Eccomi di nuovo! Questa
volta ho fatto più in fretta :p
Non mi trattengo molto, vorrei solo ringraziare tutte coloro che
hanno trovato il tempo di recensirmi e di leggere il mio nuovo
capitolo, non credevo che lo steste aspettando così tanto!
Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo :) Buona lettura!
Un bacio, a presto! smack =*
Capitolo XI
Ultimamente ero stata nella casa di
troppi ragazzi.
Okay, nel primo caso si trattava di un
amico e non potevo farne a
meno, e nel secondo ero stata rapita e neppure quella volta era dipesa
molto
dalla mia volontà... Ma forse la terza avrei potuto
evitarla. Non tanto per il
fatto che fosse un ragazzo, quanto per quello che avrebbe significato.
Riccardo
aveva deciso di raccontarci tutto, o meglio, avrebbe voluto raccontarlo
solo a
me: voleva tenere Alessandra fuori da questa storia, e io non potevo
certo
dargli torto. Ma d’altra parte, io per prima sarei corsa a
raccontarle tutto,
quindi tanto valeva che lo parlasse direttamente di fronte a tutte e
due. Avevo
la sensazione che il nostro amico provasse un certo interesse nei
confronti
della mia amica, e malgrado la situazione piuttosto confusa nella quale
mi trovavo,
non potevo che essere felice per lei.
Ma torniamo a Riccardo.
Anche se la mia gemellina gli correva
dietro da tempo
immemorabile, non sapevamo quasi nulla di lui, di quello che faceva al
di là
del suo lavoro da Agnese. Era sempre stato molto riservato e restio a
chiacchierare con le altre persone per quanto riguardava la sua vita
privata,
perciò anche lui era un bel mistero, quasi quanto Enrico.
Perciò, quando
arrivammo a casa sua – nel frattempo, io avevo già
provveduto ad avvisare mia
madre del fatto che non sarei rientrata a pranzo a casa, ovviamente
dovetti
usare il telefono di Alessandra perché il mio era rimasto a
casa di Enrico, e
fui un po’ delusa per il fatto che nessuno si fosse
preoccupato per me;
comunque, meglio così – quando arrivammo a casa
sua sia io che la mia amica
fummo piuttosto sorprese di trovare due bambine piccole corrergli
incontro, ed
abbracciarlo tanto da soffocarlo.
“Ale, Giulia... Vi presento
le mie sorelline,” ci spiegò poi, con
un sorriso tanto affettuoso che fece arrossire la mia amica. Non capii
il
perché, ma lasciai stare.
“Piacere,” dissi
io, cercando di stemperare quella strana
atmosfera. Mancavo un giorno e già crollava il mondo?
Cavoli!
La più piccola, una bambina
di circa sei o sette anni con i
boccoli biondi e gli occhi castani, si avvicinò a me e mi
diede la mano,
stringendo la mia e annunciando: “Io sono
Francesca!”
La più grande, forse aveva
dieci o undici anni, aveva i capelli
neri e gli occhi chiari, sul grigio, e non somigliava per niente
né al fratello
né alla sorella. Strinse la mano alla mia amica e si
presentò con un educato:
“Piacere, io sono Anastasia.”
Non avevamo nessuna idea che Riccardo
si occupasse di due
sorelline piccole, anzi, a dire la verità eravamo convinte
che fosse figlio
unico. Ma forse ci avrebbe spiegato anche quello, prima o poi. Con un
altro
sorriso mandò le bambine in camera loro, perché
‘i grandi’ dovevano parlare;
loro obbedirono senza protestare, ci salutarono sorridendo e si
eclissarono
nella loro cameretta. Che invidia, pensai: mia sorella non mi avrebbe mai
obbedito in quel modo.
Ad ogni modo, Riccardo fece gli onori
di casa: ci fece accomodare
in cucina, visto che il salotto era invaso dai giocattoli delle sue
sorelline,
e dopo averci chiesto se volevamo bere o mangiare qualcosa –
deformazione
professionale, immagino! – si sedette di fronte a me e
incrociò le braccia sul
tavolo.
“Allora... Vediamo da dove
posso iniziare.”
Mi portai il bicchiere di the alla
pesca alle labbra, bevendone un
sorso giusto per fare qualcosa in attesa che iniziasse a raccontare.
Poi,
quando lo fece, mi dimenticai di qualsiasi altra cosa che non fosse
quello che
sgorgava, a fiotti, dalle sue labbra.
“Ho conosciuto Enrico quando
entrambi avevamo diciassette anni. Mi
ero appena trasferito, prima abitavo in un’altra
città, e quando arrivai qui
ero completamente da solo. Anastasia aveva solo quattro anni e mia
madre era
incinta di Francesca, e avevamo deciso di traslocare subito dopo il
divorzio.
Ero praticamente io l’uomo di casa, e il dover occuparmi di
mia madre e mia
sorella mi impedì per un bel po’ di rifarmi una
vita, o almeno di conoscere
gente. Questo fu così fino a quando non mi iscrissi a
scuola, per finire la
quinta. Nei primi tempi ero piuttosto indifferente per quanto
riguardava i miei
compagni di classe, e per i primi due mesi di scuola non legai con
nessuno in
particolare. Poi però, un giorno questa situazione
cambiò.
“Il mio atteggiamento
riservato non era per niente piaciuto ad un
gruppetto di ragazzi delle professionali, che mi conoscevano per
sentito dire
visto che una mia compagna di classe era l’ex di uno di loro,
e a quanto pare
si stava interessando a me. Questo ovviamente non fece una buona
impressione su
di loro: potete immaginarvi, un ragazzo nuovo che viene da fuori e
già crede di
poter rubare la donna ai ragazzi del paese! Naturalmente, non aveva
nessuna
importanza che io non fossi interessato a lei, visto che avevo troppe
cose per
la testa per poter anche solo pensare di iniziare una storia con
qualcuno:
anche questo non piacque. Chi mi credevo di essere per rifiutare le
attenzioni
di una loro ex ragazza? Credo che abbiate già sentito
parlare di queste
stronzate dell’onore e cose così. Beh, alla fine
trovarono un pretesto per
‘farmela pagare’.
“Mi avevano aspettato al
rientro da scuola, un pomeriggio, vicino
a casa mia. Erano una decina, con i cappellini calati sugli occhi e le
mani in
tasca, cercando di mantenere un aspetto disinvolto anche se si capiva
lontano
un miglio il perché di quell’appostamento. Erano
poggiati ad entrambi i muri della
strada: avete visto com’è fatta questa via,
è abbastanza stretta da non
lasciare scampo a nessuno. Così, per tornare a casa avrei
dovuto passare
proprio in mezzo a loro. Cambiare strada era fuori discussione, primo
perché
ero ancora nuovo del posto e non conoscevo tutte le varie scorciatoie,
e
secondo perché ormai loro mi avevano visto.
Perciò, mentre imboccavo la strada,
a piedi – se allora avessi avuto la macchina forse sarebbe
stato diverso, e
certe cose non sarebbero successe... Ma ora è inutile
pensarci – iniziai a
prepararmi per la difesa.
“Avevo già
individuato i meno pericolosi, che avevo deciso di
lasciare per ultimi. Purtroppo, l’unico vantaggio che avevo
dalla mia parte era
l’altezza e la prontezza di riflessi, visto che quando
abitavo nell’altra città
avevo seguito per sei anni dei corsi di arti marziali. Ovviamente,
questo era
quello di cui cercavo di autoconvicermi, visto che ero solo un bambino
quando
seguivo quei corsi, ed era da un bel pezzo che avevo smesso di
praticarlo:
inoltre, se in quel momento avessi ammesso a me stesso di non poter
competere
con quella specie di branco di scimmioni, avrei fatto prima a rimanere
immobile
in attesa che finissero di ‘sistemarmi’. Mi avevano
circondato. Non voglio né
annoiarvi e né impressionarvi con in dettagli di quel
combattimento, basta che
sappiate che, quando tornai zoppicante a casa, mia madre
stentò quasi a
riconoscermi.
“Rimasi a casa solo un paio
di giorni, e tornai a scuola benché
non fossi del tutto guarito. Ero in quinta e per giunta in una scuola
nuova,
quindi non potevo permettermi di perdere molte lezioni.
L’occhio nero, però,
non riuscii a nasconderlo, e nemmeno il passo leggermente claudicante.
Fu per
questo che, alla ricreazione, mi si avvicinò proprio
l’ultima persona da cui
potevo aspettarmi un minimo segno di interesse. Enrico.
“Come ho già
detto, ero nuovo, e ancora non sapevo chi era meglio
frequentare e chi evitare per poter vivere tranquilli. Enrico in fondo
era come
me: studiava, era tra i primi della classe, ed era uno di quelli che
facevano
impazzire le ragazze. Ovviamente, il fatto che nessuna di loro gli si
avvicinasse, preferendo girargli alla larga, e lo strano rispetto che
gli
mostravano i professori non mi aveva dato da pensare,
all’inizio; ripeto, a me
bastavano i miei, di problemi.
“Comunque, quel giorno mi si
avvicinò, alla ricreazione,
poggiandosi con le spalle contro la finestra e le braccia incrociate,
voltandosi poi verso di me e studiandomi seriamente.
“’Presumo... Tu
sia caduto dalle scale.’ Disse, solo. Non era una
domanda, ma sapevo benissimo che cosa mi stava chiedendo.
L’unica cosa che non
capivo era il perché lo stesse facendo.
“Scrollai le spalle,
evitando di guardarlo. ‘Avrei dovuto stare
attento.’ Replicai.
“Mi accorsi che annuiva,
lentamente. In quel momento mi era
sembrato molto più adulto dei suoi diciassette anni, ma non
ci feci caso.
Rimasi ancora più sorpreso da quello che mi disse dopo.
“’Mi piaci,
Riccardo. Si,’ annuì ancora, mentre sollevavo lo
sguardo per fissarlo. ‘Mi piaci.’
Dopodiché tacque, rimanendo
in silenzio fino alla fine
dell’intervallo. Durante le lezioni successive lo osservai
attentamente,
cercando di non perdermi neppure un suo gesto; notai che aveva
un’espressione
assorta, distratta, sicuramente si trovava altrove, in quel momento,
come
dimostrò il suo sussultare, stupito, al suono della campana.
Non ebbi il tempo
di avvicinarmi a lui prima che se ne andasse, perché
sparì in mezzo alla folla
di studenti prima che me ne accorgessi. Non sapevo che, dal momento in
cui
aveva parlato con me, aveva già iniziato a programmare un
piano per dare una
lezione a coloro che mi avevano fatto ‘cadere dalle
scale’: quello, lo scoprii
solo in seguito.
“Ricordo che il giorno dopo,
appena entrato in classe, la prima
cosa che feci fu controllare se Enrico fosse presente: lui
c’era, naturalmente,
non mancava quasi mai. Ma ciò che attirò la mia
attenzione furono i lividi che
aveva sulle mani e i vari graffi sulle nocche, per non parlare di un
brutto
taglio al labbro superiore che sembrava incredibilmente recente. Mi
avvicinai a
lui, raggiungendolo con fare circospetto accanto alla finestra. Lo
imitai e mi
affacciai, osservando fuori.
“’Anche tu caduto
dalle scale?’ Non riuscii a trattenermi dal
chiederglielo.
“Lo sentii ridere piano, a
bassa voce. ‘Si,’ rispose, passandosi
una mano sul viso. Poi si voltò verso di me. ‘E
puoi stare tranquillo che tu
non ci cadrai più.’
“Istintivamente gli porsi la
mano, intuendo subito quello che
doveva essere successo. Lui mi fissò per un po’,
come se fosse indeciso sul da
farsi, ma alla fine sorrise e mi afferrò la mano,
stringendola a sua volta.
“’Stasera devo
uscire con i miei amici. Hai voglia di venire?’ Mi
chiese, senza lasciare la presa sulla mia mano. Io non ci vidi nulla di
male ed
annuii, sorridendo. ‘Okay,’ continuò
lui, ricambiandomi il sorriso. ‘Perfetto.’
“Fu allora che tutto, come
si suol dire, ebbe inizio.
“Quella notte fu la prima
volta che uscimmo insieme: Enrico aveva
una S 1000 RR, a quanto aveva detto lui era un regalo di compleanno, e
con
quella venne a prendermi a casa per andare a farci un giro al mare. Mi
aveva
detto che gli altri suoi amici lo aspettavano lì. Quando
arrivammo a
Maladroxia, però, Enrico non proseguì verso la
spiaggia, fermandosi invece
davanti ad una delle villette costruite vicino al ristorante.
Entrò come se
fosse a casa sua – benché prima mi avesse detto
che la casa apparteneva ad un
suo amico, Stefano – e, sceso dalla moto, mi fece strada fino
all’ingresso.
Entrare in quella casa fu il primo passo della mia iniziazione.
“I suoi amici ci stavano
aspettando in soggiorno. Enrico conosceva
quella casa come se fosse stata sua, anzi, si comportava come se ne
fosse stato
il padrone. Allora comunque la cosa non mi stupì
più di tanto: eravamo dei
ragazzini, comportarci così faceva parte della
normalità. Questo, però, lo
pensai solo fino a quando non conobbi gli altri.
“Nel soggiorno, discutendo
animatamente tra di loro, c’erano
cinque ragazzi: un paio mi sembrava di averli già visti, al
liceo, mentre gli
altri erano completamente sconosciuti. Enrico fece le presentazioni:
strinsi la
mano di Stefano, Lorenzo, Francesco, Alberto e Davide.
“’Lui è
Riccardo,’ mi presentò. ‘È il
nostro settimo uomo.’
“Gli altri annuirono
seriamente, come se avesse detto chissà che
cosa. Decisi di non dare a quelle parole più peso di
ciò che erano, così mi
sedetti con Enrico nell’unico divano vuoto. Il mio nuovo
amico prese un paio
delle birre che giacevano sul tavolo, porgendone una anche a me e
invitandomi
ad un brindisi silenzioso. Dopodiché iniziò a
parlare.
“’Adesso,
finalmente, siamo al completo. Voi conoscete le mie
regole,’ disse, rivolgendosi agli altri cinque ragazzi,
‘ed è ora che le sappia
anche Riccardo.’ Bevve un altro sorso di birra, poi si
rivolse completamente a
me.
“’Noi ci occupiamo
del commercio di droghe. Non interrompermi!’
Alzò bruscamente la voce quando feci per ribattere, stupito
e piuttosto
contrariato. Tacqui e lasciai che proseguisse, benché non
fossi del tutto
contento della piega che aveva assunto la conversazione. ‘Ci
limitiamo a
venderle, né più e né meno di un
qualsiasi commerciante: ed è qui che entrano
le prime regole. Non devi farne uso per nessuna ragione, non me ne
frega un
cazzo se la tua ragazza ti ha lasciato o se hai voglia di passare una
serata
diversa: se scopro che ne fai uso ti assicuro che quello che ti hanno
fatto
quel gruppetto di ragazzini ti sembrerà niente al confronto.
Noi facciamo
affari con i drogati, ma non siamo come loro. Non voglio
tossicodipendenti nel
mio gruppo, ho bisogno di gente sveglia che rimanga lucida mentre
trattiamo gli
affari. Perché è solo di questo che si tratta,
bada bene: affari. Non c’è
niente di personale, non lo facciamo per noia o per dispetto, ma solo
per affari.
Neanche te lo immagini quanto riusciamo a guadagnare in una sola
settimana, ma
sinceramente spero che non tarderai a scoprirlo da solo.
“’C’è
un’altra cosa: generalmente partecipo anch’io alle
vendite,
ma adesso che ci sei anche tu, Riccardo, non c’è
più ragione che lo faccia. Vi
dividerete in tre zone, mentre io mi occuperò di contrattare
con quelli che ci
passano la roba: ovviamente non sarò da solo, mio padre mi
presta alcuni dei
suoi uomini per guardarmi le spalle, quando non posso contare su di voi.
“’Ah, e
naturalmente bisogna occuparsi di coprire Riccardo.
Alberto, prendi la valigia.’ Disse, in modo forse troppo
autoritario,
riferendosi al ragazzo che fumava una sigaretta mollemente sdraiato
sulla
poltrona. Ormai non riuscivo a formulare neppure un pensiero coerente:
ero
troppo sconvolto da quello che aveva detto Enrico, ed inoltre non
riconoscevo
più il ragazzo che vedevo tutti i giorni a scuola.
Accidenti, il nuovo Enrico
mi faceva paura, eppure rimasi e lo ascoltai fino alla fine!
“Quando Alberto
tornò in soggiorno con la valigia, la porse ad
Enrico e tornò a sedersi sulla sua poltrona, accendendosi
con un’invidiabile
disinvoltura un’altra sigaretta. Non appena sentii il click
della valigetta
scattai, voltandomi nuovamente verso Enrico ed osservando tra
l’inorridito e
l’affascinato il suo contenuto. Nella fodera nera della
valigia faceva bella
mostra di sé una pistola, con tanto di fondina ascellare e
di munizioni.
“’Questa
è una Browning Hi-Power, una semiautomatica calibro 9
millimetri: è piuttosto leggera e si adatta perfettamente al
nostro lavoro,
visto che ha una gittata massima di cinquanta metri e in canna ha
tredici
colpi.’ Iniziò ad illustrare le
funzionalità dell’arma con una sicurezza
spaventosa, il che indicava che se ne intendesse parecchio. Io riuscivo
solo ad
ascoltare, affascinato. ‘Per l’uso che ne facciamo
noi è perfetta, visto che
serve solo per le situazioni di estremo pericolo. Giusto per non farti
strane
idee, noi non andiamo in giro a sparare la gente. Questo è
lavoro che spetta ad
altri.’ Lorenzo e Alberto risero piano come per una battuta
che a me sfuggiva, ma
bastò un’occhiata di Enrico per farli tacere di
colpo.
“Poi si voltò
nuovamente verso di me. ‘Sai sparare, Riccardo?’
Chiese, senza traccia di scherno nella voce. Voleva semplicemente una
risposta
sincera.
“Perciò scossi la
testa. ‘No,’ dissi. ‘Non so neppure
impugnarla,
se è per questo.’ Aggiunsi, indicando la pistola.
Non so come mai ero diventato
così calmo.
“Enrico annuì,
serio. ’Lo immaginavo. Bene, non preoccuparti:
avrai modo di imparare. Ma sappi che non ti permetterò di
andare in giro
disarmato. È un lusso che nessuno di noi può
più permettersi.’”
Riccardo interruppe bruscamente il
racconto, prendendosi la testa
tra le mani e trattenendo a stento il tremito di rabbia a lungo
repressa che
gli percorreva tutta la superficie del corpo. Era chiaro che quei
ricordi
avevano la capacità di distruggere tutto il suo
autocontrollo, e mi dispiacque
davvero di essere in parte io la causa del suo malessere. Ma avevo
bisogno che
continuasse a raccontare, io dovevo sapere, volevo
sapere! Volevo sapere
che razza di individuo fosse Enrico, dovevo sapere la verità
su di lui, in modo
da potermi comportare di conseguenza! Non mi sarei più
potuta accontentare di
ciò che si andava raccontando di lui e della sua famiglia in
paese: Riccardo
conosceva cose di cui nessun’altro avrebbe mai potuto
sospettare l’esistenza,
perciò volevo che terminasse il suo racconto.
“Riccardo, per
favore.” Mormorai, cercando di attirare la sua
attenzione. “Non interromperti proprio adesso... Ho bisogno
di sapere anche il
resto.”
Lui sollevò la testa,
osservandomi a lungo seppur senza vedermi:
sembrava che il suo sguardo fosse perso lontano, in un passato che
aveva
cercato di dimenticare ma che adesso, per colpa mia, era costretto a
riportare
alla luce.
“Ti prego.”
Insistei, guardandolo supplicante.
Finalmente sembrò tornare
nel presente, sbatté più volte le
palpebre e si passò una mano tra i capelli con un gesto
incredibile di
insofferenza. Annuì, alzandosi per andare a prendere una
bottiglia di birra
fredda dal frigorifero, dopodiché tornò a sedersi
a tavola: sembrava aver
recuperato la forza di volontà necessaria per continuare la
sua storia. Bevve
un lungo sorso di birra, dopodiché posò la
bottiglia sul tavolo e mi guardò
attentamente.
“Molto bene.”
Mormorò a sua volta, annuendo gravemente. “Dove
eravamo rimasti?”
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Note dell'Autrice:
Primo spazio riservato alle mie note ^^ Allora, premesso che io non mi intendo molto di armi e motori, non credo di essere riuscita a descrivere bene nè la pistola di Riccardo e nè la moto di Enrico... Limitandomi a dirne il nome! Comunque, per facilitarvi la comprensione, ecco qui:
S 1000 RR
Browning HI-Power
Spero che il concetto sia arrivato!! :) Un bacio al prossimo capitolo!!