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Autore: Snehvide    23/06/2020    2 recensioni
Per alcuni millesimi di secondo, a Dean sembra di non riconoscere la voce che urla alle sue spalle, e la cosa, per sé, è già devastante. Se poi aggiungiamo che suo fratello si accascia a terra come un bisonte ferito da un bracconiere e il suo corpo comincia a vibrare sollevando come una fitta nebbiolina di sabbia intorno a sé, improvvisamente, tutto ciò che Dean ha intorno cessa di avere valore semantico per la sua mente.
WARNING: ferite genitali descritte nei dettagli, particolari crudi: potrebbero fare impressione
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[Hurt/Comfort] [Hurt!Sam, Caring!Dean] [Scritta per la #AtonementH/C Challenge, gruppo Hurt/Comfort Italia]
Genere: Drammatico, Horror, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
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Double, double, thorns and trouble (groin burn, and cauldron bubble)

 – terzo capitolo 

 

“Lei è un parente?”

“Sono il marito.”

Il medico solleva gli occhi dalla cartella clinica, fa quello sguardo. Finché fanno quello sguardo, Dean sa che è tutto okay. Sta funzionando. Lo squadra dal basso verso l’alto per alcuni secondi, poi torna a scrivere.

“Com’è successo?”

“Ah,” il maggiore dei Winchester soffia tra i denti, si gratta la nuca, finge un imbarazzo che non c’è. “Beh, sa—“ si schiarisce la voce, “io e mio marito ci siamo incontrati sette anni fa qui a Yuma, eravamo entrambi a un concerto dei Deep Purple, e abbiamo sempre detto che saremmo dovuti tornare prima o poi e così...una volta qui, uhm...ci siamo addentrati nel deserto, dalle parti di Foothills, proprio come i vecchi tempi, e...sì, mentre cercavamo un po’ di intimità, ci siamo fatti prendere dalla foga...Sam non ha fatto caso a dei cactus a terra, e così...”

Il medico continua a scrivere, sottomesso a un’etica che gli impedisce di esternare qualsiasi emozione. Due paramedici dal volto cinereo e le labbra serrate tentano di capire come trasferire Sam dalla barella al lettino da esame soffocando la risposta fisiologica dei loro corpi all’orrore che si è appena aperto dinnanzi ai loro occhi e alla quale nessun corso avrebbe mai potuto prepararli, ed è una scena talmente surreale che a Dean scapperebbe quasi da sorridere se solo non sentisse gli ultimi tre quarti d’ora direttamente nelle vene. È un formicolio insistente, talmente potente che fatica a ignorarlo davvero. Se cedesse all’impulso di grattarsi, probabilmente non riuscirebbe più a fermarsi.

Contratta in una fitta, la gamba destra di suo fratello urta contro la staffa in cui i due paramedici stanno cercando di accomodarla, e il fin troppo comune suono delle spine che cozzano tra loro giunge alle orecchie di Dean in compagnia dal fantasma delle urla laceranti di poco prima. Il battito cardiaco aumenta, l’orrenda sensazione che ha addosso espande la sua egemonia sul suo corpo, poco importa se tutto ciò che Sam fa è un flebile gemito, la sua mente ha già trasformato tutto in qualcos’altro. Serra le dita livide sul palmo, deglutisce.

“Non si muova” lo ammoniscono, mentre sistemano di nuovo il lenzuolo di carta celeste sulle cosce “Cerchi di rilassarsi”.

Le gambe di Sam sono troppo lunghe per quei lettini da donne; penzolano al di là del paravento e Dean può vederle tremare. Deglutisce, storce il naso. Non riesce a credere che la lidocaina possa aver perso così in fretta la sua battaglia contro il sistema nervoso in rivolta di Sam, ma per lo meno questa preoccupazione gli offre qualcosa con cui distrarsi.

“Signor Campbell—“ Il medico mette via la sua cartella clinica, raggiunge Sam dietro al paravento prima ancora che i paramedici possano finire di settare il monitoraggio; “ci darà un bel daffare oggi”. Il tocco polemico nel suo tono lo rende agli occhi di Dean ancora più sgradevole di prima.

“Ha delle allergie? Patologie cliniche pregresse? Fa uso di sostanze stupefacenti?”

Dean sente i bisbigli rauchi di Sam, risposte che riesce a prevedere nella loro totalità. Il tono di voce del dottore si addolcisce, tira un sospiro “Desidera suo marito con lei?” – la risposta di Sam, ingarbuglia qualcosa nel suo petto.
Dopotutto, la fede che gli ha infilato all’anulare gonfio durante la corsa in ospedale (passandosela preventivamente sulla lingua per facilitarne l’inserimento, ma è un dettaglio) luccica in maniera convincente, sotto le luci della scialitica. Adesso tocca a lui fare la sua parte.

Quando si sporge al di la’ del paravento, Sam lo fissa con uno sguardo morbido, quasi compassionevole, forse anche per colpa della cannula nasale. L’anestetico, per sua grande sorpresa, regge ancora, a giudicare dal fatto che il dottore riesca a visitarlo mentre Sam sembra più interessato a volgere il capo verso di lui piuttosto, o forse è un modo per prendere le distanze da ciò che sta avvenendo tra le sue gambe, e la cosa sarebbe più che credibile.
“Ehi” bisbiglia; ha una mezzo sorriso stampato sul volto, una lucentezza anomala negli occhi. È certo che anche il sedativo che gli hanno collegato in vena abbia già cominciato a fare effetto.

“Ehi.” Nel tono di Dean, un tocco di incertezza che non avrebbe voluto far pervenire. Poggia le mani sulle spalle nude, un po’ troppo calde per i suoi gusti.

“Che disastro...” commenta il medico senza sollevare la testa. Sposta la lampada, raddrizza le staffe in modo da avere un’apertura maggiore “non ho mai visto niente di simile in tutta la mia vita.”
E per quanto deprecabile sia stato nei toni, Dean sente sotto sotto di dovergli dare ragione. Incrocia lo sguardo di Sam, tira giù gli angoli della bocca, fa spallucce mentre con una mano porta via la patina di sudore e sabbia che si è accumulata sulla fronte pallida di suo fratello.

“Cosa ha preso prima di venire qui? Perché non è umanamente possibile che sia così tranquillo senza aver preso nulla.”

L’antifona giunge forte e chiara, Dean ingrugnisce il volto. “Ehi, ehi, ehi –“, parte aggressivo “-io e mio fratello non siamo dei tossici, okay? Sono un dentista, avevo in macchina delle fiale di lidocaina e ne ho usata una per permettergli di arrivare qui in ospedale tutto d’un pezzo!” Si accorge subito anche del lapsus ma non fa in tempo a correggersi.

“Fratello?” Il dottore ripiega un angolo del lenzuolo, scoprendo una porzione più alta (e più tumefatta) dell’inguine. C’è una certa soddisfazione nel modo in cui fa schioccare la lingua al termine della domanda.

Dean arrossisce. Risponde prima che il cervello possa elaborare una scusa migliore “Forza dell’abitudine. Ci siamo finti fratelli a lungo. Vivevamo nel Mississippi, sa com’è.”

Il medico scuote la testa come se la balla di Dean lo divertisse soltanto. Torna a concentrarsi sul suo lavoro, ordina qualcosa a un’infermiera appena arrivata che sta ancora calzando i guanti, fa qualche altro commento, ma Dean a quel punto non lo ascolta più; ribolle in qualcosa che fatica ad elaborare. Forse sta esagerando; forse è solo stanco, ma si sente addosso più spine di quante ne abbia Sam lì sotto, e forse sono così evidenti da spingere Sam a intervenire con uno dei suoi soliti ‘Va tutto bene, Dean’ e con la sua mano tremante, – la stessa mano che ha al dito il saturimetro (e la fede) – che si solleva e vaga incerta verso il suo collo, ne piega piano il viso su di sé e bacia lievissimamente le sue labbra prima che Dean si renda conto che sì, in effetti, lo aveva avvicinato un po’ troppo per volergli soltanto rivelare qualcosa in un orecchio.

Il resto dell’intervento procede in assoluto, caustico silenzio. Solo il crepitio degli strumenti chirurgici, un viavai di infermieri che portano garze e strumenti, il bip del monitor cardio-respiratorio. Mentre di tanto in tanto fa scorrere le dita tra i capelli insabbiati di Sam, Dean deve ammetterlo: quella della coppia è una delle coperture che gli riescono meglio.

Ci sono volute quasi tre ore e mezza e una snervante, minuziosa opera di estrazione, prima che Sam venisse, con grande sollievo di tutti, dichiarato libero da ogni spina. Per quanto fastidioso nei modi, quella testa pelata del dottore si rivela più resiliente e soprattutto, più testarda di quanto Dean avesse inizialmente pronosticato. Ha apprezzato, infatti, le brevi pause concesse a Sam per bere, togliere di tanto in tanto le gambe dalle staffe e riprendere fiato. È stato letteralmente ad un passo dall’adorarlo quando, infischiandosene dello stoicismo del cazzo di suo fratell...err...marito, di suo marito, ha rinnovato l’anestetico ogni qualvolta ce ne sia stato bisogno, nonostante Sam, pallido e poco convincente, millantasse il contrario. Sì, deve ammetterlo: è stato un inatteso quanto reciproco spezzare segretamente lance: Il dottore spezzava le lance di Sam (le spine, ma considerata la grandezza di alcune, cambia veramente poco), lui spezzava le lance in suo favore.

L’urologa, giunta da un ospedale vicino, è a sua volta ulteriormente gentile. Elabora l’orrore che si appresta a visitare con una smorfia del viso, ma si risparmia tutti i commenti al riguardo, il che è certamente un enorme punto a favore, pensa Dean. Già il suono della parola ‘urologo’ richiama alla mente immagini vivide di incubi e torture indicibili, e di certo, né lui, né Sam hanno bisogno di ulteriori traumi.

“Mi avverta se dovesse sentire troppo dolore,” avvisa la dottoressa, prima di poggiare la sonda dell’ecografo tra i testicoli di Sam, che annuisce, stringe gli occhi, serra le dita contro le maniglie laterali del lettino e Dean freme dalla voglia di prendere parola al posto suo e avvisare che sì, gli sta facendo male, dato che l’anestetico è con molte probabilità svanito di nuovo e avrebbe bisogno una nuova dose che non chiederà mai. Ma non lo fa.
I suoi impulsi vengono messi a tacere dagli occhi di Sam. Questi, dal profondo del suo dramma, si stagliano penetranti verso di lui, giocano sporco e tutto ciò che Dean riesce a fare, è restare a fissarli come un ebete e poi, senza alcuna ragione, piegare le labbra in un sorriso stanco. Perché diamine, ha già visto quello sguardo nel Sam bambino con il braccio rotto che portò in ospedale sul manubrio di una bicicletta rubata e che per tutto il tempo in cui lo ingessarono non smise un solo secondo di guardarlo con quegli stessi, identici occhi, stringendo la mano integra alla sua. Ci mette davvero un millesimo di secondo quella memoria a riportarlo lì, a quei momenti, esattamente dove Dean sente di dover stare. E staccandola dalla maniglia del letto, riporta la mano di Sam nella la sua, perché proprio come allora, è esattamente dove deve stare.

“Le faccio male?” domanda la dottoressa, forse notando un certo irrigidimento.

“È tutto okay-”

La bocca di Dean non si professa parola. Guarda le dita di Sam intrecciate alle sue, si domanda quand’è che sono diventate così grandi.

Il medico procede per altri cinque minuti, prima di allontanare il sensore, ripulire Sam dal gel e spegnere il monitor. Si consulta con il dottor Testapelata, guardano insieme le stampe dell’ecografia, discutono di alcuni punti sotto il lenzuolo che Dean non può vedere.

“Signor Campbell,” Dean scruta il volto della dottoressa, cerca di anticipare mentalmente ciò che sta per dire, “adesso le faremo una medicazione e la porteremo in corsia. Cominceremo con un ciclo di antibiotici ad ampio spettro in attesa dei risultati delle analisi e faremo qualche altro esame in serata.”

“In serata? Mi sta dicendo che non può tornare a casa adesso?”

“Io non avrei tutta questa fretta, figliolo.”

Testapelata e Naso-a-pappagallo (i termini per insultare anche l’urologa gli sorgono spontanei, adesso) storcono la bocca, snocciolano una serie di paroloni su esami, antibiotici, terapie – tutte prive di alcuna concretezza per la sua mente, e Dean ne ha davvero abbastanza. Rotea gli occhi, sospira, geme più di quanto faccia Sam quando un infermiere maldestro gli buca in malo modo una vena del braccio per un prelievo.

L’urologa si congeda dopo aver lasciato delle direttive e firmato alcune carte, a Sam viene finalmente permesso di assumere una posizione più dignitosa e nonostante stia lavorando mentalmente al piano di fuga (perché di certo non ci metteranno molto a scoprire la cosa delle assicurazioni sanitarie), Dean si concede quel tocco di sollievo che, sul momento, non gli fa neanche percepire i passi del dottore verso di sé come qualcosa di allarmante.

“Signor Campbell...” Il medico pronuncia il suo (falso) cognome con un’autorevolezza che lo riporta in fretta alla realtà. Ha un tono diverso del solito, le mani dietro la schiena; sta alludendo qualcosa. “Mi diceva che al momento dell’incidente, lei e suo marito stavate condividendo un momento...di intimità, è corretto?”

Dean deglutisce, porta i suoi occhi altrove; incontra quelli di Sam giusto in tempo per realizzare che non è il momento di rifugiarsi in quello sguardo che lo fissa come se tutto dipendesse adesso da lui; li sposta su quelli dell’infermiere al fianco di suo fratello e...no, no. Il poveretto è talmente sbigottito che quasi non si accorge di aver abbandonato la medicazione che sta eseguendo sul pene di Sam. Fottuti omofobi dell’Arizona.

Si ricompone in fretta. “È corretto.” La lingua schiocca contro il palato.

“Bene.” Il dottore fa un cenno col viso. Evidentemente, è la risposta che si aspettava. Gira le suole, raggiunge un carrello oltre al paravento. “Meglio dare un’occhiata anche a lei, allora. Mi segua.”

Dean non è certo di aver sentito bene; un fischio assordante si è insinuato nelle sue orecchie e ciò che arriva al di la di esso giunge come ricoperto da uno strato di ovatta.

“Come dice, prego?” Ha la bocca impastata con qualcosa di amaro, probabilmente rimasugli di bile saliti in gola e ricacciati giù. Ci fa caso solo adesso.

Dall’alto del suo dispotismo, il dottore non sembra avere intenzione di ripetersi. Raggiunge un lettino da esame posto in un angolo contro al muro, ne batte con il palmo la superficie in eco pelle blu.

“Si spogli, prego.” comanda intransigente, prima di sistemare la lampada scialitica puntandola verso il letto.

Dean sorride, e non saprebbe spiegare neanche a se stesso perché lo stia facendo. China la testa, guarda la punta delle sue scarpe ancora imbrattate di sangue, solleva il dito indice. “No, no, deve esserci un equivoco, io sto benissimo,” blatera, come un perfetto idiota.

Ma il dottore, irremovibile, ha continuato a fare i preparativi della sua visita: si è disinfettato le mani, ha indossato un nuovo paio di guanti, steso un nuovo telo igienico sul lettino che lo aspetta. E in quell’impazienza, Dean non può davvero evitarlo: non può davvero evitare di guardare Sam – ancora una volta, e per l’ennesima volta, in questa giornata di merda – alla ricerca di risposte a quesiti a cui non sa rispondere. E ancora una volta e per l’ennesima volta, l’aiuto ricevuto si rivela totalmente inconsistente se non, come in questo caso, dannoso.
“Il dottore ha ragione, Dean—“ esorta Sam, rauco e spiazzante: storpia il volto in strane smorfie, raggrinzamenti che la mente di Dean traduce come ‘Diamine, non far saltare in aria tutto adesso, Dean!’

E davvero, davvero Dean a quel punto non elabora nulla di quanto gli stia accadendo. È troppo stanco e provato per reagire come reagirebbe Dean Winchester (quello vero. Quello che non ha passato mezza giornata immerso in un incubo fatto di spine, sangue e genitali ridotti in groviera). Mentre nella sua testa scorrono le prime due-tre cosette che avrebbe da dire a Sam quando saranno usciti da lì, a malapena si accorge di essersi lasciato trascinare come un magnete dalla voce dittatoriale di Testapelata e di avere preso tra le mani la cintura dei suoi pantaloni.

Appoggia le natiche nude sul bordo del lettino come volesse garantirsi la possibilità di fuggire in qualsiasi istante. Lascia che il dottore regoli da sé l’apertura delle sue gambe, trasalisce quando questo poggia le mani sulle sue cosce.

“Si rilassi,” gli viene ordinato, ma ‘rilassarsi’ è un concetto che gli è estraneo; un vocabolo che è stato estirpato dalla sua testa nel momento in cui si è ritrovato le mutande alle ginocchia e Dean Jr. esposto alla faccia occhialuta di un fottuto, ambiguo medico di mezza età.
Il dottore muove il braccio della lampada d’ingrandimento, ne regola lo zoom - “È il prezzo da pagare per essere andati a fare certe cose in un luogo pubblico” miagola con una certa, infame soddisfazione mentre lo tasta dove Dean non avrebbe mai immaginato di lasciarsi tastare da nessuno. Rigido come una statua di marmo, Dean fissa un punto dinnanzi a sé cercando di alienarsi dalla realtà – il suo petto si gonfia e sgonfia a ritmo irregolare, il mondo intorno sfarfalla.

“Qui siamo a posto,” dichiara dopo una manciata di minuti, e Dean sfiata, rilassa le spalle che la tensione aveva contratto sino al collo. “Vediamo l’altro lato.”

Capisce cosa intende solo quando Sam, che sino ad allora sembrava aver fatto del suo meglio per non guardare in sua direzione, conferma ogni suo timore mediante una muta, sconvolta occhiata che fa capolino da un angolo del paravento. Cazzo.

“L’altro lato?” Sbatte le palpebre più volte, il mondo intorno a sé non si ricompone.

Il dottore chiude gli occhi, sospira con la tipica stanchezza di chi sta lottando per mantenere intatta la propria reputazione - “Non mi faccia scendere nei dettagli, sappiamo entrambi come funzionano le relazioni di questo genere. Lo sa lei e suo marito e lo so io e il mio. Adesso scenda dal letto, si volti e poggi i gomiti sul bordo.”

Manovrato da un’entità invisibile chiamata forse voglia-di-farla-finita-al-più-presto (o forse voglia-di-morire-in-quell’esatto-istante), dopo una serie di secondi in cui ha visto scorrere dinnanzi ai suoi occhi tutta la sua vita, oltre ogni ragionevole aspettativa, lo fa. Dean esegue ligio un ordine che, probabilmente, tornerà a bussare alla sua mente ogni qualvolta passerà in rassegna tutti i rancori e rimpianti più importanti della sua vita.
Curva la schiena sul lettino, la testa bassa di chi vuole autoescludersi da una realtà corporea a cui sente di non appartenere più: sul muro di fronte a sé, vede stagliarsi l’ombra pingue del dottore, prima di sentirne le dita inguantate sulle sue natiche e tra le sue natiche. Chiude gli occhi, serra la mascella, manda a fanculo i vari ‘si rilassi’, ‘faccia un respiro profondo’, ‘adesso sentirà un po’ di pressione’ mentre sente la propria dignità bruciare sulla punta delle proprie orecchie.

Nel momento in cui il medico smette di tormentare il suo orifizio e il suo orgoglio, scartando via i guanti e annunciando che non ha spine ma un lieve principio di emorroidi, tra la quantità imbarazzante di improperi macinati dalla sua mente, uno si erge con prepotenza tutto il suo splendore:

“Fottute streghe.”

 

- Betata a tempo record da Kendra26. Grazie mille!
- Capitolo un po’ più leggerino del precedente, dai. Un pochino. Ma apprezzate la volontà! Solitamente scrivo drammoni, lol.
- Piccole  note: Campbell è il cognome da nubile di Mary Winchester nonché il cognome di due prestigiatori americani (citati nell’episodio 7x07 – the Mentalist) che si fingevano fratelli per camuffare la propria omosessualità. La coppia è realmente esistita (
Allen Campbell and Charles Shrouds, Lily Dale, NY)
- Il prossimo capitolo non sono certa di riuscire a pubblicarlo entro martedì prossimo, potrebbe ritardare un po’ causa trasloco.
- Prompt nato da una sfida sul mio gruppo 
Hurt/Comfort Italia; in questo capitolo mi riallaccio al prompt ricevuto successivamente da un altro utente, sempre all’interno della stessa sfida: "A sta male, B non riesce a curarlo  ed è costretto a portarlo in ospedale" :3  ho cercato di fare in modo che avesse continuità con quello precedente.
- Grazie per aver letto! Non è una lettura facile, me ne rendo conto. ^^”

 

   
 
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