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Autore: _Lightning_    21/06/2020    2 recensioni
Thanos è stato sconfitto e la metà scomparsa dell'universo è tornata, andando a rioccupare i vuoti di cinque anni d'assenza. Anche Peter Parker è tornato, nonostante a volte si senta ancora su Titano e non sia certo che il costume di Spider-Man o le vesti di adolescente del Queens gli appartengano ancora. Ad aiutarlo sul suo nuovo cammino di supereroe c'è almeno Tony Stark - vivo per miracolo, anche se segnato da cicatrici insanabili.
Mentre il mondo tenta di rimettersi in marcia, coloro che lo hanno salvato vengono messi di fronte alle conseguenze delle proprie azioni: i superumani sono un aiuto o una minaccia? Non è forse vero che hanno contribuito a sconvolgere il mondo ben due volte?
Una nuova tempesta si addensa all'orizzonte, e Peter sembra destinato a trovarsi nell'occhio del ciclone...
Dal Capitolo IX: "Zona Negativa"«Parker, non te lo ripeterò: lascia perdere.»
«Altrimenti che fa? Mi toglie di nuovo il costume?» Peter allargò le braccia con aria di sfida.
«Non hai più quindici anni,» ribatté freddamente Tony. «Se non sei in grado di seguire le mie direttive, sei fuori.» Indurì le labbra in una piega severa. «E questo non è un bel momento per essere "fuori".»
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Alla mia Guascosa Miryel, lei sa perché 

Spider-Man: Back In Black





§



Capitolo VIII
 
Zona negativa
 
 
“One thousand miles away
There's nothing left to say
But so much left that I don't know
We never had a choice
This world is too much noise
It takes me under
It takes me under once again

 [Savior – Rise Against]



 
Era immerso nel buio.

O almeno, così pensò Peter nei primi istanti di coscienza dopo il contraccolpo, quando gli riuscì di scollare le palpebre doloranti: gli bruciavano gli occhi, terribilmente – che gli fosse finita qualche scheggia in volto? O magari era stato il calore dell’esplosione, o lo spostamento d’aria, o chissà cos’altro – e dovette sbattere più volte le ciglia per scacciare l’oscurità dell’incoscienza dalle retine.

Solo che quella non sparì. Anzi, si addensò, diventando viscosa. Quasi tangibile.

Richiuse per un istante gli occhi, strizzandoli a forza dietro la maschera e guadagnando percezione del proprio corpo adagiato su una superficie dura, marmorea – i gradini del Municipio, riconobbe a tentoni trovando il vuoto sotto un palmo mentre si raddrizzava a sedere – e poi lo colpì anche un pizzicore di spilli su tutto il corpo attraverso la fibra sottile del costume. L’aria calda gli sfiorava con più insistenza la bocca e il lato destro della mandibola, e percepì solo allora i margini slabbrati della maschera, lacerata a lasciar scoperta una porzione del mento.

Il mondo tambureggiava attorno a lui a ritmo dei suoi stessi battiti sincopati, col fragore di una tempesta che cresce d’intensità tra nubi massicce e plumbee.

Riaprì di scatto gli occhi, con una vampa d’energia che gli risalì le vene nel realizzare di essere a terra, allo scoperto, vulnerabile, e di nuovo incontrò il buio. Non un buio totale, comprese infine, guardandosi stralunato attorno: linee bianche e luminescenti su fondo nero dipingevano uno scenario privo di colori, ma reale. Un negativo del mondo.

Non ebbe modo di metabolizzarne la visione: fece appena in tempo a sentire la schicchera inviatagli dal senso di ragno, che era già balzato verso l’alto con una mezza capriola, schivando per un soffio il getto d’energia di un bianco accecante che si abbatté nel punto in cui giaceva fino a un istante prima. Si attaccò con mani e piedi al muro del Municipio – un negativo del Municipio – rincorrendo subito con gli occhi la direzione del getto, e impietrì, mentre un puzzle incompleto andava a incastrarsi a forza davanti ai suoi occhi.

Martin Li, a malapena riconoscibile in quella versione da incubo, torreggiava in cima alla breve scalinata, con masse bianche e nere che gli roteavano attorno, simili alle correnti di ruscelli agitati. Sembrava controllarle col pensiero, o forse erano estensioni del suo corpo: non avrebbe saputo dirlo con esattezza, sapeva solo che erano pericolose, e che doveva evitarle e fermare Li. Due obbiettivi lineari il cui compimento non lo era affatto, soprattutto non con quella che sembrava una commozione cerebrale a premergli tra cervello e cranio.

Il tempo continuava a scorrere in quel modo surreale di quando si trovava nel pieno dell’azione, dove un secondo sembrava espandersi in minuti interi e poi dimezzarsi, e assorbì lo tsunami d’informazioni che il suo senso di ragno registrò nel millisecondo di stasi in cui si trovava: dei corpi riversi a terra ai piedi di Li, una macchia di inchiostro luminescente – e quindi carbonizzata, in quello che doveva essere il mondo reale – nel punto in cui erano esplosi i suoi complici, una folla terrorizzata che fuggiva via calpestandosi a vicenda e…

Peter schivò il secondo colpò, schizzando via come una molla dalla parete per atterrare direttamente davanti a Li – ed era indiscutibilmente lui, anche con quei lineamenti accecanti e simili a una maschera oscura. Boccheggiò sotto la propria, di maschera, incapace di raccordare l’immagine del collaboratore e capo di sua zia, amabile, cordiale e umile, con quella di cacofonica e sfolgorante follia che aveva appena ucciso a sangue freddo delle persone. Deglutì un bolo di segatura fresca: ai suoi piedi, la sagoma massiccia di Campbell era immobile, così come quella del poliziotto; gli altri due si contorcevano debolmente sul posto, investiti dal raggio dell’esplosione, ma non in modo letale.

Sentì la rabbia arrivargli direttamente ai pugni in una cascata lavica e mirò una ragnatela immobilizzante a Li, che si limitò a intercettarla con i flussi d’energia che lo attorniavano. Non sembrava nemmeno concentrato totalmente su di lui: scandagliava con le pupille opalescenti i dintorni, come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno. La seconda ragnatela lo raggiunse in pieno volto, e fu gettata da parte con la stessa semplicità con cui si scaccia un insetto molesto. Qualunque cosa stesse cercando Li, Peter non aveva alcuna intenzione di lasciargliela trovare.

«Ehi, signor Rullino Fotografico Pazzoide! Cercavi me?» lo aizzò, sforzandosi quanto più possibile di camuffare la voce e facendosi quasi sfuggire dalle labbra un “signor Li
”.

Non doveva riconoscerlo, e se già lo conosceva – il collage forse non più così anonimo gli balenò sul fondo degli occhi – era di vitale importanza che non gli desse modo di rivelarlo. Con sua sorpresa, non gli si scagliò di nuovo addosso, né si lanciò in deliri d’onnipotenza o risate disturbanti come molti dei super-schizzati con cui aveva avuto a ridire amavano fare: si limitò a fissarlo negli occhi… e, sì, ebbe la netta intenzione che sapesse con assoluta certezza chi avesse davanti. O forse la paranoia di Tony stava attecchendo.

«Fatti da parte, Spider-Man. Non è la tua battaglia, anche se ne sei anche tu una vittima.»

Cosa? Erano già arrivati al punto in cui cercava di convincerlo che la sua fosse una causa giusta? E che diamine intendeva con vittima?

La sua risposta fu una ragnatela-shock che non raggiunse il bersaglio e finì a sfrigolare pochi metri più dietro, deviata dal campo d'energia. Nella visione periferica, acuita dal senso di ragno, percepì un formicolio di puntini in avvicinamento, presumibilmente la polizia. Male. Doveva risolvere in fretta la questione, prima che venissero coinvolti degli innocenti. I suoi occhi corsero ai corpi riversi a terra e a uno dei poliziotti che tentava di trascinarsi via dallo scontro, una mano a stringersi la gamba che lasciava una scia più chiara, rilucente e viscosa sul nero dei gradini. Altri innocenti.

Spiccò il balzo e lo avvitò a mezz’aria, evitando per un soffio l’ennesimo raggio di materiale non identificabile, ma che era più che certo l’avrebbe ferito gravemente se l’avesse centrato. Avvertì la pelle d’oca rizzarsi sotto il costume nel punto in cui lo sfiorò, incandescente, o forse così freddo da essere ustionante. Atterrò a piedi uniti direttamente sul petto di Lì e lo fece barcollare all’indietro, dandosi al contempo una spinta verso l’alto per superarlo: atterrò dietro di lui con una capriola, spalle contro spalle, e lo afferrò per il collo un attimo prima di toccare il suolo, sfruttando lo slancio per scaraventarlo davanti a sé. Fece partire di nuovo le ragnatele-shock e stavolta lo colpì in pieno, facendolo contorcere per qualche istante nell’elettricità.

Una forza devastante gli mozzò il respiro: due getti di energia, uno oscuro e vorticante, l’altro fluido e lattiginoso, lo investirono in pieno, lanciati dal palmo aperto di Li. Sopra e sotto, già così difficili da distinguere in quel mondo negativo, si confusero quando capitombolò per terra, riacquistando l’equilibrio solo dopo un rotolamento scomposto.

Quando rialzò lo sguardo, Li non era più in vista: lo individuò solo grazie a un pizzicore acuto delle sinapsi, che si fece quasi doloroso nel ricomporre la scena davanti ai suoi occhi: dal Municipio sbucò un capannello di poliziotti in rapido movimento, al centro del quale avanzava Osborn, malfermo sulle gambe. Martin Li, un lampo nero e bianco che lasciava dietro di sé scariche negative, si stava dirigendo a rotta di collo proprio verso di lui, come se avesse fiutato e puntato una preda.

Il trillo d’allarme divenne una sirena antiaereo che gli lacerò i timpani. Di nuovo, scattò senza ricordare di aver ordinato al proprio corpo di farlo, sulla scia di quello che fino a poco più di un minuto prima non avrebbe mai pensato di poter affrontare come nemico, tantomeno potenziato.

Superò i corpi riversi sul mattonato, registrandoli come macchie sbiadite e fluorescenti, con un punteruolo che gli si piantò a fondo nello stomaco. Fu questione di un battito di ciglia: Martin Li si scagliò contro Osborn e, pochi, pochissimi millimetri prima che potesse mettere a segno un colpo fatale, Peter riuscì ad arpionarlo per le spalle con un getto di ragnatele, arrestando il suo impeto come un cane preso al guinzaglio.

Piantò i talloni a terra e tirò con tutte le sue forze, tanto da incrinare i mattoni per la pressione, e scaraventò Li dietro di sé, contro un pilastro del colonnato che quasi cedette sotto la potenza dell’urto. Non regolò minimamente lo slancio: agì e basta, senza inibire le energie in surplus che gli danzavano dentro, e seppe che, se Li fosse stato un normale essere umano, l'avrebbe ucciso sul colpo.

Vi fu un singolo istante sospeso in cui incontrò gli occhi sbarrati di Osborn, con le mani ancora alzate a proteggersi il volto distorto in un’espressione sgomenta. Peter quasi si sentì senza maschera, come se Norman Osborn avesse davvero potuto ricordarsi di quel quattordicenne goffo e impacciato che così tanti anni prima era stato in gita ai suoi laboratori, in un giorno che aveva cambiato la sua vita per sempre, assieme a quella di migliaia di altre persone.

Poi si voltò di scatto, tornando al bersaglio coi muscoli che pulsavano non per il dolore, ma per le frenetiche scariche di adrenalina che sembravano chiedere altra azione, impedendo al proprio corpo di fermarsi. Coprì con due falcate più simili a balzi la distanza tra lui e Martin Li, accompagnandovi una ragnatela-shock che lo colpì in pieno petto, troncando il suo tentativo di alzarsi. Il mondo in negativo sfarfallò come un neon difettoso, mostrando i propri veri colori, per poi lampeggiare in uno staccato più lento, psichedelico. Li, riverso a terra e stordito dalla corrente ad alto voltaggio, fece un ultimo, disperato tentativo di alzarsi, mentre cercava chiaramente di mantenere la presa su quel mondo parallelo e negativo che scaturiva dalla sua volontà.

«Fermo! È finita, non muoverti!» gridò senza voce Peter, bloccandogli le mani contro la colonna con due ragnatele ben piazzate, ma lui le liberò senza apparente sforzo con una semplice torsione dei polsi, e fu costretto a lanciarne altre, stavolta in forma di corde per trattenerlo, e fu come tentare di domare il pennone di una nave in tempesta.

Vi fece leva, dando inizio a un tiro alla fune che non aveva nulla di giocoso, fino ad accorciare le distanze e ritrovarsi faccia a faccia con Li, stordito, incapace di reagire, ma ancora combattivo e in grado di mantenere in piedi il suo mondo negativo, seppur traballante. I suoi occhi bianchi e traslucidi, privi di pupilla, si piantarono nei suoi, come se riuscisse a vederli oltre quelli della maschera. E poi sorrise, un sorriso distorto e privo di gioia che sembrò scavargli dentro.

«Sei davvero così convinto che la Oscorp ti abbia fatto un regalo, Spider-Man?» bisbigliò, con voce che sembrava provenire da un altoparlante rotto e riverberante. «Così tanto da voler difendere Osborn?»

«Non l’ho mai pensato!» si ritrovò a gridare, senza lasciare la presa dalle ragnatele e torcendole in un moto istintivo che costrinse Li ad accasciarsi.

Il collage di foto balenò dinanzi ai suoi occhi, coi tasselli alla rinfusa che si riaffastellavano in un ordine logico, con quelle linee di collegamento tra l’insospettabile Peter Parker e il colosso scientifico che diventavano più nette. Sentì la gola che diventava di carta vetrata alla realizzazione che, , era stato quasi sicuramente l'uomo di fronte a lui ad assemblare quella mappa, e ad assicurarsi che venisse rinvenuta. Ma perché?

Martin Li mise su un sorriso inaspettatamente più umano, che smorzò i suoi lineamenti disegnati da linee evanescenti sempre più deboli. Per un momento ebbe l’impressione di fissare il bonario signor Li, e non un supercriminale che aveva appena ucciso persone innocenti.

«Non siamo poi tanto diversi. Forse, siamo persino dalla stessa parte, Peter

Lui annaspò aria caustica, per poi dare uno strattone frutto del panico alle ragnatele, abbattendolo a terra: Li nom oppose resistenza ma, nell’istante in cui impattava con forza la testa contro il marmo, gli scagliò addosso un’ultima, potente onda di energia. Fu sbalzato all’indietro, con le ragnatele che si sganciarono in automatico per evitargli fratture, e colse un ultimo flash di mondo negativo che gli oscurò la visuale, facendolo atterrare carponi invece che in equilibrio sulle punte di mani e piedi come stava tentando di fare.

Il mondo tornò a colorarsi: il bianco del Municipio, il verde del parco, il rosso-blu del suo costume, l'azzurro del cielo stracciato da rade nubi. Batté le palpebre, facendole svolazzare come ali di un uccellino impaurito, con le retine ferite che lamentarono quel drastico cambio di tonalità. E distinse qualcosa, qualcuno, che per un momento gli fece credere di essere ancora intrappolato in quel mondo adimensionale in bianco e nero: uomini, una dozzina, vestiti di un bianco accecante se non per i caschi integrali neri che indossavano e i fucili altrettanto scuri puntati verso Martin Li. E verso di lui.

Il senso di ragno emise un debole scoppiettio tardivo, a informarlo di quella che, a tutti gli effetti, sembrava l’ennesima minaccia, ma non riuscì a cogliere in tempo quell’opportunità di fuga, troppo intontito dallo scontro – e dalle foto, dai lampi di arancione che balenavano randomici nella sua visuale, dalla cenere e dal volto di Martin Li sovrapposto a quello del Titano, in un caleidoscopio inenarrabile di caos mentale.

Si tirò su sulle ginocchia, traballante. Martin Li era adesso immobile davanti a lui, svenuto per il colpo e lo sfinimento. E un drappello di agenti Sable – erano loro, dovevano esserlo per forza – si fiondò verso di lui, manette per potenziati alla mano. Peter ci mise qualche secondo di troppo per realizzare che erano diretti anche verso di lui, e con le stesse intenzioni. Si rialzò del tutto, confuso e pronto a lanciare una ragnatela per squagliarsela in un batter d’occhi, quando udì un rombo d’aereo, assordante e fin troppo vicino.

Gli agenti corazzati inchiodarono sul posto, puntando allarmati le armi verso il cielo. Anche Peter s’immobilizzò, con le ossa improvvisamente ricoperte da una patina gelida, in contrasto col bollore dello scontro appena concluso che ancora gli infiammava i muscoli. Si trovò a dover inghiottire il proprio cuore, schizzato in gola con un sobbalzo incontrollabile. Conosceva quel suono. Ed era la prima volta in vita sua che non lo trovava rassicurante.

«Ehilà, Spider-Man,» disse una voce metallica sopra di lui. L’armatura di Iron Man atterrò con un sonoro clangore nel piazzale, le fredde fessure azzurrine piantate su di lui. «Vedo che anche stavolta non mi hai invitato alla festa.»


 


 
Pochi minuti dopo, Thirty Park Place, Manhattan


Il silenzio sul tetto del Thirty Park Place era solo apparente.

Oltre al vento che fischiava, più teso a quell’altezza vertiginosa e carico dell’umidità di un temporale estivo in arrivo, si udiva il mormorio del traffico, assieme al coro di sirene della polizia che sciamavano a frotte verso la piazza del Municipio. Peter, inoltre, avvertiva anche tutti quei microrumori e vibrazioni preclusi al normale orecchio umano, e il senso di ragno continuava a pulsare cadenzato come un sonar, rimandandogli indietro migliaia di informazioni con ogni battito.

Il rombo dei propulsori preannunciò l’arrivo di Tony, che sbucò oltre il bordo del grattacielo con un guizzo rosso-oro. Il sole a picco baluginò sulle placche dell’armatura. Peter si trovò a deglutire, con un sordo miscuglio di emozioni che gli avvolgeva il cuore, bendandolo e strizzandolo al contempo come una fasciatura a fin di bene, ma troppo stretta. Per mesi aveva covato la segreta speranza di veder tornare Iron Man e poter seguire la sua scia nel cielo terso mentre si gettava a capofitto nella missione successiva… e adesso che finalmente quell’immagine si materializzava di fronte ai suoi occhi, non fece altro che suscitargli una spiacevole sensazione.

Un dolore soffuso che dal nervo ottico passava direttamente allo stomaco, bypassando il cervello che continuava a riproporgli l’istantanea di quello stesso uomo in un letto d’ospedale. Non era un qualcosa che gli suscitava gioia, ma né tantomeno sconforto. Aveva solo la vivida impressione che fosse fuori posto, quasi un fotomontaggio di qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere, ma che si desiderava con tutto il cuore. Che Tony aveva desiderato far accadere e, come tutto ciò che voleva, aveva realizzato.

Si sentì meschino e al contempo terribilmente obbiettivo, oltre che pervaso da un senso di colpa meno spiccato rispetto a quel giorno lontano a Capitol Hill: Tony sarebbe tornato in quell’armatura anche senza il casus belli dell’Atto di Registrazione, lo comprese solo nell’istante in cui lo vide atterrare di fronte a lui col caratteristico staccato profondo e metallico degli stivali corazzati. Notò il modo in cui vacillò appena sulle ginocchia, nonostante il sostegno dell’armatura, e poté abbandonare del tutto la speranza che fosse teleguidata.

Colse l’ironia di quella situazione, quando fino a pochi – troppi – anni prima si era infervorato perché, al contrario, aveva creduto di non averlo davanti in carne ed ossa.

«Immagino che le importi davvero, se è qui di persona,» non si trattenne dal commentare, e non suonò pungente, affatto, piuttosto rammaricato.

L’elmo dell’armatura scattò appena lateralmente, e nell’ambiguità di un volto artificiale e privo d’espressione, poteva essere o un moto di perplessità o un’esternazione di sufficienza. Peter vi proiettò quest’ultima, visualizzando chiaramente il corrispettivo volto di Tony: labbra assottigliate, un sopracciglio inarcato con indolenza e fin troppe rughe sulla fronte, a segnalare l’intensità del suo disinteresse di facciata.

«Friday, un po’ di privacy per il vis-à-vis superomistico, prego.»

Peter captò un lieve tremolio che andò ad avvolgere il perimetro del terrazzo come una cupola, e intuì che un segnale di criptazione per eventuali intercettazioni fosse scaturito dall’armatura. Tony ne uscì in quell’istante, lasciandosela a fluttuare silenziosa alle spalle, a circa un metro da terra. Era vestito in modo troppo elegante – blazer e pantaloni del completo blu scuri, camicia chiara, distinta – per essere partito da casa, e Peter si chiese con un’ombra di sospetto molesto dove fosse prima di precipitarsi qui.

«Giù la maschera, Spider-Man: abbiamo anche la copertura ottica,» aggiunse quindi, roteando svogliatamente un indice puntato verso l’alto a indicare la zona isolata.

Peter eseguì con un istante d’esitazione, consapevole di avere almeno due brutti lividi e un’escoriazione in volto. Trovò conferma del proprio stato nel notare il modo in cui Tony sgranò impercettibilmente gli occhi per poi irrigidirsi, distogliendoli di scatto. Non chiese nulla, però. Tendeva ad essere loquace anche nei momenti di rabbia e stress, ma questa era la seconda volta che lo vedeva così: silenzioso, truce e con nemmeno l’ombra di un sorriso sardonico a graziargli le labbra.

Peter alzò il mento, senza proferir parola, trovando più differenze che similitudini con quell’episodio, soprattutto nel modo in cui Tony era inclinato sul lato sano, in modo da non forzare troppo il tutore. Forse era un’impressione, ma i segni delle ustioni che gli solcavano il volto si erano fatti più evidenti, e in alcuni punti sfioravano il violaceo invece del solito rosso slavato. Lo vide stringersi il polso sinistro, in quel gesto abituale e rivelatorio di profondo turbamento, e si trovò a reprimere domande fuori luogo su come si sentisse. Era fin troppo chiaro che non avrebbe mai dovuto indossare l’armatura, non adesso, almeno.

«Signor Stark, senta…»

Bastò l’indice alzato dell’altro a farlo tacere, con suo irritato sconforto.

«Non sono arrabbiato,» esordì, in un modo spropositatamente calmo che quasi supportava quell’affermazione. «Non perché non lo sia, chiariamoci… ma perché “arrabbiato” non copre neanche lontanamente lo spettro di emozioni che mi trovo tra le mani al momento. Quindi, per comodità, diciamo che io sia semplicemente arrabbiato

Peter si rabbuiò, impedendosi di distogliere gli occhi dai suoi. Si chiese in che vesti stessero parlando, adesso, e scoprì che non gli importava più di tanto. Non quanto tutto ciò che era successo nell’arco di appena dieci minuti e che, potenzialmente, avrebbe potuto devastare la sua vita e quella di chi amava, Tony incluso. Torse la maschera tra le mani, vedendo che il suo mentore non accennava a parlare per primo, e colse l’opportunità per farlo lui, facendo probabilmente il suo gioco:

«Cosa… qual è il bilancio?»

L’altro lasciò fischiare flebilmente l’aria tra i denti, spostando gli occhi verso il Municipio ancora brulicante di frenetica attività.

«Non così tragico come avrebbe potuto essere senza il tuo intervento,» ammise infine, e si morse distintamente l’interno della guancia prima di continuare. «Due vittime: Campbell e un poliziotto, Davis. Due feriti gravi, anche loro poliziotti.» Peter sentì una secchiata di cubetti di ghiaccio scivolargli tra le vertebre. «Oltre a una mezza dozzina di feriti. Tutti lievi, perlopiù traumi acustici, slogature e ginocchia sbucciate. Le ragnatele attutenti hanno contenuto di molto il raggio delle esplosioni… almeno ti sei preparato adeguatamente, o sarebbe stata una...»

«No,» ribatté in automatico Peter, impedendogli di pronunciare la parola strage, o qualche suo sinonimo. Il suo sguardo si perse a mezza via tra lui e Tony. «No, non ero preparato a… tutto questo non era previsto. Non erano previsti superumani. Non era previsto il signor Li e non…»

«Il signor Li?» strabuzzò gli occhi Tony. «Cos’è, uno scherzo? Conosci quel pazzoide? Ti prego, dimmi che non è uno dei vigilanti mascherati con cui fai le tue scorribande notturne, o avrò davvero molto da spiegare a Ross e al Dipartimento della Difesa,» sbottò, pizzicandosi con forza la radice del naso.

«No!» si affrettò a chiarire lui, alzando una mano a difesa. «No, niente di tutto questo, è solo…» si rese conto di non poter mentire, e vi rinunciò a malincuore sentendosi sull'orlo del baratro di bugie che si era scavato attorno. «È il fondatore del FEAST. E il capo di zia May. Mi… mi conosce. Cioè, conosce Peter Parker,» si affrettò a rettificare.

La pausa attonita che seguì palesò tutto il sincero sconcerto del suo mentore. La paura, anche, che pareva ora vibrargli negli occhi scuriti.

«Ti… conosce,» ripeté, quasi stesse maneggiando un ordigno letale – e non aveva poi tutti i torti.

Peter dovette farsi violenza fisica e mentale per non lasciar trasparire nemmeno una singola emozione sul suo volto.

«Sì. Ma sono sempre stato prudente, al FEAST. Non c’è alcun pericolo,» affermò, badando bene a instillare una goccia di verità in ognuna di quelle affermazioni.

Sentiva le ginocchia sul punto di liquefarsi sotto al peso di quelle menzogne, quasi fossero acido che, dalla lingua, colava lungo ogni singolo articolazione nel tentativo di farlo cedere e smascherarlo. Non seppe dire se Tony si stesse bevendo o meno quella colossale bugia; sta di fatto che il suo volto rimase una maschera di tensione, e si poggiò più vistosamente sulla gamba sana, quasi gli avesse provocato un dolore fisico.

«Spero davvero che sia così, altrimenti… beh, non ho più l’età per andarmi a cercare gli orari di visita della RAFT, ragazzino, quindi farai meglio a non finirci,» concluse, arpionandosi una mano tra i capelli e voltandosi scatto il capo verso lo skyline di Manhattan con uno sbuffo concitato.

«Prima…» Peter si interruppe, posandosi a sua volta una mano sulla fronte accaldata, a sorreggersi i pensieri troppo numerosi che rischiavano di traboccarne. «… la– la Sable. Era la Sable, giusto? Da dove salta fuori? L’evento era sotto la protezione della NYPD, perché diavolo…»

«Normie ha voluto testarla, a quanto pare. Come “corpo di protezione privato”,» aggiunse Tony, mimando delle tetre virgolette, e non accennò a voltarsi nel dirlo. «Non guardarmi così, ragazzino. Non ne sapevo nulla: sono l’ultimo che approverebbe un esercito di Stormtrooper dalla dubbia moralità a spasso per la Grande Mela.»

Peter inghiottì altre domande assieme all’ansia che gli batteva nello stomaco. Ma captò distintamente il modo in cui si era espresso Tony: da quando aveva facoltà di approvare decisioni simili? O era un
espressione metaforica? Tenne per sé quel dubbio, che si unì al vortice che circondava la figura del suo mentore, ormai sempre più simile all’occhio di un ciclone in avvicinamento.

«Adesso…
» Tony si cacciò le mani in tasca, in una posa apparentemente rilassata che trasudava di fatto irrequietezza. «Martin Li. Il signor Li. Vuoi spiegarmi?»

Peter raccolse un sospiro dietro ai denti, per poi rilasciarlo lentamente, e si rassegnò a raccontargli, per sommi capi, di come lui e Yuri avessero scoperto dell’attentato. Della trama intersecata tra Fisk e Osborn e i loro loschi traffici, delle intercettazioni di merce rubata, delle armi e degli scontri, della guerra sotterranea che prendeva nel mezzo vite innocenti in una scalata al potere celata nell'ombra.

Tony si accigliava con ogni nuovo risvolto che aggiungeva, quasi lo stesse riconducendo a tutte le occasioni in cui aveva accampato o inventato scuse per i propri ritardi, o aveva semplicemente evitato di rivelargli in cosa consistessero davvero le sue ronde notturne – ovvero una caccia all'uomo molto più grande di lui.

Omise accuratamente di menzionare la foto, e tutto ciò che vi si legava a doppio filo: quella tra Spider-Man e la Oscorp, tra lui e Osborn, era una faccenda che avrebbe potuto definire strettamente personale. E dopo l’altalenante atteggiamento di Tony, non riusciva  a prevedere cosa avrebbe scatenato rivelargli di quel particolare. Rabbia? Delusione? Panico? La decisione categorica di allontanarlo da New York e farlo vivere come un “normale adolescente”? Quella di smascherarlo di fronte a tutti in cerca di un “compromesso”? Peter non sapeva dirlo, ma era certo di poter trovare una strada non battuta che gli evitasse entrambe le eventualità, ai suoi occhi egualmente apocalittiche. Lo sperava.

Tony non proferì una sola parola, durante il racconto. Si limitò a ridurre gli occhi a due fessure e a tormentarsi l'interno della guancia in un tic nervoso, rimproverandogli tacitamente di non aver condiviso quelle informazioni vitali. Rimase nel ruolo di Iron Man, seppur a fatica.

«Io… non so perché proprio Martin Li,» mentì in parte, alla fine, scuotendo affranto la testa.

Dopotutto era vero: non aveva ancora alcuna certezza, se non che aveva indagato sulla Oscorp e collateralmente su di lui. Perché? gli rimbombò di nuovo in testa. Era un'altro nodo della faccenda che gli sarebbe toccato sciogliere. Da solo. Niente Tony, niente Yuri, niente zia May o Ned o appoggi esterni. Solo lui, e quel giorno alla Oscorp che l'aveva intersecato suo malgrado con Norman Osborn.

«Credevamo fosse un lupo solitario che lavorava per Fisk, ma ha appena ucciso quello che era il suo candidato marionetta, e poi ha tentato anche di uccidere Osborn… non torna più nulla.»

Tony soffiò dal naso, in un gesto nervoso e al contempo impaziente.

«E i suoi poteri? Sai dirmi qualcosa? Friday ha registrato una sorta di campo elettromagnetico attorno all’area dello scontro; la gente sembrava impazzita, l’aria era distorta, ma sono arrivato troppo tardi e non sono riuscito a rilevare nulla di più specifico.»

«Non… so spiegarlo,» esordì Peter, stringendosi nella spalle e gesticolando a mezz’aria. «È come se riuscisse a generare una sorta di… di zona negativa

Tony sospirò, facendo scattare di lato gli occhi con esasperazione.

«Perché ogni volta che spunta fuori un nuovo cattivo mi sento in un libro di Stephen King?»

Peter esitò nel raccogliere quel tentativo di alleggerire la tensione, e preferì continuare come se non l’avesse sentito:

«È potente. Molto. Sa lanciare getti di energia, ha mandato in tilt i sistemi della tuta e sembrava invulnerabile, almeno ad alcuni attacchi…»

«Uno dei cecchini di vedetta ha riferito di aver sparato un colpo, prima che Li “sparisse nel buio”, parole sue, ma sembra non averlo nemmeno scalfito.»

«Forse può attutire la forza cinetica? Assorbirla. Non lo so. È stato un incubo, non capivo più nulla, nemmeno col senso di ragno e…»

E ho fallito, pensò, senza dirlo, con il cerchio alla testa che si strinse gelido. Tony schiuse la bocca, per poi serrarla e arricciare le labbra, scontento. Forse si era rimangiato delle parole consolatorie, e a ragione. Non aveva fatto nulla per meritarsele, se non sbagliare e fallire… ed era solo all’inizio di un labirinto di cui intravedeva l’ingresso e nel quale avrebbe imboccato svolte sbagliate. Fino ad arrivare in un vicolo cieco, e allora avrebbe dovuto tornare sui suoi passi.

«Peter…» esordì poi, e dalla voce capì che adesso era Tony, quel Tony mentore e paternalistico che si preparava a dirgli qualcosa di sgradevole
per il suo bene.

«Lo so, che è colpa mia. Lo capisco da solo,» lo fermò, con uno scatto del capo.

Si sfregò un punto dolente sul volto, con forza intenzionale.

«Non è una questione di colpe. Ma di fiducia, e in chi la riponi,» cambiò rotta Tony, e ogni sua parola non faceva che irritarlo di più, gettando benzina su un fuoco morente che iniziò a divampare all'istante. «Non puoi fare tutto da solo. Ho tentato di dirtelo con le buone, ma…»

«Non ero solo, Tony!» sbottò infine, senza trattenere più quel risentimento latente, che era cresciuto dentro di lui fino ad occupare del tutto l
intercapedine del suo cuore. Lo vide sobbalzare. «Non sono mai solo! Sono Spider-Man! È parte di me. Ho questi poteri e devo usarli, non ho una scelta! E se non bastasse essere sempre con Spider-Man... beh, ho Karen a guidarmi, e ho l’appoggio di Yuri. Non sei l’unico che può darmi aiuto. E sul campo non dovrei nemmeno aspettarmelo, perché per me non eri più davvero Iron Man fino a cinque minuti fa!»

Pronunciò quella frase a rotta di collo e si sentì come se avesse impugnato un coltello e sferrato una pugnalata a Tony in pieno petto. Tacquero entrambi, con quella cortina plumbea di parole che si sedimentò tra loro.

«Qui stiamo divagando,» enunciò poi Tony muovendo a malapena la bocca, in modo così metallico da fargli credere che avesse rimesso l’armatura. Incrociò le braccia. Peter vacillò sul posto a quella freddezza tangibile. «Rimaniamo sull’argomento più urgente, ovvero il fatto che, dopo l’attacco di un superumano, l’opinione pubblica sarà più che favorevole a far rinchiudere te, Li e tutti quelli come lui in cella di massima sicurezza. La Sable avrà libertà d
’azione, l’Atto passerà in un batter d’occhio, a questo punto… e tu ti anche sei inimicato un boss del crimine sventando un suo attentato, tanto per non farci mancare nulla.»

«Combatto ogni giorno contro i tirapiedi di Fisk: che differenza potrà mai fare una volta in più? Non è la prima volta che ci scontriamo.»

«Io l’ho detto, che dovevi cominciare a prendere dimestichezza con la politica,» lo gelò di nuovo Tony, ancora impassibile, come se il suo corpo stesse semplicemente facendo da tramite a pensieri distanti dalle sue emozioni. «Adesso te lo dico chiaro e tondo, perché finora mi sono limitato a chiedertelo e consigliartelo: devi lasciar stare Fisk e Osborn, ragazzino,» continuò poi, con più veemenza, tagliando a metà l'aria con la mano ferita. «Sono fuori dalla tua portata e sei già in una posizione vulnerabile. Molto più vulnerabile di quanto mi farebbe dormire sereno la notte. Cosa pensi che abbia fatto, in tutto questo tempo?» aggiunse poi, con la voce che s
’impennò in un improvviso interrogativo retorico.

Peter serrò pugni e labbra, con le sopracciglia che scesero ad oscurargli gli occhi. Non lo accusò di avergli taciuto fin troppe cose, anche se avrebbe voluto. Non si sentiva ancora così forte della propria ipocrisia, per un passo del genere.

«Ti ho tutelato, come promesso. Lo sto facendo anche ora: col mio arrivo ho legittimato il tuo intervento al Municipio ponendolo sotto la competenza dei Vendicatori. Se non ci fossi stato io, la Sable ti avrebbe arrestato, e adesso saresti alla RAFT o a Ryker's a far compagnia a Martin Li. Hai la più pallida idea di quanto mi stia esponendo per pararti il culo, Parker? E a questo punto non so nemmeno se valga ancora la pena di tenerti al sicuro, visto che sembri voler sabotare ogni tentativo di farlo.»

Peter avvertì un vuoto in espansione proprio in mezzo ai polmoni.

«Lo dica,» lo incitò, tornando ad assumere un tono formale, contratto. «So che sta per dirlo.»

Tony annuì, quasi tra sé, come a dare più forza a ciò che stava per affermare:

«Bene: a questo punto inizio davvero a pensare che rivelare la tua identità sarebbe la mossa più sicura. Ti porrebbe sotto la nostra tutela ufficiale. A volte essere in piena vista è la scelta più sensata.»

Peter scosse la testa, gettando un
’occhiata laterale al nulla prima di tornare a confrontarlo.

«Ma io non voglio

«Pensi che io voglia? Ma non voglio nemmeno che tu, dopo esserti messo sotto i riflettori, ti metta anche a ballare, cantare e tutto il teatrino per il gusto di rimanerci e mandare avanti lo show,» lo rimbeccò, e la sua voce assunse una sfumatura sardonica che pizzicò i nervi sbagliati, quelli dell’orgoglio che, di rado, prendeva il sopravvento sulla ragione:

«Io faccio solo il mio dovere,» affermò, compiendo un passo avanti e piantandosi faccia a faccia con Tony.

«Il tuo dovere è salvaguardare te stesso e ciò che fai, non cercare un piedistallo dal quale essere abbattuto.»

«Non ho nessun “piedistallo”! E non mi sembra che Iron Man o Capitan America scendano mai dai loro per fare ronde notturne nel Queens.»

Le narici di Tony fremettero impercettibilmente e le sue sopracciglia si inclinarono in un angolo duro. Peter sostenne il suo sguardo, anche senza l’ausilio della maschera.

«Parker, non te lo ripeterò: lascia perdere.»

«Altrimenti che fa? Mi toglie di nuovo il costume?» lo scimmiottò lui, infervorandosi.

«Non hai più quindici anni,» ribatté freddamente l’altro, prendendolo in contropiede. «Se non sei in grado di seguire le mie direttive, sei fuori.» Indurì le labbra in una piega severa. «E questo non è un bel momento per essere 
fuori”.»

Peter mantenne il contatto ancora per qualche istante, fondendo gli occhi con quelli di Tony in uno scontro elettrico. Poi si rimise la maschera, con deliberata lentezza.

«Magari è , che voglio stare,» disse, prima di voltargli le spalle e scagliare una ragnatela per slanciarsi tra i grattacieli di New York, lontano da lui.


 
 


Due giorni dopo, Casa Parker

 
«... il Daily Bugle porge le più sentite condoglianze alle famiglie Campbell e Davis. Prevedibilmente, vista la riservatezza di cui godono i potenziati, non si hanno ancora notizie sulle oscure origini dell'omicida e nuovo pericolo pubblico noto ormai come Mister Negative, titolo da me modestamente inventato e che trovo perfettamente calzante, se posso per–»

Peter spense bruscamente la radiolina che gracchiava con la voce di Jameson sulla scrivania, liberando un sospiro seccato, e tornò ad occuparsi delle sue mille, piccole contusioni che tardavano a guarire nonostante i suoi poteri. Un ennesimo memento della sua fallibilità e di quanto straordinariamente pericoloso fosse Mister Negative. Aveva smesso di chiamarlo 
“signor Li” a forza, per evitare di tracciare connessioni a lui stesso e a May che, per ora, voleva solamente ignorare – così come il suo telefono, che giaceva sulla scrivania con qualche decina di messaggi senza risposta, sia per Peter Parker che per Spider-Man, come se facesse davvero differenza.

Fece appena in tempo ad estraniarsi da quei pensieri, che fu interrotto nuovamente.

«Pete, vai tu?» chiamò May dal bagno.

Peter sobbalzò per la seconda volta nell’arco di pochi secondi e si impose con stizza di darsi una calmata, perché non poteva logorarsi così i nervi per un semplice campanello e un normalissimo richiamo di zia May.

«Sì, un secondo!» replicò, tamponandosi con una smorfia tesa un’ostinata escoriazione sulla clavicola con un po’ d’ovatta imbevuta di disinfettante.

Cacciò sotto il letto i suoi strumenti medici improvvisati e s’infilò una maglietta della Midtown in stato ancora dignitoso strada facendo, nel caso zia May avesse deciso di chiedere l’origine della nuova collezione di marchi rossi e blu in tinta col costume. Quelli in volto, per fortuna, erano già sbiaditi, e aveva ormai una discreta dimestichezza col fondotinta di sua zia per celare i danni un po' troppo evidenti.

«Arrivo!» chiamò lungo il corridoio senza però affrettarsi troppo, sistemandosi il colletto in modo da coprire le contusioni.

Accostò l’occhio allo spioncino più per abitudine che altro: aveva già percepito i passi del corriere allontanarsi giù per le scale, probabilmente dicendosi che il suo contratto lavorativo non includeva aspettare cinque minuti alla porta per un ragazzino pigro.
Aprì con un mezzo sospiro, illuminandosi nel vedere il pacco Amazon contenente il tanto atteso regalo di Ned sullo zerbino.

Lo afferrò rapido, facendo già per rientrare, quando un fruscio di carta riportò i suoi occhi per terra, sulle piastrelle beige del pianerottolo: il cedolino di consegna era scivolato dal pacco. Incastrò la scatola sotto il braccio e si chinò a raccoglierlo, aprendolo in un gesto automatico mentre accompagnava la porta dietro di sé.

E la sbatté con così tanta forza da rischiare di crepare lo stipite e far cadere il quadro lì a fianco, attirandosi un’esclamazione allarmata da parte di May, che non registrò, perché il mondo attorno a lui sembrò scivolare nello spazio siderale – muto, intangibile, distante – mentre fissava ad occhi sbarrati il biglietto, coi polmoni sottovuoto e il cuore pronto a spappolarsi come un mese fa nel magazzino.

Al centro del foglio, in inchiostro nero, spiccava la sagoma minacciosa e aguzza di una corona.

 
 
 

Note Dell'Autrice:

Cari Lettori... vi ricordate ancora di me?
"Non aggiornerò tra sette secoli come al solito!" [cit. me stessa nelle scorse note]. Ehm... sì, ho detto 'na baggianata, per essere eleganti.
Ma ci si son messe di mezzo la vita, lo stress, la quarantena, prima, la fine della quarantena, dopo, bestemmie e insulti con la mia meravigliosa università, e infine un prepotente calo d'ispirazione in campo Marvel. Poi, non so voi, ma il mio corpo è fisiologicamente convinto di essere ancora a marzo, quindi dire che sono sfasata è un eufemismo :') Tutto ciò per dire che questo capitolo è stato un parto per mille e più motivazioni non tutte legate alla scrittura di per sé, pur essendo più breve dei precedenti.

E spero risulti anche più "conciso", in un certo senso. Scrivere di Peter sottintende partire spesso per la tangente introspettiva e sciorinare pistolotti mentali su ogni singolo respiro che fa o non fa... in questo caso, ho voluto tagliare il capitolo in modo più diretto, e spero si noti senza risultare fuori luogo. Siamo alla svolta decisiva, adesso, sia con Tony, che con Kingpin, che con Osborn e tutta la faccenda dell'Atto, e il prossimo capitolo farà da collante al tutto, gettando un po' di luce su molti punti in sospeso. Chi ha giocato al videogioco ne avrà già ricollegato un paio, ma la trama, come già detto, prenderà un'altra direzione ;)

Come al solito vi lascio con un bel cliffhanger, che non fanno mai male... nella speranza di aggiornare presto e non i ntempi biblici. Stavolta non prometto nulla sulla mia rapidità, però :')
Un grazie abnorme va alla mia Atlante _Atlas_, senza la quale non sarei mai riuscita a finire in tempi decenti il capitolo <3 Continua a bacchettarmi, che funziona :D
E dopo 'sto sproloquio, vi lascio nell'attesa *risata malvagia*

-Light-

Angolino dello spam: complice del ritardo di questo capitolo è stata anche la mia nuova storia fresca di stesura, su StarWars/The Mandalorian, Vode An, che vi invito ad andare a sbirciare, se vi interessa il fandom :)
   
 
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