dolce che attirasse la sua attenzione. Ah, eccolo finalmente! Un bel… «Vorrei uno di quei bignè al pistacchio, grazie» Qualcuno accanto a lei diede voce ai suoi pensieri con tono lievemente nasale. Si voltò alla sua destra per posare gli occhi sul ragazzo che a quanto pare stava già nel bar quando lei era entrata, ma che non aveva notato fino a pochi secondi prima. Strano, eppure di solito era piuttosto appariscente.
Reiju ripeté l’ordine per sé stessa prima di voltarsi sorridendo. «Ciao, Izou. È da un po’ che non ci vediamo.»
Lui si voltò a guardarla e alzò le sopracciglia sorpreso quando si accorse di lei, nascondendo alla meglio il nervosismo. «Buongiorno!» Il suo sorriso era tirato, ma Reiju lo ricambiò gentile senza esitazione. Uscirono insieme dal bar universitario. «Come va? Oggi “lei”, “lui” o “altro”?»
Reiju abbassò lo sguardo concentrata arricciando piacevolmente le labbra di fronte a quella premura tanto insolita quanto gradita. Rialzò gli occhi e si concesse qualche istante per osservare l’amico prima di rispondere. Il raccolto dei capelli meno ordinato del solito, i vestiti privi di colori sgargianti, due occhiaie da far paura. C’era decisamente qualcosa che non andava. «…Non so. Penso “lei”. Per ora, almeno.»
«E “lei” sia. Come mai qui?»
Raggiunsero una panchina e Reiju diede l’ultimo morso al bignè prima di sedersi composta. «Faccio uno spuntino prima della prossima lezione. La scorsa ora è stata piuttosto impegnativa. Devo chiedere a Marco gli appunti di… Tutto bene?»
Izou sollevò lo sguardo spento dalle punte dei piedi fino agli occhi cerulei della ragazza, conscio dell’espressione impossibile da reprimere che si era dipinta sulla sua faccia al solo sentire il nome “Marco”. Avrebbe voluto piangere ma l’aveva già fatto abbastanza negli ultimi giorni. Sospirò. «Oh certo, va tutto bene! Dicevi, della lezione?»
Reiju restò in silenzio ad osservarlo che si grattava l’angolo dell’occhio cercando di non rovinare l’eyeliner. Attese un attimo in silenzio. «Non è mio interesse immischiarmi nei tuoi affari, Izou» esordì pacata «..ma tu e i tuoi amici mi avete aiutata moltissimo in questo periodo.» Un flash nella sua testa le ricordò la serata di appena tre giorni prima, le ore passate a ridere e divertirsi con Kidd, che nonostante tutti i pronostici le aveva fatto fare lo shopping più fruttuoso e coinvolgente del secolo. Sentì qualcosa riscaldarle il cuore mentre nella testa le risuonavano le ultime parole di Kidd di quella serata, un augurio della buonanotte un po’ impacciato, la promessa di farsi chiamare se si fosse trovata in difficoltà, gli sguardi complici. Ma adesso doveva ricambiare il favore, se non a Kidd perlomeno al gruppo di amici che l’avevano accolta con tanto affetto. Inclinò appena la testa per guardare meglio il ragazzo che aveva di nuovo abbassato la testa. «E se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti…»
Izou si stropicciò le mani mentre il suo ginocchio iniziava a muoversi su e giù con nervosismo. Gli occhi vagavano ovunque che non fosse Reiju. «Non per essere melodrammatico, anche se mi riesce molto bene, ma credo che nessuno possa aiutarmi.»
«È successo qualcosa tra te e Marco?» Reiju provò a insistere un’ultima volta, inconsapevole del campo minato in cui si era andata a cacciare. «Non conosco la situazione, ma… è normale litigare in una coppia.»
Il verso che fece Izou sembrava quello di un pollo a cui stavano per tirare il collo. «Rei-chan… io e Marco non stiamo insieme.» Abbozzò un sorriso quando vide la ragazza spalancare gli occhi sinceramente sorpresa. Neanche sapeva cosa provare. Reiju usciva con loro da settimane ormai, e aveva dato per scontato che lui e Marco fossero una coppia. Cosa significava? Gli stava davvero tanto appiccicato? Si sentì ridicolo. Aveva fatto bene ad allontanarsi. Sicuramente Marco si stava godendo tutto quel tempo in cui non doveva preoccuparsi che di abbracci senza preavviso o di stupidi nomignoli. Alla fine si era rivelato un bene che avesse sbagliato a digitare il numero di telefono, gli aveva aperto gli occhi. Però faceva un male…
«Perdonami, non…»
«No, non fa niente. Insomma, alla fine… è quello il problema.» Fissò di nuovo lo sguardo a terra con un sorriso sofferente. Quando lo rialzò Reiju lo guardava comprensiva, quasi materna. Izou si trovò a pensare che quella benedetta ragazza aveva riempito un vuoto che il suo gruppo di amici non sapeva di avere. Non pensava di voler parlare, eppure all’incrociare quello sguardo tranquillo la voglia di confidarsi salì prorompente. «È il mio migliore amico da sempre, siamo cresciuti insieme. Ci conosciamo alla perfezione, oserei dire che ci completiamo. Per me… Marco è praticamente perfetto.» Scosse la testa e sollevò un sopracciglio, sospirando piano. «Ma mi conosco. Per quanto Marco mi voglia bene, so che per lui non è lo stesso.»
Reiju non rispose, confusa. Tutto nell’atteggiamento di Marco, per quanto privo di enfasi, le aveva sempre suggerito il contrario. Le era impossibile dimenticare con quanto affetto il biondo guardava, quasi ammirava Izou in ogni momento, con quale delicatezza rispondeva agli abbracci del ragazzo, con quale muta complicità poggiava la testa sulla sua spalla quando era stanco.
«Ma io mi sono innamorato di lui.» Gli sembrò un miracolo riuscire a dirlo tutto d’un fiato senza che la voce lo tradisse. «Non è cambiato poi così molto rispetto a prima. Però, però qualcosa è cambiato e lo sento.» Alzò una mano, prima ancorata al bordo della panchina, per mimare con le dita quanto piccola fosse la quantità del cambiamento.
«E vuoi dirglielo?»
«Una parte di me lo vorrebbe gridare al mondo intero.» Sorrise genuinamente di fronte all’espressione incoraggiante di Reiju – sapeva bene cosa si provava – e un guizzo tornò nei suoi occhi. «Ma ho paura di cosa potrebbe succedere dopo, quindi non lo farò.»
La ragazza continuò a osservarlo alla ricerca della cosa giusta da dire. C’erano tante cose che non le quadravano, ma una era preponderante: «Perché sei sicuro che Marco non provi lo stesso?»
Izou sgranò gli occhi e indietreggiò appena con la testa, poi indicò sé stesso con le mani e l’espressione più basita del mondo. «Rei-chan, guardami!»
Reiju si accigliò. Cosa voleva dire?
«Sono la persona più eccentrica dell’universo! Non passa giorno senza che qualcuno mi insulti perché mi comporto o mi vesto “troppo da gay”!» Ricalcò l’ultima frase facendo le virgolette con le mani. «Marco è calmo e perfetto e dice sempre la cosa giusta al momento giusto, e io non so mai quando tenere la bocca chiusa o come sembrare normale! Sono insopportabile! E anche se nessuno mi apprezza, io mi piaccio così come sono.» Si fermò per riprendere fiato, ma non appena si accorse che Reiju stava per dire qualcosa riprese a parlare se possibile ancora più velocemente. «E a Marco sicuramente piacciono le persone calme e perfette come lui, ma io non voglio cambiare, neanche se è per lui.» La voce gli si incrinò appena mentre cercava il modo di concludere. «Per questo non ha senso che glielo dica. Io sono fatto così e-»
«Izou ma cosa dici?»
Izou sentì le sue mani ancora a mezz’aria venire prese con delicatezza da quelle di Reiju, e si fermò un attimo quando il tono allarmato superò il suo. «E-eh?»
«Pensi davvero tutto questo?» L’espressione del ragazzo si fece seria all’improvviso e Reiju gli strinse le mani. «Non è vero che nessuno ti apprezza, Izou. Hai un gruppo di amici che ti ama così come sei. Nessuno di noi pensa che tu sia insopportabile. Meno che mai Marco. Sei eccentrico, e allora?»
«Ma…»
«Pensi davvero che una persona come Marco starebbe in un gruppo di persone casinare e senza speranze come il nostro se non gli piacesse?»
Izou abbassò lo sguardo colpito, come se ci avesse pensato solo in quel momento. «No, ma questo non significa che-»
«L’hai detto tu stesso, Marco è il tuo migliore amico. Dentro di te sai benissimo che non potrebbe mai pensare tutte quelle brutte cose che hai detto.» Sorrise appena mentre Izou la fissava con l’insicurezza negli occhi. Gli carezzò piano una guancia.
«Nessuno mi accettava prima di conoscere voi, quindi so bene che la gente non si fa problemi a rifiutare chi non gli piace. Izou, sei perfetto così come sei e lo sai anche tu. Lo sappiamo tutti, quindi penso proprio che dovresti prendere un po’ di coraggio e dire a Marco ciò che hai detto a me. Oh, dai, non piangere!»
«Come se mi avessi lasciato altra scelta! Oh andiamo, che l’eyeliner si rovina! Fermatevi, lacrime!» Izou alzò lo sguardo al cielo e si sventolò teatralmente la faccia con le mani mentre un sorrisone gli sorgeva spontaneo sul volto. «Cosa sei, una strega? Come hai fatto?» Si voltò a guardare Reiju con gli occhi lucidi e due grosse lacrime che marciavano verso il mento, e la ragazza scoppiò a ridere sollevata, salvo bloccarsi sorpresa quando l’altro le si fiondò addosso per abbracciarla. «Grazie. Grazie, grazie, grazie.» tirò appena su col naso mentre le sussurrava all’orecchio. «Forse avevo giusto bisogno di una dose di autostima.»
Reiju sospirò carezzandogli la schiena. «Lo penso anch’io. Adesso vai.»
 
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Si sciacquò il viso con l’acqua fredda stando attento a non bagnare il contorno occhi. Quando sollevò la testa e si osservò allo specchio, il rossore del viso se n’era andato. Si sistemò al volo l’eyeliner, guardandosi critico. Non era minimamente presentabile se messo in confronto ai suoi giorni migliori, ma non era il momento di fermarsi ai dettagli. Si rilegò i capelli, prese un grosso respiro e uscì dal bagno a passo deciso.
A quell’ora Marco sarebbe dovuto essere sul punto di finire l’ultima lezione, quindi si diresse con calma verso il parcheggio. Arrivato, adocchiò la moto del biondo, ma di lui nessuna traccia. Passò giusto qualche minuto a girare in tondo prima che si decidesse a raggiungere a piedi il Dipartimento di Lingue. L’impazienza lo stava uccidendo forse più della paura del rifiuto.
A metà strada lo intravide, svettante nel suo metro e quasi novanta, l’andatura controllata. Gli camminò incontro stropicciandosi le mani. Oddio, ma che stava facendo? Era davvero sicuro di voler continuare? Non era meglio girare i tacchi e continuare a ignorarlo?
No che non è meglio, non hai visto come ti sei ridotto? Gli rispose qualcosa nel petto, che normalmente avrebbe chiamato cuore ma che aveva l’ambigua e inquietante intonazione di Kidd incazzato. Prese l’ennesimo respiro e chiamò la sua attenzione. «Marco-chan!»
Non appena lo vide, Marco sembrò ghiacciarsi sul posto. Ma solo per un secondo, perché subito dopo aveva aumentato esponenzialmente l’andatura e l’aveva raggiunto in tre falcate. Anzi Izou ebbe l’impressione che stesse per investirlo, se non si fosse fermato giusto a pochi centimetri dai suoi piedi. E la stessa cosa successe al suo viso, passò dal sorpreso al preoccupato all’impassibile in poche frazioni di secondo, per non parlare delle sue mani che sembravano sul punto di abbracciarlo e stringerlo e invece all’ultimo erano ridiscese pacate lungo i fianchi e Izou ebbe appena il tempo di registrare la cosa che già gli parlava. «Stai bene?»
No, non proprio. Mi sono innamorato di te e ho provato ad allontanarmi per non darti fastidio, ma sto malissimo, e voglio chiarire la questione. La bocca già aperta, la frase ben chiara in mente e in attesa di trovare le parole migliori per esprimerla, ma il cervello andò in blackout di fronte all’espressione indecifrabile con cui Marco lo guardava. Senza parole, confuso, come di fronte a un intricato dipinto, e si avvicinava sempre di più.
E quando Izou tornò in sé, sentì l’eco delle sue parole ripetersi in gola. Cosa era successo? Aveva parlato? No, impossibile. Aveva solo pensato quelle cose, giusto? Doveva sbrigarsi o tutta la sua forza di volontà sarebbe scivolata via dal suo corpo, si sarebbe riversata in un tombino e avrebbe coronato il sogno d’amore di due topi di fogna. «Marco, io-»
Poi la mano di Marco carezzò la sua, l’afferrò con dolcezza, e l’altra intanto andava a sfiorare la sua guancia. Poi Marco si chinò e posò le sue labbra su quelle di Izou, che rimase immobile per un lungo, lunghissimo, interminabile secondo pieno di sorpresa ed elucubrazioni mentali. Ma allora aveva parlato? Qualcuno gli poteva spiegare cosa era successo?
Ma la sete di conoscenza passò in secondo piano quando percepì la mano di Marco muoversi pianissimo e posarsi sulla sua nuca, per sostenerlo e attirarlo a sé. Sentì il cuore battere forte, fortissimo, e le guance andare a fuoco quando Marco si allontanò di qualche centimetro e lo guardò intenso. Sorrideva. Sorrideva e le sue labbra erano bellissime, invitanti come sempre ma con qualcosa in più adesso che sapeva che sorridevano solo per lui. Alzò a sua volta le mani e vi circondò il volto di Marco prima di tirarlo di nuovo a sé in un altro delicatissimo bacio. Dio, quant’era bello. Sembrava tutto bellissimo, il vento, gli uccellini che cantavano, anche il vociare degli studenti attorno a loro, e Izou non aveva dubbi che anche avesse piovuto o nevicato o fatto burrasca sarebbe stato comunque bellissimo. E rispose al sorriso con uno altrettanto radioso, anzi di più, e si perse qualche istante negli occhi indaco in cui si era già perso innumerevoli milioni di volte prima di poggiare la testa sulla spalla di Marco e abbracciarlo. Marco lo baciò di nuovo. Era ottenebrante. Le gambe gli tremavano, il cuore rimbombava all’impazzata. Tutto il suo corpo esplodeva di felicità.
 
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«Hai preparato un discorso?»
Reiju sistemò il poggiatesta dell’auto di Kidd alla sua altezza prima di rispondere con una scrollata di spalle. «Niente di particolare. Le cose da dire le so, e Sanji sa ascoltare attentamente.»
Era una giornata importante. Reiju aveva preso il coraggio a quattro mani e aveva deciso di spiegare per filo e per segno la sua identità di genere a uno dei suoi fratelli. Quel giorno si sentiva particolarmente euforica, un po’ per la sua decisione, un po’ per il discorso avuto poco prima con Izou. Era sicura che, se non per entrambi, almeno per uno di loro due la giornata si sarebbe conclusa felicemente.
«Siamo quasi arrivati. La prossima a destra, poi è dietro l’angolo. C’è il parcheggio interno.»
Il rosso seguì le indicazioni dopo aver scoccato giusto un’occhiata alla ragazza, poi parcheggiò con calma. Uscirono entrambi dall’auto mettendosi uno accanto all’altra prima di varcare la soglia.
Gli All Blue 66 avevano tutti un arredamento tipico e riconoscibile, ma i particolari variavano in base al gestore singolare. Quello di Sanji aveva la carta da parati di un azzurro pallido decorato da stampe marine tono su tono e da stelle marina gialle intense, quasi a voler unire il cielo all’oceano. L’ambiente era caldo e accogliente.
Reiju guidò Kidd verso la cucina, dove il fratello era impegnato a decorare una serie di dolci con della glassa al cioccolato. «Reiju?»
«Ciao. Devo parlarti.»
Sanji terminò gli ultimi dessert prima di voltarsi totalmente verso la ragazza e darle tutta la sua attenzione. «Dimmi pure. È qualcosa di importante?»
«Sì.» Fece un piccolo passo verso Kidd, senza accorgersi dell’occhiata che il fratello aveva lanciato al rosso, poi iniziò a spiegare. Non ci mise tanto, giusto il tempo di spiegare i termini principali. Sanji non staccò gli occhi da lei neanche un secondo.
«Quindi non è una ricerca di attenzioni, o un volersi vestire da maschiaccio.» Commentò infine. Sembrava che gli si fosse aperto un mondo. Reiju lo guardò con un sorriso tenue. «Già.»
«Nostro padre non capirebbe.»
«No. Non ora.»
Rimasero entrambi in silenzio per qualche secondo. Poi Sanji riprese la parola. «Perché me l’hai detto?»
Lei scrollò le spalle. «Sentivo il bisogno di dirlo a qualcuno. Qualcuno che avrebbe potuto aiutarmi a casa.»
Sanji le sorrise rassicurante. «Hai tutto il mio appoggio. E penso che con il tempo anche gli altri diranno lo stesso.» Si voltò verso il bancone dei dolci, come a voler indicare che doveva continuare a lavorare, e Reiju seppe che la conversazione era finita.
Si voltò verso Kidd, già prossimo a uscire dalla cucina. Non c’erano stati abbracci, lacrime, dichiarazioni d’amore fraterno – non era nello stile dei Vinsmoke, dopotutto – ma Reiju si sentiva felice. Fare coming out non era solo questione di avere un alleato in casa, qualcuno con cui parlare. Così facendo aveva affermato sé stessa, aveva dichiarato la sua identità anche nell’ambiente familiare in cui era sempre stata abituata a nascondersi. Era felice, tanto felice, al punto che se fosse stata un po’ meno introversa si sarebbe anche permessa di abbracciare Kidd o lo stesso fratello. E la sua allegria aumentò quando Sanji la richiamò mentre era sull’uscita della cucina, come se si fosse appena ricordato di qualcosa di importante. «Reiju! Puoi dire a quel tuo amico che stiamo cercando un cameriere.»
 
҉
 
 
Il citofono risuonò all’improvviso. Shachi chiuse il pc e andò a rispondere, chiedendosi chi potesse essere. Marco non aveva invitato nessuno a quanto ne sapeva. Forse aveva dimenticato le chiavi di casa?
«Chi è?»
«Siamo noi! Abbiamo buone notizie da darti!» La voce di Reiju più squillante del solito risuonò con allegria.
«Vi apro subito!»
Tempo un minuto, e Kidd e Reiju erano davanti alla porta.
«Beh? Non tenetemi sulle spine.»
Shachi iniziò a versare loro del tè – limone per Kidd, verde per Reiju – mentre si accomodavano e la ragazza spiegava in fretta: «Ho chiesto ai miei fratelli se avessero bisogno di qualcuno che lavorasse da loro. Al ristorante di mio fratello Sanji manca un cameriere. Ho fatto il tuo nome.»
Shachi la guardò senza parole mentre il tè iniziava a fuori uscire dalla tazza. «Co…cosa?»
Reiju sorrise mentre Kidd guardava l’amico incrociando le braccia con un ghigno saputo sulle labbra. «Ti ho trovato un lavoro. Il colloquio è lunedì alle 11, ti invio subito la posizione su Whatsapp. Se gli vai bene, e non ho dubbi che lo farai, puoi cominciare il giorno stesso.»
Shachi abbassò la testa senza fiato. Poi la sorpresa lasciò posto alla gioia, e un sorrisone gli spuntò sul volto. Reiju socchiuse gli occhi. «Sai di chi sono figlia, vero? Non per farti la paternale, ma forse se ci avessi detto prima dei tuoi problemi sarei riuscita a sistemarti anche prima.»
Shachi iniziò a ridere incredulo mentre Kidd commentava con la delicatezza di sempre. «L’ho sempre saputo io che eri un coglione.»
Lo era davvero. Si prese la faccia tra le mani mentre Reiju aggiungeva qualche spiegazione. «Non te l’ho detto prima perché non volevo illuderti nel caso non avessi risolto niente. Ma ci sono cinque All Blue 66 in Sabaody e la fortuna a quanto pare ha girato dalla tua parte.»
Shachi alzò finalmente gli occhi su di lei. «È… è fantastico. Non so come ringraziarti.»
«Magari questa volta non nasconderci niente, sì?» intervenne il rosso mentre Reiju agitava la mano e sorrideva. «Davvero, basta questo» confermò lei.
«Sì ma-» La conversazione si interruppe all’improvviso quando da fuori la porta dell’appartamento risuonò uno strano rumore.
«L’avete sentito anche voi?»
Tutti e tre rimasero in silenzio fino a che non si ripresentò.
«Ma che è?»
Shachi fece appena qualche passo in avanti, visibilmente confuso: «Sembra quasi il rumore di un gatto che graffia alla porta.»
«Sì ma di un gatto alto due metri.» Commentò in un soffio Reiju, stringendosi nelle spalle quando l’altro si girò con un’espressione basita. «Forse è solo qualcuno nel pianerottolo?»
Stavano quasi per convincersi quando si ripropose il rumore di un tonfo che veniva inconfondibilmente dal lato opposto della porta che tutti e tre stavano fissando.
«Il gatto ha lanciato un gomitolo gigante contro la porta.» Provò ad allentare la tensione Shachi, impresa fallita quando la maniglia della porta iniziò a tremare come se qualcuno stesse cercando di forzarla. Possibile che un ladro stesse tentando di entrare proprio quando c’erano non una, non due ma ben tre persone in casa, di cui nessuna di loro era l’effettivo proprietario?
Reiju si mosse istintivamente all’indietro mentre Kidd avanzava, facendole da scudo, e si guardava intorno alla ricerca di qualcosa che potesse usare come arma. Il tempo di adocchiare la lampada sul mobiletto all’entrata, che il rumore delle chiavi che si infilavano nella toppa lo bloccò sul posto.
Tutti e tre fecero qualche passo indietro e si ghiacciarono sul posto quando la porta si aprì e richiuse freneticamente facendo entrare un groviglio di arti e vestiti che solo successivamente riconobbero come Marco e Izou. Marco e Izou ora addossati alla porta, presumibilmente nella stessa posizione che fino a pochi istanti prima avevano sul pianerottolo, con il biondo che bloccava l’altro contro la porta e lo sommergeva di baci, le mani che pur delicate scorrevano dappertutto.
«Ah-ehm.»
Marco e Izou che stavano pomiciando con tutta la passione del mondo, probabilmente con l’intenzione di recuperare quello stesso giorno tutti gli anni persi a girarsi attorno, e totalmente  inconsapevoli degli sguardi dei loro amici, tutti e tre indecisi se cercare di attirare la loro attenzione o se, visto il tentativo già andato a vuoto, potevano considerare di aprire la porta su cui Marco stava spalmando Izou e uscire dall’appartamento senza che i due si accorgessero di niente.
«Ah-ehm!» Kidd alzò la voce, preferendo però allontanarsi ancora. Finalmente scorse Izou che allungava il collo e li guardava, scoccando loro l’occhiata più infastidita che riuscisse a fare prima di realizzare e sgranare gli occhi: «Ah! Ma-Marco! Ci sono-» Si fece piccolo piccolo mentre il biondo si girava, li notava a sua volta e, con un tempo di reazione esemplare, si schiacciava impercettibilmente contro l’altro come a nasconderlo. «Ciao, persone che non abitano qui e Shachi.»
E con tutta la tranquillità del mondo, come se non fossero appena stati colti nel bel mezzo di quello che sarebbe diventato aneddoto storico e motivo di infinite prese per il culo, afferrò Izou per i fianchi e se lo trascinò contro un’altra parete dell’ingresso, invitando poi con la mano gli amici a uscire. «A meno che non vogliate accomodarvi e versarvi un tè.»
«Ah io ho già visto abbastanza! Ci vediamo al bar!» Kidd si fiondò verso la porta come una furia, arpionando Reiju per il braccio e trascinandosela dietro mentre lei, gli occhi accesi di puro divertimento, faceva segno a Shachi di chiudere la fila e seguirli lungo le scale.
«Tu c’entri qualcosa vero?»
«No, non direi» sorrise incrociando lo sguardo con Kidd «era chiaro come il sole che si piacessero a vicenda, non ho dovuto fare niente.» E quando vide che il rosso aveva staccato gli occhi da lei, seppe che li stava alzando verso Shachi, che con tutta probabilità aveva la stessa espressione interrogativa in faccia. Non si preoccupò neanche di nascondere un sospiro esasperato mentre raggiungevano il portone d’ingresso e uscivano.
Rimasero tutti e tre fermi per qualche secondo, un po’ per pigrizia, un po’ per elaborare le tante notizie della giornata. Il semaforo della strada di fronte aveva già cambiato colore per la terza volta quando Shachi si riscosse, stiracchiandosi e guardando verso gli altri due: «Beh, io vado a farmi un giro. Ci vediamo al bar stasera, sì?» E dopo il cenno d’assenso di Kidd, aggiunse con un sorriso sghembo «Per quanto ne so, Marco e Izou potrebbero essere ancora impegnati per le otto, magari pure per la notte. Se non scendono al bar, mi dai asilo per la notte?»
«Normalmente ti riderei in faccia, ma l’idea di farti dormire con Marco e Izou che ci danno dentro nella stanza accanto fa rabbrividire anche un cuore di pietra come me. Preparo il divano.»
Si salutarono con un cenno divertito, e Kidd e Reiju rimasero a guardare la schiena di Shachi che si allontanava, tornati nella trance di poco prima.
Quante cose erano successe nel giro di neanche un mese. Shachi aveva nascosto loro la sua condizione economica per chissà quanto tempo, e ora si trovava con un lavoro stabile in uno dei più ricchi ristoranti di Sabaody. Un po’ di segreti andavano bene ma nascondere troppe cose agli amici era sempre un’arma a doppio taglio, e l’aveva imparato a sue spese.
Izou non pensava che i suoi amici lo apprezzassero per quello che era. Una mancanza sempre coperta dall’atteggiamento allegro e baldanzoso, tanto che i suoi amici, che comunque mai avevano mostrato una particolare capacità d’osservazione, non avevano sospettato niente.
Marco, che sembrava tanto sicuro di sé, temeva di poter perdere l’amicizia con Izou e preferiva limitarsi a vivere una vita ad ammirarlo a distanza, a nascondere il suo amore. Finalmente aveva capito che forse valeva la pena tentare, o quantomeno aprire gli occhi.
E Reiju, Reiju era forte, era bellissima. Kidd la guardava e le prime cose che gli passavano in testa non erano gli errori, le paure, le insicurezze di quella ragazza. Reiju ai suoi occhi era bellissima, e quando sarebbe stato un maschio sarebbe stato bellissimo, e quando non sarebbe stato né maschio né femmina sarebbe comunque stato spettacolare, magari un termine neutro, bellissimum o qualche altra stronzata in latino, tanto il concetto era quello. Reiju che quando l’aveva conosciuta tutto ciò che cercava era stabilità, e invece era stata quella che aveva dato una fottuta sistemata a quel gruppo di amici scapestrati.
Reiju che gli aveva insegnato a non fermarsi alle apparenze, a informarsi su ciò che non conosceva, a cercare di comprendere anche chi gli sembrava incomprensibile, a pensare prima di agire. Kidd aveva sì imparato a non lasciarsi sempre trascinare dalle emozioni ma per una volta si permise di seguire i suoi impulsi, avvicinandosi a lei e prendendola per i fianchi, fissandola negli occhi quel tanto che bastava per farle capire le sue intenzioni prima di trarla ancora più vicino a sé e baciarla. Chiuse gli occhi, percependo la ragazza che alzava le braccia a cingergli il collo. Si allontanò lentamente. «E cosa farai quando sarò un maschio?» lo sfidò con un sorriso sornione.
Kidd la strinse ancora rispondendo al suo sguardo con un ghigno mal trattenuto, sussurrandole sulle labbra per concludere con eleganza: «Tu sei tu. Non me ne fregherà un cazzo.»
 




 
***Angolo dell’autrice***
Finita! È la prima volta che finisco una long, se long si può definire avendo solo due capitoli, quindi mettere la spunta su “completa” è davvero emozionante. Penso che avrei potuto fare molto di meglio quindi sono sicura che prima o poi riprenderò in mano questa storia e la sistemerò, ma per ora sono felice e soddisfatta di averla conclusa. Spero che a voi sia piaciuta leggerla tanto quanto a me è piaciuta scriverla.
Come al solito vi invito a scrivermi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se pensate che avrei potuto aggiungere, levare o modificare parti, tutto ciò che vi passa per la testa, a me fa solo piacere leggere le opinioni dei lettori.
A presto!
Kalika
   
 
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