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Autore: _ A r i a    07/07/2020    0 recensioni
{ sequel di Dark Necessities | au | tematiche delicate }
Il pennello danza lentamente nell’acqua, lasciando scie di colore azzurro all’interno di essa.
Jude resta ad osservarlo, come incantato. Per un momento gli sembra di dimenticare la tela davanti a sé, su cui sta dipingendo un paesaggio dai colori freddi, una spiaggia deserta, dalla sabbia grigiastra, e un mare in tempesta, onde agitate e schiuma bianca che schizza nell’aria.
È un paesaggio invernale che ha imparato a conoscere bene, in quell’ultimo periodo. Ha la mente troppo piena di pensieri, di dubbi e di dolore, così, appena può, si rifugia a Back Bay, da solo, senza che nessuno sappia nulla. Si siede alla fine di un pontile, accoccolandosi alla ringhiera in ferro, e resta lì anche per ore, incurante del vento freddo che ruggisce e gli fa sbattere i vestiti contro la pelle, ad ascoltare lo sciabordio nervoso delle onde e cercando di trarre da esso le risposte di cui sente di aver così disperatamente bisogno, in quell’ultimo periodo, ma che crudeli continuano a sfuggirgli.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Somerville, Boston, 2nd October
h. 08:04 p.m.


C’è silenzio all’interno della sala da pranzo, rotto unicamente dal monotono tintinnio delle posate contro la superficie ceramica dei piatti.
Di tanto in tanto, Caleb lancia qualche sguardo di sottecchi a Camelia: gli sembra piuttosto agitata, ed è abbastanza certo di averla vista muovere nervosamente le gambe nel suo vestito candido un paio di volte, sotto il tavolo, durante la cena.
Non riesce a biasimarla, in fin dei conti. Percival Travis è un uomo che emana tutto, fuorché serenità. L’espressione austera incute timore reverenziale, e Caleb si chiede come abbia fatto Camelia, in tutti quegli anni, a crescere accanto ad un uomo tanto severo.
In effetti, forse crescere non è il termine più adatto: Percival è uno degli avvocati più influenti di Boston, ed era sempre stato piuttosto assente nella vita della figlia. Gliel’aveva raccontato Camelia, ma nella sua voce non c’era rancore: amava suo padre, e non le era dispiaciuto crescere da sola. S’era fatta forte, e poi sapeva che suo padre non avrebbe mai potuto privarsi del suo lavoro per starle accanto. Che fosse giusto o meno non spettava a lei dirlo: era grazie al lavoro di suo padre, infatti, se si potevano permettere di mangiare, di abitare in quell’appartamento o se lei aveva la possibilità di frequentare la sua scuola.
Quanto a sua madre, Camelia non aveva mai avuto la possibilità di conoscerla veramente. Era morta quando lei era ancora molto piccola, e Camelia non aveva alcun ricordo di lei. Caleb, da quel punto di vista, poteva capirla: anche lui aveva perso entrambi i suoi genitori mentre era ancora un bambino, ma non amava parlare di quella storia. In parte, il suo destino era stato simile a quello di Jude, anche lui rimasto orfano sia di madre che di padre, tuttavia, a differenza sua, alla fine il suo migliore amico aveva trovato una famiglia adottiva. Caleb, invece, era sempre stato l’incubo degli assistenti sociali: un bambino piuttosto ribelle, di cui nessuno s’era voluto prendere cura. Alla fine, compiuta un’età che la legge aveva definito giusta, era finito a vivere da solo, e forse da lì in poi la vita di Caleb era migliorata: non gli dispiaceva la solitudine, anzi, forse la preferiva perfino ad alcune famiglie in cui, per brevissimo tempo, gli era capitato di stare: quel caos non faceva per lui; si trovava decisamente meglio nel suo silenzio.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma forse, se si trovava così bene con Jude, era anche per via del loro passato così simile. 
Caleb osserva il suo piatto, non senza una certa diffidenza: gli sembra di avere lo stomaco chiuso, quella sera – e dire che, generalmente, era un tipo a cui l’appetito non mancava mai –, infatti non ha ancora praticamente per nulla intaccato i ravioli che Percival ha preparato per loro.
Quando il padre di Camelia è arrivato a casa, qualche ora prima, i ragazzi lo hanno raggiunto in salotto per salutarlo. Hanno scambiato a malapena qualche parola, dopodiché Percival s’era chiuso nel suo studio a leggere un libro. Caleb e Camelia, invece, erano tornati in camera della ragazza.
«Credo che abbia avuto una giornata particolarmente difficile» aveva commentato Camelia, poggiando il suo libro di matematica sulle coperte del proprio letto.
«Mh.» Caleb, disposto perpendicolarmente rispetto al materasso, la testa che pendeva di lato, in direzione del pavimento, aveva roteato gli occhi. «Oppure, più semplicemente, mi odia.»
«No che non ti odia» si era affrettata a negare Camelia.
«Oh, sì, invece» aveva insistito lui. «E non mi ha mai potuto sopportare, per l’esattezza. In fondo non lo biasimo: d’altronde anch’io probabilmente, se fossi padre, non sarei poi così entusiasta se mia figlia fosse fidanzata con un ex teppista.»
Camelia, per zittirlo, gli aveva posato un bacio leggero sulle labbra.
«Peccato che a me non importi nulla del suo parere» era stato il suo commento, mentre rifletteva la sua espressione sardonica a pochi centimetri di distanza dal volto del ragazzo.
«Dovrebbe, invece» era stato il commento di Caleb.
Camelia aveva sospirato profondamente, mentre si lasciava cadere distesa piano sul letto alle sue spalle. «Non fraintendermi» s’era affrettata a chiarire, poco dopo, «è chiaro che per me la sua opinione sia importante: è mio padre, dopotutto. Tuttavia, non voglio che sia lui a decidere chi devo amare o meno: i miei sentimenti sono qualcosa di cui posso occuparmi solo io, credo.»
Il resto del pomeriggio lo avevano passato a studiare – o meglio, Camelia aveva studiato; di tanto in tanto, Caleb cercava di distrarla per infastidirla, ma la ragazza era stata intransigente. Caleb, dal canto suo, non aveva fatto un bel niente, ma il pensiero di separarsi dalla sua amata era insostenibile, così alla fine era rimasto lì, ad osservare la sua affascinante chioma di capelli lilla ondeggiare soavemente mentre scriveva il risultato di una nuova equazione, sorridendo ogni volta che la ragazza sollevava lo sguardo per chiedergli cosa stesse facendo, e quando lei si rendeva di nuovo conto che se ne stava con le mani in mano i suoi occhi turchesi venivano attraversati da una buffa scintilla di rabbia, che faceva scoppiare a ridere Caleb.
Dio, ma quant’era bella quando si arrabbiava?
Verso sera Percival era riemerso dal suo studio, diretto verso la cucina. In pochi minuti aveva fatto saltare i ravioli nella padella, salvo poi chiamare i due ragazzi per la cena, chiedendo anche a Caleb di restare.
Il ragazzo aveva accettato, ma non senza qualche indugio: lui e il padre di Camelia non si erano mai particolarmente sopportati, dunque il pensiero di cenarci insieme non rientrava nella sua lista dei desideri. Camelia, tuttavia, aveva insistito, e alla fine non aveva potuto far altro che accettare – in fin dei conti, neanche lui era ancora pronto per lasciare quella casa, e soprattutto la sua ragazza.
Così s’era ritrovato in quella situazione paradossale, seduto ad una tavola di persone che non interagivano tra loro, tutti e tre evidentemente in imbarazzo.
Camelia sospira pesantemente; non riesce a sopportare quel silenzio così opprimente, ed è del tutto intenzionata a romperlo.
«P-possiamo provare a vedere se in frigo c’è del dessert…» propone, titubante.
«No» replica Percival, lapidario, alzandosi dalla tavola. «Non ho più fame. Torno nel mio studio.»
Così dicendo, l’uomo si alza, sparendo in pochi istanti dalla sala da pranzo.
Caleb e Camelia restano a guardarsi, in un silenzio imbarazzato. Camelia si morde il labbro inferiore, mentre alcune lacrime fanno capolino dai suoi occhi, minacciando di cadere e rigarle le guance innocenti da un momento all’altro.
«Mi dispiace…» mormora, sinceramente mortificata. «Dovevo aspettarmi che sarebbe andata a finire così…»
«Non è colpa tua» Caleb sospira pesantemente, ma riesce lo stesso a rivolgere un live sorriso alla ragazza.
Lo pensava sul serio. In realtà avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe andata a finire in quel modo – entrambi lo sospettavano, fin dall’inizio, ma forse s’erano illusi che potesse andare diversamente. Che sciocchi che erano stati. La verità era che Percival detestava Caleb – e, di conseguenza, nemmeno il ragazzo aveva un’alta considerazione di lui – e non aveva apparentemente alcuna intenzione di cambiare opinione su di lui. Caleb sapeva che Camelia aveva cercato in ogni modo di convincerlo che fosse cambiato, e che ormai non avesse più nulla a che fare con la banda, i crimini e quant’altro, ma sembrava quasi che Percival non l’avesse ascoltata affatto. Per lui, ciò di cui Caleb si era macchiato in passato era troppo grave, e il pensiero che restando vicino a sua figlia potesse ferirla – volontariamente o meno – era insopportabile.
«Mi accompagni alla porta?» domanda il ragazzo, gli occhi fissi in quelli della fidanzata.
Camelia annuisce e fa per alzarsi, ma quelle lacrime non vogliono saperne di allontanarsi dai suoi occhi. Ed è quella la cosa che più detesta Caleb: non è giusto che ci vada in mezzo lei, che in tutta la vicenda non c’entrava niente. Poteva capire che suo padre potesse avere una cattiva idea di lui, e in un certo senso Caleb lo rispettava perfino per questo – teneva troppo a Camelia per non volerne il suo bene, e sapere di non essere l’unico a pensarla in quel modo era quasi rassicurante, per lui –, tuttavia non sopportava di vederla piangere, né di sapere che per quell’astio che intercorreva tra lui e Percival la persona a soffrirne maggiormente fosse proprio Camelia. La loro era una questione privata, ed era giusto che rimanesse tale. Non aveva senso mettere in mezzo Camelia, e forse questo Caleb e Percival lo sapevano già, nonostante ciò tuttavia ora la persona che per entrambi era la più importante della loro vita ne stava rimanendo ingiustamente vittima – e per cosa, poi? Perché si stavano comportando come dei ragazzini per quell’odio reciproco?
All’ingresso, Caleb s’infila la giacca, e Camelia continua ad osservarlo con gli occhi lucidi.
«Ci sarai domani a scuola?» le domanda il ragazzo, cercando di sottrarla dai suoi pensieri.
«Credo di sì» gli conferma lei, la voce ancora un po’ incerta. «Caleb, mi dispiace davvero per stasera…»
«Non pensarci» il ragazzo le posa un bacio premuroso sulla fronte. «Nulla che non potessimo prevedere, d’altronde… ma non importa, ci abbiamo provato.»
A quelle parole, Camelia gli rivolge un debole sorriso. Ecco, era questo il Caleb che le era mancato, l’anno precedente, quando con la storia della banda si era allontanato così drasticamente da lei, il ragazzo che cercava di trovare il lato positivo in ogni situazione – sebbene non senza un pizzico di sarcasmo –, il ragazzo di cui, in fin dei conti, era innamorata.
Camelia apre la porta, e sente già un pezzo di sé allontanarsi da quella casa.
«Buonanotte» la ragazza saluta il fidanzato, lasciando ondeggiare la chioma violetta nell’aria fredda del pianerottolo.
«Buonanotte» Caleb si volta, e inizia ad incamminarsi verso le scale.
Camelia resta ad osservarlo, e aspetta paziente fino a che la figura del ragazzo è ormai diventata invisibile ai suoi occhi. Solo allora chiude il portone, con un lieve clangore, mentre si lascia sfuggire un sospiro affranto e la sua figura scivola lentamente verso il basso, rannicchiandosi a terra, le ginocchia strette al petto.
Sa di non essere del tutto sincera con Caleb, di recente, ma ha paura che – se solo lo fosse – finirebbe per perderlo per sempre.
E Camelia non può permetterselo.


Broadway, Boston, 14th October
h. 04:10 p.m.


Jude sorride, passandosi pigramente una mano tra i capelli. Le lezioni sono appena finite, e lui è già uscito dalla scuola. È seduto di lato, sulle grandi gradinate della scuola, e sta aspettando che Caleb, Joe e David lo raggiungano.
Spera solo che facciano presto: ultimamente ha avuto un sacco di grattacapi di cui occuparsi, e per un pomeriggio vorrebbe solo poter svuotare la mente da qualsiasi pensiero assieme ai suoi amici, proprio come un tempo.
Continua a pensare a ciò che Ray gli ha detto, meno di due settimane prima: davvero rischia di dover sacrificare la relazione con la persona che ama a causa di un demone prepotente?
Il ragazzo lascia vagare gli occhi sulla folla di studenti che si è dispersa attorno all’uscita dell’edificio scolastico: alcuni sono già fuggiti via – come biasimarli, d’altronde –, altri invece sono ancora fermi nei paraggi, raccolti in piccoli gruppi, intenti a domandarsi come sia andata la verifica che avevano in programma per quel giorno o ad organizzarsi per uscire insieme quel pomeriggio.
D’un tratto, a Jude sembra di incrociare, all’interno della folla, un paio di occhi grigi intenti ad osservarlo. Sul volto del ragazzo compare un’espressione confusa, non riesce a riconoscere a chi appartengano…
Una mano si posa sulla spalla di Jude, facendolo sussultare.
«Oh! S-scusami, Jude, non mi ero accorto che fossi soprappensiero…» si affretta a giustificarsi David, un lieve rossore che compare sulle sue guance.
Jude rivolge un lieve sorriso all’amico, con l’intento di rassicurarlo. Poco dopo, tuttavia, il suo sguardo torna a saettare in direzione della folla, nel punto in cui, poco prima, aveva visto quegli occhi grigi osservarlo…
Impossibile. Sembravano essere spariti in un battito di ciglia.
Eppure non se li era sognati… o forse sì? Jude si porta una mano alla tempia, massaggiandosela brevemente. Gli sembra di star impazzendo, di recente. Di sicuro, tutto lo stress che sta accumulando non gli sta facendo bene.
Forse ha davvero bisogno di staccare la spina assieme ai ragazzi, per quel pomeriggio, decreta infine. Jude si volta nuovamente verso David, con un sospiro sconsolato.
«No… ti chiedo scusa io, piuttosto» si affretta a rassicurarlo. «Non era niente di importante, tranquillo.»
«Sicuro?» fa per domandargli l’amico.
Prima che il ragazzo possa rispondergli, tuttavia, i due amici vengono interrotti di colpo.
«Ehi, di che state parlando?» Caleb sbuca da dietro David, circondando le spalle dell’amico con un braccio. «Non starete mica confabulando senza di noi, mh?»
«Magari confabulano contro di noi» puntualizza Joe, con tono fortemente sarcastico, la schiena poggiata allo stipite del portone d’ingresso della scuola – deve essere arrivato insieme a Caleb, realizza in fretta Jude.
«Oh, andiamo, lo sapete che non lo faremmo mai…» si affretta ad assicurare loro David.
Jude, dal canto suo, rotea gli occhi: gli è chiaro che Joe e Caleb stessero scherzando – come sempre, d’altronde. A volte si chiede come faccia David a non averlo ancora capito, e a cadere ancora nelle trappole di Caleb, dopo tutto quel tempo…
Diversamente dal solito, tuttavia, Caleb non coglie la palla al balzo per prendersi gioco di David. Sembra stranamente concentrato in pensieri seri, e Jude è piuttosto curioso di sapere quali siano – ma sa perfettamente che quello non è né il luogo né il momento adatto per domandargli di che cosa si tratti.
L’ex capo della banda, nel frattempo, riacquista il solito sorriso spavaldo.
«Ehi, branco d’idioti, parlando di roba importante, che ne dite di fare un salto alla cara, vecchia tana, oggi?» propone infatti, sogghignando entusiasta.
«B-branco d’idioti a chi?» fa per obiettare David.
«Caleb, ma non avevamo chiuso con quella vita?» gli fa notare Joe, con un cipiglio alterato.
«Non ho mica detto “andiamo in giro a devastare cose e a rubare roba”, ragazzi» precisa Caleb, il sogghigno sul suo volto che sembra allargarsi sempre di più. «Pensavo piuttosto a qualcosa della serie “ci beviamo qualcosa e ce ne stiamo sul nostro divano sfondato”. Allora, chi è con me?»
Sorprendentemente, Jude è il primo ad alzare la mano. David e Joe lo osservano confusi, ma alla fine si limitano ad imitarlo.
Caleb annuisce, soddisfatto. «Bene, per la gioia di David ritiro il “branco d’idioti”. Alla fine non siete poi così stupidi, a quanto pare» commenta, infatti. «Direi che possiamo andare. Prima, però, volevo avvisare Camelia…»
«È inutile che la cerchi, Caleb» lo informa David, risoluto. «Oggi aveva laboratorio di scultura con me, e non si è presentata. Ho chiesto ad una sua amica, una certa Nelly, e mi ha detto che oggi non c’era neanche a inglese, né ad algebra. Temo che sia assente…»
Per un momento, il ragazzo sembra accigliarsi. È strano: di recente Camelia è spesso assente da scuola, e quando c’è sembra impegnarsi in tutti i modi ad evitarlo. Caleb è confuso, non ha idea di cosa le stia succedendo: è per quello che era successo l’ultima volta che si erano visti, a cena a casa di lei? No, impossibile: avevano risolto, in fin dei conti. Dev’esserci qualcosa di più grosso sotto, Caleb ne è certo, d’altronde ormai conosce fin troppo bene Camelia e sa che non si comporterebbe mai in un modo del genere senza un motivo importante. E allora che sta succedendo…? Vorrebbe poterlo sapere già in quel momento, tuttavia ora si è impegnato a stare con la banda, e non li può abbandonare senza dire loro nulla.
«Va bene, andiamo» afferma allora. Fa per incamminarsi giù dalle gradinate, ma si ferma un momento prima di scendere dal primo scalino. «Tu non devi salutare nessuno, Jude?»
«No…» il ragazzo scuote leggermente il capo, per poi lanciare uno sguardo malinconico verso l’interno della scuola.
Caleb inarca le sopracciglia. “Non di nuovo…” borbotta tra sé, angustiato. Non avrà di nuovo litigato con Ray, vero? Forse è solo troppo preoccupato dal pensiero che il suo migliore amico possa di nuovo soffrire come l’anno precedente, ma se davvero dovesse essere così…
Caleb si ammonisce mentalmente, richiamando al pensiero le parole di Camelia. “Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi quando non è ancora successo niente è perfettamente inutile”… aveva detto così, no?
«Ottimo» conclude infine, sbuffando rumorosamente, mentre inizia finalmente a scendere giù per le scale. «Allora cosa aspettiamo, gente? Forza, andiamo: ci attende un pomeriggio elettrizzante.»


 Southwest Corridor, Boston, 14th October
h. 05:58 p.m.


Sono mesi dall’ultima volta che sono stati lì, eppure nulla sembra essere cambiato – almeno all’apparenza.
Il vecchio covo di Southwest Corridor li accoglie con la solita desolante fatiscenza, alti strati di polvere e sporcizia che invadono ogni angolo, il vecchio tappeto che non era mai stato lavato ancora sporco di fango, proprio come l’ultimo giorno.
Ogni dettaglio è al solito posto, e potrebbe essere ieri l’ultimo giorno in cui vi sono entrati, se non fosse per un dettaglio. Perché sì, il covo era sempre lo stesso, ma quelli ad essere cambiati, in fondo, erano proprio loro.
David si lascia cadere sul vecchio divano dalle sedute sfondate e stiracchia le braccia, con una leggera risata. Joe, invece, è già scattato verso un piccolo mobile, in fondo alla stanza, dove un tempo conservavano le scorte di alcol.
Jude si volta di lato. La vecchia finestra, dalla parte opposta della stanza, è ancora lì, con i suoi vetri rotti. Pensa a quando era lì, mesi fa, a fare compagnia a Caleb, mentre entrambi fumavano, e un sorriso malinconico gli fa capolino sulle labbra. È giusto che i tempi andati rimangano tali, forse però, in fin dei conti, non tutto è da buttare: basta pensare a quella strana amicizia con quei tre ragazzi. Era nata in maniera rocambolesca, per salvare la famiglia Sharp da uno scandalo mediatico, ma a conti fatti i quattro erano finiti per diventare inseparabili, legati da un rapporto sincero e profondo.
Joe recupera una bottiglia di bourbon – da quando in qua c’era roba così pregiata, tra le loro scorte? – e la lancia in direzione di Caleb, che l’afferra senza troppi sforzi.
«Dobbiamo festeggiare qualcosa?» domanda David, sorpreso, aggrottando le sopracciglia.
Il suo fidanzato si volta a guardarlo, con un sorriso complice. «Beh, per esempio il fatto che per una volta non siamo entrati qui dopo aver devastato qualcosa o in seguito all’essere sfuggiti alla polizia» commenta infatti, poco dopo, Joe, ironico.
David, cogliendo quella sfumatura, decide di assecondarlo. «Oh, sì» aggiunge infatti, «e nemmeno dopo aver rubato qualcosa!»
«Che vocine allegre» commenta Caleb. «Cos’è, avete sfogato le vostre frustrazioni sessuali nei  bagni di scuola, stamattina?»
David allarga le braccia, esasperato. «Possibile che per te debba ridursi tutto sempre e solo a una questione di sesso?» domanda, la voce chiara che, alzandosi di qualche ottava per l’irritazione, sembra quasi uno scampanellio agitato, come di sonagli agitati dal vento forte dell’inverno.
«In tal caso, visto l’umor nero che sembri avere oggi, di recente tu devi essere andato in bianco, Caleb» commenta Jude, con un sorriso scaltro.
Per un momento, nel covo cala il più gelido dei silenzi. Jude, sebbene il suo volto non lasci trasparire emozioni, dentro trema come una foglia. E adesso che succederà? Caleb vorrà fare a botte, come ai vecchi tempi?
Sorprendentemente, invece, sono le risate di Joe e David ad irrompere nell’aria. Caleb finge disinteresse, ma il suo volto s’imbroncia lo stesso, in maniera quasi inevitabile.
«Sì, ridete, ridete» commenta, a bassa voce – ma non lo sente comunque nessuno, a causa del fragore delle risate degli altri ragazzi. «Tanto poi ci penso io, a voi.»
Anche Jude scoppia a ridere, sinceramente divertito. Forse era proprio quella la parte che gli era mancata di più di quella vita di strada che si era ritrovato ad intraprendere, nell’ultimo anno della sua vita: quei momenti di spensieratezza e di euforia, in cui essere vivi sembrava avare un valore così importante.
Caleb gli passa la bottiglia di bourbon, come una vecchia tradizione che tornava a ripetersi – era sempre il vice il primo a cui il capo della banda offriva da bere –, dopodiché Jude resta ad osservarlo mentre lo vede allontanarsi in direzione della finestra.
Non riflette a lungo sul se seguirlo o meno: un istante dopo sta già camminando dietro di lui.
Caleb si ferma, e Jude con lui. L’ex capo della banda sembra avere lo sguardo perso nel vuoto, mentre osserva i mattoni rossi che compongono il fabbricato, o le schegge di vetro abbandonate sul davanzale della finestra. Uno spiffero di vento irrompe con prepotenza nella stanza, soffiando ululante tra gli spifferi.
«Te la sei presa, per quello che ho detto prima?» s’informa Jude, più per rompere il silenzio che si è venuto a formare tra loro che perché lo pensi davvero.
«No» ammette infatti Caleb. «Forse un tempo l’avrei fatto, ma ormai credo di essere cambiato. E comunque, per tua informazione, avevi ragione.»
Jude scrolla le spalle. «Non m’interessava, a dir la verità. Devo supporre che tu sia così nervoso per questo, oggi?» chiede ancora, cercando di deviare il discorso su qualcosa che, in realtà, gli interessa di più.
«E io devo supporre che tu abbia tutta questa voglia di fare battute perché invece la tua vita sessuale è molto più attiva della mia?» sbotta Caleb, con un leggero sogghigno sulle labbra. «In ogni caso, non era poi così male, quella battuta.»
«Per tua informazione, la risposta sarebbe un sì» Jude sorride, strizzando appena gli occhi.
«Beh, non m’interessava» Caleb agita le braccia, a disagio. Jude ormai sa bene che il ragazzo sia in imbarazzo ogni volta che la storia del suo fidanzamento con Ray viene tirata in ballo, e proprio per questo si diverte a farla sbucare fuori appositamente nei loro discorsi, di tanto in tanto. Caleb in difficoltà è uno degli sfizi più entusiasmanti che Jude ami concedersi.
«Ad ogni modo, se proprio vuoi saperlo, non era questo a preoccuparmi» Caleb tira fuori da una delle tasche dei suoi pantaloni un pacchetto di sigarette.
«Non avevi smesso, con quelle?» gli domanda Jude. Nel frattempo, il rumore dello schiocco di baci tra David e Joe arriva alle loro orecchie dalla parte opposta della stanza.
«Non sarà certo una sigaretta ogni tanto ad uccidermi, Jude» commenta Caleb, mentre dal suo accendino schizzano scintille aranciate.
Jude incrocia le braccia, irremovibile. «Una ogni tanto no, ma tutte quelle che ti sei fumato prima lo faranno, un giorno di questi» gli fa notare, con un tono saccente involontario.
«Beh, tanto prima o poi dobbiamo morire tutti, no?» Caleb sbuffa, e una nuvola di fumo inonda l’aria tra di loro. «Quando fai questi discorsi sembri mia madre, Jude.»
«Meglio morire il più tardi possibile, non trovi?» insiste il ragazzo, testardo. «Comunque, per quale motivo saresti nervoso, allora?»
«Da che pulpito.» Caleb inarca le sopracciglia, sogghignando appena. «Non eri tu quello che voleva buttarsi da un ponte, l’anno scorso?»
«Era una situazione diversa!» Jude, che finora ha parlato a voce sommariamente bassa, per un momento sembra perdere la sua compostezza. Caleb lo osserva, con un sorriso trionfante sul volto, e questo basta a Jude per comprendere di aver appena commesso un errore. Subito dopo, infatti, prende dei respiri profondi, senza smettere di osservare l’altro ragazzo. «Non hai ancora risposto alla mia domanda» gli fa notare, di nuovo calmo.
«Ci scaldiamo facilmente, mh? Allora forse la tua vita sessuale non è poi così attiva come vuoi farci credere.» Caleb sembra essere così divertito che Jude non si sorprenderebbe se, da lì a breve, gli scoppiasse a ridere in faccia. E tutto questo perché Jude non sa controllare le proprie emozioni.
Perfetto.
Il ragazzo poco dopo, tuttavia, riprende a parlare, e senza avere, almeno apparentemente, alcuna intenzione di prendersi gioco dell’altro, non questa volta, almeno. «Il padre di Camelia mi detesta» gli confida infatti, con una spontaneità che mai Jude si sarebbe aspettato da Caleb. Il loro rapporto era evoluto in maniera considerevole, nel tempo, ma Caleb era sempre stato restio ad aprirsi con qualcuno.
«Cosa te lo fa pensare?» Jude si appoggia con la schiena alla parete alle sue spalle, senza mai distogliere lo sguardo dalla figura di Caleb.
«Non mi ha mai rivolto veramente la parola. L’altra sera, quando ero a cena da loro, non appena ha potuto alzarsi dal tavolo se n’è andato, senza dire niente né a me né a Camelia. Lui e la figlia litigano spesso, e anche se Camelia non fa altro che ripetergli che sono cambiato, che non sono più un teppista e che la mia vita non è più la stessa di prima, lui continua a non tollerare la nostra relazione.» Le dita di Caleb picchiettano contro la sigaretta, residui di cenere che cadono lentamente verso il suolo. «Non lo biasimo, Jude, ma non voglio che lei stia male per questo. Non c’entra niente, cazzo.»
Jude annuisce. La situazione è leggermente più complessa di quanto si aspettasse e, in un certo senso, crede di riuscire a comprendere Caleb.
Una relazione difficile da portare avanti, mh?
«Hai parlato con lei di questo?» Jude lancia un calcio a terra, e una piccola nuvola di polvere si solleva nel punto in cui il suo piede ha colpito.
«Dice che non le importa di suo padre e che per lei ciò che conta è stare con me» Caleb scuote la testa. «Però non voglio che si metta nei guai a causa mia.»
«Beh, magari potresti parlare tu con suo padre» gli suggerisce Jude, in tono conciliante. «Forse, se sei tu ad assicurargli che hai chiuso con quella vita, se ne convincerebbe.»
Caleb resta in silenzio, come rapito da chissà quali pensieri. Jude si chiede se stia realmente valutando la sua proposta; poco dopo, tuttavia, si rende conto che non è così.
«Invece cosa sta succedendo tra te e Dark, Jude?» gli domanda Caleb, prendendolo alla sprovvista.
Una risata sale alle labbra di Jude. «Come sarebbe a dire “cosa sta succedendo”?» domanda, divertito.
«Credi che non me ne sia accorto?» Caleb fissa intensamente Jude negli occhi, come se stesse cercando le tracce della sua bugia. «Ultimamente sembra che tu lo stia evitando.»
«Beh, è una tua impressione» Jude stappa la bottiglia di bourbon, per poi berne un sorso, cercando di dissimulare il disagio. Mentre il liquore ambrato gli scivola giù sente l’alcol raschiargli la gola, ma è una sensazione a cui è ormai abituato. «Sfortunatamente non posso saltargli addosso ogni volta che voglio, in particolar modo mentre siamo a scuola. Deve pur sempre mantenere un profilo rispettabile, no?»
Caleb non sembra essere convinto dalla spiegazione di Jude. Si spinge appena in avanti, fino a ritrovarsi davanti all’amico; gli poggia le mani sulle spalle, con fare paternalistico.
«Se dovessi di nuovo soffrire a causa sua… lo sai che non me lo perdonerei mai, vero?» gli domanda, il tono che di colpo sembra essersi fatto cupo, solenne.
Jude sobbalza, ma continua a sorridere, ostentando quella serenità che in realtà sa di non avere. Con un gesto rapido della mano si libera dalla presa di Caleb, allontanandosi di qualche passo. «Di che hai paura, Caleb? La nostra relazione procede nel migliore dei modi.» Il ragazzo si affaccia dalla finestra: sono in un quartiere periferico, e tutto ciò che riesce a vedere da lì è il palazzo accanto a loro. Il paesaggio nelle vicinanze, ormai Jude lo sa bene, non è poi così diverso: una sfilza di magazzini abbandonati, i mattoni rossi a vista. «Io amo Ray, e Ray ama me. Non c’è motivo di preoccuparsi che qualcosa possa andare per il verso sbagliato.»
Jude non ha idea del perché, eppure, mentre pronuncia quelle frasi, sembra quasi star cercando di convincere anche se stesso di tutto ciò.
Caleb scrolla il capo; c’è qualcosa che continua non convincerlo, in tutta quella faccenda. Forse ha ragione Camelia e si sta preoccupando più del dovuto, però… mah, chissà.
«C’è anche un’altra cosa, a dir la verità» Caleb sospira, passando la sigaretta a Jude. «Ho l’impressione che Camelia mi stia nascondendo qualcosa.»
Jude aspira avidamente una boccata di quel fumo insalubre che sa lacerargli i polmoni, ma di cui sente di avere così disperatamente bisogno, adesso. «Credo che dovresti provare a parlare anche di questo con lei, Caleb.» commenta, gli occhi cremisi che nel mentre cercano quelli dell’altro.
«Mh…» Caleb annuisce, e fa per commentare, ma dal divano il rumore dei baci di Joe e David sembra essersi fatto più intenso.
A Caleb sembra di star vivendo un déjà-vu.
«La fate finita, voi due?» sbottano insieme lui e Jude.
Quando i due ragazzi si rendono conto di aver parlato all’unisono, si lanciano uno sguardo d’intesa, e un sorriso compare sul volto di entrambi.





Angolo autrice

Non ho molta voglia di parlare.
Avrei tante cose da dire, però sono talmente devastata che faccio fatica a tirarle fuori. Di solito preparo le note dei capitoli qualche giorno prima della pubblicazione, ed è stato così anche con quelle del precedente. Forse è stato meglio così, perché se le avessi dovute scrivere il 27 stesso non so come avrei fatto.
Uno dei miei migliori amici del liceo non c'è più. Non so nemmeno perché lo sto scrivendo qui, forse non è giusto, non dovrei farlo... ma dopo più di una settimana faccio ancora fatica ad accettarlo.
Non credo che lui abbia mai dato al nostro rapporto il valore che gli attribuivo io. Però per quattro anni della mia vita, di cui tre vissuti praticamente in simbiosi, è stato per me una presenza costante. E anche se adesso non c'è più e la cosa mi fa star male, so che sarebbe felici di sapermi ancora alle prese con la scrittura. Mi ha sempre sostenuta molto, da sotto questo punto di vista. Per questo sto cercando di andare avanti con la pubblicazione della storia, nonostante questo non sia chiaramente un periodo positivo per me.
Esattamente tre anni fa cominciavo a pubblicare Dark Necessities, e oggi sono qui a postare il nuovo capitolo del seguito di quella storia. Com'è strana la vita. Spero che la storia vi stia piacendo.
Per il resto... in realtà su questo capitolo non ho molto da dire. Quello che succede qui è più una "transizione" verso gli sviluppi di trama che vedremo già a partire dal prossimo aggiornamento. Vi dico solo che sta per arrivare l'angst, uhuh.
Curiosità: nella vecchia storia il quartiere della scuola (realmente esistente, lo ricordo) era identificato con quello di Cambridge, invece poi ho scoperto che in realtà è a Broadway, ecco perché l'ho cambiato, lol. Invece già dal precedente capitolo ho inserito nuove zone, come Beacon Hill (dove si trova lo Starbucks dove Jude e Ray si fermano a conversare) e Somerville (che invece è il quartiere di residenza di Camelia).
Ah, ci siamo anche lasciati il capitolo più lungo alle spalle. Era il precedente, non so nemmeno io il perché. Sì, ho fatto il calcolo di quante parole ci sono in ciascun capitolo, oltre ad aver in effetti già ultimato la divisione in capitoli e dato un nome a ciascuno di essi. Il che è un bene, considerando che prima passavo l'intero giorno della pubblicazione a scervellarmi pensando a cosa avrei dovuto scegliere. Tra l'altro probabilmente già tra uno o due aggiornamenti inizierete a vedere alcuni cambiamenti nello stile di scrittura, perché come ho già spiegato ho lasciato e ripreso diverse volte la stesura di questa storia.
Probabilmente dovevo dire anche qualcos'altro, ma onestamente al momento mi sfugge, inoltre queste note sono già fin troppo lunghe, per cui sarà meglio chiuderle qui.
Scusate se per la maggior parte del tempo ho parlato di cose a caso, ma credo che ne avessi bisogno.
A presto


Aria
   
 
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