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Autore: Master Chopper    05/07/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 26: I Have Swallowed That Hope

Ladies and gentlemen… per quanto Guy Fawkes non sia ancora riuscito ad infliggere il suo primo colpo, è sopravvissuto all’attacco di Fenrir ed è riuscito a spezzare Lœðingr! Nessuno si sarebbe mai aspettato niente di simile!”

Fermento ed eccitazione imperversavano nell’aria, perché ora l’esito dello scontro era diventato incerto e tumultuoso come un cielo ricoperto di nuvole.

Sulla landa arida del campo di battaglia non aleggiava più un filo di vento, come se la natura stessa si stesse piegando. E la fonte di quella pressione schiacciante che soffocava persino l’ambiente era proprio Fenrir.

Il Lupo del Ragnarok aveva reso il suo sguardo inarrivabile, coperto da una dimensione di buio perpetuo, mentre tutto attorno a lui il creato veniva scosso dalla tensione.

“Mi vuoi attaccare con tutta la tua forza, giusto?” Lo canzonò Guy Fawkes, raddrizzando la schiena e portandosi una mano al volto, per coprire parte della maschera.

Da quel momento in poi iniziò a muovere i suoi arti, le sue giunture ed articolazioni come se il suo intero corpo fosse diventato un fluido inquieto, come l’acqua di un ruscello. Una marionetta dai fili intrecciati, che ricadeva al suolo e si rialzava con l’impetuosità di un vortice, senza seguire alcuna regola o forma.

La danza è uno dei modi più liberi per il corpo e la mente di dimostrare la propria disciplina, l’autocontrollo, confidenza, ma anche devozione, lealtà e amore, sottoforma di flessibilità, tempismo e coordinazione.

Ballare è caos nell’ordine. E Guy Fawkes aveva preso a ballare seguendo una musica assai caotica: il ritmo dei suoi pensieri.

 

Pistole da guanto Sedgley, usate dalla Seconda Guerra Mondiale fino alla Guerra Fredda. Questo meccanismo, nascondibile in un guanto, permette di sparare un proiettile facendo contatto con un corpo che premerà il grilletto. Essendo un’arma utilizzata prevalentemente per gli assassinii, possiede un solo proiettile.

Affidandosi al suo amore per la modernità di cui aveva discusso proprio con Fenrir, Guy aveva scelto proprio quell’arma per stupire il pubblico nella sua esibizione. Lo scoppio che aveva rotto la catena aveva fatto sembrare il suo colpo simile al potere di Masutatsu Oyama, tuttavia si trattava di un’arma celata e alquanto inutile in qualsiasi altra situazione.

Però lo scopo delle arti ninja è proprio quello di indurre l’avversario a pensare che qualsiasi attacco sia qualcosa di assurdo ed incomprensibile, in modo da colpirlo in un modo ancor più insidioso e fuori dalla sua immaginazione.

“Però io non ti darò il tempo di contrattaccare!” Esclamò, balzando in avanti.

“Drómim!”

L’ira di Fenrir esplose, facendo librare un altro capo di catena, più grosso del precedente, in aria. Ma era troppo tardi, perché ormai Guy si era avvicinato fin troppo.

Come un enorme serpente che si schiantò sul terreno, il colpo cercò di schiacciare l’inglese, piegando la terra sotto il suo peso gigantesco. Tuttavia Guy si muoveva agilmente, piroettando tra gli attacchi come un pattinatore sul ghiaccio.

Quando infine fu arrivato a tiro, estrasse un coltello come quelli di prima, acquattandosi per terra per preparare un salto.

“Guy vuole riprovarci con un attacco di coltello?!” Strillarono gli annunciatori.

“Ma prima abbiamo visto che non possono nuocere Fenrir!” Gli umani erano ugualmente sconvolti: “È forse pazzo?!”

-Pazzo? No…- Rispose mentalmente Guy, affondando a sangue freddo la sua pugnalata verso il petto dell’avversario.

“Preferisco che mi si chiami genio visionario!”

“È un altro attacco che… spara. Dico bene?”  La voce di Fenrir spazzò via ogni pensiero ed ogni sua tensione, facendo tabula rasa e lasciando solo uno spazio bianco nella sua mente.

Guy, nonostante fosse partito alla carica con tanta foga, tentennò e si bloccò.

Si sentì come un piccolo granello di sabbia che si era scontrato contro una parete di ghiaccio. E quell’enorme iceberg che ora lo inglobava nella sua ombra non era nient’altro che Fenrir.

Troppo tardi si rese conto di come in realtà il Lupo avesse previsto ogni sua singola mossa, tuttavia non poteva più arrestare il suo corpo.

Premette un pulsante nascosto sul pugnale, e la lama si separò dal manico, espulsa per via della propulsione di una molla.

Un coltello balistico, per definizione, eietta la sua lama lungo una traiettoria balistica. Il vantaggio di quest’arma è senza dubbio l’imprevedibilità di quest’ultima funzione d’attacco, assieme alla potenza che supera notevolmente quella con la quale un qualsiasi braccio umano potrebbe lanciare un coltello.

In questo modo, il colpo di Guy si sarebbe rivelato più letale di tutti quei coltelli scagliati in precedenza per far abbassare la guardia al suo nemico. O almeno, questo sperava fin quando Fenrir non si era dimostrato meno incauto del previsto.

Lo aveva aspettato fino a quel momento.

La lama volante venne afferrata tra gli anelli della veloce catena Lœðingr, come se fosse stata la cosa più facile del mondo.

Ed ora che Guy si era slanciato in avanti, scoperto e disarmato, restava inerme di fronte al sopracitato minaccioso iceberg che incombeva su di lui. I capelli di Fenrir si rizzarono in aria per tutta la tensione rilasciata sottoforma di elettricità statica, mentre i suoi occhi finalmente si spalancavano alla luce del sole, in modo da riflettere la sua luce in quegli specchi di cristallo.

“Se prima non trovavo modo di attaccarti, né di difendermi… adesso mi sono ricordato…” La catena  Drómim si sollevò sopra la testa di Guy, come un braccio gigantesco pronto a calare a mo di ghigliottina.

“Mi sono ricordato perché uno come te non merita alcuna pietà!” Sentenziò il lupo, mostrando per la prima volta i suoi denti serrati in un ringhio ferale.

“Drómim!”

 

Un boato riecheggiò nell’arena, accompagnando il levarsi di uno schizzo di sangue.

“L-Ladies…” Balbettarono Adramelech e St.Peter, abbracciandosi tra loro per l’apprensione mista alla paura che suscitava quanto era appena successo “…and gentlemen!”

Uomini e dèi si affacciarono, sporgendosi il più in avanti possibile verso il campo di battaglia perché non credevano ai loro occhi, e pensarono di esser stati tratti in inganno.

Fu necessario un replay sui grandi schermi olografici per chiarire quanto fosse accaduto:

Nel momento stesso in cui Fenrir aveva inaugurato il suo attacco, Guy aveva mosso una minuscola parte del suo corpo in un istante di tempo appena percettibile. Si trattava del suo dito indice, il quale si era staccato dal manico del coltello per premere un altro punto, diverso dal bottone che aveva eiettato la lama.

In quel modo, dalla cavità nel manico era fuoriuscito un oggetto a grandissima velocità, più veloce della lama sparata dalla molla, e più veloce anche della catena di Fenrir. Un bossolo dorato, appuntito fino a risultare un’arma aerodinamica ed infallibile, specialmente a quella distanza.

Un proiettile.

Si trattava dunque di un coltello balistico con anche un meccanismo da pistola incorporata, esattamente come le pistole da guanto: un NRS-2 Scout Firing Knife. Tutto ciò era andato oltre le previsioni di Fenrir, risultando in un attacco impossibile da schivare.

Perforando la pancia della divinità, quella pallottola aveva lasciato dietro di sé una scia di sangue che poi si era adagiata sul terreno, come lo schizzo di un pennello su tela.

 

Gli occhi sgranati di Fenrir avevano assunto ora un significato del tutto diverso. Non era più rabbia, collera, ferocia, vendetta, bensì umano e straziante dolore.

 

“Voi divinità siete così vecchie, retrograde… e nemiche del progresso.” Guy lanciò il coltello alle sue spalle con fare giocoso, per poi poggiarsi una mano su di un fianco in una comoda posa.

“Ai vostri tempi, nei miti e nelle leggende… eravate invincibili oltre ogni limite e gli umani non potevano nemmeno sognare di ferirvi. Ma il motivo… sapete qual è?” Distese le braccia in avanti, come per presentare il suo nemico ferito davanti agli sguardi di tutti.

“È perché non esistevano ancora le armi da fuoco! Quando sono arrivati proiettili e cannonate… non c’è più stato posto per divinità e bestie fantastiche: non c’è niente al mondo che non possa essere ucciso da un colpo di pistola!”

Le tribune delle divinità si riempirono di sguardi stupefatti, o ringhi sommessi per la rabbia che stavano covando.

A tutti gli effetti però, il motivo della loro rabbia era principalmente uno: Guy Fawkes aveva ragione.

Numerosi eroi nella storia hanno sfidato gli dèi e le creature soprannaturali con armi o a mani nude, ma nessuno di loro era mai stato colpito da una pallottola, e per quindi non potevano certo dire di potervi resistere.

Ed ora, inequivocabilmente, Fenrir ed il suo ventre sanguinante erano la prova.

 

“Padre!” Strillarono all’unisono Hati e Skǫll, i quali mai avevano visto loro padre ridotto in quello stato.

Mentre fino a poco prima quell’uomo mascherato pareva solo un moscerino facilmente schiacciabile, ora era diventato lo spauracchio delle divinità: qualcuno che aveva mostrato una debolezza innegabile di loro tutti.

“Ragazzi… non disperate!” Sibilò fra i denti stretti Jormungandr, visibilmente irrequieto. Guardò alle sue spalle, dove due individui si erano appena avvicinati: “Scommetto che è la stessa cosa che sono venuti a dirci questi due…”

Ed in particolare il suo sguardo si fece torvo su di un dio dal viso stoico come quello di suo fratello, con la differenza che questi aveva dei lunghissimi capelli rossi ed un gigantesco martello assicurato alla schiena.

Il dio del fulmine, Thor, non si degnò di rispondere e preferì mantenere il suo fare distaccato.

Al contrario, un vecchio capace di ammutolire chiunque soltanto con la sua imponente presenza, aprì bocca: “Esatto! Quel lupo… se bastasse davvero così poco per ucciderlo, allora vorrebbe dire che dovrei ricredermi su di una convinzione durata millenni. La convinzione… che lui fosse il più forte tra il nostro pantheon.”

Thor, seppur rimanendo espressivo come una statua, rivolse lo sguardo al padre: “Persino più forte di me?”

Ed Odino, guardandolo seriamente con il suo unico occhio, rispose: “Ovvio.”

 

Correva. Le sue zampe di lupo, seppur piccole, gli permettevano di sferzare l’aria fredda a gran velocità. Sfrecciava tra i ghiacciai e le rupi, senza sosta e senza guardarsi indietro. Qualcosa d’un tratto catturò la sua attenzione, togliendogli il respiro per un attimo.

Rallentò sempre di più, per poi proseguire ad un’andatura lenta verso quell’albero pallido. Mentre avanzava, il suo corpo mutò forma, prendendo le sembianze di un bambino dai capelli argentei ma con ancora delle orecchie ed una coda da lupo.

Il piccolo, o meglio “cucciolo”, Fenrir si avvicinò ai suoi fratellini. Jormungandr aveva attorcigliato la sua corta coda attorno ad un ramo, lasciando penzolare a testa in giù il suo corpo da bambino, mentre Hel era seduta su di una radice.

“Vi ha presi?” Domandò il lupetto, serissimo. Non ricevette risposta, ma prima ancora di iniziare ad insospettirsi, notò come sui volti dei suoi fratelli si fosse spalancato un gigantesco ghigno.

Lentamente, i due bambini si fusero in una poltiglia fumante, e Fenrir capì che era troppo tardi.

“Acchiappato!” Dopo aver dissolto quell’illusione, un uomo diede un colpetto di dito sul naso del lupo.

Lui, seppur inizialmente sorpreso, scoppiò a ridere assieme a quell’individuo, che altri non era se non suo padre. Loki, il dio degli inganni, lo abbracciò forte per poi prenderlo giocosamente in giro.

Ben presto i veri altri due figli li raggiunsero, e constatando la sconfitta di Fenrir non poterono non ridacchiare anche loro.

“Gnehehe! Mannaggia Fenrir, sei cascato nel tranello più vecchio del mondo!”

“Non lo prendere in giro, Jorm. Tu sei stato il primo a venir preso.” Hel riprese suo fratello minore con aria saccente, facendolo infuriare ancor di più. Per fortuna intervenne anche Fenrir:

“Hel, io ti ho vista quando papà ti ha acchiappato perché si era mutato in una montagna di pietre preziose.”

La bambina arrossì per l’imbarazzo, dopodiché si strinse nelle spalle e squittì capricciosa: “Uffa! La speranza è l’ultima a morire. Un giorno sono sicura che anche qui nello Jötunheimr troverò delle pietre preziose e mi riempirò di gioielli!”

Jötunheimr era il nome della terra dove si trovavano: uno dei nove mondi, sopra Midgard, quello degli umani, ed Asgard, quello degli dèi. Si trattava di una landa di ghiaccio e pietra che tuttavia aveva dato i natali a Loki, e che per questo aveva scelto per accudire i suoi figli. Loro non avevano mai visto nessun altro mondo se non quello, ma loro padre raccontava spesso di tutti i viaggi e le avventure che aveva compiuto, intrattenendoli in un universo di mondi fantastici che non avrebbero potuto esplorare.

I tre bambini erano dunque cresciuti in quel modo, conoscendo nessun altro tranne loro padre e qualche gigante.

Jormungandr si scontrava spesso contro i giganti, desiderando ardentemente di diventare grande e forte come loro. Fenrir non voleva nulla di più dalla vita che trascorreva lì, mentre al contrario, Hel pretendeva che il padre la portasse fuori da Jötunheimr per farle visitare gli altri mondi. Tuttavia, ciò era impossibile, a detta sua.

 

E proprio dopo un giorno come tanti altri, mentre i bambini discutevano ancora sui giochi che potevano fare, si accorsero del volto di Loki, divenuto mesto e grigio.

“Che ti prende, papà?” Domandò Jormungandr, tirandolo per una manica. Lui sobbalzò, colto alla sprovvista.

Dopo aver guardato tutti i suoi figli con uno sguardo alquanto triste, mutò la sua espressione in un dolcissimo sorriso: “Pensavo che… è il momento di andare.”

“Andare?” I bambini lo fissarono con gli occhi spalancati per la curiosità.

“Andare… ad Asgard.”

Asgard: la terra promessa delle divinità del pantheon norreno, nella la quale gli umani supplicano di venir spediti dopo la loro morte. Solo grandi eroi e dèi possono però aggiudicarsi un posto in quella città-palazzo colma di lusso, ricchezza ed ogni altro capriccio, mortale o non.

Dal momento dell’annuncio, fin quando non vi misero piede, i tre figli di Loki non placarono il loro stupore e la loro meraviglia. Dopo esser stati reclusi così a lungo tra ghiaccio e giganti, tutta quella magnificenza andava ben oltre le aspettative create dai racconti di loro padre. Soprattutto Hel pareva quella più in visibilio, siccome si fermava ad osservare ogni singolo mattone d’oro puro o gioiello rarissimo con occhi altrettanto scintillanti.

Quello stupore dovette venir placato, sotto consiglio di loro padre, quando si ritrovarono di fronte alla sala del trono. Lì, il Padre di tutti gli dèi nordici, Odino, sedeva con uno sguardo severo protratto in avanti.

Ai piedi del suo trono, sulle scale che lo sopraelevavano, c’era un giovane dai capelli rossi appoggiato ad un gigantesco martello, alto circa il triplo di lui.

“Loki. Ne è passato  tempo…” La voce cavernosa di Odino riecheggiò nella sala.

“Che c’è? Ti sono mancato?” Sogghignò il burlone, ma l’altro proseguì:

“Ne è passato di tempo da quando non ti si vede più ad Asgard. E per tutto questo tempo trascorso sei stato nello Jötunheimr, con i giganti… a combinare chissà cosa.”

“Sai… forse fanno una brutta impressione quei ragazzacci, visti da quassù, sul tuo bel trono. Però ti assicuro che se ci vivi un po’ assieme non sono affatto mal-“

“Taci!” Tuonò Odino, smorzando il ghigno di Loki come mai niente era riuscito prima. L’aria si fece di colpo gravosa e tesa, ed i figli del burlone iniziarono a comprendere una cosa: non avrebbero voluto più stare lì.

“Ti ho convocato affinché tu mi mostrassi la tua prole.” Riprese il Padre, abbassando poi il suo occhio sui tre.

“E… quanto dicono le profezie è vero: sono dei mostri. Mostri terribili, che uniti e se cresciuti con un’indole malvagia, non porteranno nient’altro che distruzione per noi dèi.”

A quelle parole i bambini iniziarono a tremare. Non era stata l’accusa a sgomentarli così, tanto più la voce di Odino così seria ed allarmata. C’era una nota abbastanza calcata di preoccupazione, come se davvero loro fossero dei mostri, come se davvero loro non fossero nient’altro che portatori di male.

E Loki stava zitto, a testa bassa.

“Li porteremo via da te.” Sentenziò infine il dio degli dèi.

“Ma che cazzo dici, vecchiaccio?!” Fenrir, Hel e Loki sollevarono il capo, esterrefatti.

Jormungandr aveva gli occhi iniettati di sangue e le zanne in bella vista, come quando combatteva all’ultimo sangue contro i giganti più pericolosi. Pronto a scattare, con tutti i muscoli in tensione, soffiò verso Odino.

“Tu non ci porterai mai lontani da nostro padre! Mai!”

Il vecchio rimase in silenzio per qualche secondo, scrutando fino a fondo quel suo avversario. Dopo un po’ sospirò: “Fortunatamente è ancora troppo presto affinché tu possa rappresentare un pericolo. Thor!”

E con un balzo fulmineo, il dio del tuono si portò davanti al serpente. Gli bastò oscillare il suo immenso Mjölnir per scaraventarlo via, oltre il trono di Odino e fuori da Asgard. Tutti lo videro precipitare in un abisso apparentemente infinito, mentre il suo grido di terrore echeggiava ancora in tutto il regno degli dèi.

Hel si portò le mani davanti alla bocca, atterrita, mentre Fenrir non riuscì a far nulla, se non rimanere con la mascella spalancata e gli occhi sbarrati.

“Hai avuto quel che volevi, no?” Con uno sforzo immenso, Loki porse questa domanda ad Odino.

“Ovviamente non è morto.” Rispose lui. “Thor lo ha solo spedito nella terra degli uomini.”

“Non è quello che ti ho chiesto!” La calma di Loki si incrinò “Ti ho chiesto… se fossi soddisfatto, adesso che mi hai portato via un figlio.”

Ma l’occhio di Odino si mosse implacabile sull’unica figlia femmina, facendola sobbalzare, e tremare.

Il cuore del lupo perse un battito.

“Ammetto di esser stato piuttosto rude con tuo figlio, ma ho reagito così soltanto perché ha mostrato intenti nocivi. Non sono un assassino, e per tanto credo in una seconda possibilità: darò ai tuoi figli occasione di mostrarmi che possono diventare qualcosa di buono. Ad esempio tu, ragazza… posso assegnarti il Regno dei Morti come casa.”

Hel smise di tremare, ciò nonostante le lacrime continuavano a scorrere sul suo viso per inerzia.

“Avrai un dominio, come qualsiasi altra dea. Gli umani ti rispetteranno, ti adoreranno, e potrai far visita a tutti i nove mondi liberamente, se lo vorrai.”

Tuttavia, Loki si era già portato una mano davanti alla faccia per nascondere l’orrenda smorfia di odio e dolore che indossava: “Ti prego… non… portarmi via anche lei.” Rantolò con il tono di voce più bassa che potesse.

La mano di Thor si strinse quasi impercettibilmente attorno all’impugnatura di Mjölnir : Fenrir lo vide, e per tanto balzò in allerta nell’istante più intenso e drammatico della sua vita.

“Va bene così, padre.” La voce che gli fuoriuscì dalla bocca fu ferma e serena, come un’amorevole rassicurazione. “Diventare una dea e poter vedere tutti i nove mondi… è sempre stato il sogno di Hel.”

Guardò sua sorella, e per quanto si stesse sforzando di fingere, le lacrime presero a colargli comunque dagli occhi. Hel si lanciò su di lui, abbracciandolo mentre singhiozzava più forte di tutti.

Odino si rilassò sul suo trono,facendo apparire l’ombra di un sorriso sul suo volto austero: “Bene, è deciso. Quanto a te… piccolo lupo… sei leale, a differenza di tuo padre, ma come lui possiedi una mente molto sveglia. Mi piacerebbe crescerti qui ad Asgard, dove potrai confrontarti con tutti gli dèi e gli eroi della storia, e da loro apprendere sempre di più. Tutto ciò, in cambio della tua fedeltà come guardiano degli dèi.”

Fenrir non perse nemmeno un attimo, ed annuì.

Il suo pensiero andò a suo padre: se davvero fosse diventato il guardiano di Asgard, probabilmente non l’avrebbe mai potuta lasciare, però tramite Loki avrebbe potuto mantenersi in contatto con Hel e Jormungandr. Infondo, dunque, non avevano perso nulla.

Gli venne da sorridere, ma in realtà dentro di sé covava un ghigno da lupo famelico.

 

Jormungandr sorrise, ricordando quell’aneddoto così significativo della sua vita, e che era stato raccontato infinite volte ad Hati e Skǫll.

In quel momento però, tra il gruppo di dèi nordici, si aggiunse Odino. Un secondo Odino, che prese a guardare quello che già era lì presente con occhio torvo.

“Ooops!” In men che non si dica il primo si rivelò essere proprio Loki. Il burlone iniziò a volteggiare, finendo abbracciato al collo del suo figlio più piccolo. “Comunque sia, non ci distraiamo troppo! Sta succedendo qualcosa di davvero interessante, lì…”

 

I due sfidanti sul campo di battaglia erano entrambi feriti abbastanza gravemente, a giudicare dal sangue che sgorgava dalle loro ferite.

Tuttavia, dire che si fossero arresi era un’utopia, qualcosa di impossibile ed assolutamente impensabile.

Per la seconda volta Fenrir aveva mutato la natura del suo sguardo. Passando dalla calma alla rabbia, finalmente aveva raggiunto il modo perfetto di guardare il mondo ed il suo avversario: con concentrazione e ferocia, come gli occhi di un predatore avrebbero dovuto squadrare la preda che astutamente stava venendo cacciata. Il genio di suo padre Loki non era stato ereditato per niente.

“Drómim!”

La pesante catena si sollevò da lui come una freccia sparata nel cielo, per poi compiere una parabola nel cielo e piombare su di Guy Fawkes. L’inglese dovette compiere un impressionante balzo all’indietro per evitare l’attacco, ma con grande sorpresa vide come la catena non avesse affatto smesso di muoversi: al contrario, si sollevò di nuovo da terra per compiere una seconda parabola.

Una dopo l’altra dovette schivarle, indietreggiando mentre veniva inseguito da quella successione di arcate che minacciavano di schiacciarlo.

-Mi basterebbe venir colpito anche solo una volta per morire.- Rifletté a mente fredda, schivando i colpi mortali. Era costretto ad allontanarsi da Fenrir, e sapeva che ben presto alle sue spalle si sarebbe parata la fine dell’arena.

La realizzazione di essere costretto a cambiare percorso lo portò ad inseguire un’impulsiva intuizione: dopo aver calcolato la velocità impiegata dalle catene per sollevarsi e poi calare verso il basso, approfittò del momento propizio per raggirare il colpo lateralmente. In questo modo sentì uno schianto alle sue spalle, ma ormai stava già sfrecciando verso il suo avversario.

-Pensavi di avermi messo alle strette?!- Percepiva la catena inseguirlo, ma sapeva bene che non l’avrebbe mai preso, così come sapeva che Fenrir non sarebbe riuscito a ritirarla a sé in tempo per difendersi.

-Purtroppo per te sono un passo avan…!-

“Gjöll!”

Qualcosa di immenso e fortissimo lo colpì alla schiena, trapassandogli la pelle, i muscoli, le ossa e rimbombandogli nei polmoni così intensamente da togliergli il respiro. I suoi occhi si erano fatti vacui per un istante.

-Non è stata la catena a colpirmi…- Realizzò, mentre la sua carne vibrava come una cassa di risonanza.

-Questa è… un’onda d’urto!-

Non aveva avuto modo di vederlo, proprio perché ormai si era lasciato il suo unico pericolo alle spalle, in un punto cieco: un secondo prima, la catena Drómim non aveva ripetuto il suo ciclo perpetuo, bensì  si era agganciata al terreno così saldamente da strappare una lastra di terra. Successivamente l’aveva abbattuta al suolo, e seppur mancando Guy di qualche centimetro, lo spostamento d’aria causato dalla mole gigantesca del colpo era bastato per frastornarlo.

Quella pausa era ciò che Fenrir aveva atteso a lungo, e che ora gli lasciò sulla bocca un sottile ghigno famelico.

“Lœðingr!”

Dall’interno del macigno attaccato alla grossa catena fuoriuscirono all’improvviso numerosi legacci formati dalla catena più sottile, Lœðingr.

- Lœðingr era… stata attorcigliata attorno a Drómim per poter scagliare questo attacco!- Questo fu ciò che Guy Fawkes riuscì a pensare, prima di venir avvolto, catturato, ed infine vincolato al masso.

-Me l’hai… fatta…-

La catena più grande iniziò a sollevarsi, trascinandolo lontano da terra.

 “Gjöll!”

E nuovamente si abbatté al suolo, così poderosamente da far tremare l’intera Arena del Valhalla.

 

“Guy…” Gli aveva detto un giorno Robert Catesby, guardandolo dritto negli occhi. “Tu ed io rovesceremo questa Inghilterra corrotta.”

Ma cosa ne era rimasto di tutto ciò?

Una volta che il maestro delle spie Cecil aveva rivelato a Re James I del loro complotto, in quella notte di oscurità tinta di bianco dalla neve, tutti i loro sogni erano stati dispersi nel vento.

I cavalli galoppavano, pallottole sfrecciavano nell’aria, tra gli alberi, e corpi stramazzavano al suolo per venir inghiottiti dal buio.

La mente di Robert non smetteva però di rimbombare sempre al suono delle stesse parole: -Guy! Guy! Dove sei?!-

Un altro sparo. Quattro uomini.

Le loro speranze si erano infrante, e ciò che rimaneva del loro piano era solo una disperata fuga alla ricerca della salvezza. Da tredici cospiratori, erano rimasti solo cinque uomini spaventati.

Tre uomini.

-Ovunque tu sia… salvati, ti prego!-

Due uomini.

Cadde da cavallo, rotolando ai piedi di un mausoleo nel bel mezzo del bosco. Lì si trascinò nella neve, lasciando una striscia di sangue che pareva quasi un tappeto rosso nobiliare.

Un solo uomo.

-Salva l’Inghilterra… o salva te stesso.-

La luce della luna filtrò attraverso una crepa nel soffitto, assieme ad un turbinio di fiocchi di neve che danzavano dolci e lenti: tutto ciò si posò sul corpo di un uomo disteso, cullato in una pozza vermiglia ed abbracciato ad un quadretto con la Santa Vergine.

 

E mentre tutto ciò avveniva, alle guardie del Parlamento era stato ordinato di ispezionare i sotterranei. Ciò nonostante, fu comunque una sorpresa da batticuore per il capitano Sir Thomas Knyvett trovare una figura ammantata tra le ombre.

“Chi sei?!” Gli urlò, ma quello spettro nero non si mosse affatto, degnandolo solo delle spalle.

In questo modo nessuno avrebbe mai visto che, nascosto dal suo largo mantello, quell’uomo stringeva tra le mani un piccolo fiammifero. La fiamma illuminava il suo corpo, ma non il suo viso, gettato nell’oscurità dal suo largo cappello. Ma, soprattutto, illuminava parte di tutti quei barili di polvere da sparo ammassato di fronte a sé.

L’uomo tuttavia scelse di soffocare il fuoco nel suo pugno, emanando un sospiro profondo.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Perdonate il ritardo, spero di avervi regalato un capitolo soddisfacente. Personalmente mi sento molto orgoglioso di questo scontro, non l’avrei mai detto. È davvero divertente trattare la mitologia norrena, così come mostrare degli stili di combattimento non proprio convenzionali.

Fatemi sapere quel che ne pensate!

Alla prossima!

P.S: La theme song di questo settimo scontro è “The Phoenix “dei Fall Out Boy, mentre il titolo di questo capitolo mi è stato ispirato dalla canzone “Then, the Sky Opened Up and Swallowed Them Whole” dei The Paper Melody.

   
 
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