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Autore: _ A r i a    27/06/2020    0 recensioni
{ sequel di Dark Necessities | au | tematiche delicate }
Il pennello danza lentamente nell’acqua, lasciando scie di colore azzurro all’interno di essa.
Jude resta ad osservarlo, come incantato. Per un momento gli sembra di dimenticare la tela davanti a sé, su cui sta dipingendo un paesaggio dai colori freddi, una spiaggia deserta, dalla sabbia grigiastra, e un mare in tempesta, onde agitate e schiuma bianca che schizza nell’aria.
È un paesaggio invernale che ha imparato a conoscere bene, in quell’ultimo periodo. Ha la mente troppo piena di pensieri, di dubbi e di dolore, così, appena può, si rifugia a Back Bay, da solo, senza che nessuno sappia nulla. Si siede alla fine di un pontile, accoccolandosi alla ringhiera in ferro, e resta lì anche per ore, incurante del vento freddo che ruggisce e gli fa sbattere i vestiti contro la pelle, ad ascoltare lo sciabordio nervoso delle onde e cercando di trarre da esso le risposte di cui sente di aver così disperatamente bisogno, in quell’ultimo periodo, ma che crudeli continuano a sfuggirgli.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Beacon Hill, Boston, 2nd October
h. 05:59 p.m.


Per poco Jude non finisce per strozzarsi con il cappuccino che sta sorseggiando.
La clientela di Starbucks fissa leggermente infastidita il loro tavolo: mentre il ragazzo cerca di riprendersi dalla notizia che ha appena ricevuto con profondi colpi di tosse, la cannuccia verde che danza nella grossa tazza che tiene in mano, dalla parte opposta Ray lo osserva con un’espressione serissima in volto. Detesta avere tutti quegli sguardi addosso, se potesse uscirebbe da quel locale seduta stante, anche se non può non comprendere le ragioni del suo ragazzo.
Jude posa la tazza di cappuccino alla vaniglia sul tavolino, prendendo dei profondi respiri e pregando dentro di sé che tutti gli occhi che sente ora puntati sulla sua schiena possano finalmente lasciarlo in pace, tornando ad osservare ciò che era il centro delle loro attenzioni fino a poco prima – un buon libro, lo smartphone o più semplicemente la propria bevanda.
Il ragazzo sente le guance in fiamme ed è una sensazione che detesta, soprattutto perché è piuttosto certo che non si siano arrossate per lo sforzo dei colpi di tosse di poco prima e né, tantomeno, per l’imbarazzo di aver richiamato su di sé lo sguardo dell’intero locale.
No, c’è dell’altro – rabbia, con ogni probabilità – che non lo lascia in pace, e Jude sa bene che l’unico modo in suo possesso per liberarsene è affrontarla.
«Dimmi che ho capito male» Jude prega, quasi implora Ray, sperando effettivamente di aver captato delle parole distorte, sopra il suono del risucchio del cappuccino attraverso la cannuccia.
Eppure, a giudicare dall’espressione mesta dell’uomo, la situazione lascia ben poco spazio ai dubbi.
«Vorrei poterlo fare» ammette Ray, con un sospiro affranto, «eppure, se lo facessi, ti mentirei, e credimi se ti dico che è l’ultima cosa che desidero.»
A quelle parole, la desolazione più pura riempie gli occhi del ragazzo, che si limita a prendersi la testa fra le mani, disarmato.
«No, no, no…» mormora, incredulo. Tira un sospiro profondo, cercando di rimettere a posto le idee.
«Non ce l’ho con te» esordisce infatti, di lì a poco, sperando che i suoi pensieri abbiano un minimo senso logico. Generalmente Ray è l’unica persona in grado di mettere in ordine il caos che c’è nella sua testa, invece questa volta si trova in forte difficoltà. «Non è una cosa di cui io ti possa biasimare, dopotutto… nessuno avrebbe immaginato che sarebbe potuto succedere nulla del genere. Tu… quando l’hai saputo?»
«Poche ore fa, ahimé» ammette l’uomo, intrecciando le mani sopra al tavolino. «Avrei voluto potertelo dire prima, ma eri così preso dai lavori assieme agli altri ragazzi, e poi sembrava che ti stessi divertendo così tanto e io… non volevo guastare quel clima di festa, ecco.»
Jude tiene tra due dita la cannuccia, facendola roteare lungo la circonferenza della sua tazza di cappuccino. Il caffè nero e amaro di Ray, invece, è rimasto ormai abbandonato dall’altro lato del tavolino e, apparentemente, il professore non sembra intenzionato a mettervi mano a breve.
Perlomeno, le persone intorno a loro sono tornate ad occuparsi delle loro precedenti attività e non badano più a ciò che si stanno dicendo. Meglio così, valuta Jude: sa già che quello che sta per chiedere metterà Ray in forte imbarazzo, se avessero addosso pure l’attenzione di tutte le persone presenti nella sala laterale del locale sarebbe davvero la fine.
«Quindi…» Jude scandisce ogni singola parola con voce lenta e bassa, sforzandosi affinché l’unico in grado di sentirlo sia Ray. «Il Cambridge Rindge and Latine School ha un nuovo preside. Che tu conosci. E lui conosce te, perché… avete avuto una relazione al tempo del college.»
Le guance di Ray s’imporporano, e Jude può giurare di poter contare sulla punta delle dita le volte in cui ha visto succedere una cosa del genere. Potrebbe perfino sorridere, se solo non si trovassero in quella situazione così assurda.
«S-sì» Ray fissa le proprie dita intrecciate, con aria grave. «Cioè… non era propriamente una relazione sana, però diciamo che tra noi è successo qualcosa, quello sì, senza ombra di dubbio.»
Jude si lascia sfuggire un sospiro pesante. Se dovesse definire tutta quella circostanza con una sola parola, non avrebbe esitazioni nell’utilizzo del termine ‘paradossale’. Il ragazzo si porta una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie con forza. Sostenere quella conversazione è piuttosto complesso, si rende conto tuttavia che è una cosa che deve fare.
«E… perché me lo stai dicendo adesso?» domanda, sempre più perplesso in merito alla piega che quel discorso sta prendendo.
Stavolta a sospirare è Ray; in effetti quella discussione è faticosa da portare avanti per entrambi, tuttavia sa che ad affrontare certi nodi sul proprio passato deve essere lui in prima persona.
«Perché era giusto che lo sapessi» ammette infatti. Allunga una mano sopra il tavolo, lasciando scivolare le dita di Jude tra le sue. All’inizio il ragazzo si mostra piuttosto diffidente a quel contatto – e Ray non può non capirlo, soprattutto dopo quello che gli ha appena detto –, tuttavia ben presto si lascia andare a quel tocco carezzevole, concedendo all’uomo di sfiorare il suo palmo. «Avrei detestato l’idea che tu potessi venirlo a sapere da qualcun altro. Voglio essere sincero con te al cento per cento, lo sai. E poi… non sopporterei la possibilità che tu possa di nuovo smettere di rivolgermi la parola perché ho omesso di parlarti di un capitolo della mia vita che considero ormai concluso da molto tempo.» Ray sospira a fondo, permettendosi solo in quel momento di sollevare lo sguardo e di incontrare quello del suo ragazzo. Temeva di leggervi dentro tanta rabbia, invece vi trova solo un mare di confusione, che Ray non vede l’ora di dissipare. «Infine, e questo è il motivo principale per cui ti ho chiesto di parlarne, ho paura che possa scoprire della nostra relazione e usarla contro di noi.»
Se possibile, Jude sembra adesso ancor più confuso di prima.
«Che intendi?» domanda infatti poco dopo al suo amato.
Ray sorride debolmente – e Jude riconosce che quello è un sorriso triste –, continuando ad accarezzare le dita del ragazzo.
«Vedi… ci troviamo davanti ad una persona molto subdola, Jude. Negli anni che ho trascorso al college non ha mai perso occasione per sottolineare quanto io fossi inferiore a lui, umiliandomi in ogni modo possibile. Credo che tragga piacere nell’infliggere dolore agli altri e, in particolar modo, a me. Non lo dico come una forma di vittimismo, mi baso piuttosto su quanto ho potuto vedere nel corso degli anni. Per questo, penso di poter affermare piuttosto con certezza che, qualora si ritrovasse tra le mani un modo per distruggermi, non esiterebbe nemmeno per un secondo prima di metterlo in atto. Ed è qui che entri in scena tu.»
Finalmente i tasselli iniziano a mettersi in ordine nella mente di Jude e, per quanto fino a un momento prima desiderasse così disperatamente capire quale disegno stesse tracciando Ray davanti ai suoi occhi, ora che finalmente comprende il senso di quel discorso vorrebbe poterlo cancellare via con una gomma.
Dubita tuttavia che questo possa essere possibile.
«Se venisse a conoscenza della nostra relazione, non perderebbe tempo per minacciarti o rovinarti per sempre la carriera» conclude il ragazzo, desolato.
«Già» conviene Ray, continuando a sorridere tristemente.
Jude sospira pesantemente, ritraendo la propria mano dalla stretta di quella di Ray. Si porta entrambi i palmi al volto, affondandocelo dentro. Cercare di dare un senso razionale a tutta quella discussione sembra ormai una possibilità estremamente remota.
«La cosa che più mi preoccupa, sinceramente, al di là del mio lavoro come insegnante e tutto il resto, è ciò che questa storia potrebbe significare per te» ammette Ray, rammaricato. «Non voglio che si vengano a creare di nuovo dei problemi con la tua famiglia, Jude. L’anno scorso hai avuto continue discussioni con tuo padre per via della banda, ti eri perfino allontanato dalla scuola… non deve ricominciare tutto daccapo.»
«E allora questo che significa?» la voce di Jude trema, sembra essere sul punto di spezzarsi. «Che non possiamo più frequentarci, che dobbiamo restare lontani…?»
«Beh… no. Non necessariamente, almeno» Ray sorride debolmente, cercando di recuperare un contatto con le dita del ragazzo. «Significa solo che dobbiamo stare un po’ più attenti. Il che vuol dire che a scuola dovremo mantenere un atteggiamento estremamente formale, ancor più di quanto già facciamo, comportandoci per quelli che siamo, ossia un insegnante e un allievo. Ci limiteremo a parlare solo lo stretto necessario, durante le lezioni, come abbiamo fatto quasi sempre. Quando saremo da soli, invece, potremo continuare a baciarci e quant’altro tranquillamente, facendo però attenzione che nessuno legato alla scuola ci veda. Lo so, è tutto così assurdo, ma non sono riuscito a trovare una soluzione migliore di questa…»
La voce di Ray si affievolisce lentamente, mentre l’insegnante si rende conto che Jude lo sta seguendo solo in parte. Il ragazzo, seduto davanti a lui, trema debolmente, mentre le mani gli coprono ancora il viso.
«Jude…?» Ray lo richiama, la voce bassa e appena udibile, mentre avvicina una mano alla spalla del ragazzo, con l’intenzione di riscuoterlo dolcemente.
Prima che possa sfiorarlo, tuttavia, Jude scatta improvvisamente, alzandosi in piedi.
«Ho bisogno di una boccata d’aria» afferma in fretta, per poi voltarsi su se stesso e muovere delle ampie falcate in direzione dell’uscita del locale.
Ray resta seduto ancora per un momento, mentre contempla ciò che lo circonda: sembra non ritrovarsi più in quel luogo, la tazza di cappuccino di Jude che è rimasta colma per metà. il trillo della campanella posta sopra la porta d’ingresso del locale lo ridesta, segno inequivocabile che qualcuno l’ha aperta, per poi uscire. Per questo Ray afferra in fretta la propria giacca, paga distrattamente il conto mentre si sbriga a raggiungere la porta e, una volta lì, non esita un momento oltre prima di lanciarsi verso l’esterno.
Fortunatamente, il ragazzo è in quel luogo, non ha mosso un passo in più per allontanarsi dalla caffetteria. Forse, in fin dei conti, non ha idea di dove andare.
Qualcosa di sottile scende dal cielo: istintivamente Ray pensa alla pioggia, eppure quelle gocce sembrano avere una consistenza più solida, quasi come se tendessero ad essere dei fiocchi di neve. Strano, pensa distrattamente: non sono affatto in periodo di neve, sebbene di recente il tempo si sia fatto molto più rigido. L’azzurro grigiastro del cielo, inoltre, ha già iniziato a scurirsi verso i toni blu della notte: pensava che avrebbero avuto a disposizione più ore di luce, evidentemente tuttavia si sbagliava. Tra poco dovrà riaccompagnare Jude a casa – con l’accortezza di doversi fermare diversi metri prima del cancello d’ingresso alla villa del ragazzo, ahimé –, non gli resta molto tempo.
I lampioni iniziano ad accendersi e, insieme alle insegne e alle luci interne dei locali che arrivano dalle vetrine, donano un’atmosfera calda alla strada.
«Jude» Ray si stringe nella sua giacca di tweed, preoccupato. Da quando ha raggiunto il ragazzo in strada, accompagnato da un nuovo trillo della porta, Jude non si è ancora voltato nella sua direzione, continuando a rivolgergli le spalle. Probabilmente è arrabbiato con lui – Ray non lo biasima per questo –, forse sta addirittura piangendo. Ne ha la conferma quando, poco dopo, lo sente tirare su col naso: proprio in quell’istante una raffica di vento gelato sferza l’aria, e Ray non ha dubbi sul fatto che Jude abbia pensato di approfittare della situazione per inghiottire un singhiozzo, nella speranza che gli agenti atmosferici coprissero il rumore della saliva che scivola giù lungo la gola. Sfortunatamente per lui, tuttavia, Ray se ne è accorto fin troppo bene.
«È tutto a posto» mente il ragazzo, la voce flebile non nasconde alcune lacrime, rimaste ancora impigliate nei suoi occhi. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per abituarmi alla cosa, credo.»
Finalmente Jude si volta, e Ray può vedere chiaramente i segni del pianto che hanno già rigato le guance del ragazzo.
«Oh, Jude» Ray si morde un labbro, e l’istante successivo ha già coperto la distanza che lo separa dal ragazzo, stringendolo in un abbraccio estremamente rassicurante. Si sente così in colpa: avrebbe dovuto affrontare la questione con molto più tatto, e soprattutto non lì, in mezzo a tutte quelle persone. Jude affonda il viso contro il petto dell’uomo, il collo ben coperto dalla sciarpa di lana.
«Questo non cambierà le cose tra di noi» mormora Ray, arruffando affettuosamente i capelli del ragazzo. «Dobbiamo solo stare un po’ più attenti del solito, mh?»
Jude annuisce debolmente, lasciandosi sfuggire un nuovo singhiozzo mentre stringe con dita tremanti la stoffa della giacca di Ray.
«Ti voglio bene, Ray…» mormora, desolato.
«Te ne voglio anch’io, ragazzo» ammette il professore, di rimando. «E non ho alcuna intenzione di perderti di nuovo.»


Somerville, Boston, 2nd October
h. 04:21 p.m.


Caleb resta immobile davanti alla grigia porta d’ingresso, il numero in ottone dell’interno 24 che scintilla su di essa. È al terzo piano di un elegante palazzo, che dall’esterno appare come nient’altro che un alto cumulo di cemento armato ricoperto di vernice bianca, nel quartiere residenziale di Somerville, non troppo distante da Cambridge, quello in cui si trova il liceo che frequenta. Probabilmente è uno di quei palazzi davanti a cui passerai un miliardo di volte, in vita tua, senza mai farci troppo caso. Eppure, per Caleb, quel palazzo aveva acquistato sempre più importanza, in quell’ultimo anno della sua vita.
La luce biancastra di fine pomeriggio irrompe nell’abitato attraverso delle ampie vetrate. Ha suonato il campanello da diversi minuti, e quando, dall’interno dell’appartamento, una voce delicata ha chiesto chi fosse, ha risposto con un eloquente “sono io”. Da quel momento, nessun’altra parola si è levata, dalla parte opposta della porta, tuttavia Caleb ha avvertito nitidamente diversi altri rumori, tra cui l’aprirsi e il richiudersi di cassetti e dei passi affrettati che si susseguivano uno dietro l’altro sul parquet. Ormai conosce così bene quel posto da avere in mente in maniera abbastanza chiara il tragitto che viene percorso nonostante si trovi ancora all’esterno; non che sia una casa poi così grande, certo, tuttavia sarà sempre più spaziosa di qualsiasi abitazione potrà mai definire “casa sua” – sebbene, a quel punto, anche questa lo sia diventata un po’.
Immagina gambe snelle e pallide muoversi in fretta dalla camera da letto al bagno, mentre ora il silenzio regna sovrano, sia all’interno della casa che sul pianerottolo. Nella mente di Caleb si dipinge l’immagine di una ragazza, bella come una venere, intenta ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio con aria piuttosto critica, mentre si passa una mano tra gli spettinati capelli lilla.
Il ragazzo ne approfitta per recuperare, dalla tasca dei propri pantaloni, il telefono. Lo sblocca con un gesto automatico, mentre un suono simile ad un sasso che affonda in uno stagno precede l’apertura della schermata iniziale. Ha chiamato la ragazza una decina di volte, senza mai ricevere risposta. Per questo aveva deciso di recarsi a casa sua.
In quel momento il rumore dello scatto del chiavistello riempie l’aria, mentre la porta si dischiude appena davanti a lui. In un minuscolo spiraglio, tra la porta e la soglia d’ingresso, compare la chioma violetta di Camelia, mentre la ragazza si lascia sfuggire un lieve sorriso.
«Ciao, Caleb» lo saluta, agitando debolmente una mano davanti a sé.
«Ti ho chiamato una dozzina di volte» borbotta lui, con un grugnito. «Perché non hai risposto? Ero preoccupato.»
«Ti chiedo scusa, non ho sentito il telefono» ammette tristemente la ragazza, mentre stringe forte tra le dita la porta. «Stamattina non mi sono sentita molto bene…»
«C-come non ti sei sentita bene? Che hai avuto?» domanda subito Caleb, di nuovo preoccupato.
«Nulla di grave, tranquillo» si affretta a rassicurarlo lei. «Solo un po’ di mal di testa, tutto qui. Solo che ho preferito restare a casa.»
La ragazza si decide ad aprire completamente la porta, lasciando spazio al fidanzato. Caleb entra in fretta, camminando così rapidamente che il vestito bianco trapunto di piccoli fiori violacei di Camelia ondeggia al suo passaggio.
«Avresti comunque dovuto avvertirmi» insiste lui, ancora teso, in allarme.
«Lo so, mi dispiace…» continua lei, mentre si affretta a chiudere la porta e a seguire il ragazzo. «Purtroppo stamattina mi sono riaddormentata in fretta e non ho fatto in tempo a mandarti un messaggio. Scusami…»
Caleb si ferma sul posto, voltandosi in direzione della sua ragazza. Camelia ha in volto un’espressione così affranta…
«Ma no, non hai nulla di cui scusarti» si affretta a rassicurarla, sentendosi già in colpa per averla fatta sentire così in difetto nei suoi confronti. «Scusami tu, piuttosto, sono stato troppo duro con te… l’importante è che ora ti senti meglio.»
«Sì, certo» gli assicura lei, raggiungendolo e stringendogli la mano.
Caleb affoga il proprio sguardo in quello di Camelia, il verde petrolio di lui che si mischia all’azzurro di lei, simile alle tonalità più profonde dell’oceano – insieme creano una contaminazione perfetta. La ragazza gli sorride calorosamente, e Caleb sente tutte le preoccupazioni che gli hanno attanagliato il petto per tutto il giorno sciogliersi in un secondo.
Avvicina una mano al volto della ragazza, carezzandole una guancia con dolcezza, per poi spostarsi più in avanti, tra i suoi capelli lilla. Camelia muove degli altri passi verso di lui, e Caleb stringe istintivamente la sua chioma, per poterla sentire ancor più vicina a sé.
La ragazza poggia le proprie labbra sulle sue. Per un momento la testa di Caleb vortica pericolosamente, ben presto tuttavia si decide a ricambiare quel bacio – in un primo momento con dolcezza, tuttavia, dopo pochi istanti, il desiderio prende il sopravvento, inducendolo a lasciar scivolare la lingua nella bocca di Camelia e a chiedere di più da quel contatto. Spinge la ragazza con le spalle al muro, mentre ormai entrambe le sue mani si sono infilate tra quei capelli violetti e morbidi; Camelia, d’altro canto, avvolge le proprie braccia attorno al collo del ragazzo, mentre si fa forza con queste e solleva le gambe, che corrono a stringere i fianchi del suo fidanzato. Caleb strofina il bacino contro quello di Camelia, una, due, tre volte, e sentendo la ragazza gemere sulle sue labbra sorride soddisfatto. Fa strusciare la schiena della giovane ancora un po’ contro la parete, per poi decidersi a distaccarsi finalmente da quest’ultima, le gambe della ragazza che si sistemano al meglio attorno ai suoi fianchi e i piedi nudi che gli sfiorano il sedere.
Caleb procede a passo sicuro lungo il corridoio: ormai conosce a memoria la strada, tant’è che può permettersi il lusso di non guardare dove va, concentrandosi unicamente sul baciare Camelia.
La camera della ragazza è l’ultima alla fine del corridoio, sulla sinistra: Caleb vi entra senza esitazioni, dirigendosi in fretta verso il letto. Ha avuto paura, temeva che qualcuno dal suo passato fosse venuto a cercarlo e avesse deciso di fare del male a Camelia… se ci ripensa, si sente uno stupido: non che il rischio non ci fosse, eppure, la consapevolezza che tutto sia andato per il meglio gli riempie il cuore di gioia, al punto che Caleb non si meraviglierebbe nel sentirlo scoppiare da un momento all’altro.
La stanza è inondata dallo stesso candido lucore del pianerottolo. Caleb adagia lentamente la schiena di Camelia sul materasso, mentre preme le ginocchia ai lati del corpo della ragazza. Si china su di lei pochi istanti dopo; sente la gola andargli in fiamme, mentre scende a lasciare baci umidi sul collo della ragazza e nuovi gemiti caldi gli giungono alle orecchie. Quando l’ha distesa sul letto, il vestito candido di Camelia si è alzato leggermente, così Caleb ne approfitta, infilando una mano sotto di esso, andando ad accarezzare la coscia e parte della natica della ragazza, incurante del tessuto bordeaux della mutandina bordata di pizzo.
«Caleb, a-aspetta…» mormora la ragazza, le guance arrossate per l’imbarazzo.
«Perché? Lo vogliamo entrambi…» replica lui, confuso.
«Lo so… solo che… forse non è ancora arrivato il momento giusto» ammette Camelia, affranta. «Mio padre potrebbe arrivare da un momento all’altro. E poi non mi sento ancora del tutto bene. Non lo so, non me la sento…»
Caleb sospira lentamente. Lo sa, fermarsi è la cosa giusta da fare; la verità è che non ha mai aspettato così tanto prima di farlo per la prima volta. Nella sua vita sono entrate ed uscite alla velocità della luce una decina di ragazze, almeno finché non ha iniziato quella relazione stabile con Camelia. Con molte di loro non c’è neppure stata una vera e propria storia, bensì si sono limitate ad essere il divertimento di un sabato sera in discoteca, tra un sorso di vodka e un po’ d’eroina.
Quello era sesso. Con Camelia, invece, voleva fare l’amore. E forse, in fondo, nessuno dei due era ancora pronto per questo.
Con le sue esperienze passate non c’era trasporto, coinvolgimento emotivo, desiderio, bensì la semplice voglia di sfogare un istinto naturale. Ora che era fidanzato, invece, voleva lasciarsi trascinare da tutte quelle emozioni di cui parlavano nei film romantici che detestava.
Caleb sospira, accarezzando la fronte accaldata della fidanzata.
«Okay» concede infine, con un lieve sorriso. «Ho corso troppo, scusami…»
«Ma no» la ragazza solleva la schiena dal materasso, posando un bacio sulle labbra del fidanzato. «Va tutto bene, tranquillo.»
Caleb annuisce, un’espressione seria in volto. Scivola lentamente via dal corpo della ragazza, sedendosi al suo fianco. Camelia si tira su a sedere a sua volta, per poi accomodarsi sulle gambe di Caleb. Gli prende la testa tra le mani, e stavolta è lei ad affondare le dita tra i capelli castani di lui, mentre le loro labbra tornano ad incontrarsi. Il ragazzo poggia le mani sui seni morbidi della giovane, iniziando a palpeggiarli piano, per poi acquisire maggior confidenza man mano che i minuti passano. Porta di nuovo le labbra sul collo candido della ragazza, attento a non lasciare segni rossastri o violacei che il padre potrebbe notare facilmente, ma mettendoci comunque un certo impegno, almeno quello necessario per farla tornare a gemere, le dita che le sfilano delicatamente la spallina del vestito.
«Perché… non mi racconti… cosa avete fatto oggi a scuola?» prova a distrarlo lei, mentre sente chiaramente le mani di lui accarezzarle languidamente la schiena sopra la stoffa del vestito.
«Uhm…» Caleb arresta il movimento delle labbra, e Camelia ne approfitta per poggiare la testa sulla sua. «Le solite cose noiose, a dir la verità. Ci hanno portato a tinteggiare il nuovo edificio, Jude ha flirtato spudoratamente con Dark… e dopo la fine delle lezioni se ne sono andati via insieme, onestamente non voglio nemmeno sapere dove – anche se più o meno me lo immagino. In realtà credo che sia successo qualcosa di strano, perché Dark sembrava piuttosto agitato… chissà, magari un suo amante segreto è tornato dall’ombra e adesso minaccia di distruggere la sua relazione con Jude…»
Per tutta risposta, Camelia gli rifila una spinta leggera contro la spalla. «Intendevo cosa avete fatto oggi a lezione» puntualizza lei. «Dovresti smetterla di impicciarti nella vita di Jude. Sa quello che fa, inoltre lui e Ray stanno così bene insieme…»
«Perché, secondo te sono stato attento oppure ho capito qualcosa di quello che hanno spiegato oggi? Ti sto offrendo qualcosa di molto più redditizio, ossia del buon, sano gossip!» Camelia sospira profondamente, Caleb tuttavia non riesce a togliersi quel sorrisetto soddisfatto che gli è spuntato sul volto. «E comunque è un mio amico, è chiaro che mi preoccupo.»
«Caleb, invece faresti meglio a stare attento durante le spiegazioni. Siamo all’ultimo anno, tra pochi mesi ci diplomeremo, senza contare che dobbiamo ancora inviare le domande d’ammissione al college… e lo sai che, se i nostri voti non sono sufficientemente alti, non avremo mai la possibilità di entrare. E non posso sempre salvarti io, per quanto riguarda lo studio.» Camelia si china appena verso il basso, così da poter incontrare gli occhi di Caleb. «Devo invece iniziare a pensare che sei geloso del tuo migliore amico? Perché altrimenti riuscirei davvero difficilmente a spiegarmi questa diffidenza che nutri nei confronti della relazione tra Jude e Ray…»
«Allora, intanto è Dark, signor Dark o, al massimo, professor Dark. Questa cosa che adesso lo chiamate tutti per nome sinceramente mi fa venire la nausea» replica Caleb, il volto che si contrae in un’espressione disgustata. «E non sono geloso. Spero solo che questa relazione non lo faccia soffrire. Jude è stato già sufficientemente male, quest’anno, e ammetto che buona parte della colpa è mia, per cui non vorrei che succedesse di nuovo, soprattutto perché non se lo merita…»
«Lo chiamiamo così perché ormai ci abbiamo trascorso del tempo al di fuori della scuola e non lo consideriamo più un perfetto sconosciuto o solamente il nostro insegnante di letteratura inglese. E poi è una brava persona… vedrai che con lui Jude è al sicuro» insiste Camelia, intrecciando le dita nella chioma brunastra del suo fidanzato. È felice di essere finalmente riuscita a distrarre Caleb da quell’improvviso desiderio, eppure non riesce a capire perché s’incaponisca tanto su un discorso del genere.
«D’accordo, questa storia però continua a sembrarmi così strana…» Caleb sospira, rilassato dal tocco della ragazza. «Uno studente e il suo insegnante…»
«È il più classico dei cliché»
«Ma hanno quarant’anni di differenza…!» Caleb scuote la testa, desolato. Ha alzato troppo la voce, lo sa. Questa storia non dovrebbe turbarlo così tanto: in fondo ha ragione Camelia, non sarebbero nemmeno affari suoi, inoltre la relazione tra Ra‒ il professor Dark e Jude sembra andare a gonfie vele. Eppure è come se qualcosa continuasse a non tornargli, lo stesso qualcosa che ha letto nell’espressione corrucciata che ha visto comparire oggi sul volto di Dark. Non vorrebbe sbagliarsi, tuttavia uno strano sospetto continua a martellargli la testa…
Ricorda ancora troppo bene l’aria devastata che aveva assunto Jude negli ultimi mesi, prima del suo arresto: solo in seguito era venuto a conoscenza della relazione tra lui e il loro insegnante, e dell’allontanamento che avevano subìto in quei mesi. Se solo pensa che uno dei suoi più cari amici possa soffrire nuovamente così tanto sente la rabbia montargli al cervello.
«Scusami, ho alzato troppo la voce» Caleb sospira pesantemente, scuotendo la testa, affranto.
Camelia, per tutta risposta, gli circonda le spalle con le braccia, stringendolo delicatamente a sé.
«Smettila di scusarti per ogni cosa, Caleb. Va tutto bene» la ragazza si china fino ad infilare il capo nell’incavo tra il collo e la spalla destra del giovane. «Lo so che ci tieni a Jude, che è un tuo amico e che non vuoi vederlo soffrire. È normale, anche io la penso come te, e non ho dubbi che anche Joe e David siano del nostro stesso avviso. Per ora, però, sta andando tutto per il verso giusto, e intrometterci sarebbe una nostra mancanza di rispetto nei loro confronti. Lasciamo che tutto vada come vuole il destino e, se mai le cose dovessero andare per il verso sbagliato, allora saremo pronti ad accorrere in soccorso di Jude e a consolarlo, ma non prima, perché questa è la cosa giusta da fare. Perdere una persona fa male, ma stare a crogiolarsi quando non è ancora successo niente è perfettamente inutile.»
Caleb si lascia sfuggire un nuovo sospiro. Camelia ha perfettamente ragione, eppure ormai inizia a credere di aver perso la capacità di sapersi raccontare la verità.
«E va bene, hai vinto» le concede infine, poggiando ancora una volta il capo al suo.
«Oh, andiamo, non ti ho fatto tutto questo discorso perché volevo vincere» ribatte lei, impettita.
«Ah, no?» commenta lui, con tono ironico.
«No!» insiste Camelia, esasperata.
Caleb sorride, divertito. Afferra morbidamente i fianchi minuti della sua ragazza e, ruotando appena su se stesso, la porta a trovarsi nuovamente distesa, con la schiena premuta contro il materasso. Da quella posizione, in cui può facilmente dominare sul suo corpo, Caleb si china rapidamente su di lei, iniziando a solleticarle il collo, le spalle, i fianchi. Camelia ride divertita, scalciando appena sotto di lui, fortunatamente però i suoi piedi non colpiscono mai Caleb.
In quel momento, una chiave gira all’interno della toppa d’ingresso, richiamando l’attenzione di entrambi.
«Dev’essere arrivato mio padre» deduce in fretta la ragazza.
Caleb espira lentamente, sa tuttavia di non avere altre alternative.
«Che dici, andiamo a salutarlo?»

Brookline, Boston, 2nd October
h. 05:25 p.m.


La porta si apre alle sue spalle, eppure Jude non sembra farci troppo caso. Sono ancora sul pianerottolo, tuttavia non ha perso tempo ed è già saltato addosso a Ray, stringendogli le braccia al collo e le gambe attorno alla vita.
Si scambiano baci intensi, mentre affondano nella penombra dell’appartamento del professore. Sembrano aver già dimenticato le promesse di attenzione che si sono fatti meno di un’ora prima, fuori da quella caffetteria di Beacon Hill. In fin dei conti, tuttavia, chi mai potrebbe vederli lì, tra quelle quattro mura che appartengono solo a loro?
Ray glielo aveva detto, in fondo: dovevano fare attenzione quando si trovavano a scuola o in un qualsiasi altro luogo pubblico in cui ci sarebbe potuto essere qualcuno che li conosceva, ma lì, tra le tenebre dell’appartamento del professor Dark, potevano essere veramente loro stessi.
Ray sospinge la schiena del ragazzo contro la parete, prima indirizzandola verso l’alto, per poi trascinarla assieme a lui in basso, una discesa di appena qualche centimetro, ma che basta a scatenare nuovi gemiti caldi nel ragazzo. Dubita che arriveranno in camera vestiti, e proprio per questo inizia a sfilare la felpa di Jude, mentre si china a baciargli intensamente il collo, inebriato dai tremori che percorrono in maniera composta il corpo del ragazzo.
L’aria fredda che è entrata assieme a loro dal pianerottolo aggredisce il torso nudo di Jude, scatenando dei nuovi brividi intensi, che subito corrono lungo la sua schiena. Sa a cosa porteranno presto quei baci, quelle carezze, e onestamente non vede l’ora di arrivare alla parte successiva.
Sente Ray avviarsi lungo il corridoio, ma non per questo smettere di succhiare alcuni lembi di pelle del suo collo, costringendo il ragazzo a gemere e ad ansimare sempre più  intensamente. Jude pianta le unghie nelle spalle forti dell’uomo, reprimendo a stento le grida più forti.
Nel momento in cui arrivano in camera, il professore fa distendere il ragazzo di schiena sul letto; prima di raggiungerlo resta a contemplarlo ancora per qualche istante, incantato. Le mani di Jude, tuttavia, lo cercano, lo ghermiscono, e Ray si rende conto che lasciarlo attendere ulteriormente sarebbe una cattiveria che il suo ragazzo non merita. Così si affretta ad inginocchiarsi sopra di lui, riprendendo a baciarlo l’istante successivo. Jude chiude gli occhi e trema per bene tra le sue mani, mentre sente le dita fredde e affusolate di Ray percorrergli la schiena, accarezzargli le spalle magre e spigolose.
Jude vorrebbe poterlo spogliare come Ray ha fatto con lui, si rende conto tuttavia che le sue mani – e il suo corpo intero, a dir la verità, sono ormai in preda a dei tremori sempre più forti, che gli impediscono qualsivoglia movimento razionale.
«R-Ray…» Jude cerca di richiamare il suo amante, notando che, per quanto possa provarci, le sue mani non vogliono saperne di restare ferme neppure per il tempo necessario di slacciare i bottoni della camicia del professore.
Una camicia. Non poteva mettersi un indumento più semplice da sfilare? Un golf di lana, ad esempio?
Ray lancia un rapido sguardo verso il basso, intuendo piuttosto facilmente quale sia il problema del ragazzo. Sorride teneramente, crede di aver già trovato la soluzione.
«Non preoccuparti, tesoro» le mani di Ray sono subito su quelle di Jude, guidando le dita sottili e tremolanti del ragazzo nell’atto di sfilare ogni bottone dalla propria asola. «Tutto quello a cui devi pensare adesso è tremare e provare quanto più piacere possibile. D’accordo?»
Jude sente ancora buona parte dei propri fasci nervosi tesi dopo la scoperta di quel pomeriggio, e probabilmente anche Ray dev’essersene accorto, visto che – pochi istanti dopo, giusto il tempo di finire di aiutare il ragazzo a slacciargli la camicia e di essersi liberato di quest’ultima – corre con le dita a massaggiare il collo e le spalle del giovane. Li trova, in effetti, sorprendentemente tesi – per fortuna però niente che lui non possa sciogliere. Jude deve solo liberare la mente da ogni pensiero spiacevole e rilassarsi un po’, adesso, altrimenti nulla di quello che stanno per andare a fare potrà portargli del piacere vero e proprio.
Per contro, anche solo quel massaggio gentile basta al ragazzo per lasciar correre dei nuovi brividi lungo la propria schiena. È incredibile – affascinante, sorprendente, seducente – l’effetto che Ray riesce ad avere ogni volta su di lui.
Quando sente i nervi iniziare a sciogliersi in maniera soddisfacente, Ray torna a chinarsi sul corpo del ragazzo, nuovi baci che investono la gola candida di Jude e nuovi gemiti che sgorgano da essa. Le dita di Ray tamburellano adesso sul bassoventre del giovane, appena sopra l’allacciatura dei suoi jeans. Ormai il più è stato fatto, la strada verso l’obnubilio non fa che accorciarsi sempre di più.
Jude sente il bottone abbandonare l’asola, la zip abbassarsi. Ray gli afferra i fianchi con forza e inizia a dondolarsi su di lui, strofinandosi con intensità contro il bacino del ragazzo. Jude sente la vista appannarsi, e pensa che abbandonarsi a quelle attenzioni sarà il miglior viaggio verso l’inferno di sempre.


Dopo aver perso conoscenza, Jude avverte tutto in maniera piuttosto confusa. Ricorda che all’inizio è stato piuttosto dolce, così caldo e confortevole che per un momento ha creduto di essersi ritrovato improvvisamente immerso all’interno di una nuvola. Col passare dei minuti, tuttavia, ogni movimento si è fatto più intenso e passionale, tant’è che hanno raggiunto l’apice del piacere allo stremo delle energie fisiche.
È stato diverso da ogni altra volta in cui hanno fatto l’amore. Non in senso negativo, né positivo. Solo… diverso. O almeno, all’inizio non gli era sembrato affatto così, tuttavia tutta quell’intensità che Ray aveva impresso al rapporto gli aveva fatto percepire quasi una sensazione di disperazione da parte dell’uomo. Disperazione per cosa, poi, Jude non riusciva proprio a capacitarsene.
Il ragazzo si volta di lato, dalla parte opposta del letto. Ha riposato per poco tempo, e adesso non riesce più a riprendere sonno. La verità è che, al momento, la sua mente è così piena di pensieri che non riuscirebbe a dormire neppure volendolo; tutto ciò che è in grado di concedersi non è che una mezz’ora agitata di dormiveglia, niente di più.
Non appena si mette comodo in quella nuova posizione, la prima cosa che gli occhi rossi come sangue caldo di Jude incontrano è lo sguardo di Ray, cupo come nubi che preannunciano la tempesta.
«Non riesci a dormire…?» gli domanda l’uomo, in apprensione, mentre passa le dita tra i capelli del ragazzo.
Jude scuote la testa, un espressione stanca in volto. Per quanto vorrebbe riuscire per un momento a dimenticarsi di tutto ciò che è successo quel giorno, lasciare fuori la loro discussione da quel letto, adesso, gli riesce così difficile.
«Ho paura» ammette, sospirando. Se adesso Ray gli chiedesse di spiegargli come si sente, probabilmente Jude non ci riuscirebbe: è preoccupato, ma non vuole arrendersi. Forse rassegnarsi sarebbe la cosa più semplice, ma non è un’alternativa che possa scegliere, non se pensa a Ray e a quante cose ci siano in ballo tra loro.
Suo malgrado, Ray non può fare a meno di sorridere, le labbra che assumono una piega così inusuale per lui, gli angoli incurvati verso l’alto. Vedere Jude così vulnerabile lo intenerisce: quel ragazzo ha sempre cercato in sua presenza di mostrare unicamente il suo aspetto forte, temerario, quello di chi non ha paura di niente. Ma Ray sa che non c’è solo questo, Jude è molto di più – e non potrebbe esserne più lieto.
Il professor Dark si muove piano tra le coperte, avanzando fino a che non si ritrova vicinissimo al suo ragazzo: lo avvolge con le braccia, così da poterlo contenere completamente; subito un senso di protezione pervade Jude, che si sente istintivamente invogliato a poggiare il capo contro il petto nudo dell’uomo.
«Non dovresti» commenta Ray – e il suo non suona come un ammonimento; anzi, sembra sinceramente interessato a rassicurare il ragazzo. «Lo so che è una situazione complicata, ma non ho intenzione di lasciarti da solo ad affrontarla, ci siamo dentro fino al collo entrambi. E poi non ho alcuna intenzione di perderti.»
Jude strofina il capo nell’incavo del collo di Ray, contro cui si è ora rifugiato. Le sue parole lo confortano, ma sa che il corso degli eventi non sarà mai completamente in loro controllo. Potranno certamente fare del loro meglio per non farsi scoprire, ma se ciò dovesse accadere ugualmente… se qualcuno dovesse venire a sapere qualcosa…
Ray gli posa un bacio tra i capelli. Può quasi sentire il flusso dei pensieri scorrere furioso all’interno della mente del ragazzo, tuttavia sa di non poterlo fermare in alcun modo. Dopotutto, gli stessi pensieri, proprio in quel momento, stanno tormentando anche lui. Deve mostrarsi forte, così da rassicurare Jude, ma sarebbe sciocco da parte sua negare a se stesso di essere preoccupato. Conosce l’avversario che si sono ritrovati davanti, e sa già che sconfiggerlo non sarà affatto facile.
«Cerca di non pensarci, adesso. Non possiamo lasciarci annientare da questa cosa.» Le dita di Ray scorrono lungo la schiena di Jude, e al contatto il ragazzo subito sussulta.
«Mh…» Jude si lascia sfuggire un gemito, peccato che al momento sia così stanco da riuscire a malapena a tenere gli occhi aperti.
«Ti conviene riposare, adesso» Ray si lascia sfuggire una live risata, mentre gli posa un nuovo bacio tra i capelli, completamente innamorato di lui. «Non vorrei che domani fossi troppo esausto per seguire in maniera adeguatamente attenta le lezioni.»
«Sta’ zitto, Ray» bofonchia Jude, la voce già impastata di sonno. «E non lasciarmi…»
Ray sorride ancora, mentre stringe un po’ più a sé il ragazzo.
«Certo che non ti lascio» commenta, mentre sa di star ormai parlando ad un corpo addormentato. Poco dopo si china sul ragazzo, osservandolo ammirato, una miriade di scintille che si riflettono in quegli occhi piccoli e neri, le labbra che sfiorano piano l’orecchio del giovane.
«Buonanotte, Jude» mormora, e quel sorriso non vuole proprio saperne di scomparire dal suo volto.





Angolo autrice

And... we are back.
In questi dieci giorni il prologo ha ricevuto un discreto numero di visualizzazioni, e di questo ve ne ringrazio. Postare il seguito di una long dopo tre anni è un
po’ un azzardo, non so in effetti se ci sia un modo giusto di muoversi in una situazione del genere.
Va detto anche che siamo in piena sessione estiva, quindi, per quanto vedere l'assenza di recensioni possa essere demoralizzante, mi rendo anche conto di non aver scelto un periodo "semplice".
In ogni caso. Nuovo aggiornamento e... cominciano già ad essere presenti alcuni argomenti seri. Probabilmente adesso non è possibile immaginare l'effetto che certe scene avranno sulla trama, ma oh, fidatevi, sarà fondamentale.
Finalmente incontriamo Camelia *applausi* in DN compariva solo nella scena finale, oltre ad essere citata un paio di volte da Jude e Caleb, ma più di questo niente di che, tenendo anche conto del fatto che fino ad ora non aveva mai parlato.
Ed è un problema, perché tecnicamente il personaggio di Camelia doveva ricoprire una parte fondamentale già al tempo di DN, solo che me ne ero completamente dimenticata oltre a non aver trovato un punto adatto della trama in cui inserirla e in realtà se diwk esiste è in buona parte per lei, o perlomeno per qualcosa che la riguarda.
Sui miei due cretini, invece... beh, fanno quello che riesce loro meglio, ossia: essere cretini. Non riesco a biasimarli, perché da fuori sembrano personaggi seri e degni di stima, poi ti avvicini un 
po’ per osservarli meglio e capisci che, in effetti, sono cretini. Mi conoscete, non mi piacciono le cose facili, e anche in questa storia non dispenserò gioie a destra e a manca, sorry.
A tal proposito: siamo passati dalla relativa calma del prologo ad un primo capitolo in cui già si prospettano i drammi veri, non si può proprio dire che non sia una mia storia. E, fidatevi, questo non è che l'inizio.
Non credo di aver molto altro da dire se non che mi ero dimenticata che le date fossero in courier ma ho già sistemato per cui mi fermo qui. Grazie a chiunque legga questa storia, a chi la sta seguendo dubito che qualcuno lo faccia ma vbb e a coloro che dovessero decidere di recensire. Ripeto, capisco che sia un periodo particolare, per cui non ho grandi aspettative al riguardo.


Aria
   
 
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