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Autore: sallythecountess    02/07/2020    1 recensioni
Ian è uno sceneggiatore, aspirante scrittore fallito, che ama i libri e la vita comoda, ma per un caso del destino incontra lei: un'attivista, politicamente scorretta, sovversiva, rockettara e francamente bellissima. Si scontrano, si provocano e ovviamente finiscono col desiderarsi. C'è solo un problema, però: lei è la ragazza di cui è innamorato suo nipote. Riusciranno Ian e V a trovare una loro dimensione in tutto questo casino?
“Vedete il destino è sempre molto chiaro con noi, ma a volte siamo noi ad accanirci. Lui ce lo fa capire chiaramente che due persone troppo diverse non possono essere felici, ma noi continuiamo a sbattercene in nome di quella cosa terribilmente stupida che chiamiamo amore. Eppure c'è un motivo per tutto, solo che non vogliamo accettarlo. C’è un motivo se il giorno e la notte non s'incontrano mai, e neanche la luna e il sole. Due parallele, semplicemente, non dovrebbero mai incontrarsi o sono veramente casini. Quindi non prendetevela con il destino, se siete voi ad ignorare tutti i segni e a lanciarvi a capofitto in storie che non possono far altro che dilaniarvi. "
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6
 
Per tutto il resto del pranzo risero di me e mi sentii un idiota totale, ma lei mi guardava in modo strano. All’inizio pensai che fosse una mia impressione, che stavo diventando matto. Certe cose non succedono veramente e non è il caso di dare particolare enfasi ai nostri piccoli deliri. E' normale: quando vuoi tanto una cosa finisci per condizionarti e pensare che stia accadendo. Eppure no, lei mi stava davvero guardando con un'espressione languida e molto dolce.
Parlammo di cose futili, del più e del meno e dopo un’ora Jimmy tornò a lavorare al bancone del bar, e ci lasciò soli. Uscimmo da quel dannato pub completamente in silenzio. Io non avevo idea di cosa dirle e lei continuava a guardarmi con quegli occhi. Dopo qualche minuto di imbarazzo, però, la mia signorina preferita prese la mia mano e sussurrò  “Ok sono stata una stronza Ian, mi dispiace. Credo di essere stata prevenuta nei tuoi confronti e non avevo capito nulla. Ti ho giudicato dai tuoi jeans, dalle tue scarpe fatte in Cina dai bambini sottopagati, dal maglioncino di cashmere e non per quello che sei realmente, che invece è davvero notevole. Purtroppo è un mio brutto vizio giudicare in base alle apparenze e forse mi servivi tu per capirlo. Mi vergogno di me, perdonami.”
Non sapevo cosa dire. Qualcosa si agitava in me, gridava, scalciava, mordeva e ringhiava: volevo con tutte le mie forze baciarla, ma non lo feci. Non lo feci perché malgrado tutto ho un’etica ed è disgustoso rubare la donna ad un amico, figuriamoci ad un nipote. Le sorrisi, pensando a cosa dire, ma poi mi accorsi del suo sguardo meraviglioso e le chiesi molto piano (con un po’ troppa dolcezza, se volete saperlo, ma mi sfuggì!) “non mi starai ancora prendendo in giro, vero?”
Lei sorrise e scosse solo la testa fissandomi profondamente con quei suoi due occhi da gatta, e per un attimo mi dissi “ma sì, baciala tanto non sono mica fidanzati” ma fortunatamente riuscii a mettere a tacere quella stupida vocina. Poi la signorina cambiò totalmente espressione: mi guardò con fare furbo e ammiccante e ridacchiando aggiunse “Ammetti di aver giudicato anche tu il libro dalla copertina, però Ian. Sono carina, mi vesto poco e per questo dovrei fare la stripper, no?”
Ecco, ci aveva preso, avevo sbagliato anche io, ma non volevo chiederle scusa, così le feci notare che non tutti vanno a lavoro a mezzanotte e lei rispose che mi avrebbe fatto avere una lista molto dettagliata di lavori notturni per dimostrare che ero stato prevenuto e anche un po’ sessista e io mi dissi solo “e no, di nuovo sessista no!” ma non risposi. Camminavamo l’uno accanto all’altro, lei mi prese la mano e, ridacchiando disse “va beh accetto le tue scuse, Ian, ma ti insegnerò a non essere prevenuto…”
“Numero uno: non ti ho chiesto scusa…” le dissi ridendo forte e lei stringendosi nelle spalle mi diede una forte pacca sulla spalla e rispose “sì, sì scuse accettate” facendomi ridere davvero forte.
“Numero due…” aggiunsi, con fare molto serio, ma anche stranamente affascinante tanto da lasciarla senza parole “chi insegnerà a te a non essere prevenuta nei confronti dei poveri Ian nel mondo?”
“Tu me lo insegnerai…oppure questi poveri Ian saranno sempre discriminati ingiustamente…” sussurrò, tanto vicina al mio viso da potermi baciare quasi e io pensai solo “oh porca miseria!” ma sorrisi e non dissi nulla. Mi sentivo strano, quasi euforico. La sensazione era simile a quella che si prova quando sei leggermente ubriaco, una strana euforia m’impediva di smettere di sorridere, anche se dovevo contenermi, cavolo. Arrivati alla metro mi sedetti sulla panchina e lei si sedette accovacciata per terra di fronte a me. Mi guardava dritto negli occhi, ed io sostenevo il suo sguardo. Sembrava un gioco stupido, eppure ci stavamo scrutando come due animali prima della lotta, o meglio prima del sesso. I passanti la fissavano, gli ostacolava il passaggio, ma lei se ne fregava. Si accese una sigaretta, fece un tiro e mi disse: “Sei un tipo veramente strano tu. Insomma cazzo ti dico che sono una stripper e vuoi aiutarmi, ti chiedo scusa e non mi credi, ti dico che devi chiedermi scusa e ti rifiuti. E io che pensavo che fossi un noioso figlio di papà! Non capisco proprio niente di uomini, eh?”
Si mise a ridere e io pensai “sei veramente scema”e rimasi impassibile. Seccamente risposi “Accetto il ‘noioso’ perché immagino che per una come te sia noioso un intellettuale, ma figlio di papà un corno, Ariel. Mio padre fa l’operaio da quando aveva 15 anni e ha sempre criticato ogni mia scelta. Ho dovuto lottare per essere quello che sono…”
 Avrei voluto aggiungere altro, ma dato che stava arrivando il treno decisi di non farlo. Mi prese la mano e mi portò in metro. Non c’erano posti a sedere, quindi restammo in piedi. Era vicino a me e per una volta sembrava persa nel suo mondo anche lei. Improvvisamente mi mise la testa sulle spalle con nonchalance, come se stesse facendo la cosa più normale del mondo. Mi guardò languidamente con i suoi profondi occhini verdi e, quasi sussurrando, in modo incredibilmente sensuale mi disse “Non sei noioso Ian, davvero. Mi dispiace…”
“Non fa niente” le risposi con un filo di voce, perché davvero non avevo il fiato necessario per resistere a quegli occhi e a quelle labbra così belle, ma poi lei aggiunse “Non voglio che pensi chissà cosa di me, sono quasi sempre innocua, e non sono sempre così cattiva con gli scrittori. Per fare pace ti porto in un posto speciale, ti va?”
Credo di essere morto in quel momento, non lo so, non lo ricordo bene ma so che qualcosa dentro di me è andato in frantumi. Probabilmente il mio senso di decenza, le mie inibizioni e la mia coscienza, ma pazienza. Lei era bella, intelligente, divertente e Cristo santo, così sexy da tentare un santo ed io erano anni che non incontravo una donna che mi piaceva la metà di lei.
Solo che vedete, non mi ero reso conto che tutti questi pensieri mi avevano preso un po’ di tempo, che dunque non avevo risposto subito e quindi lei si era fatta un’idea sbagliata. Mi aggiustò il colletto della giacca di pelle e mi disse in tono molto gentile e quasi sussurrando“Scusa non volevo metterti a disagio. Alla prossima scendiamo, così ti riporto a Brick Lane…”
“No, no voglio andare a vedere questo posto speciale” le dissi agitatissimo perché morivo dalla voglia di passare altro tempo con lei, che  mi sorrise e sussurrò “…avvertile le persone quando ti perdi nei tuoi pensieri, però. Perché se stai zitto e hai lo sguardo perso io penso male…”
Ancora una volta sorrise e sorrisi anche io scuotendo la testa e mi scusai. Ormai non facevo altro che ridere e sorridere, sembravo quasi un maledetto pupazzetto, ma sessista. In ventiquattro ore non avevo fatto altro che sorridere e annuire come un imbecille da soap, ma ormai la mia dignità era andata.
“Mi racconti qualcosa di te, Ian?”mi chiese, tenendomi la mano e io le parlai del mio lavoro, di casa mia in California e lei mi fece una domanda stranissima. O quanto meno, in seguito avrei capito il senso di quella domanda ma lì per lì mi fece solo moltissima tenerezza.
“E riesci a vivere da solo, così lontano dalla tua famiglia?” sussurrò, immersa in non so quali pensieri, ed io risposi ridacchiando “la regola era proprio ‘più lontano possibile’ quindi direi che vivo benissimo…” ma non fu una risposta geniale.
“Non andate d’accordo?” mi chiese perplessa, ma io non me la sentivo di aprire il vaso di Pandora, perciò risposi laconico “…siamo molto diversi” e lei mi sorrise.
“…e hai una fidanzata, Ian Watt?”
 Tirò fuori, letteralmente dal nulla, fissandomi profondamente negli occhi ed io pensai “sì, tu” ma era troppo da sfigati anche solo averlo pensato, quindi me ne vergognai profondamente.
“Ho delle amiche, con cui mi trovo anche bene, ma non sono uno da fidanzata…”risposi, in un impeto di stupida sincerità, e lei sorridendo ribattè “ed è per questo che mister Watt alla sua veneranda età non è sposato, allora…” ed io pensai solo “veneranda età un corno”.
  “no, quello è molto semplice- risposi- Stavo per sposarmi, avevo anche fatto tutte le cose giuste, sai la proposta a Parigi, l’anello e tutto il resto. Solo che poi è andata male. Stavamo insieme da troppo tempo e non ci eravamo neanche accorti che ci sposavamo solo perché avevamo raggiunto l’età per farlo. E poi lei mi ha lasciato e…”
Vi giuro che, per quanto fosse stata dura da sopportare, non ci stavo più male e non lo avevo detto con tono particolarmente triste, perché stavo bene. Eppure la signorina concluse ridacchiando “…allora è per questo che non dai una chance a queste amiche? Hai dato tutto te stesso ad una donna, è andata male ed ora non sei un tipo da fidanzata?”
Sì, in parte era così, e probabilmente lo avrete capito anche voi già a pagina cinque o otto. Solo che non mi andava di ammetterlo, così stringendomi nelle spalle risposi “ma no, sono solo amiche perché non è scattato nulla e io non voglio una donna accanto solo per non sentirmi solo. Se dovessi mai avere un’altra fidanzata, sarebbe una di cui sono perdutamente innamorato.
“Che uomo romantico…” commentò sorridendo e io volevo farle la stessa domanda, chiederle se avesse un fidanzato o altro, quando giungemmo alla nostra fermata della metro e io rimasi senza fiato. Il luogo dove voleva portarmi Ariel era un vecchio e polveroso mercatino di libri usati, uno dei miei luoghi preferiti di Londra, ed impazzii letteralmente al pensiero che una donna che mi conoscesse così poco avesse già capito che quello era un posto adatto a me. Vedete, quando andavo al college quel posto era il mio ritrovo speciale, perché ci potevi trovare qualsiasi cosa e tutto a prezzi bassissimi. Per usare una terminologia che V avrebbe approvato, da giovane leggevo tantissimo e passavo giorni interi in quel mercatino a scovare ogni genere di libri. Erano polverosi, usati e malandati, ma io li divoravo in poche ore e poi decidevo se comprare un’edizione migliore oppure no. Ne avevo ancora qualcuno a casa dei miei, e addirittura qualcuno nella mia favolosa biblioteca in California. Ebbi un colpo al cuore nel rivedere quelle piccole bancarelle verdi, il luogo in cui avevo dato il primo bacio alla mia Juliette, la signora che mi ha mollato con mezzo matrimonio da pagare di cui vi parlavo prima.
 Quel posto mi portò alla memoria un miliardo di ricordi e mi sembrava che mi stessero cadendo tutti addosso, soffocandomi. Evidentemente Ariel si accorse che qualcosa non andava, così improvvisamente mi prese sottobraccio e mi disse “Su Ian, adesso mostrami il tuo mondo. Diventa il mio sexy professore, sceglimi un libro. Io non ci capisco molto di queste cose, non sono mai stata molto interessata ai libri e avrai notato che non mi esprimo benissimo. Ho sempre studiato solo le materie che mi interessavano e, come si evince dal mio vocabolario, letteratura non era tra quelle. Non conosco molti libri, ma questo è il tuo settore, no? Sono una causa persa, ma vorresti provare ad acculturarmi?”
Io avevo smesso di ascoltare a “sexy professore”,e mi ero perso nelle mie riflessioni. Non riuscivo a smettere di chiedermi se anche lei fosse attratta da me, anche se la risposta era piuttosto ovvia. Stava flirtando davvero con me? E io come diavolo avrei dovuto fare a resistere?
Comunque quello era il mio campo, i libri erano tutta la mia vita da sempre, quindi potevo assolutamente fare il figo, e lo feci. La guardai dritto negli occhi e con un sorriso malizioso le dissi: “So esattamente cosa va bene per te. Qualcosa di romantico, ma non convenzionale. Niente di banale o scontato, qualcosa di speciale...” La mia decisione la sorprese e mi lanciò uno sguardo curiosissimo.
Ora, se questo fosse stato uno dei miei telefilm, o anche un buon film d’amore, il protagonista si sarebbe girato e avrebbe trovato il libro che voleva regalare alla lei di turno in mezzo secondo,ma non fu così. Insomma immaginate la scena: è come se qualcuno chiamasse superman e lui ci mettesse tempo ad infilarsi la calzamaglia, non si può fare! Come eroe romantico non valevo un soldo, ma V mi trovava divertente e non le dispiaceva aspettare. Ci misi quindici minuti a trovarlo, ma ci riuscii. In quei quindici minuti ebbi il tempo di pensare a cosa dirle e mi venne un discorso ispirato molto carino.
 “Tu ami le canzoni, le consideri dei piccoli haiku pieni di poesia, giusto? Beh credo che questo ti aiuterà a trovare un po’ di poesia nel quotidiano.”
Le regalai “Il piccolo principe” e lei mi sorrise dolcemente e mi baciò la guancia per ringraziarmi. Mi guardò negli occhi con una tenerezza che non avevo mai visto negli occhi di una donna, e mi sussurrò “Ian, mi farai leggere i tuoi libri preferiti?”
Ed io rimasi semplicemente senza parole, muto, attonito e mezzo morto ad essere sincero. Le regalai una selezione dei miei libri preferiti, spiegandole sempre prima le trame perché alcuni erano un po’ impegnativi, ma lei sorrise e ascoltò tutto, e solo per uno mi disse “no Ian, questo è troppo da signorina”e ci stava, considerando che era “orgoglio e pregiudizio”, ma quando le spiegai come la protagonista sfida le convenzioni sociali dell’epoca mi fissò incerta e disse “ci provo, ma se mi hai fatto leggere un libro da signorina, giuro che mi arrabbio”.
“Ti ho regalato anche Bukowski, eh. Magari comincia con quello, così quando arriverai alla Austen io sarò già in un altro continente, e non avrai modo di picchiarmi…” le dissi ridacchiando, e lei mi sorrise, ma oggettivamente era molto brutto il pensiero di non rivederci mai più perché ai lati opposti del globo.
 Lei sorrise e mi ringraziò ancora per i libri, ed io pensai che fosse davvero una ragazza molto semplice, perché non avrei mai potuto regalare alle mie ex uno di quei libri polverosi e ammuffiti, ma lei sembrava molto soddisfatta. Allora le sorrisi anche io e uscendo trovai una cosa che non potevo assolutamente non regalarle: La Tempesta. Lei cominciò a ridere e mi assicurò di averla già letta, non voleva che gliela regalassi.
“La conosco a memoria” disse, ma io chiesi al negoziante una penna e cominciai a scriverci dentro delle cose. Richiusi il libro, restituii la penna e le dissi : “Beh questa non è quella che conosci. Questa è la Tempesta secondo Ian, e se vuoi sapere cosa ho scritto devi per forza rileggerlo perché ho scritto in varie parti del libro…” Lei mi sorrise dolcemente e accettò. E meno male, perchè avrei dovuto comprare comunque il libro, e sarebbe stato deprimente metterlo in libreria.
Tornando a casa le feci un sacco di domande e lei fu molto sincera. Le chiesi come mai mi avesse spinto a comprare una giacca di pelle se era così amante degli animali e lei morì dal ridere. Mi sorrise con condiscendenza e disse “E’ finta!! Non te ne sei accorto?”
Ah ecco, che figura da idiota che avevo fatto. Poi sorrise e disse “Comunque la penso come te sulle spogliarelliste, e grazie per avermi detto certe cose. Non sono cose che si sentono ogni giorno e... beh fa piacere sentirle. Sei stato infinitamente dolce.”
Le sorrisi e, spontaneamente, le accarezzai il volto. Volevo baciarla, già lo volevo tanto, ma non lo feci. Le misi soltanto un dito sulle labbra e lei lo baciò, facendomi capire che non ero il solo desideroso di un bacio. C’era una incredibile atmosfera tra noi ma non poteva esserci o forse meglio dire che non doveva esserci.
Ci separammo circa mezz’ora dopo, ma con la promessa che ci saremmo rivisti quella sera insieme a tutti gli altri. Rientrato in albergo lanciai la giacca sulla sedia e mi accovacciai per terra. “Che diavolo stai facendo?”mi chiesi circa mille volte, eppure non potevo evitarlo. Mi alzai, tirai fuori dal sacchetto spiegazzato tutti i miei nuovi abiti e li guardai con attenzione. Pensandoci mi accorsi che li aveva scelti lei. Volevo piacerle, sembrarle interessante e le avevo già permesso di cambiarmi. Dovevo assolutamente allontanarmi, prendere Jimmy e portarlo via con me in California, o magari in Canada, in un posto lontano da V comunque.
Cercai di dormire, ma inutilmente. Non era solo l’idea di V a preoccuparmi, ma anche altri fantasmi, Juliette su tutti. La verità era che detestavo Londra perché mi ricordava lei e la nostra stupida relazione. O forse meglio dire che mi ricordava me, il me che ero e che avevo ucciso. Rivedere il mercatino, i libri della mia gioventù mi aveva toccato profondamente e non ero più sicuro di niente. Avevo così tante ambizioni e nel rivedere quei libri mi sembrava di averle tradite tutte. Il mio sogno era scrivere, ma non ero stato capace di farlo e adesso ero troppo vecchio per farlo. Fissavo il soffitto quando improvvisamente il mio cellulare suonò. Stesi la mano per prenderlo, risposi e la voce più suadente del mondo mi disse solo:
“Amore mio, mi hai dimenticata? Ti ho aspettato al ristorante per tutta la sera, ma non ti sei presentato…”
Ecco…mi ero dimenticato di Stella! E’ per questo che uno come me non dovrebbe uscire con varie donne, non so assolutamente gestirlo. Non so dire balle, non mi piace inventare storie per le ragazze. Che dovevo fare ora? Cosa? Improvvisamente mi venne un’idea:
“Non hai ricevuto la mia mail? Sono a Londra. Te l’ho scritto almeno due giorni fa”
Stella rise nervosamente e ringhiò con voce quasi demoniaca “Non dire stupidate,le mail non si perdono,al massimo ti arriva la notizia del mancato recapito. Mi hai dimenticata”
Violentemente, e quasi automaticamente, portai la mano destra alla faccia. Ero un idiota, e anche un ignorante, dovevo ricordarmela questa cosa della mail. Non sapevo che dire e così…mi uscì la verità. Le dissi che era un’emergenza, che mio nipote era nei guai in terra straniera e che ero stato obbligato a scappare. Se sei uno scrittore questo non si chiama mentire, ma “arredare la realtà” ricordatevelo.
Stella fu comprensiva e disse che ci saremmo visti quando lei sarebbe ritornata in California. Già perché Stella è una modella, avrei dovuto dirlo prima questo, vero?Scusate, io l'ho detto subito che scrivere non è esattamente il mio forte.
Ad ogni modo parlare con lei mi aveva fatto tornare me stesso, ero Ian Watt, lo sceneggiatore e non c’era niente di male in questo. Ok non era quello che avevo sempre voluto fare, ma era un lavoro onesto e mi piaceva. E poi è raro poter fare quello che si vuole nella vita… Dio se odiavo Londra. Ventiquattro ore lì e mi era già presa una crisi d’identità. Dovevo andarmene e parlarne con Jimmy, lo avrei fatto quella sera.
Nota:
Ciao a tutti, allora vi è piaciuta questa scena? Vi piacciono le loro chiacchiere al mercatino? Fatemi sapere!
   
 
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