Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Deruchette    06/07/2020    2 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
-
Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
-
Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In The Still Of The Night - 8

In the still of the night

 

 

 

 

 

 

 8.

 

- Cosa diavolo è successo, là fuori? – sbraita Haymitch.
Siamo all’interno della cupola del Palazzo di Giustizia, nel Distretto 11; Haymitch ci ha trascinati qui subito dopo la fine del nostro intervento.
È stato un disastro.
Consapevoli dei doveri a cui dobbiamo sottostare come vincitori, io e Peeta abbiamo preso parte al corteo di benvenuto che si è tenuto di fronte al Palazzo di Giustizia. Il sindaco dell’11 ci ha accolti e presentati alla folla che, riunitasi di fronte a noi, aveva riempito tutta la piazza. Già sul treno, e poi durante il tragitto dalla stazione alla piazza, ci eravamo resi conto di quanto vasto fosse questo Distretto rispetto al nostro, che al confronto sembrava solo una macchia sulla cartina geografica. Anche la popolazione doveva essere molto più numerosa rispetto a quella che ci osservava da sotto il palco.
I nostri interventi non sono stati molto lunghi e sono stati riuniti in una serie di cartoncini blu che Effie, scrupolosamente, aveva preparato per noi. Per una volta il suo perfezionismo maniacale ci era davvero di grande aiuto: a casa ho cercato di preparare qualcosa da dire per gli abitanti dell’11, che hanno perso Thresh e Rue, ma non sono mai riuscita a tirare fuori nulla di decente. Sebbene mi sforzassi con tutta me stessa, il foglio che avrei dovuto e voluto riempire di parole è sempre rimasto bianco. Sono in enorme debito con loro, mi hanno mandato la pagnottina ricoperta di cereali che era destinata alla bambina, se non fosse stata uccisa prima dalla lancia che il ragazzo dell’1 le ha piantato nella pancia. Inoltre, dopo l’avvertimento da parte del presidente, sono sollevata di avere una sorta di copione già pronto da recitare. È impossibile sbagliare grazie ad Effie e al suo perfezionismo maniacale.
Sul palco, il mio sguardo è stato subito attratto dai piccoli palchi che ospitavano le famiglie dei tributi morti. Per Thresh, alla mia sinistra, c’erano una donna anziana e una giovane ragazza; a destra, invece, i genitori di Rue e, tutti stretti attorno alle loro gambe, cinque bambini piccoli. I suoi fratellini. Un qualcosa che stringe il mio cuore come in una morsa mi fa provare dolore. Gli occhi bruciavano per le lacrime che ho cercato disperatamente di non versare.
Quella che doveva essere la mia parte di discorso è stata completata da Peeta, perché io non sono stata in grado di dire nulla. Mi sono limitata a stringere forte la sua mano e a guardare la famiglia della ragazzina che è stata mia alleata, anche se solo per pochi giorni. Avrei voluto conoscerla meglio. Avrei voluto salvarla dalla morte.
La cerimonia si stava avviando alla conclusione e il sindaco ci stava invitando a seguirlo all’interno del Palazzo di Giustizia quando ho deciso di prendere la parola. Non sono le parole di Effie, ma le parole che escono dal mio cuore, quelle che ho rivolto alla nonna e alla sorella di Thresh, che ha risparmiato la mia vita durante il festino alla cornucopia quando avrebbe potuto benissimo finirmi con quel sasso insieme a Clove. Sono le parole che escono dal mio cuore quelle che ho rivolto ai genitori di Rue e ai loro bambini, che le somigliano così tanto: dico loro che le volevo bene, che era straordinaria, che la sua perdita è la più insopportabile da affrontare. Che la rivedo sempre nei fiori gialli vicino casa e nel canto della ghiandaia imitatrice, come mi aveva mostrato nell’arena.
Ed è allora che succede.
Un motivetto, lo stesso che Rue mi ha insegnato durante i giochi, ha preso vita tra il pubblico; l’ho individuato nella figura di un uomo anziano, che ha portato le tre dita centrali della mano sinistra alle labbra prima di sollevarle in alto. È lo stesso gesto che ho fatto a Rue quando è morta, il gesto che da noi, a casa, significa rispetto e affetto per la persona che ci ha lasciato. È l’ultimo saluto che riserviamo ai nostri cari.
Dopo il vecchio, tutti gli spettatori hanno compiuto lo stesso gesto. Non è un gesto fatto per caso, si vede che è stato orchestrato per essere eseguito in un preciso momento. È un gesto che mi ha pietrificata, letteralmente, sul palco, mentre la mia mente rievocava le parole del presidente.
Che cosa ho fatto?
È accaduto tutto velocemente: i Pacificatori hanno scortato me e Peeta verso il Palazzo di Giustizia mentre altri si sono diretti, minacciosi, verso la folla. Due di questi hanno preso in custodia l’uomo anziano e l’hanno scortato di peso sul palco che noi avevamo appena lasciato libero.
A nulla sono serviti i miei tentativi di liberarmi, le mie urla, le me suppliche. A nulla sono servite le parole e le braccia di Peeta che cercavano di rassicurarmi. A nulla è servita la sua figura, posizionata di fronte alla mia, che cercava di coprirmi la visuale. Non sono servite a nulla contro il colpo di pistola che ha fatto cessare la vita di quell’uomo innocente.
Che cosa ho fatto?
Sono seduta su un vecchio divano scassato e impolverato, con le mani premute sul viso per cercare di arginare le lacrime che escono dai miei occhi. I singhiozzi mi squassano il petto. Un basso lamento riempie l’aria ed impiego diverso tempo a capire che sono io ad emetterlo. Una mano, quella di Peeta, accarezza la mia schiena con movimenti circolari nel tentativo di farmi calmare.
Peeta prova a spiegare ad Haymitch quello che è accaduto poco fa. – Non è per quello che ha detto alle loro famiglie. Anzi, Effie ci aveva consigliato di aggiungere qualche buona parola per loro se volevamo…
- È… stato il gesto – sospiro, riuscendo a riprendermi abbastanza da parlare. Mostro ad Haymitch le tre dita sollevate. - È il gesto che ho rivolto a Rue prima che l’hovercraft la portasse via. Un vecchio… lo ha fatto prima, e tutti gli altri… lo hanno imitato…
E adesso quel vecchio è morto. I suoi ultimi istanti di vita tornano ad affacciarsi prepotentemente davanti ai miei occhi.
- Cazzo! – l’urlo di Haymitch mi fa sobbalzare. – Non dovevi evitare di scatenare sommosse, ragazzina? E guarda un po': una sommossa è proprio quello che ci ritroviamo adesso in mezzo ai piedi!
- Non volevo che accadesse! – urlo, alzandomi in piedi. Le lacrime continuano a rigarmi le guance. – Non volevo nulla di tutto questo! Come potevo… - mi blocco, colta da un’altra crisi di pianto. Mi circondo la vita con le braccia, tentando allo stesso tempo di placare il pianto e la sensazione di freddo che mi ha avvolta da quando è partito quel colpo di pistola.
Haymitch mi abbraccia, posando il mento sulla mia testa. – Hai ragione, dolcezza. Non potevi prevederlo – ammette.
Seppellisco il viso nella sua camicia e continuo a piangere, fregandomene del fatto che potrei lasciare tracce di muco e trucco sciolto sulla sua camicia immacolata. Al piano di sotto c’è un’intera stanza piena di abiti che è stata adibita a nostro camerino temporaneo. Troverà sicuramente qualcosa di pulito con cui sostituirla.
- Cosa possiamo fare? – mormora Peeta alle mie spalle.
Haymitch gli risponde da sopra la mia testa. – Per recuperare questo macello? Non potete fare più nulla, per questo. Per i prossimi incontri, invece, attenetevi al programma: siate gentili, comportatevi da bravi ragazzi innamorati, non dite nulla che possa scatenare altri episodi come quello di oggi… e seguite passo passo i cartoncini che vi da Effie. Cristo santo, ragazza! Guarda cosa hai fatto alla mia camicia!
Non me ne importa un accidente della sua maledetta camicia.

 

Seguite i cartoncini di Effie. Comportatevi da innamorati. Non dite nulla che possa agitare la folla.
Ci trasformiamo in una coppia di automi, io e Peeta. Iniziamo a seguire scrupolosamente tutte le indicazioni che ci danno senza fiatare, a partire dalla cena che ha seguito lo scempio avvenuto sulla piazza dell’11. Non so come il mio staff di preparatori sia riuscito a recuperare il mio viso, visto lo stato in cui si trovava quando sono riuscita a riacquistare un minimo di autocontrollo.
Ben presto la nostra vita acquista una routine fatta di viaggi in treno, riunioni in piazza, eventi e cene con i sindaci dei Distretti che ci ospitano, dove sembrano essere presenti anche tutte le persone che contano qualcosa. Cinna e Portia hanno creato per me e Peeta un guardaroba fornitissimo e, la maggior parte delle volte, abbinato, così abbiamo quasi sempre un dettaglio che richiama l’abito dell’altro: la camicia di Peeta abbinata al colore delle foglie che decorano il corpetto del mio abito, i gemelli dorati che fanno coppia con la mia spilla portafortuna.
Gli eventi che si svolgono al chiuso sono sempre i più tranquilli, mentre il vero problema sono sempre quelli che si svolgono davanti alla popolazione. Ci spostiamo di Distretto in Distretto, di folla in folla, tutte le volte con lo stesso terrore che ti pietrifica sul posto e che non ti fa respirare in maniera normale. In queste occasioni sono sempre incollata al braccio di Peeta, ho paura di lasciarlo andare anche solo per un istante. Stare così vicini contribuisce alla nostra recita, che recita non lo è più da un bel pezzo ormai: sembriamo complici e saldi, proprio come una vera coppia dovrebbe essere. E anche se non sempre riusciamo a farlo, ci scambiamo qualche bacio per rafforzare la nostra immagine di coppia innamorata.
Gli abitanti dei Distretti ci accolgono sempre con calore, ma c’è sempre qualcosa che trapela sotto le loro urla: rabbia. Rabbia che è stata repressa per anni, per generazioni, e che adesso lotta per manifestarsi con tutte le sue forze.

Quando il pubblico scandisce il mio nome, sembra più un grido di vendetta che un’acclamazione. Quando i Pacificatori intervengono per calmare le folle turbolente, quelle premono contro di loro anziché arretrare. E so che non c’è nulla che io possa fare per cambiare le cose. Nessuna dimostrazione d’amore, per quanto credibile, potrà invertire il corso degli eventi.
10, 9, 8, 7… i numeri dei Distretti che ci lasciamo alle spalle somigliano terribilmente ad un conto alla rovescia, un conto alla rovescia che ci avvicina inesorabilmente alla tappa finale. Quando mancano ormai una manciata di giorni al nostro arrivo a Capitol City, ho profonde occhiaie scure che i miei preparatori devono coprire costantemente col correttore e gli splendidi abiti di Cinna, che mi sono sempre stati a pennello, devono essere stretti in vita.
La notte prima del nostro arrivo al Distretto 2, quello di Cato e Clove, vado nella camera di Peeta prima che lui possa venire da me. Fino a questo momento è sempre stato il contrario, è sempre stato lui a spostarsi non appena la minaccia di Effie, che aveva assunto con testardaggine anche il ruolo di nostra guardiana, spariva dal corridoio che divide i nostri scompartimenti. Qualcuno, però, sembra averci visto lo stesso, perché alcune voci su di me e Peeta che dormiamo insieme hanno cominciato a circolare sul treno. Alla fine, scopro che non me ne importa più di tanto.
Se queste voci giungono fino alle orecchie del presidente, è tanto di guadagnato.
Dormire separati, durante queste notti, è praticamente impossibile. Lo stress e l’ansia non mi aiutano a prendere sonno, e quando ci riesco guadagno solo un paio d’ore di riposo disturbato prima di ritrovarmi di nuovo sveglia, in un bagno di sudore. Bere camomilla e intrugli vari non è più di nessun aiuto, neanche per Peeta, che fino ad ora sembrava sopportare incubi e stress molto meglio di come riesco a fare io.
Quando mi risveglio da un brutto sogno lui è già lì, sveglio e pronto a tranquillizzarmi; mi stringe a sé, mi bacia la testa, mi sussurra parole dolci, di conforto, finché non mi calmo e provo a dormire di nuovo. Mi lamento ogni volta perché lo sveglio sempre con le mie urla, ma da lui ricevo tutte le volte la solita risposta.
- Ero già sveglio – dice sempre. Penso che lui, a differenza mia, riesca ad uscire dal buio senza urlare ogni volta come un pazzo. Non si agita mai. È per questo che non riesco mai a capire quand’è che ha un incubo.
Tra me e lui non è che dormiamo poi molto. Alcune volte penso di essere una persona schifosamente egoista, costringendolo a dormire con me anche se so che così gli toglierei ore di sonno preziose. Ma la paura e la debolezza vincono sulle buone intenzioni, anche le più piccole, e lascio che entri ogni notte nel mio letto.
Stanotte, però, sono io ad entrare nel suo.
Sistemo le coperte attorno al mio corpo mentre Peeta, che non ha fatto caso a me che entravo, sistema su una sedia gli abiti che ha indossato durante la cena. I capelli dorati sono più scuri a causa dell’acqua della doccia. Fa parte del suo rituale prima di andare a dormire: doccia, denti, tisana. Sulla scrivania ci sono una teiera fumante e due tazze ad accompagnare il resto del servizio. È questo che intendo quando dico che le voci su di noi hanno cominciato a circolare: gli inservienti portano sempre due cose di tutto, perché ormai hanno imparato che dovunque si trova Peeta c’è anche Katniss, e viceversa. Anche nella mia camera ci sono delle tazze e una tisana pronta da bere, ma rimarrà sulla toeletta a raffreddarsi per tutta la notte. Stasera resterò nella stanza di Peeta.
Il ragazzo in questione mi raggiunge nel letto portando le tazze bollenti colme di tisana. Lo ringrazio, bevendone un piccolo sorso: valeriana e menta. È deliziosa, ma abbiamo già scoperto che questo tipo di miscela non ci aiuterà ad affrontare la notte. La sorbiamo comunque, seduti l’uno accanto all’altra, fino a quando le tazze non sono vuote.
- Preoccupata per domani? – mormora Peeta.
Mi conosce troppo bene: ovvio che sono preoccupata per domani. E anche per il giorno successivo. I primi due Distretti rappresentano quasi sempre le ultime tappe del Tour, in parte perché sono i più vicini alla capitale, ma anche perché la maggior parte dei vincitori dei giochi proviene da lì, proprio dai Distretti favoriti. E stavolta i vincitori non saranno i soliti Favoriti, ma le ultime ruote del carro. Quelli che di solito muoiono durante il bagno di sangue alla cornucopia.
Meno male che sono voltata di spalle, con la scusa di posare la tazza sul comodino. Mi si leggerebbe tutto in faccia. – Un pochino – mento.
- Sei pessima a dire le bugie – mi riprende, anche se nella sua voce c’è una nota di divertimento. Si diverte a prendermi in giro, e a me piace quando lo fa: la maggior parte delle volte accade quando tenta di allentare la tensione, e anche se di poco, riesce nel suo intento.
La Katniss musona di un tempo gli avrebbe già chiuso la bocca con uno scappellotto.
- Non dico le bugie – mi giustifico, facendolo ridacchiare. Mi sporgo su di lui per lasciargli un leggero bacio sullo zigomo, poi gli mostro le spalle e mi sistemo davanti a lui. Le sue dita iniziano ad armeggiare tra i miei capelli.
Durante una di queste notti, quando entrambi eravamo svegli e non riuscivamo più ad addormentarci, Peeta ha cominciato a disfare la treccia in cui lego di solito i capelli. Dice che è un gesto che lo rilassa, infilare le dita nella chioma scura che gli intrugli di Flavius hanno reso morbida e lucente. Da quel momento ho richiesto sempre più spesso che mi vengano raccolti i capelli, perché adoro sentire Peeta che li scioglie a fine serata.
Oggi Flavius ha creato un’acconciatura elaborata piena di trecce e treccine, che fissate insieme sono andate a creare una sorta di corona attorno alla mia testa. Realizzarle ha richiesto molto tempo, molto più di quello che Peeta impiega nel disfarle, una dopo l’altra. Quando ha finito, mi abbraccia da dietro e mi fa stendere sul materasso. Mi da un bacio sulle labbra, mi augura la buonanotte.
Anche se restiamo svegli per quelle che sembrano ore, prima di cadere nel sonno.
Apro gli occhi di scatto, all’improvviso. Resto immobile, cercando di fare mente locale. Mi rendo conto di non ricordare nulla di quel che stavo sognando, neanche un secondo o un’immagine. So di non aver urlato e di non essermi agitata perché Peeta dorme ancora: ha la testa posata contro la mia spalla ed il respiro pesante e regolare di chi dorme della grossa.
Questo è davvero un miglioramento. È la prima volta che mi sveglio senza dover dare la colpa agli incubi; in più, è la prima volta che mi sveglio e trovo Peeta addormentato. La situazione si è ribaltata. Non mi muovo per paura di svegliarlo: per una volta che riposa come si deve, voglio lasciarlo stare tranquillo il più possibile.
A sfatare i miei buoni propositi ci pensa qualsiasi cosa abbia preso vita nella sua testa, che si alza di scatto dal cuscino. È stato un movimento così brusco che mi ha fatta sobbalzare sul materasso. Quindi è questo che fa quando ha gli incubi? Un rapido movimento della testa ed è tutto finito? Ecco perché non capisco mai quando li ha: è silenzioso da far paura. È quasi peggio delle urla.
Peeta volta il viso verso il mio ed è insieme sollevato e sorpreso nel vedermi sveglia. Ha gli occhi che brillano, anche al buio. – Ti ho svegliata? Mi dispiace – mormora.
- Ero già sveglia – lo ripago con le stesse parole che rivolge sempre a me. Mi accoccolo contro il suo corpo e le sue braccia sono pronte nel circondare il mio. È agitato, il suo cuore batte come un forsennato, e trema come se provasse i brividi del freddo. Vorrei chiedergli cosa lo ha spaventato, ma i suoi occhi pieni di lacrime parlano da soli. Qualunque cosa fosse, lo ha terrorizzato da morire. Raccolgo con il dito la goccia salata che è scesa accanto al suo naso.
- Va tutto bene, Peeta. Va tutto bene – mormoro. Mi si stringe il cuore a vederlo in queste condizioni, ed il fatto che non spiccichi una parola rende il tutto ancora più complicato e preoccupante. – Hey…
- Non riesco a togliermela dalla mente… - ha la voce rotta del pianto mentre parla.
- Cosa?
- Te. Il tuo corpo… dentro una bara. Porgo le condoglianze a tua madre mentre tu giaci dentro la bara davanti a me.
Rabbrividisco davanti alla sua confessione.
– Non è reale, Peeta. Nulla di tutto questo è reale. Io sto bene, sono qui insieme a te…
Adesso le sue lacrime scorrono veloci sul viso. – C’è qualcosa di sbagliato in me…
- No! – dico, risoluta. Afferro il suo volto tra le mani e lo costringo a guardarmi. Una lacrima cade dritta sulla sua guancia e capisco di aver cominciato a piangere anche io, senza rendermene conto. – Non sei tu, tesoro, è questo mondo che è sbagliato. Sei così buono, Peeta, sei la persona migliore che conosca. Non c’è nulla che non va in te. Capito? – accarezzo le sue guance per cancellare le tracce delle lacrime.
Annuisce senza troppa convinzione, ma sembra un po' più tranquillo. Si solleva leggermente per poggiare la testa contro la testiera imbottita, chiudendo gli occhi. È come se mi stesse tagliando fuori. Non voglio che mi tagli fuori, non dopo avermi rivelato cos’è che lo perseguita.
Peeta ha ancora gli occhi chiusi quando mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe; appena sente il mio peso li apre e, non appena vede cosa sto facendo, cerca di protestare, ma lo blocco. Prendo una delle sue mani e me la porto sul seno, coperto solo dalla leggera camicia da notte. La premo forte e la blocco con le mie, di mani, in modo che possa sentire bene il battito del mio cuore.

- Cosa senti? – domando.

- Lo sai cosa sento. Katniss, che stai-
- Rispondimi! Che cosa senti?
Dopo qualche secondo, arriva la risposta che aspettavo. – Il tuo cuore.
- E cosa può voler dire? – chiedo ancora.
- Che sei viva…

Annuisco, allentando leggermente la presa. – Sono viva. L’arena non mi ha uccisa, Peeta. Sto bene, sono viva…
- Sei viva – mormora, abbracciandomi. Poggia la fronte nell’incavo dei miei seni, sospirando. Gli bacio ed accarezzo i capelli con tutta la forza che ho.
- Peeta – lo chiamo ancora. Lui alza la testa per guardarmi. – Fammi sentire viva…
Non è la mossa più leale che potessi giocare, contando sul fatto che si sente ancora così scosso e fragile per via dell’incubo. Non sembra esserci rispetto nella mia richiesta, eppure… eppure, quando mi bacia, capisco che anche lui prova lo stesso bisogno che provo io.
Il bisogno di sentirci vivi.
Non c’è urgenza nei nostri baci, non c’è la brama che abbiamo provato le altre volte in cui abbiamo fatto l’amore. Le sue mani si muovono lente sul mio corpo, sulla mia schiena, mentre mi sfila la vestaglia. La sua bocca percorre un breve tragitto umido che va dal mio collo al seno, che stringe delicatamente tra le mani prima di tornare a far incontrare le nostre labbra. Il bacio diventa più esigente, gli graffio il petto che nel frattempo ho liberato dalla maglia. Lascia che rimanga seduta su di lui, non mi fa spostare nemmeno per togliere le mie mutandine ed i suoi pantaloni. I nostri movimenti sono impacciati, ma ci riusciamo lo stesso. Non c’è più nulla a dividerci, adesso.
Sospiro contro la sua bocca quando lo accolgo in me, le mani incollate alla sua schiena per paura di perdere il contatto con la realtà che questo momento rende così amplificata. Lascio che siano le sue mani a guidarmi, a dettare il ritmo delle spinte. Lascio che prenda totalmente il controllo sul mio corpo. Voglio che senta che sono totalmente alla sua mercé. Che sono calda, bollente, palpitante, reattiva sotto le sue mani.
Che sono viva.

Resta con me
, penso, dandogli un bacio che non sembra nemmeno un bacio.
- Resta con me – mormoro sulle sue labbra, le dita strette sui ciuffi di capelli alla base della sua nuca.
- Per sempre – è la sua risposta, e la ripete all’infinito, come una litania. – Per sempre.

 

- Mi dispiace per prima – dice Peeta.
Sono così concentrata sulle sue carezze, sulle dita che leggere percorrono la mia schiena, che non afferro subito quel che mi sta dicendo. Apro gli occhi, osservandolo. Abbiamo i visi talmente vicini da riuscire a sentire i nostri respiri colpire la nostra pelle. Le sue scuse non sono affatto necessarie: non deve dispiacersi per nessuna ragione al mondo. Provare emozioni, sentimenti, non è mai sbagliato. Anche l’essere più duro e forte del mondo è capace di provare quelle sensazioni che sono capaci di sgretolarlo come polvere.
- Sei un essere umano, Peeta. Non sei invincibile. È normale… - essere deboli, mi verrebbe da dire. Ma Peeta non è debole, non è fragile. È umano. Proprio come me, come Haymitch, come tutti gli altri.
Provare dolore fa parte dell’essere umano.
- Credo che sia il mio punto debole – continua, senza smettere di muovere le dita sulla mia pelle. – Provare tutto quello che provo per te.
- Sono il tuo punto debole?
Annuisce. – Nei miei incubi di solito ho paura di perdere te. E sto bene quando mi accorgo che ci sei.
Lo osservo in silenzio, sentendo un groppo che si va formando nella mia gola. Lo avevo capito, ormai, che l’incubo intenso di stanotte non doveva essere stato il primo. E di certo non sarà neanche l’ultimo, per lui. Ma sentirlo… ammettere una cosa del genere dimostra che Peeta non è per niente una persona debole. È soltanto una persona buona a cui sono accadute cose cattive1. È una persona piena di coraggio, onesta, leale. È la persona migliore che potesse imbattersi lungo il mio cammino.
Lo bacio, salendo a cavalcioni sul suo corpo. Siamo ancora nudi, nessuno di noi ha provato a rivestirsi dopo aver fatto l’amore. E meno male!, penso, perché questo mi facilita le cose.
- Che fai? – domanda, sorpreso.
- Sfrutto il tuo punto debole – sorrido contro la sua bocca, che non si ritrae e prende subito a giocare con la mia. Peeta morde le mie labbra, le lambisce piano con la punta della lingua. La lascio entrare affinché possa incontrare la mia.
Sento già l’effetto che le nostre coccole mattutine scatenano sul suo corpo…
- Va bene piccioncini, la donna è già sul piede di guerra. Uscite da lì e… ma che diav-
Mi lancio sul materasso e subito vengo ricoperta da una pioggia di lenzuola fruscianti. Sento urla ed esclamazioni, la porta che si chiude, poi torna il silenzio. Scopro di poco il viso per osservare l’aria che tira.
- Se n’è andato? – biascico.
- Sì – risponde Peeta.
- E ci ha visti?
- Tu che dici? – la sua voce è tutta un programma.
Ci guardiamo, allibiti, per diversi secondi, poi iniziamo a ridere. La faccia di Haymitch… avrei proprio voluto vederla.

 

 

 

_________________________________________________________

1 “Tu non sei una persona cattiva. Tu sei una persona buonissima, a cui sono capitate cose cattive. Mi capisci?”: questa è la citazione originale a cui mi sono ispirata. Avete riconosciuto le parole di Sirius Black? È il mio personaggio preferito di HP! Questa frase in particolare è presa dal quinto film della saga.

 

Nuova settimana, nuovo lunedì, nuovo aggiornamento.
Voi non potete capire quanto ho desiderato, leggendo Catching Fire, una svolta per i personaggi degna di questo nome! Un minimo di avvicinamento almeno, e quella tardona pessima ragazza non è stata in grado di accontentarci nemmeno un poco.
Meno male che esistono le fanfiction! *sospira di sollievo*
Il prossimo capitolo sarà importantissimo! Ci vediamo lunedì prossimo per la lettura ;)

D.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Deruchette