In the
still of the night
9.
Non
so come, ma finalmente il giro dei Distretti finisce. Ci lasciamo alle spalle i
cancelli e le recinzioni dei Distretti 1 e 2 ed attendiamo che il treno ci conduca,
con la sua solita velocità forsennata, verso la capitale di Panem.
L’ultima
tappa è anche la più lunga di tutto il viaggio: resteremo per tre giorni, tre
giorni infiniti pieni di incontri ed interviste, che avverranno tutte sotto
l’occhio attento delle telecamere. Ne ho abbastanza di telecamere. In onore dei
vincitori, come ogni anno d’altronde, è prevista la suntuosa festa organizzata
dal presidente Snow nella sua enorme ed elegante residenza presidenziale: ricca
di musica, danze e cibo, vi prenderà parte tutta l’élite di Capitol City. È
l’evento dell’anno che nessuno vorrebbe perdere e a cui tutti vorrebbero
partecipare. Io ne farei volentieri a meno… ma immagino di non essere nella
posizione più adatta per poter rifiutare.
Ancora
pochi giorni prima di tornare a casa. Ce la posso fare. Ancora pochi giorni
prima della festa del raccolto del Distretto 12. Di solito, il nostro è il
primo luogo che i vincitori visitano durante il Tour – il fatto di perdere
sempre agli Hunger Games e di essere il Distretto più misero e povero di Panem,
oltre al fatto che le nostre feste sono sempre le più noiose, ha portato gli
organizzatori ad inserirlo come scoglio iniziale. Come si dice sempre: via il
dente, via il dolore. Ma quest’anno i vincitori siamo io e Peeta, e questo fa
sì che il 12 sia l’ultimo Distretto ad “ospitarci” per il Tour, ed in più la
festa quest’anno viene interamente pagata da Capitol City.
Grandi
festeggiamenti, stavolta!
Per
il momento, lo scoglio da affrontare è la festa nella tenuta del presidente.
Immagino che saprò durante l’evento se gli sforzi miei e di Peeta di placare gli
animi, ed evitare di conseguenza la possibile insorgenza di una rivolta, siano
andati a buon fine. Ma abbiamo ancora tre giorni a disposizione per migliorare,
o peggiorare, il risultato.
Dimostrare
il nostro amore al pubblico di Capitol non è per nulla difficile: loro ci
adorano da pazzi. Affollano le strade e urlano i nostri nomi, saltano sul posto
e si sbracciano nel tentativo di attirare la nostra attenzione, lanciano e
regalano fiori. Simili scene si ripetono lungo tutto il percorso della parata
che, lentamente, ci guida fino al centro di addestramento, dove riprendiamo possesso
dei nostri vecchi alloggi, all’ultimo piano.
Dopo
cena, suntuosa e sostanziosa come al solito, pensavo che avremmo avuto la
serata libera, ma a quanto pare c’è stato un cambio di programma improvviso e
sono, quindi, costretta a seguire Cinna in camera mia per delle modifiche che
deve fare al mio abito, quello che devo indossare per l’intervista di domani
con Caesar; Peeta fa la stessa cosa con Portia nella sua, di camera.
Mi
chiedo a cosa sia dovuto questo cambiamento: ad un’attenta occhiata il vestito,
di un morbido e brillante velluto rosso, non sembra avere chissà che problemi.
Evito di fare domande, anche perché se dietro a tutto questo si nascondesse un
problema ben più grave di un vestito che mi va largo, Cinna mi avrebbe già informata.
Quando
arriva l’ora di andare a dormire, Peeta mi raggiunge nella mia stanza. Dormiamo
e basta, nessuno dei due vuole rischiare di nuovo com’è successo l’altra
mattina. Haymitch in qualche modo deve averci coperto, perché Effie non
sembrava gran che scocciata dal nostro voler continuare a trascorrere la notte
insieme. Ne ho avuto la conferma a colazione, quando ho raggiunto tutti gli
altri – Peeta mi aveva anticipato di diversi minuti: lo sguardo silenzioso di
Haymitch mi ha seguita per tutto il tempo che ho impiegato nel sedermi a
tavola, mentre Effie cominciava ad illustrarci tranquillamente il programma
della giornata. Se non fosse stato per il suo sguardo arcigno, che mi aveva
fatta sentire molto a disagio, sarebbe potuta sembrare a tutti gli effetti una
normale colazione in compagnia, ma così non era. La silenziosa lezione a suon
di occhiatacce che il nostro mentore stava rivolgendo non solo a me, ma anche a
Peeta, poteva voler dire solo una cosa.
State
attenti, disgraziati.
Così
adesso lasciamo sempre socchiusa la porta, e non abbiamo più provato a fare, o
a scambiarci, nulla di più spinto di un bacio.
La
mattina dell’intervista il mio staff di preparatori mi sveglia alle sette:
devono di nuovo sottopormi a un sacco di trattamenti inutili, come fanno quasi
ogni giorno da quasi due settimane. Stavolta dicono che è per le telecamere:
tutto deve essere impeccabile, Katniss deve risplendere dalla testa ai piedi, niente
deve andare storto. Vorrei lamentarmi, ma ho troppo sonno anche solo all’idea
di provarci. Mi addormento, a causa delle mani di Flavius che massaggia i miei
capelli con una crema che odora di mandarino.
Dopo
qualche ora, sono finalmente sveglia, pronta e libera di andare, con una
cascata di boccoli luminosi a circondare il mio viso leggermente truccato e che
ricadono, morbidi, sulla mia schiena scoperta: è stata questa la modifica che
Cinna ha dato al vestito. Ha le maniche lunghe fino ai polsi e fascia il mio
corpo come una seconda pelle fino ai polpacci, ma ha una scollatura che
prosegue fino a metà schiena. Per fortuna che ci sono i riscaldamenti accesi al
massimo, qui al centro di addestramento: non sarebbe stato facile stare al
freddo con questo vestito, anche perché piccoli fiocchi di neve hanno iniziato
a cadere dal cielo.
Effie
mi fa i complimenti per le scarpe, che sono dello stesso tessuto e colore del
vestito, e mi guida fino al luogo dell’intervista, lo stesso che ci aveva
ospitati pochi mesi prima, alla fine dei giochi. Peeta è già arrivato e sembra
leggermente nervoso nel suo completo nero; oggi, noto, non siamo abbinati.
Il
mio cervello registra questo in una piccola parte; il resto dello spazio,
invece, viene catturato dalla stanza, che a parte una poltrona e un divanetto è
decorata con centinaia e centinaia di rose bianche, rosa e rosse, che riempiono
ed impregnano l’aria con il loro intenso profumo. Non devo chiedere per sapere
che queste rose sono state una richiesta esclusiva del presidente, per noi. Per
me. Affinché non dimentichi il mio compito.
Come
dimenticarlo?
-
Eccoli, i miei vincitori preferiti! – Caesar, con i capelli e le
sopracciglia ancora tinti di azzurro polvere, ci raggiunge nella stanza
entusiasta come al solito. Ci saluta con un sacco di baci e un sacco di strette
di mano. – Pronti ad iniziare?
Mentre
io e Peeta prendiamo posto sul divanetto e seguiamo le indicazioni dei
cameramen, Caesar siede sulla poltrona di fronte a noi e ci illustra il modo in
cui procederà l’intervista, che non è poi così dissimile dall’ultima che
abbiamo affrontato con lui, inframmezzata tra le altre cose dalle riprese che
sono state effettuate durante il nostro Tour negli undici Distretti.
Nel
giro di pochi minuti, siamo in onda in tutta Panem.
Tutto
sommato, l’intervista procede bene: cerco di mostrarmi solare e di rispondere
sinceramente alle domande che Caesar mi pone. Peeta è, come al solito, più
bravo di me con le parole e catalizza spesso l’attenzione del presentatore, con
cui riesce a scherzare in maniera piacevole. Tiro un sospiro di sollievo ogni
volta che termina uno spezzone su noi due nei Distretti. Quando l’argomento si
sposta sulla nostra relazione, mi ritrovo a nascondere spesso il viso per
l’imbarazzo. In questo, nel mostrarmi imbarazzata, sono molto più brava di
Peeta. Mi nascondo dietro la sua schiena quando lo sento descrivere le cose che
più gli piacciono di me: il mio sorriso, i miei occhi, le mie battute… ma
quando mai? Ovviamente se lo sta inventando! Non sono per niente simpatica, lo
sanno tutti…
-
Ma allora, diteci di più! – ci incalza Caesar, bramoso di pettegolezzi. – Raccontateci
di più! Cosa sperate che vi riservi il futuro?
Non
poteva rivolgerci una domanda peggiore di questa. Sorrido, quando invece vorrei
soltanto urlare. – Non ho mai pensato con attenzione al futuro, Caesar. Spero
in qualcosa di felice – rispondo, alla fine.
-
E invece tu, Peeta? Pensi mai al futuro?
-
Costantemente. In effetti, c’è qualcosa… – interrompendosi a metà della frase, Peeta
mi stringe forte la mano e mi guarda intensamente prima di alzarsi. Senza
aggiungere altro, senza preoccuparsi di rivolgere le spalle a Caesar, si
inginocchia ai miei piedi e apre una scatolina nera che contiene un fiore
luccicante. Sono paralizzata, seduta sul divanetto, e osservo il ragazzo
inginocchiato che ho di fronte. Ci metto un po' a capire che il fiore
luccicante, in realtà, non è un vero fiore.
Sono
diamanti su un anello d’oro.1
Peeta
mi sta facendo una proposta di matrimonio.
Perché
lo stai facendo?, vorrei chiedergli. Perché proprio
adesso?, vorrei aggiungere. Vedo Caesar che, alle spalle di Peeta, si
sbraccia verso le telecamere mimando una serie di “Oh mio Dio!” al pubblico a
casa.
-
Katniss, tesoro, non prendermi per pazzo per quello che sto per dire. So che siamo
giovani e che stiamo insieme solo da pochi mesi, ma non ho bisogno di altro
tempo per capire che sei la donna che vorrei al mio fianco per il resto dei
miei giorni. Non sei solo la mia ragazza, la mia amante… – alla parola “amante”
mi viene voglia di ucciderlo seduta stante - …la mia confidente, la mia amica
più cara. Sei il raggio di sole che scaccia il buio della notte ed illumina il
mio mondo con il suo sorriso. Ed io, davvero, mi sentirei l’uomo più fortunato
e privilegiato della terra con quel raggio di sole al mio fianco, ogni giorno
della mia vita.
Mi
sorride e, posando le dita sulla mia guancia, asciuga quelle lacrime che non mi
sono resa conto di aver versato. Osservo i suoi occhi mentre conclude il
discorso nel più classico dei modi, usando quelle parole che milioni di persone
prima di lui hanno detto e ripetuto. Quelle parole che sono insieme
meravigliose e terrificanti, che sono in grado di stravolgere lo scorrere di
una vita intera.
-
Vuoi sposarmi?
È
sbagliato, non posso sposarlo.
No,
è questa la risposta giusta da dare. “No” è la parola che rimbomba nella
mia testa. “No” è la parola che la mia coscienza vorrebbe che io dica.
Ma
è un “Sì” tremolante che le mie labbra pronunciano, mettendo a tacere il
buon senso. È un “Sì” quello che Peeta, Caesar e praticamente tutta
Panem mi sentono dire.
-
Sì – ripeto più e più volte.
Raggiante,
Peeta infila l’anello al mio anulare sinistro e mi abbraccia, seppellendo il
viso tra i miei capelli. Io nascondo il mio nella sua giacca. Siamo ancora
abbracciati quando la voce entusiasta di Caesar ci annuncia come i “futuri
sposi del Distretto 12”.
In
camera, nel buio quasi totale, osservo e traccio con le dita i contorni
dell’anello: le pietre preziose formano un elaborato fiore dai petali luminosi,
in grado di scintillare anche adesso che non c’è della luce a produrne i
riflessi. L’oro che mi circonda l’anulare va a creare un delicato intreccio di
quelli che sembrerebbero rampicanti. Non è un anello piccolo, è quasi
massiccio, ma è leggero come una nuvola. Il peso che sento proviene dal
significato che esso trascina con sé.
Io
e Peeta ci siamo appena fidanzati ufficialmente.
Questa
svolta non ci voleva. In sala, a pochi metri di distanza, sento un vociare di
persone: Cinna, Portia, i nostri preparatori… stanno tutti aspettando il nostro
arrivo per festeggiare l’evento. Effie già non vede l’ora di avviare i preparativi
per le nozze. Io, invece, vorrei fuggire. Voglio solo fuggire lontano.
Finita
l’intervista, siamo risaliti al nostro piano ed ho finto di voler stare da sola
prima di cena per elaborare meglio la novità. In realtà non sto elaborando un
bel niente, sto solo cercando di capire come siamo arrivati a questo punto. Cerco
di ricordare il momento preciso, un possibile indizio che possa aiutarmi a
chiarire la situazione, ma invano.
Deve
esserci stato qualcosa che ha scatenato in Peeta il desiderio di volermi in
moglie!, penso. Deve esserci, eppure non capisco cosa possa
essere stato. Ricordo i nostri discorsi sulla famiglia, sul volere o meno
bambini, sul matrimonio, ma sono discorsi avvenuti mesi fa. Il nostro rapporto
non era neanche così intimo come lo è adesso, eravamo poco più che amici… e
poi, ricordo benissimo di avergli spiegato le mie intenzioni riguardo al matrimonio
e ai figli. Intenzioni che, nel frattempo, non sono cambiate di una virgola.
Non
voglio sposarmi.
Allora
perché hai detto di sì?
Non
lo so.
Sospiro,
tirandomi i capelli. Non ne verrò mai a capo da sola. Ho bisogno di parlargli:
solo lui può aiutarmi a comprendere.
Afferro
il primo cappotto che mi capita sottomano e lo infilo, uscendo dalla stanza.
Busso alla sua porta e Peeta la apre dopo neanche un secondo, come se fosse
sempre stato lì dietro e stesse aspettando solo il mio segnale per poterla
aprire. Come me, non si è ancora cambiato: ha solo tolto la giaccia.
-
Possiamo parlare? – chiedo. Annuisce con un cenno della testa e si sposta per
farmi entrare, ma lo fermo subito. – Non qui, non voglio che ci sentano.
Andiamo di sopra – non aspetto che prenda il cappotto anche lui, ma mi
allontano in fretta e vado dritta alle scale che portano al tetto.
Il
tetto del centro di addestramento, dove possiamo godere della migliore visuale
possibile per osservare la meravigliosa ed accecante Capitol City dall’alto: a
quanto pare, essere del Distretto 12 ti dà questo vantaggio. Fuori, all’aria
gelida, raggiungo l’angolo più lontano, accanto ad una ventola che fa un
baccano infernale e che, in teoria, dovrebbe riuscire a coprire le nostre
parole da orecchie indiscrete.
Ricordo
di essere salita qui la sera prima di entrare nell’arena: non riuscivo a
dormire ed il letto aveva cominciato ad assomigliare ad una prigione
insopportabile, così ho pensato di salire quassù per una boccata d’aria. C’era
già Peeta sul tetto, seduto ad osservare le luci e gli abitanti in festa che
attendevano l’inizio della carneficina. Mi ha mostrato il campo di forza invisibile
che circondava tutto il tetto, come un recinto invisibile.
Allungo
la mano oltre il cornicione ed eccolo lì, il campo di forza: respinge la mia
mano, simile ad una morbida superficie che fa rimbalzare qualsiasi cosa gli si scagli
contro. Continuano ad aver paura di eventuali suicidi?
Il
rumore dei passi di Peeta, alle mie spalle, mi avverte del suo arrivo; mi
volto, osservandolo mentre si sistema meglio il cappotto addosso e mi si ferma
davanti. – Che succede?
Alzo
la mano sinistra, quella su cui l’anello fa bella mostra di sé. – Quand’è che
hai deciso di volermi sposare? – domando: il mio tono di voce è più duro di
quanto volessi, o mi aspettassi.
Sul
viso di Peeta appare un sorriso mesto. – Non ti ho convinto? Eppure, pensavo di
esserci riuscito…
-
Che vuoi dire?
Il
mio fidanzato sospira, infila le mani nelle tasche dei pantaloni e comincia a
strisciare un piede sulle mattonelle, evitando il mio sguardo. - È stata
un’idea di Haymitch, quella di farti la proposta. Per placare gli animi degli
insorti. Ha detto che prima o poi sarebbe comunque dovuto accadere, quindi…
perché aspettare?
Già:
perché aspettare?
Pensavo
che scoprire la verità mi avrebbe fatta stare meglio, e invece non è così. È peggio.
Rispetto a un minuto fa, sento altra rabbia riempire le mie vene. Sto rivivendo
le stesse sensazioni dell’anno scorso, quando ho saputo dell’esistenza dei
sentimenti di Peeta nei miei confronti. Mi sento vulnerabile come allora. Mi
sento sciocca.
-
Voi due… voi due dovete smetterla di nascondermi le cose! – urlo. Sono sul
punto di gettarmi su di lui per spingerlo via, ma mi fermo in tempo: non voglio
fargli del male. Se è stata davvero un’idea di Haymitch, Peeta non ha nessuna
vera colpa: è solo una vittima degli eventi, esattamente come me. – Perché non
mi avete detto niente?
-
Perché la tua reazione doveva sembrare vera. Avresti rovinato tutto, sapendo
che faceva parte di un piano – mi spiega Peeta. Stavolta, però, mi sta
guardando. – Mi dispiace, Katniss.
Sospiro.
- Lo so, Peeta.
-
No, non lo sai – dice, accorato. - So che non vuoi sentir parlare neanche per
scherzo di matrimonio ed ho provato a spiegarlo anche ad Haymitch, ma non ha
voluto saperne. Per lui, volersi o non volersi sposare sono solo scuse dietro
cui nascondersi, da usare per non affrontare l’inevitabile. Io non sono come
lui: non ti avrei mai spinto a fare qualcosa contro la tua volontà.
Annuisco,
amareggiata. La rabbia è andata via: ora dentro di me c’è solo frustrazione.
Tanta, tanta frustrazione. Incurante del freddo e della poca neve che si è depositata
a terra, mi siedo sulle mattonelle gelate e incrocio le braccia contro il
petto. Inizio ad avere i primi sentori di quello che accadrà nei prossimi
giorni, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Per quanto tempo andranno
avanti i preparativi per le nozze? E quando si terranno, prima di tutto? In
estate? In inverno?
Avremo
mai un po' di pace?
Peeta
si siede di fronte a me e, presa la mia mano sinistra, inizia ad accarezzare
l’anello con il pollice. Adesso che siamo fidanzati ufficialmente, immagino che
nessuno possa più richiamarci per quello che facciamo: siamo prossimi alle
nozze… e poi, arriva il senso di colpa. Accade sempre, ogni volta che i miei pensieri
vagano su quello che devo o non devo fare, su quello che posso o non posso
fare. Ogni volta che penso a me stessa, solo a me stessa, e metto da parte
Peeta.
Non
gli ho chiesto se è felice per tutto questo.
-
Mi vuoi davvero sposare? – bisbiglio.
-
Immagino di sì, ma avrei preferito diversamente. Volevo che fosse vero –
dice. – Un giorno, forse, io e te saremo andati insieme al Palazzo di Giustizia
e, una volta tornati a casa, avremo tostato il pane insieme. Magari, con il
tempo, sarei persino riuscito a convincerti che il matrimonio non è così brutto
come pensi – conclude.
Riesco
quasi ad immaginare la scena che mi ha appena descritto nella mia mente… e sembra
bellissima. Sembra normale. La normale vita di due persone innamorate che
scelgono di condividere insieme il futuro. Due persone che non vogliono
aspettare per trascorrere insieme il resto delle loro vite.
Mi
getto su di lui, stringendolo forte. I nostri abbracci sono diventati
automatici, le nostre braccia sanno subito dove posarsi, dove premere.
Conoscono ogni minima parte del corpo dell’altro. – Mi dispiace – mormoro.
-
Almeno l’anello l’hanno lasciato scegliere a me! – commenta con una risatina.
Sorrido,
baciando la pelle delicata dietro il suo orecchio. - È bellissimo, Peeta.
È
stato tutto inutile. I baci, gli abbracci, il nostro legame, nato da una
semplice amicizia, che col tempo si è rafforzato e trasformato in un sentimento
puro, sincero, reale. Persino la proposta di matrimonio in diretta nazionale
non è servita a dare man forte ai nostri sforzi.
Non
ci siamo riusciti.
Durante
la festa nella tenuta presidenziale, il nostro arrivo non è di certo passato
inosservato: come non riconoscere tra la folla i vincitori dei
settantaquattresimi Hunger Games?
Katniss
Everdeen, la Ragazza di Fuoco, fasciata in un abito nero di Cinna, la cui firma
è visibile su ogni centimetro di stoffa ricamata: le cuciture argentate, le
trasparenze, le spalline che ricordano le piume di un uccello. Peeta Mellark,
il Ragazzo Innamorato, affascinante nel completo nero e argento che fa pendant
con l’abito della sua compagna.
Per
gli ospiti della serata noi non siamo altro che questo. I nostri abiti vengono
sfiorati, la nostra attenzione è costantemente richiamata dalle migliaia di
voci che riempiono la sala padronale. Centinaia di congratulazioni raggiungono
le nostre orecchie. Persino Plutarch Heavensbee, il nuovo Capo degli Strateghi,
viene a presentarsi e a farci le sue felicitazioni più sincere. Tutti vogliono
parlare con noi, tutti vogliono toccarci, tutti vogliono disturbarci: siamo dei
fenomeni da baraccone in questa festa che sembra un enorme circo mediatico. Dei
burattini, delle marionette.
Non
riusciamo a stare da soli neanche per un secondo, per quanto ci proviamo. Le
chiacchiere inutili e la musica a tutto volume mi danno alla testa. Riusciamo a
stare tranquilli per un po' solo mentre mangiamo, ma c’è talmente tanto cibo, e
noi abbiamo solo uno stomaco ciascuno. Penso a tutto il cibo che a fine serata
andrà a finire nei rifiuti. Penso a tutto il cibo che ogni giorno viene
sprecato, mentre nei Distretti più poveri ogni giorno la gente muore di fame.
Chiedo a Peeta di ballare, orripilata, quando Octavia mi porge un cocktail
trasparente che mi farà vomitare e che mi consentirà di continuare a
rimpinzarmi.
Mi
lascio condurre da Peeta durante le danze: non sono molto brava, e non lo è
neanche lui. Abbiamo avuto così poco tempo per imparare i tanti balli che in
questo periodo vanno di moda in città. Effie ci ha dato una mano, ovviamente,
ma il risultato non è dei migliori. Durante un lento, in cui non facciamo altro
che dondolare sul posto, poso il mento contro la sua spalla e la fronte contro
il suo mento. Sento le sue labbra, delicate e dolci, che mi sfiorano la pelle.
Ho gli occhi aperti e riesco a vedere i visi ammaliati di chi ci circonda, mi
sembra quasi di riuscire a percepire i sospiri sognanti che escono dalle loro
labbra. Se li chiudo, invece, riesco ad escludere tutto quanto. Riesco quasi a
dimenticare il luogo in cui mi trovo. Sento il calore del mio compagno, sento
le forti braccia che mi sorreggono. Sento il suo profumo.
Sento
Peeta, sento il mio fidanzato, e tutto quanto svanisce.
Ma
l’idillio dura pochissimo.
Intorno
a mezzanotte, poco prima del nostro ritorno al treno, il presidente irrompe,
elegantissimo ed impeccabile, nella sala tra gli applausi dei presenti. Ci
viene incontro, si congratula con noi per il nostro fidanzamento, ci augura una
lunga e felice vita insieme. Propone un brindisi in nostro onore.
Mentre
sono tutti concentrati a bere, succede. I nostri occhi si incrociano, si
scrutano. I miei gli porgono la domanda silenziosa che temo da settimane. I
suoi rispondono con l’esito che speravo di non ricevere. Snow scuote in modo
quasi impercettibile la testa, in segno di diniego.
Capisco
che è finita.
Non
ci siamo riusciti.
Sul
treno, in viaggio verso casa, è notte fonda. Non dormo io, non dorme Peeta.
Siamo nel salottino adiacente alla carrozza ristorante, ancora bardati con gli
abiti della festa. Guardiamo il buio che scorre veloce oltre i finestrini.
-
Cosa succede adesso? – è la domanda di Peeta.
-
Non lo so – è la mia risposta.
_____________________________
1You say you want/diamonds on
a ring of gold… l’avete riconosciuta? È l’inizio della splendida All I want is you degli
U2. Lo so, in italiano non è la stessa cosa. Perdonami, Bono, per averla dovuta
tradurre.
Buon lunedì!
La scorsa settimana
vi avevo promesso un capitolo importante, ed eccolo qui: l’annuncio del fidanzamento.
È una mia libera interpretazione, naturalmente: nel libro Katniss ce la spiega
in maniera molto sbrigativa e ci fa capire che è stata una sua idea, che Peeta
accetta a malincuore. Anche qui non è felice dell’idea, ma perché sa che non è
ciò che vorrebbe Katniss e decide comunque di procedere, spinto da Haymitch, con
la speranza di pararsi il culo mettere a tacere i sollevamenti nei
Distretti. Cosa che non funziona, come sappiamo ormai bene.
Avrete sicuramente
notato le note *ahem! l’originalità* che vi sto lasciando ogni tanto prima dei saluti
e delle spiegazioni di rito: mentre scrivo mi distraggo, ascolto musica, penso
ad altro… faccio un macello, insomma. E nel macello trovo anche alcune cosine
che mi ispirano e che inserisco nel discorso. Ce ne saranno altre, ve lo assicuro,
quindi preparatevi! Siete stati avvisati ;)
Oggi ho la diarrea
verbale. Me ne vado prima di far danni!
Vi saluto, vi ringrazio
per aver sopportato la mia diarrea fino a qui e vi do appuntamento a lunedì
prossimo col nuovo capitolo!
D.