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Autore: Marti Lestrange    17/07/2020    11 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Per chiunque avesse voglia di approfondire il rapporto tra Roger e Prudence, vi lascio qui una piccola shot scritta proprio su di loro: Azzurro nell’azzurro.
Fatemi sapere cosa ne pensate ♥︎

 


 

8.

CAPITOLO OTTO

 

 

James percorse a passo sostenuto i corridoi e le scale che lo dividevano dal piano terra, dove si trovava l’ex aula in disuso che la McGranitt aveva destinato a Teddy e alle sue indagini. 

La rabbia fuoriusciva da lui a ondate, che andavano ad infrangersi contro le rive esterne, minacciando di sommergere chiunque avesse provato a fermarlo, e qualsiasi cosa si fosse messa sul suo cammino. Capiva perfettamente che Teddy stesse solo facendo il suo lavoro, ma ciò che non capiva era dove volesse arrivare, e quali mezzi fosse disposto ad utilizzare per raggiungere il suo fine. Quest’ultimo gli era ben chiaro: scoprire la verità su Karl Jenkins e su quello che era realmente successo quella notte - e chissà quali e quante altre cose sapevano, lui e il suo collega Davies: sicuramente sapevano del ritorno di fiamma, sapevano della Trasfigurazione, sapevano persino che qualcuno aveva gettato Jenkins nel Lago Nero, per occultarne il ritrovamento. Ciò che presumibilmente non sapevano - almeno non ancora - era chi avesse fatto tutte quelle cose - e perché. Ma forse un’idea il buon vecchio Teddy se l’era già fatta, ché gli interrogatori di Albus, Scorpius, Rose, Roxanne e adesso Caitlin erano troppo evidentemente palesi nelle loro finalità per risultare una semplice coincidenza, o comunque a lui non apparivano come tale, ed era sicuro anche a molti altri - di sicuro a tutti coloro che erano al corrente dell’esistenza della cricca di Albus Potter. 

Come si era permesso, però, Teddy Lupin, di mettere sotto torchio Caitlin così? Con quale arroganza si era arrogato il diritto di convocarla e farle domande inopportune e insistenti? Cosa sperava di ottenere, una confessione, forse? Un’ammissione di colpa? Pensava forse che Caitlin gli avrebbe snocciolato tutto quanto, tutto ciò che era successo, e tutti i nomi delle persone coinvolte? A quanto pareva sì, lo pensava. E lo sperava, anche. 

Forse si era sbagliato nel pensare che l’arrivo di Teddy in qualità di Auror potesse assicurare loro una sorta di protezione, un’assicurazione che tutto sarebbe andato bene e loro l’avrebbero passata liscia; forse aveva sottovalutato la dedizione del suo quasi cugino alla causa e al suo lavoro; forse aveva mal riposto le sue speranze; forse poteva - e doveva - contare unicamente su se stesso per risolvere quella storia. 

Difatti, Caitlin era a pezzi, si era rivelata un tassello debole, i nervi tesi; Rose era sempre nervosa e stava spesso male, con quei suoi continui mal di testa, e faceva spesso visita all’infermeria; Scorpius sembrava interessato unicamente a Rose, alla sua salute e alla sua sicurezza e, in ogni caso, per James costituiva un mistero intelligibile e celato; Roxanne gli era sembrata sempre la stessa, in un primo momento, ma recentemente gli era parsa silenziosa e scostante e sulle sue, proprio tutto l’opposto di com’era sempre stata; infine, suo fratello Albus era ancora più adombrato e cauto e scrutava tutti con sguardo sottile e indagatore, come un animale braccato. 

Raggiunta l’aula accanto alla Sala Grande, entrò senza nemmeno bussare. Spalancò la porta e trovò Teddy seduto alla sua scrivania improvvisata, sommerso di carte e pergamene, una mano immersa tra i capelli, in quel momento biondicci e spettinati. Alzò di scatto la testa e sbarrò gli occhi, sorpreso dal suo irruente ingresso. 

«James?» lo accolse, stranito.

«Cosa cazzo pensavi di fare?» esplose James fermandosi davanti a lui, in piedi, le mani poggiate sul ripiano in legno. 

«Come, scusa?» Le sopracciglia di Teddy si sollevarono talmente tanto che andarono quasi a sfiorare l’attaccatura dei capelli. 

«Cosa pensavi di fare interrogando Caitlin come se fosse uno di quei Maghi Oscuri che sei solito catturare e portare al Ministero? Chi ti credi di essere, eh?» Ora che era arrivato fin lì, la diga era esplosa e la rabbia si era riversata fuori, andando a sommergere tutto quanto. 

«James, credo sia meglio se ti calmi», rispose Teddy alzandosi in piedi a sua volta. «Perché non ti siedi e ne parliamo?»

«Non voglio sedermi, okay? Voglio sapere perché.»

Tra i due cadde il silenzio. Teddy lo guardava con un’espressione strana dipinta sul volto, e una vaga ombra di delusione gli appuntava gli occhi chiari. 

«Siediti e parliamone», ripetè, e non suonò come una domanda, questa volta. 

James scosse la testa. Forse Teddy non capiva, lui non voleva parlarne, voleva delle risposte.

«Ti ho detto che non mi interessa parlare, tutto ciò che voglio è sapere perché l’hai torturata con tutte quelle domande e quelle insinuazioni», ripetè. «Sai come l’ho trovata, poco fa, in Sala Comune? Tremava come una foglia e piangeva. Questo cosa ti fa pensare? Non pensi di aver esagerato?»

«Sai cosa mi fa pensare, James Sirius?» Teddy non lo chiamava mai con tutti e due i suoi nomi, e James fece un passo indietro, colpito e spiazzato dai suoi modi e dal suo tono di voce. Non aveva più davanti il cugino Teddy, ma Teddy Lupin, l’Auror. «Mi fa pensare che la tua amica abbia una coda di paglia talmente grande da riempire tutta questa stanza, e che sia crollata per lo sfinimento e l’ansia, e che sappia più di quello che mi ha detto di sapere, cioè niente. E penso anche altre cose, molto altre cose, su tutta questa storia, e puzzano, puzzano talmente tanto che si sente l’odore di merda da miglia e miglia di distanza.» 

«E questo è il mio lavoro», aggiunse, risentito, e ora la voce era più alta, e seria. «Che ti piaccia o no, è il mio lavoro, e ho intenzione di eseguirlo come sono solito fare, a prescindere dalle persone coinvolte, o che ritengo coinvolte. Pensavi forse che avrei chiuso un occhio su alcune… stranezze… per definirle in modo gentile… solo perché siamo quasi come parenti?»

James lo guardò e si sentì schiacciato. Non aveva mai visto Teddy così, e non lo aveva mai sentito parlare con una tale fermezza, per lui era sempre stato solo Teddy, quello più grande, da guardare con ammirazione, da imitare, quasi, colui che gli raccontava di Hogwarts e dei suoi segreti, e che lo trattava come un adulto, un suo pari, e non come uno stupido ragazzino, troppo piccolo per capire. Ma, in quel momento, James si sentiva proprio così: un ragazzino. Teddy lo stava facendo sentire piccolo come uno scarafaggio. 

James abbassò gli occhi e fece un passo indietro. Improvvisamente, aveva perso le parole. Era arrivato lì carico di tutta la sicurezza del mondo, sperando che Teddy si sarebbe scusato, dicendogli quanto gli dispiaceva, e invece adesso non sapeva neanche più cosa dire, si sentiva solo svuotato. 

L’altro si passò una mano dietro la nuca, distogliendo lo sguardo e facendo qualche passo intorno, e sembrava indeciso, dubbioso, titubante. Poi lo guardò nuovamente. «Non ne avevo l’intenzione, James, davvero… » iniziò. «Non avevo messo in preventivo tutta questa situazione, sono venuto qui per risolvere un caso, perché è quello che faccio. Mi farò vivo io per una tua convocazione ufficiale in merito al caso Jenkins.»

«Verrò interrogato?» chiese James ritrovando la voce. 

«Verrai interrogato, sì. E ora esci di qui prima che dica qualcosa di cui poi potrei pentirmi…»

James gli stava dando le spalle, e proprio in quel momento nell’aula sbucò sua sorella. Lily li guardava smarrita, gli occhioni azzurri spalancati e sorpresi e feriti. Da quanto tempo era lì fuori? Aveva sentito tutto? L’ultima cosa che James voleva era coinvolgere Lily.

«Lily?» esclamò, forse con un po’ troppa veemenza, perché lei aggrottò le sopracciglia ed incrociò le braccia al petto. 

«Si può sapere che sta succedendo, qui? Vi ho sentiti gridare…»

«Non preoccuparti, Lils, è tutto okay», rispose Teddy, alle sue spalle. «James se ne stava andando.»

James lanciò un’occhiata all’altro e poi prese la porta, uscendo in corridoio come una furia. La rabbia di prima aveva di nuovo preso possesso delle sue membra e avrebbe fatto meglio a mettere quanta più distanza possibile tra lui e quell’aula. Dietro di sé sentì però un rumore di passi, cadenzati e leggeri. Si voltò appena, ma giusto per intravedere una chioma rossa che lo tallonava. Sua sorella.

«Lasciami in pace, Lily!» gridò dietro le sue spalle, ma il rumore di passi non accennava a scemare, quindi James dedusse che Lily non demordeva. 

E così si fermò di botto, proprio davanti all’ingresso della Sala Comune di Grifondoro. Era ormai ora di cena, e non c’era quasi nessuno, in giro. Chissà cos’avevano pensato Louis e Lucy, non vedendolo arrivare. Scacciò via quel pensiero.

Lily lo fronteggiava, di nuovo le braccia incrociate sul petto e quel cipiglio serio e combattivo che a James ricordava la loro madre in modo fin troppo inquietante. 

«Cos’è successo con Teddy, si può sapere?»

«Niente che ti riguardi.»

Lei scosse la testa. «Non me lo vuoi dire?»

«Non voglio e non posso. Non so bene quale delle due valga di più, ma consideralo un no.» Stava tirando fuori la sua parte sprezzante e velenosa, quella che aveva imparato a seppellire sotto strati e strati di arroganza, sorrisi contenuti ed elargiti e una rapida eloquenza. Forse voleva ferirla, voleva che anche Lily lo allontanasse, voleva che anche Lily si vergognasse di lui. Proprio come Teddy. 

«Credi che sia ancora una bambina… Proprio come tutti gli altri. Non è così?»

James scrollò le spalle, inarcando le sopracciglia. «Non lo credo. Lo sei. Punto e basta. Quindi vedi di non impicciarti in faccende più grandi di te, non le capiresti.»

Gli occhi di Lily si appannarono leggermente, forse di qualcosa di molto simile al dolore?, al rammarico? alla desolazione? James seppe di averla ferita. 

«Sei strano, ultimamente. Siete tutti strani… » andò avanti lei, imperterrita. Cocciuta. «Tu, Albus, Rose… Persino Roxanne. L’altro giorno Scorpius neanche ha ricambiato il mio saluto, quando l’ho incrociato in corridoio…»

«Sta’ zitta, Lily. Non sai di cosa parli.» James stringeva le dita talmente forte nei pugni da farsi male. 

«Infatti, non so di cosa parlo, perché tu non mi dici più niente, James. Mi hai tagliata fuori.» Ora James poteva vedere le lacrime premerle agli angoli degli occhi. Ora sapeva che quello sarebbe stato l’unico modo per tenerla al sicuro. Ora sapeva che allontanarla sarebbe stato meglio che coinvolgerla. 

«Ne ho abbastanza, Lily. Quest’anno ho i M.A.G.O., ho un sacco di cose a cui pensare. Ho il Quidditch. Non ho tempo per te e non ho tempo per le tue paturnie. Vedi di fartene una ragione.»

Un altro silenzio, questa volta più denso. Si guardarono ancora un po’, sull’orlo del precipizio, in bilico tra la salvezza e la perdizione. James avrebbe voluto tendere una mano e afferrarla, ma doveva lasciarla cadere, doveva, solo così sarebbe andato tutto bene. 

«Sei solo una ragazzina, Lily.» 

Scacco matto. 

Lily Luna Potter distolse lo sguardo e si rintanò in Sala Comune, dopo aver sussurrato la parola d’ordine con dignità e contegno. James non era degno neanche delle sue lacrime. 

Rimase lì, in piedi in mezzo al corridoio. Solo. 

 

 

Teddy e Roger sedevano ad un tavolo dei Tre Manici di Scopa e stavano finendo la loro colazione. Il locale era tranquillo, a quell’ora, anche se cominciava a popolarsi dei maghi e delle streghe che venivano fino ad Hogsmeade per commissioni e compere. 

Roger era rientrato ad Hogwarts la sera prima, sul tardi, di ritorno dal Ministero dopo aver sbrigato tutta una lunga serie di noiose formalità, tra le quali una capatina al San Mungo, dove aveva parlato con i Mortuari e aveva ritirato la copia ufficiale del referto della Magi-autopsia, e una lunga chiacchierata con Hestia Jones riguardo le indagini, con conseguente invito da parte del loro superiore di venirne presto a capo. Teddy aveva raccontato a Roger tutto ciò che aveva appreso in quei suoi giorni di assenza, e anche il recente litigio tra lui e James Sirius riguardo Caitlin Finnigan, e la ferma volontà di Teddy di sottoporre anche James a interrogatorio. 

«Ora, cerchiamo di fare un punto, vuoi?» iniziò Roger poggiando la sua tazza di caffè sul tavolo. «Ieri sera non ero granché lucido…» 

Teddy annuì e ingoiò un boccone di torta. Tirò fuori dalla borsa in pelle le varie pergamene con sopra redatti i verbali degli interrogatori e li sparpagliò sul ripiano in legno, in un ordine-disordine che a lui però risultava molto chiaro. 

«Allora, quello che sappiamo per certo», continuò Roger, «e che è risultato dalla Magi-autopsia, è che Jenkins è morto per via di un ritorno di fiamma di bacchetta. Banale, ma può succedere. Penso per colpa di uno Schiantesimo particolarmente forte, che ne pensi?»

«Penso che tu abbia ragione, sì.»

«Conseguentemente alla sua morte, qualcuno, e ancora non sappiamo chi, ha deciso di Trasfigurare il suo corpo e di lasciarlo scivolare per caso nel Lago Nero. I Mortuari hanno collocato la morte del ragazzo nella notte del due gennaio, indicativamente tra le nove e mezzanotte.»

«Infine, la bacchetta della vittima non è stata rinvenuta nel luogo del ritrovamento e nei suoi immediati dintorni, il che ci porta a pensare che chiunque abbia Trasfigurato e nascosto Karl, abbia anche preso la sua bacchetta e l’abbia nascosta.»

«Oppure la conservi sul fondo di qualche baule…» aggiunse Teddy. 

«Potremmo farci mandare un mandato di perquisizione da Hestia, a tal proposito.»

«Mh, ci vorrà tempo, e non credo che la McGranitt sarà molto contenta di sapere che vogliamo frugare tra gli effetti personali dei suoi studenti. E poi, senza avere prima qualche idea di un possibile sospetto, non voglio espormi. L’elemento sorpresa in questi casi è essenziale, lo sai.»

Roger annuì sorseggiando dell’altro caffè. 

«Dagli interrogatori sono emersi dettagli interessanti, come già ti accennavo ieri sera», andò avanti Teddy frugando in mezzo alle pergamene. «E cioè che la vittima non andava affatto d’amore e d’accordo con Albus Potter e Scorpius Malfoy, lo conferma la rissa nella quale sono stati coinvolti all’inizio di quest’anno. Inoltre, è venuta alla luce l’esistenza di questo gruppetto formato appunto da Potter e Malfoy, insieme a Caitlin Finnigan, Roxanne e Rose Weasley.»

«Be’, questo non vuol dire niente, per come la vedo io.»

Teddy scrollò le spalle. «No, forse non vuol dire niente, ma non mi sento di escludere nulla, ora come ora. Ogni dettaglio conta. E Albus è più circospetto del solito, mentre Rose mi è parsa nervosa, e quella Finnigan era piuttosto sotto pressione, quando l’ho sentita ieri… Tant’è che ha provocato le ire di James Potter, che quasi mi lanciava un Anatema, ieri pomeriggio. Quindi ripeto, non voglio tralasciare nulla, e l’interrogatorio a James è una delle cose che farò a breve termine e che spero mi toglierà alcuni dubbi.»

«Ho come l’impressione che tu abbia già un’idea, o sbaglio?» gli chiese Roger, soppesandolo da sopra la sua tazza ormai mezza vuota, gli occhi azzurri pensierosi. 

Teddy si appoggiò alla schienale della sua sedia, sospirando. Si passò una mano tra i capelli - che erano di nuovo blu.

«Sono arrivato a pensare che Albus e i suoi amici centrino qualcosa», disse alla fine, buttando fuori con quelle parole anche una parte della sua inquietudine. Non gli piaceva fare certi pensieri, ma questi non gli davano pace, da un po’ di giorni a quella parte, e tanto valeva esternarli con il suo collega. Forse insieme ne sarebbero venuti a capo. «Non abbiamo nessuna prova contro di loro, neanche piccola, a parte qualche voce e qualche racconto di seconda mano, ma non me la raccontano giusta, né loro né tantomeno James. Sento che nasconde qualcosa… Non so cosa, ma c’è. Lo conosco bene.»

«Direi che il dettaglio della Trasfigurazione Umana potrebbe rivelarsi indicativo», replicò Roger leggendo velocemente il verbale dei Mortuari. «Nessun alunno del sesto anno sarebbe in grado di eseguirne una, o sbaglio? Tu eri bravo in Trasfigurazione, Teddy?»

Teddy sbuffò. «Nah, non proprio. Però non c’era nessuno dei miei compagni più bravi che fosse in grado di effettuarne una ben riuscita prima del settimo anno, quindi questo esclude Albus e il suo gruppo, e rimane solo…»

«James», concluse per lui Roger. 

I due si guardarono in viso, in silenzio, e Teddy si stropicciò gli occhi stanchi. «Non vedo come questa cosa possa avere senso.»

«Infatti non ce l’ha. Ci mancano ancora degli elementi, però non escludiamola.»

«Potrebbe essere stato chiunque altro, Roger… Qualunque altro studente dell’ultimo anno, persino un suo compagno di casa.» Teddy non voleva - e non poteva - pensare all’eventualità in cui il figlio del suo padrino fosse colpevole del reato di occultamento di cadavere… Senza pensare al fatto che Jenkins era morto: era morto, quindi chi lo aveva ucciso? 

«Siamo d’accordo nel pensare che sia stato il ritorno di fiamma della bacchetta della vittima a ucciderla, sì? Quindi si è trattato di un incidente.»

«Penso di sì, anche se sarebbe utile ritrovarla, la sua bacchetta. Solo così riusciremo a sbrogliare la matassa, se non tutta, almeno una parte.»

«Direi che questa è la nostra priorità, al momento», concluse Teddy. 

«Hai mai pensato alle conseguenze?» gli chiese Roger. Teddy alzò gli occhi su di lui. «Le conseguenze legali nel caso in cui siano colpevoli?» spiegò. 

Teddy scosse la testa. «Forse non ci voglio pensare. O almeno non ancora.»

«I loro cognomi conteranno pur qualcosa, no?»

Teddy aggrottò le sopracciglia. «Cosa vorresti dire?»

Sentiva montare dentro di sé una vecchia fiamma, tutto ciò che negli anni si era dovuto sentir dire, solo perché di cognome faceva Lupin e suo padre e sua madre erano stati tra gli eroi morti nella Seconda Guerra Magica, e quindi tutto gli era permesso, persino infrangere le regole. E, quando James - e poi Albus - erano arrivati ad Hogwarts, aveva condiviso con loro quello stesso disagio, quella sottile insinuazione che però bruciava nelle ossa. 

«Voglio solo dire che di cognome fanno Potter, e Weasley, e anche Finnigan vale qualcosa, seppur in misura minore… I loro genitori sono considerati alla stregua di eroi, quale tribunale li condannerebbe? E ti ricordo che Potter è il capo dell’Ufficio Applicazione della Legge Magica e che Hermione Granger-Weasley è il nostro Ministro della Magia. Ti dice niente?» aggiunse. 

«Forse non li condannerebbero, ma non per il loro cognome, no. Non li condannerebbero perché sono dei ragazzi, e da ragazzi si fanno un sacco di cazzate, ma questo non vuol dire essere cattivi.»

«Nessuno ha detto che lo siano. Ti sto parlando da amico, Teddy, non da Auror, e nemmeno da collega», aggiunse Roger chinandosi in avanti e parlando sottovoce. «Nessuno lo penserebbe, ma devi ammettere che l’idea di arrivare ad un processo sia quantomeno ridicola. Sono degli adolescenti, chi processa più degli adolescenti al Wizengamot? È ridicolo soltanto a dirlo.»

«Su questo hai ragione, certo», convenne Teddy ammorbidendo i toni. Sapeva che Roger voleva solo aiutarlo, e si pentì di essersi infiammato così solo qualche secondo prima. Doveva mantenere la calma e cercare di essere professionale. «Dobbiamo solo sperare che si arrivi ad un patteggiamento.»

«Sempre nel caso siano colpevoli.»

«Ovviamente.»

I due rimasero in silenzio per un po’, mentre Roger finiva il suo caffè e Teddy la sua torta. Intanto, il locale si stava animando sempre di più e Prudence veleggiava in mezzo ai tavoli con vassoi stracarichi di tazze di caffè, boccali di Burrobirra e toast al cetriolo. 

«Ho ricevuto un gufo da Harry, ieri», disse Teddy. Roger alzò lo sguardo, in ascolto. «Mi ha chiesto come procedono le indagini e se ci sono novità… e se ho voglia di bermi qualcosa con lui, il prossimo weekend.»

«So a cosa stai pensando, Teddy, e la mia risposta è “sarebbe meglio di no”, e per ovvie ragioni», rispose Roger. «Intanto, non abbiamo prove. Se poi tutta questa roba dovesse rivelarsi un buco nell’acqua e tu avessi già detto al tuo padrino che sospetti dei suoi figli? Non credo che le cose potrebbero tornare come prima, tra voi. O forse sì, perché Potter è un santo, ma questo è un altro discorso… Digli tutto quello che vuoi, ma sarebbe meglio non parlassi dei nostri sospetti. E sarebbe bene farlo passare per una semplice chiacchierata informale tra voi, non certo come un rapporto ufficiale al tuo capo ufficio.»

Teddy annuì. «Sì, è meglio di no. Pensavo addirittura di dirgli che ero troppo impegnato, ma non voglio che pensi ci sia sotto qualcosa…»

«No, è meglio se vi vedete, e quando ti chiederà - se ti chiederà - qualcosa riguardo i nostri eventuali sospetti, rimani sul vago e digli che per adesso abbiamo varie piste, ma nessuna significativa, e vedrai che andrà bene.»

Improvvisamente, tutto il mondo di Teddy divenne nero, mentre due mani sottili gli si pararono davanti agli occhi. Sentì qualcuno dietro di sé, e capelli lunghi gli sfiorarono il collo e le orecchie, e un buon profumo - profumo di sapone, di buono, di casa - gli solleticò il naso.

«Chi sono?» gli sussurrò una voce all’orecchio. 

Teddy sorrise. Avrebbe riconosciuto quelle mani, e quel profumo, e quella voce, anche in mezzo a milioni di persone.

«Che ci fai qui, amore?»

Venne liberato e Victoire Weasley gli si fiondò addosso, e lui la strinse a sé, affondando il viso tra i suoi capelli mentre la faceva sedere sulle sue gambe. Ridevano entrambi.

«Sorpresa!» esclamò lei prima di baciarlo.



 

«Shhhh!»

Albus girò leggermente la testa sulla spalla e rivolse un’occhiata fosca a Miss Martin1, che lo osservava in maniera ancora più fosca dall’alto del suo scranno in legno, dal quale dominava la biblioteca e teneva a bada gli studenti chiacchieroni da vent’anni a quella parte, quando Madama Pince era andata in pensione. I suoi occhi azzurri lampeggiarono dietro gli occhiali sottili e la donna scosse la testa lentamente, e Albus alzò gli occhi al cielo tornando a concentrarsi sulla relazione per la Simson. 

Cassandra Zabini lo guardò, le belle labbra inclinate in un sorriso impertinente e divertito. Lui scosse la testa e lei trasse a sé “Pozioni avanzate”, cercando di non ridere di lui. 

Come promesso il giorno prima, lui e Cassandra si erano trovati fuori la Sala Grande dopo il pranzo del sabato e, insieme, si erano diretti in biblioteca per lavorare alla relazione sugli antidoti che la professoressa Simson aveva affidato loro per lunedì. 

«C’è una cosa che non capisco», iniziò Albus, la voce poco più che un sussurro strozzato. Lanciò un’occhiata a Miss Martin, ma la bibliotecaria era sparita chissà dove, e lui rilassò le spalle. Cassandra alzò gli occhi su di lui. Lo stomaco di Albus si mosse irrequieto. «Perché non possiamo usare un bezoar e basta e farla finita con questa storia di Golpalock, o Golpalope2, o come diavolo si chiama?»

Cassandra alzò gli occhi al cielo. «Tu non stai mai attento a lezione, eh?»

Albus scrollò le spalle. «Quasi mai.»

«Mi chiedo come tu abbia fatto a prendere tutti quei G.U.F.O. l’anno scorso…»

«La genialità si eredita, te l’hanno mai detto?»

Cassandra scosse la testa stancamente, cercando di non ridergli in faccia, questo era evidente. Albus si ritrovò a desiderare di baciarla. 

«Tralasciando per un attimo la tua presunta genialità», cominciò lei incrociando le braccia sul banco in legno e sporgendosi verso di lui. Gli poteva arrivare il suo profumo, fresco e invitante. «Se hai un bezoar a portata di mano, naturalmente funzionerà… anche se, visto che non funzionano con tutto, e sono rari, vale comunque la pena di sapere come preparare un antidoto3… no?»

Albus alzò le sopracciglia e si morse un labbro, tirandosi un pezzo di pelle. Lo faceva sempre quand’era nervoso o agitato per qualcosa e, senza sapere bene perché (o forse sì), Cassandra lo rendeva nervoso, e agitato. Gli sudavano le mani e se le asciugò nei pantaloni della divisa. 

«Va bene, ho capito, non ho speranze di scamparla, con questo Golpaglock.»

«Golpalott

«Golpalott?»

«Ah-ah.» Cassandra annuì, fiduciosa.

«SHHHH!»

Albus quasi sobbalzò sulla sedia e questa volta anche Cassandra si girò sorpresa verso Miss Martin, in piedi poco distante dal loro tavolo, le mani appuntate sui fianchi e l’aria truce. Entrambi ficcarono la testa nelle loro pergamene, in silenzio, e così rimasero per i successivi quindici minuti. 

Albus continuava a fissare le prime righe della sua relazione: “La Terza Legge di Golpalock Golpalott dice che l’antidoto per un veleno composto è maggiore della somma degli antidoti di ciascuno dei singoli componenti”4. Tutto il resto era intonso. Miseramente vuoto. La didascalia l’aveva bellamente copiata da “Pozioni Avanzate”. Sul resto della relazione avrebbe dovuto improvvisare. Forse, se avesse riscritto tutto, e avesse aumentato la dimensione della sua calligrafia… 

Cassandra gli diede di gomito e gli indicò il foglio e lui scosse la testa, aprendo le braccia. La ragazza riprese a scrivere come una forsennata, i capelli scuri appuntati dietro la nuca con una piuma di riserva, mentre le parole scritte scorrevano sul suo foglio come olio denso. Era sempre stata dannatamente brava in Pozioni, Cassandra, era la migliore studentessa del suo anno nella materia e la Simson l’adorava. Nessuno avrebbe potuto competere, neanche quella simpatia di Polly Chapman, di Grifondoro, che non perdeva occasione per mettersi in competizione con la Serpeverde. 

Albus poggiò la testa sulla mano e si mise a guardarla, smettendo di preoccuparsi della relazione, della Simson, degli antidoti e di qualsiasi altra cosa gli avesse occupato la mente in quei giorni. Dimenticandosi persino di Jenkins. E della bacchetta. 

Cassandra arricciava leggermente le labbra mentre scriveva, in un gesto inconsapevole che però la rendeva ancora più bella. Albus allungò una mano e si mise a giocherellare con la piuma che teneva tra i capelli, mentre Cassandra si scostava, senza però smettere di scrivere. Sorrideva sotto i baffi, ma sembrava fermamente intenzionata a non farsi distrarre. 

«Ti conviene metterti a scrivere, la consegna è domani», gli ricordò.

Lui alzò gli occhi al cielo. 

Cassandra tornò a scrivere e Albus tornò a guardarla. Era incredibile come tutta la sicurezza in se stesso, che indossava come una maschera di ferro e ambizione, e che lo aveva protetto e aiutato e reso quello che era, si sgretolasse sotto i colpi di quello sguardo scuro, acceso di un fuoco freddo che però lo bruciava da dentro e gli incendiava le ossa e le membra. Non aveva mai provato ciò che sentiva per Cassandra Zabini, per nessuna delle ragazze che aveva avuto in passato, per nessuno dei suoi flirt subitanei e guizzanti, che si esaurivano dopo un giro di orologio e minuti trascorsi a toccarsi con mani frenetiche e bramose, e lingue esploranti stretti anfratti bui, e amplessi insoddisfacenti rapidi come fulmini e inconsistenti come nebbia. Ché non rimaneva mai niente, dopo - niente che valesse la pena proteggere, e preservare, e ricordare con nostalgia cavalcante nel petto e nel ventre, e ricercare come assetati vagabondi in deserti di rocce e fiori spinati. 

«Veni-ad-Hogsmed-comme-il-possimmo-uikend?» La voce gli uscì leggermente arrochita e un balbettio stentato soffiò fuori dalle sue labbra. Albus imprecò tra sé e sé in nome del buon vecchio Salazar e, quando Cassandra alzò gli occhi, interrogativa, lui si schiarì la gola. Poi la guardò, deciso. «Vuoi venire con me ad Hogsmeade, il prossimo weekend?» Ora si accorse di aver urlato perché sentì Miss Martin avvicinarsi a passo deciso dal fondo della biblioteca e poteva quasi udire i suoi sbuffi infuocati uscirle di bocca, come se fosse un drago. 

Cassandra annuì e gli sorrise. «Era ora che me lo chiedessi, Potter.»  

«POTTER!»

Miss Martin si fermò di fronte al loro tavolo, i pugni serrati poggiati sul legno scuro e pieno di graffiti. Uno recitava “DEAN+GINNY” e Albus quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Si ripromise di tornare a cancellarlo. 

«Questo è l’ultimo avvertimento», continuò la donna, gli occhiali storti sul piccolo naso a bottone. «Vuole essere cacciato fuori? Perché sarò costretta a farlo, e non ho paura di far rispettare le regole, qui dentro. CHIARO?»

Albus annuì, seppur di malavoglia, e guardò la vecchia pipistrella allontanarsi con passo fermo. 

Poi si girò a guardare Cassandra e lei gli sorrise e, in quel momento, ad Albus importava solo quello.

 


 

Note:

1. Miss Martin: nuova bibliotecaria subentrata a Madama Pince; personaggio di mia invenzione; il cognome è un omaggio a David Martín, protagonista de “Il gioco dell’angelo”, romanzo di Carlos Ruiz Zafón.
2. Golpalock, Golpalope: ovviamente ci si riferisce a Golpalott (vedi nota numero 4).
3. Se hai un bezoar a portata di mano, naturalmente funzionerà… anche se, visto che non funzionano con tutto, e sono rari, vale comunque la pena di sapere come preparare un antidoto: tratto da “Harry Potter e il Principe Mezzosangue” di JK Rowling.
4. La Terza Legge di Golpalott dice che l’antidoto per un veleno composto è maggiore della somma degli antidoti di ciascuno dei singoli componenti: tratto da “Harry Potter e il Principe Mezzosangue” di JK Rowling.
 

Bentrovati con questo nuovo capitolo, bello denso di cosette. Intanto, James dà di matto, e fa il diavolo a quattro con Teddy riguardo l’interrogatorio di Cait, e anche la povera Lily ci finisce in mezzo. James cerca di tenere insieme i pezzi, e di non crollare, ed è quello che, finora, se la sta cavando meglio, ma non è facile, per lui, è umano e fallibile. Teddy e Roger fanno il punto (ed è un fare il punto anche per voi, a questo punto) sulle indagini e ciò che sanno e non sanno di questo caso, e arrivano a presunte conclusioni che preoccupano Teddy, anche e soprattutto alla luce di un prossimo incontro con Harry. Infine, piccola parentesi di “sollievo” con Albus e Cassandra in biblioteca, alle prese con la relazione di Pozioni e la temibile bibliotecaria, Miss Martin. Albus tenta un approccio molto, molto Potteriano (ovviamente, il mio è voluto essere un omaggio ad Harry, nel “Calice di Fuoco”, anche se Cass NON è Cho XD) e Cass accetta di uscire con lui: una gioia per il piccolo Albus, ogni tanto ♥︎ So che a qualcuno Cass non ha convinto, nutrite dei sospetti su di lei, ma posso dirvi di non pensare male perché lei sarà importantissima per Albus, più avanti. Anzi, piuttosto a breve. Infine, Albus continua a dividere, e la cosa mi fa gongolare. Ah, dimenticavo, che ne pensate della sorpresa di Victoire? Non temete, lei ritornerà nel prossimo capitolo.

 

Concludo ringraziando come al solito voi lettori, questa storia ha già raggiunto quota 50 recensioni e ogni singola parola che le riservate è per me fonte di immensa gioia, grazie davvero ♥︎

Alla prossima settimana, Marti.
 

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Ho finalmente creato la serie dedicata alla mia Nuova Generazione, GENERATION WHY, dove troverete anche Azzurro nell’azzurro, la shot su Roger e Prudence.

Infine, per chiunque fosse interessato, vi lascio anche Golden Hour, la mia nuova Lucius/Narcissa, e Figli dell’oscurità, una rating rosso su una coppia un po’ particolare, Rabastan e Bellatrix Lestrange.

 
   
 
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