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Autore: Niglia    14/08/2009    9 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Eccomi di nuovo! Questa volta ho fatto più in fretta :p
Non mi trattengo molto, vorrei solo ringraziare tutte coloro che hanno trovato il tempo di recensirmi e di leggere il mio nuovo capitolo, non credevo che lo steste aspettando così tanto!
Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo :) Buona lettura!

Un bacio, a presto! smack =*








Capitolo XI

  


 

 

 

Ultimamente ero stata nella casa di troppi ragazzi.

Okay, nel primo caso si trattava di un amico e non potevo farne a meno, e nel secondo ero stata rapita e neppure quella volta era dipesa molto dalla mia volontà... Ma forse la terza avrei potuto evitarla. Non tanto per il fatto che fosse un ragazzo, quanto per quello che avrebbe significato. Riccardo aveva deciso di raccontarci tutto, o meglio, avrebbe voluto raccontarlo solo a me: voleva tenere Alessandra fuori da questa storia, e io non potevo certo dargli torto. Ma d’altra parte, io per prima sarei corsa a raccontarle tutto, quindi tanto valeva che lo parlasse direttamente di fronte a tutte e due. Avevo la sensazione che il nostro amico provasse un certo interesse nei confronti della mia amica, e malgrado la situazione piuttosto confusa nella quale mi trovavo, non potevo che essere felice per lei.

Ma torniamo a Riccardo.

Anche se la mia gemellina gli correva dietro da tempo immemorabile, non sapevamo quasi nulla di lui, di quello che faceva al di là del suo lavoro da Agnese. Era sempre stato molto riservato e restio a chiacchierare con le altre persone per quanto riguardava la sua vita privata, perciò anche lui era un bel mistero, quasi quanto Enrico. Perciò, quando arrivammo a casa sua – nel frattempo, io avevo già provveduto ad avvisare mia madre del fatto che non sarei rientrata a pranzo a casa, ovviamente dovetti usare il telefono di Alessandra perché il mio era rimasto a casa di Enrico, e fui un po’ delusa per il fatto che nessuno si fosse preoccupato per me; comunque, meglio così – quando arrivammo a casa sua sia io che la mia amica fummo piuttosto sorprese di trovare due bambine piccole corrergli incontro, ed abbracciarlo tanto da soffocarlo.

“Ale, Giulia... Vi presento le mie sorelline,” ci spiegò poi, con un sorriso tanto affettuoso che fece arrossire la mia amica. Non capii il perché, ma lasciai stare.

“Piacere,” dissi io, cercando di stemperare quella strana atmosfera. Mancavo un giorno e già crollava il mondo? Cavoli!

La più piccola, una bambina di circa sei o sette anni con i boccoli biondi e gli occhi castani, si avvicinò a me e mi diede la mano, stringendo la mia e annunciando: “Io sono Francesca!”

La più grande, forse aveva dieci o undici anni, aveva i capelli neri e gli occhi chiari, sul grigio, e non somigliava per niente né al fratello né alla sorella. Strinse la mano alla mia amica e si presentò con un educato: “Piacere, io sono Anastasia.”

Non avevamo nessuna idea che Riccardo si occupasse di due sorelline piccole, anzi, a dire la verità eravamo convinte che fosse figlio unico. Ma forse ci avrebbe spiegato anche quello, prima o poi. Con un altro sorriso mandò le bambine in camera loro, perché ‘i grandi’ dovevano parlare; loro obbedirono senza protestare, ci salutarono sorridendo e si eclissarono nella loro cameretta. Che invidia, pensai: mia sorella non mi avrebbe mai obbedito in quel modo.

Ad ogni modo, Riccardo fece gli onori di casa: ci fece accomodare in cucina, visto che il salotto era invaso dai giocattoli delle sue sorelline, e dopo averci chiesto se volevamo bere o mangiare qualcosa – deformazione professionale, immagino! – si sedette di fronte a me e incrociò le braccia sul tavolo.

“Allora... Vediamo da dove posso iniziare.”

Mi portai il bicchiere di the alla pesca alle labbra, bevendone un sorso giusto per fare qualcosa in attesa che iniziasse a raccontare. Poi, quando lo fece, mi dimenticai di qualsiasi altra cosa che non fosse quello che sgorgava, a fiotti, dalle sue labbra.

 

“Ho conosciuto Enrico quando entrambi avevamo diciassette anni. Mi ero appena trasferito, prima abitavo in un’altra città, e quando arrivai qui ero completamente da solo. Anastasia aveva solo quattro anni e mia madre era incinta di Francesca, e avevamo deciso di traslocare subito dopo il divorzio. Ero praticamente io l’uomo di casa, e il dover occuparmi di mia madre e mia sorella mi impedì per un bel po’ di rifarmi una vita, o almeno di conoscere gente. Questo fu così fino a quando non mi iscrissi a scuola, per finire la quinta. Nei primi tempi ero piuttosto indifferente per quanto riguardava i miei compagni di classe, e per i primi due mesi di scuola non legai con nessuno in particolare. Poi però, un giorno questa situazione cambiò.

“Il mio atteggiamento riservato non era per niente piaciuto ad un gruppetto di ragazzi delle professionali, che mi conoscevano per sentito dire visto che una mia compagna di classe era l’ex di uno di loro, e a quanto pare si stava interessando a me. Questo ovviamente non fece una buona impressione su di loro: potete immaginarvi, un ragazzo nuovo che viene da fuori e già crede di poter rubare la donna ai ragazzi del paese! Naturalmente, non aveva nessuna importanza che io non fossi interessato a lei, visto che avevo troppe cose per la testa per poter anche solo pensare di iniziare una storia con qualcuno: anche questo non piacque. Chi mi credevo di essere per rifiutare le attenzioni di una loro ex ragazza? Credo che abbiate già sentito parlare di queste stronzate dell’onore e cose così. Beh, alla fine trovarono un pretesto per ‘farmela pagare’.

“Mi avevano aspettato al rientro da scuola, un pomeriggio, vicino a casa mia. Erano una decina, con i cappellini calati sugli occhi e le mani in tasca, cercando di mantenere un aspetto disinvolto anche se si capiva lontano un miglio il perché di quell’appostamento. Erano poggiati ad entrambi i muri della strada: avete visto com’è fatta questa via, è abbastanza stretta da non lasciare scampo a nessuno. Così, per tornare a casa avrei dovuto passare proprio in mezzo a loro. Cambiare strada era fuori discussione, primo perché ero ancora nuovo del posto e non conoscevo tutte le varie scorciatoie, e secondo perché ormai loro mi avevano visto. Perciò, mentre imboccavo la strada, a piedi – se allora avessi avuto la macchina forse sarebbe stato diverso, e certe cose non sarebbero successe... Ma ora è inutile pensarci – iniziai a prepararmi per la difesa.

“Avevo già individuato i meno pericolosi, che avevo deciso di lasciare per ultimi. Purtroppo, l’unico vantaggio che avevo dalla mia parte era l’altezza e la prontezza di riflessi, visto che quando abitavo nell’altra città avevo seguito per sei anni dei corsi di arti marziali. Ovviamente, questo era quello di cui cercavo di autoconvicermi, visto che ero solo un bambino quando seguivo quei corsi, ed era da un bel pezzo che avevo smesso di praticarlo: inoltre, se in quel momento avessi ammesso a me stesso di non poter competere con quella specie di branco di scimmioni, avrei fatto prima a rimanere immobile in attesa che finissero di ‘sistemarmi’. Mi avevano circondato. Non voglio né annoiarvi e né impressionarvi con in dettagli di quel combattimento, basta che sappiate che, quando tornai zoppicante a casa, mia madre stentò quasi a riconoscermi.

“Rimasi a casa solo un paio di giorni, e tornai a scuola benché non fossi del tutto guarito. Ero in quinta e per giunta in una scuola nuova, quindi non potevo permettermi di perdere molte lezioni. L’occhio nero, però, non riuscii a nasconderlo, e nemmeno il passo leggermente claudicante. Fu per questo che, alla ricreazione, mi si avvicinò proprio l’ultima persona da cui potevo aspettarmi un minimo segno di interesse. Enrico.

“Come ho già detto, ero nuovo, e ancora non sapevo chi era meglio frequentare e chi evitare per poter vivere tranquilli. Enrico in fondo era come me: studiava, era tra i primi della classe, ed era uno di quelli che facevano impazzire le ragazze. Ovviamente, il fatto che nessuna di loro gli si avvicinasse, preferendo girargli alla larga, e lo strano rispetto che gli mostravano i professori non mi aveva dato da pensare, all’inizio; ripeto, a me bastavano i miei, di problemi.

“Comunque, quel giorno mi si avvicinò, alla ricreazione, poggiandosi con le spalle contro la finestra e le braccia incrociate, voltandosi poi verso di me e studiandomi seriamente.

“’Presumo... Tu sia caduto dalle scale.’ Disse, solo. Non era una domanda, ma sapevo benissimo che cosa mi stava chiedendo. L’unica cosa che non capivo era il perché lo stesse facendo.

“Scrollai le spalle, evitando di guardarlo. ‘Avrei dovuto stare attento.’ Replicai.

“Mi accorsi che annuiva, lentamente. In quel momento mi era sembrato molto più adulto dei suoi diciassette anni, ma non ci feci caso. Rimasi ancora più sorpreso da quello che mi disse dopo.

“’Mi piaci, Riccardo. Si,’ annuì ancora, mentre sollevavo lo sguardo per fissarlo. ‘Mi piaci.’

Dopodiché tacque, rimanendo in silenzio fino alla fine dell’intervallo. Durante le lezioni successive lo osservai attentamente, cercando di non perdermi neppure un suo gesto; notai che aveva un’espressione assorta, distratta, sicuramente si trovava altrove, in quel momento, come dimostrò il suo sussultare, stupito, al suono della campana. Non ebbi il tempo di avvicinarmi a lui prima che se ne andasse, perché sparì in mezzo alla folla di studenti prima che me ne accorgessi. Non sapevo che, dal momento in cui aveva parlato con me, aveva già iniziato a programmare un piano per dare una lezione a coloro che mi avevano fatto ‘cadere dalle scale’: quello, lo scoprii solo in seguito.

“Ricordo che il giorno dopo, appena entrato in classe, la prima cosa che feci fu controllare se Enrico fosse presente: lui c’era, naturalmente, non mancava quasi mai. Ma ciò che attirò la mia attenzione furono i lividi che aveva sulle mani e i vari graffi sulle nocche, per non parlare di un brutto taglio al labbro superiore che sembrava incredibilmente recente. Mi avvicinai a lui, raggiungendolo con fare circospetto accanto alla finestra. Lo imitai e mi affacciai, osservando fuori.

“’Anche tu caduto dalle scale?’ Non riuscii a trattenermi dal chiederglielo.

“Lo sentii ridere piano, a bassa voce. ‘Si,’ rispose, passandosi una mano sul viso. Poi si voltò verso di me. ‘E puoi stare tranquillo che tu non ci cadrai più.’

“Istintivamente gli porsi la mano, intuendo subito quello che doveva essere successo. Lui mi fissò per un po’, come se fosse indeciso sul da farsi, ma alla fine sorrise e mi afferrò la mano, stringendola a sua volta.

“’Stasera devo uscire con i miei amici. Hai voglia di venire?’ Mi chiese, senza lasciare la presa sulla mia mano. Io non ci vidi nulla di male ed annuii, sorridendo. ‘Okay,’ continuò lui, ricambiandomi il sorriso. ‘Perfetto.’

“Fu allora che tutto, come si suol dire, ebbe inizio.

“Quella notte fu la prima volta che uscimmo insieme: Enrico aveva una S 1000 RR, a quanto aveva detto lui era un regalo di compleanno, e con quella venne a prendermi a casa per andare a farci un giro al mare. Mi aveva detto che gli altri suoi amici lo aspettavano lì. Quando arrivammo a Maladroxia, però, Enrico non proseguì verso la spiaggia, fermandosi invece davanti ad una delle villette costruite vicino al ristorante. Entrò come se fosse a casa sua – benché prima mi avesse detto che la casa apparteneva ad un suo amico, Stefano – e, sceso dalla moto, mi fece strada fino all’ingresso. Entrare in quella casa fu il primo passo della mia iniziazione.

“I suoi amici ci stavano aspettando in soggiorno. Enrico conosceva quella casa come se fosse stata sua, anzi, si comportava come se ne fosse stato il padrone. Allora comunque la cosa non mi stupì più di tanto: eravamo dei ragazzini, comportarci così faceva parte della normalità. Questo, però, lo pensai solo fino a quando non conobbi gli altri.

“Nel soggiorno, discutendo animatamente tra di loro, c’erano cinque ragazzi: un paio mi sembrava di averli già visti, al liceo, mentre gli altri erano completamente sconosciuti. Enrico fece le presentazioni: strinsi la mano di Stefano, Lorenzo, Francesco, Alberto e Davide.

“’Lui è Riccardo,’ mi presentò. ‘È il nostro settimo uomo.’

“Gli altri annuirono seriamente, come se avesse detto chissà che cosa. Decisi di non dare a quelle parole più peso di ciò che erano, così mi sedetti con Enrico nell’unico divano vuoto. Il mio nuovo amico prese un paio delle birre che giacevano sul tavolo, porgendone una anche a me e invitandomi ad un brindisi silenzioso. Dopodiché iniziò a parlare.

“’Adesso, finalmente, siamo al completo. Voi conoscete le mie regole,’ disse, rivolgendosi agli altri cinque ragazzi, ‘ed è ora che le sappia anche Riccardo.’ Bevve un altro sorso di birra, poi si rivolse completamente a me.

“’Noi ci occupiamo del commercio di droghe. Non interrompermi!’ Alzò bruscamente la voce quando feci per ribattere, stupito e piuttosto contrariato. Tacqui e lasciai che proseguisse, benché non fossi del tutto contento della piega che aveva assunto la conversazione. ‘Ci limitiamo a venderle, né più e né meno di un qualsiasi commerciante: ed è qui che entrano le prime regole. Non devi farne uso per nessuna ragione, non me ne frega un cazzo se la tua ragazza ti ha lasciato o se hai voglia di passare una serata diversa: se scopro che ne fai uso ti assicuro che quello che ti hanno fatto quel gruppetto di ragazzini ti sembrerà niente al confronto. Noi facciamo affari con i drogati, ma non siamo come loro. Non voglio tossicodipendenti nel mio gruppo, ho bisogno di gente sveglia che rimanga lucida mentre trattiamo gli affari. Perché è solo di questo che si tratta, bada bene: affari. Non c’è niente di personale, non lo facciamo per noia o per dispetto, ma solo per affari. Neanche te lo immagini quanto riusciamo a guadagnare in una sola settimana, ma sinceramente spero che non tarderai a scoprirlo da solo.

“’C’è un’altra cosa: generalmente partecipo anch’io alle vendite, ma adesso che ci sei anche tu, Riccardo, non c’è più ragione che lo faccia. Vi dividerete in tre zone, mentre io mi occuperò di contrattare con quelli che ci passano la roba: ovviamente non sarò da solo, mio padre mi presta alcuni dei suoi uomini per guardarmi le spalle, quando non posso contare su di voi.

“’Ah, e naturalmente bisogna occuparsi di coprire Riccardo. Alberto, prendi la valigia.’ Disse, in modo forse troppo autoritario, riferendosi al ragazzo che fumava una sigaretta mollemente sdraiato sulla poltrona. Ormai non riuscivo a formulare neppure un pensiero coerente: ero troppo sconvolto da quello che aveva detto Enrico, ed inoltre non riconoscevo più il ragazzo che vedevo tutti i giorni a scuola. Accidenti, il nuovo Enrico mi faceva paura, eppure rimasi e lo ascoltai fino alla fine!

“Quando Alberto tornò in soggiorno con la valigia, la porse ad Enrico e tornò a sedersi sulla sua poltrona, accendendosi con un’invidiabile disinvoltura un’altra sigaretta. Non appena sentii il click della valigetta scattai, voltandomi nuovamente verso Enrico ed osservando tra l’inorridito e l’affascinato il suo contenuto. Nella fodera nera della valigia faceva bella mostra di sé una pistola, con tanto di fondina ascellare e di munizioni.

“’Questa è una Browning Hi-Power, una semiautomatica calibro 9 millimetri: è piuttosto leggera e si adatta perfettamente al nostro lavoro, visto che ha una gittata massima di cinquanta metri e in canna ha tredici colpi.’ Iniziò ad illustrare le funzionalità dell’arma con una sicurezza spaventosa, il che indicava che se ne intendesse parecchio. Io riuscivo solo ad ascoltare, affascinato. ‘Per l’uso che ne facciamo noi è perfetta, visto che serve solo per le situazioni di estremo pericolo. Giusto per non farti strane idee, noi non andiamo in giro a sparare la gente. Questo è lavoro che spetta ad altri.’ Lorenzo e Alberto risero piano come per una battuta che a me sfuggiva, ma bastò un’occhiata di Enrico per farli tacere di colpo.

“Poi si voltò nuovamente verso di me. ‘Sai sparare, Riccardo?’ Chiese, senza traccia di scherno nella voce. Voleva semplicemente una risposta sincera.

“Perciò scossi la testa. ‘No,’ dissi. ‘Non so neppure impugnarla, se è per questo.’ Aggiunsi, indicando la pistola. Non so come mai ero diventato così calmo.

“Enrico annuì, serio. ’Lo immaginavo. Bene, non preoccuparti: avrai modo di imparare. Ma sappi che non ti permetterò di andare in giro disarmato. È un lusso che nessuno di noi può più permettersi.’”

 

Riccardo interruppe bruscamente il racconto, prendendosi la testa tra le mani e trattenendo a stento il tremito di rabbia a lungo repressa che gli percorreva tutta la superficie del corpo. Era chiaro che quei ricordi avevano la capacità di distruggere tutto il suo autocontrollo, e mi dispiacque davvero di essere in parte io la causa del suo malessere. Ma avevo bisogno che continuasse a raccontare, io dovevo sapere, volevo sapere! Volevo sapere che razza di individuo fosse Enrico, dovevo sapere la verità su di lui, in modo da potermi comportare di conseguenza! Non mi sarei più potuta accontentare di ciò che si andava raccontando di lui e della sua famiglia in paese: Riccardo conosceva cose di cui nessun’altro avrebbe mai potuto sospettare l’esistenza, perciò volevo che terminasse il suo racconto.

“Riccardo, per favore.” Mormorai, cercando di attirare la sua attenzione. “Non interromperti proprio adesso... Ho bisogno di sapere anche il resto.”

Lui sollevò la testa, osservandomi a lungo seppur senza vedermi: sembrava che il suo sguardo fosse perso lontano, in un passato che aveva cercato di dimenticare ma che adesso, per colpa mia, era costretto a riportare alla luce.

“Ti prego.” Insistei, guardandolo supplicante.

Finalmente sembrò tornare nel presente, sbatté più volte le palpebre e si passò una mano tra i capelli con un gesto incredibile di insofferenza. Annuì, alzandosi per andare a prendere una bottiglia di birra fredda dal frigorifero, dopodiché tornò a sedersi a tavola: sembrava aver recuperato la forza di volontà necessaria per continuare la sua storia. Bevve un lungo sorso di birra, dopodiché posò la bottiglia sul tavolo e mi guardò attentamente.

“Molto bene.” Mormorò a sua volta, annuendo gravemente. “Dove eravamo rimasti?”

 

 

 

 








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Note dell'Autrice:
Primo spazio riservato alle mie note ^^ Allora, premesso che io non mi intendo molto di armi e motori, non credo di essere riuscita a descrivere bene nè la pistola di Riccardo e nè la moto di Enrico... Limitandomi a dirne il nome! Comunque, per facilitarvi la comprensione, ecco qui:

S 1000 RR
Browning HI-Power

Spero che il concetto sia arrivato!! :) Un bacio al prossimo capitolo!!


   
 
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