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Autore: Soul of Paper    19/07/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi 39


Capitolo 39 - A Nudo


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Ella es su madre y un fiscal. Y yo soy un mariscal.”

 

Calogiuri stava provando a spiegare la situazione al custode del campeggio, affinché indicasse loro dov’era la tenda delle ragazze. Imma era già stata tentata di chiamare la polizia ma sapeva di doversi almeno accertare che le ragazze non ci fossero, o non si sarebbero mossi sicuramente.

 

Alla fine, dopo che Calogiuri gli ebbe mostrato il distintivo ed Imma una foto sua con sua figlia, l’uomo - un tipo sulla cinquantina che sembrava esausto - assentì, digitò qualcosa a computer, probabilmente per consultare il registro, e con un “sígueme!” uscì dal suo sgabbiotto. Fece loro strada con una torcia tra la distesa di tende ancora al buio.

 

Del resto erano le quattro del mattino passate.

 

Dopo attimi che le sembrarono pesantissimi ed infiniti, finalmente il custode si fermò prima all'altezza di una fila di tende e poi davanti alla penultima in fondo.

 

Imma riconobbe la tela rossa che aveva visto in un paio di foto che Valentina le aveva mandato delle loro vacanze a Minorca.

 

“Valentina!” provò a chiamare, sforzandosi di non gridare, ma il suo tono dovette risultare comunque troppo alto perché si guadagnò un’occhiataccia del custode e, al secondo “Valentina!” una delle tende vicine si aprì e una ragazza la fulminò, con un “we are trying to sleep!”

 

Imma quindi si decise ed aprì la porta della tenda.

 

La testa le girò vorticosamente, mentre si sentì afferrare il braccio da Calogiuri: la tenda era vuota, c’erano solo i sacchi a pelo stesi e, a giudicare da com’erano spiegazzati, qualcuno ci aveva dormito quella notte.

 

L’idea di cosa avesse potuto interrompere il sonno di sua figlia non fece che peggiorare il panico che già montava.

 

“Imma…”

 

Guardò Calogiuri, la preoccupazione in quegli occhi chiari, insieme ad una domanda implicita.

 

Stava aspettando sue istruzioni su come voleva procedere. Non in quanto suo capo ma in quanto madre di Valentina.

 

Imma sapeva che c’era un’unica cosa da fare: avvisare la polizia e sperare che quella foto della spiaggia fosse sufficiente per dare loro qualche indicazione, anche se ne dubitava. Era un piano molto stretto: chiunque fosse stato ad averla scattata era stato bravo a non lasciare indizi visibili.

 

“Chiamiamo, Calogiuri,” disse, semplicemente, perché non c’era bisogno di specificare chi e perché non voleva che il custode capisse e magari obiettasse, per non avere grane. In fondo polizia e policía suonavano quasi identiche.

 

“Cerco il numero,” rispose lui, cellulare in mano. Solo in quel momento Imma si rese conto di non essersi nemmeno segnata i numeri di emergenza spagnoli prima di partire per la vacanza, una cosa inconcepibile per lei.

 

Ma Calogiuri la faceva sentire al sicuro e, tra quello e l’atmosfera vacanziera, si era rilassata, dimenticando le preoccupazioni che aveva sempre da quando faceva il suo mestiere, e negli ultimi mesi ancora di più.

 

E mo ne pagava le conseguenze.

 

“Trovato. Chiamo io o chiami tu?”

 

“Meglio tu, Calogiuri, che un poco di spagnolo lo parli, anche se spero sappiano pure l’inglese, con tutti i turisti che ci sono!”

 

Calogiuri annuì e si mise il cellulare all’orecchio, il custode che li guardava un po’ stupito.

 

Imma cercò di trattenere tutte le emozioni che lottavano per uscire, l’immagine di Valentina, raggiante come non l’aveva mai vista, che ancora le era impressa nelle palpebre.


Non erano passate nemmeno due ore e quella sera l’aveva sentita vicina come non mai. Perfino più di quando da bambina le si aggrappava addosso al rientro dal lavoro e la mattina prima di andare a scuola con suo padre, come se non volesse lasciarla andare.

 

Era un rapporto del tutto diverso, più consapevole, anche se Valentina doveva ancora crescere tanto e-

 

Una lama gelida la trapassò, mentre il terrore che sua figlia non avrebbe mai potuto crescere le piombò addosso. Quel timore che nessun genitore vorrebbe mai avere ma che, in quelle circostanze, una persona che faceva il suo mestiere, e aveva visto quello che lei aveva visto, non poteva non considerare.

 

Che non avrebbe mai più rivisto il suo sorriso o il suo broncio incazzato, che non avrebbe mai più sentito la sua voce, il modo un po’ sfottente in cui la chiamava “ma!”

 

Le sembrava quasi di poterla sentire e-

 

“Mà!? Che ci fai qua?”

 

Spalancò gli occhi e guardò verso Calogiuri, trovandolo prima scioccato e poi sollevato.

 

Forse allora non era ammattita del tutto.

 

Si voltò verso la voce e sì, non poteva essere un’allucinazione, perché Valentina era a pochi passi da lei, con la torcia in una mano ed una borsa di tela da spiaggia nell’altra, Penelope accanto a lei e, soprattutto, due ragazze bionde e sconosciute alle loro spalle.

 

“Hey, what’s happening?”

 

“My mother…” rispose Valentina, con il tono tra il rassegnato ed il rimprovero che le riservava da adolescente quando la controllava o la accompagnava da qualche parte, “mà, che ci fai qua?”

 

Le due ragazze, dall’accento britannico, la guardarono ancora per un attimo e poi si congedarono con un “we are going to sleep. Night!”

 

Superarono lei, Calogiuri ed il custode e si infilarono nell’ultima tenda della fila.

 

“¡Ah, las madres italianas! ¡Buenas noches! ¡Y no hagas más ruido!” esclamò il custode, seppur a voce bassa, guardandola come se fosse una povera pazza paranoica, tanto che per un attimo le parve di rivedere il Vitali dei primi tempi.

 

Ma Imma sentì un calore tra le braccia, insieme ad un corpo che un poco si divincolava, una sensazione di bagnato sul collo, e si rese conto solo in quel momento che le gambe le si erano mosse da sole e si era buttata ad abbracciare Valentina.

 

“Mà… ma è successo qualcosa? Mà?!” le chiese accanto al suo viso, sembrando meno scocciata e più preoccupata.

 

Imma si staccò leggermente, chiedendosi quanto dirle e come dirlo, per non farla spaventare troppo da un lato, ma per tenerla al sicuro dall’altro. Anche perché non le avrebbe lasciate lì in tenda manco morta, ma se le sarebbe portate con sé in hotel, mentre ringraziava il cielo che la vacanza fosse quasi finita e-

 

Il suono di un cellulare interruppe i suoi pensieri. Erano più messaggi, in sequenza rapida, come un’odiosa mitragliata.

 

“Imma, è il tuo,” sussurrò Calogiuri ed Imma si staccò del tutto dalla figlia e, dopo aver frugato nella borsa, individuò finalmente sul fondo il maledetto aggeggio infernale.

 

Era di nuovo l’app di messaggistica istantanea ed il numero era sempre anonimo.

 

Aprì l’anteprima e si trovò nella stessa chat in cui le era arrivata quella foto.

 

Gliene avevano inviate altre, che però non si erano ancora scaricate perché aveva il risparmio dati inserito e non era più collegata al wifi dell’hotel. E poi un messaggio, che lesse quasi in automatico.

 

Cinquantamila euro o i giornali avranno un bel servizio fotografico

 

La prima delle immagini si caricò e fu un pugno nello stomaco.

 

Valentina e Penelope, sempre sulla spiaggia, sempre riprese da una fotocamera a infrarossi, ma erano in topless.

 

E poi nella foto successiva erano proprio nude. In quella ancora dopo stavano correndo in acqua e si vedevano anche le due ragazze inglesi, che erano già in mare.

 

Sollevò lo sguardo verso Valentina, rendendosi conto che aveva i capelli ancora bagnati.

 

“Che succede?” sussurrò Calogiuri alle sue spalle ed Imma d’istinto spense lo schermo del telefono.

 

“Avete fatto il bagno nude?” le uscì, prima di potersi trattenere, e vide Valentina che spalancò gli occhi, prima imbarazzata, poi incredula, poi incazzata.

 

“Ma cos’è? Ci hai spiate?! E io che pensavo che tu fossi cambiata ma-”

 

“Shut up! We want to sleep!”

 

“E state zitte, porca miseria!”

 

Una serie di lamentele in multilingua, che pareva di stare a Babele, si sollevarono dalle tende lì accanto, alcune che si aprirono rivelando ragazzi e ragazze incazzati non poco.

 

“Prendete le cose essenziali, subito, che venite a dormire da noi in albergo,” sussurrò, col tono che non ammetteva repliche.

 

“Ma-”

 

“Vi devo parlare urgentemente, ma non qui,” sibilò, interrompendo le proteste di Valentina sul nascere.

 

“C’è un motivo, serio,” si inserì Calogiuri, con tono basso e calmo, e Valentina si rivolse a lui, rimanendo un attimo zitta e poi guardò Penelope che sollevò le spalle.

 

“Va bene. Ma, se non c’è una spiegazione valida, stavolta mi incazzo davvero!” esclamò Valentina, entrando nella tenda e uscendone con lo zaino. Penelope fece lo stesso.

 

Imma dovette trattenere la sua di incazzatura, se verso Valentina, verso i fotografi o verso se stessa non avrebbe saputo dirlo.

 

Ma si avviò prima che potesse trapelare.

 

*********************************************************************************************************

 

“E dopo che siete arrivate alla tenda mi hanno inviato delle foto di voi nude sulla spiaggia: ecco qua!”

 

Passò il telefono a Valentina e Penelope. Sua figlia spalancò gli occhi, sembrando sull’orlo del pianto, Penelope invece aveva uno sguardo preoccupato e mise una mano sulla spalla a sua figlia.

 

“Vale… mi dispiace, io-”

 

“No, è a me che dispiace! Se… se… se ci hanno fatto queste foto è perché vogliono colpire mamma e… tu non c’entri!” esclamò Valentina, decisa, rivolgendosi verso l’amica in un modo determinato e protettivo che non le aveva forse mai visto.

 

Ed Imma si rese conto contemporaneamente di due cose: di quanto fosse cresciuta Valentina e che purtroppo aveva ragione.

 

La colpa principale era stata la sua, che non aveva mantenuto il maledetto basso profilo, anzi, e che le aveva portate in vacanza con sé.

 

Se fossero andate a farsi l’interrail, nessuno le avrebbe mai inseguite per fotografarle. Certo, avrebbero corso altri rischi, forse, ma almeno quello no.

 

E poi non poteva incazzarsi con loro per una cosa che aveva fatto pure lei, presa dalla follia della vacanza. Certo, in una spiaggia molto meno frequentata, ma in pieno giorno e-

 

“Calogiù…” le uscì in un sussurro, la lingua che si mosse prima che il pensiero si formulasse del tutto.


“Che c’è?”

 

“C’è che… e se… quella notte, quando i cavalli hanno fatto tutto quel casino. E se stavano seguendo pure noi anche a Minorca?”

 

Bastò guardarsi negli occhi per capirsi: se avessero ripreso pure il loro momento di nudismo ed avessero pubblicato le foto, sarebbe stato uno scandalo che poteva costare a lei la carriera e a lui il posto nell’Arma.

 

“Imma… può essere, ma… se avessero foto compromettenti di noi due… ti avrebbero ricattata già prima, no?”

 

“Forse. O forse le nostre foto valgono di più vendute ai giornali. Valentina è sconosciuta e magari pensano di ottenere più soldi così. O vogliono testare le acque, ma-”

 

“Scusate, in che senso foto compromettenti di voi due? Che cosa può uscire?” li interruppe Valentina, l’aria tra il preoccupato, l’incredulo e lo schifato.

 

“Niente, Valentì, pensa alle tue di foto compromettenti, mo! E comunque qua c’è da fare la denuncia, anche se non so se la competenza sia spagnola, visto che tecnicamente le foto sono state scattate qua ed il ricatto è avvenuto in territorio spagnolo, almeno come mia ricezione.”

 

“Denuncia? Ma quindi puoi bloccare le foto?” domandò sua figlia, speranzosa.

 

“Valentì, io posso fare denuncia per il ricatto, che è un reato. Ma, siccome siete entrambe maggiorenni e presumo lo fossero anche le due ragazze inglesi, e stavate in luogo pubblico… non credo ci sia alcun illecito da questo punto di vista e non posso impedire la pubblicazione di quelle foto. Anzi, per fortuna qui il nudismo è consentito, perché in Italia rischiavate voi una sanzione amministrativa mica da ridere.”

 

“Sì, dottoressa,” ribatté Valentina, prima di sospirare e farsi più seria, “mà, mi… mi dispiace per tutto questo casino, ma… Rachel ed Emma sono venute ad invitarci al bagno di mezzanotte e poi si sono buttate in acqua nude e… e mi sono detta perché no e che alla fine era un’esperienza da fare una volta nella vita. Poi a quell’ora pensavo non ci avrebbe viste nessuno.”

 

“Senti, Valentì, io non voglio certo farti la morale, anche perché siete le vittime. Ma purtroppo, anche se pure io me lo ero scordata, mi rendo conto che sono sotto il microscopio pure più di quanto pensassi, e che nemmeno stare all’estero basta ad evitarlo. Quindi per un po’ è meglio che teniamo tutti sto maledetto basso profilo, te compresa. Non voglio che corri rischi per colpa mia, va bene?”

 

Valentina annuì ed Imma si trovò stretta in un abbraccio forte, anche se la sentì pure tremare un poco.


Sapeva che conseguenze potevano avere quelle foto, se fossero uscite, per la già fragile vita sociale di Valentina.A Matera poi non ne parliamo.

 

E sperava davvero di poterglielo evitare.

 

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“Sentite, voi dormite sul letto, noi usiamo i sacchi a pelo: tanto è per poche ore.”

 

“Nel vostro letto, mà?!” le chiese guardando le lenzuola ancora mezze disfatte con un’aria schifata che non avrebbe saputo dire se fosse più comica o più insultiva.

 

“Valentì, le lenzuola le cambiano tutte le mattine e ci siamo giusto stesi due minuti prima di accorrere in campeggio. Eh su!”

 

“Comunque possiamo dormire noi nei sacchi a pelo, mi pare più logico, Vale!” si inserì Penelope, sembrando stranamente in imbarazzo, lei che di solito non la smuoveva niente.

 

“Nei sacchi a pelo dove sono stati per chissà quante notti? Effettivamente forse sono meno a rischio le lenzuola!”

 

“Valentì!” esclamò, il calore che le si diffondeva sulle guance, mentre a Calogiuri andò di traverso la saliva.

 

“Imma, perché non ti metti sul divano? Io rimango per terra col sacco a pelo,” offrì lui, cercando evidentemente di togliersi da quella situazione.

 

“Ma no! Mamma può dormire con noi, tanto per poche ore in tre nel letto ci stiamo. Così non stai sul pavimento, Calogiuri.”

 

Non avrebbe mai del tutto capito l’alternanza di Valentina tra stoccatine e momenti di inattesa gentilezza.

 

Ma, in fondo, non poteva biasimarla, visto che pure lei era fatta uguale.

 

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“Sei sicura che…?”

 

“No, non sono sicura di niente in questo momento, Calogiuri!”

 

Erano soli in stanza, perché le ragazze erano uscite a fare colazione al bar di fronte all’hotel. Rimaneva un poco in apprensione per loro, ma le avevano seguite con lo sguardo dalla finestra finché erano entrate nel locale e, in mezzo alla folla, era meno probabile che qualcuno tentasse di fare scherzi.

 

Aveva il cellulare in mano ed il nome Mancini sul display. Doveva decidere se chiamarlo o meno, ma tanto l’avrebbe dovuto avvisare prima o poi e, in fondo, del giudizio del procuratore capo si fidava, anche se purtroppo poteva anticipare la sua reazione. Erano le nove del mattino, ma sapeva che il capo era mattiniero pure in vacanza.

 

Selezionò il numero, che squillò libero per qualche istante, poi un, “dottoressa?” familiare le giunse all’orecchio.

 

“Buongiorno, dottore, spero di non disturbarla in vacanza ma ho bisogno di parlarle urgentemente.”

 

Un attimo di pausa e poi ripose, “non mi disturba affatto, dottoressa. Mi dica, è successo qualcosa?”

 

Il tono del procuratore capo era sicuramente il meno ostile che aveva sentito da mesi, anzi, pareva quasi gentile. Che avesse intuito che doveva essere successo qualcosa di grave per chiamarlo in quel momento?

 

“Purtroppo sì, dottore. Ora mi trovo in Spagna e… dovrei rientrare stasera. Se ha qualche minuto le spiego la situazione.”

 

“In Spagna?”

 

Sembrava sorpreso. Del resto non gli aveva specificatamente detto dove lei e Calogiuri sarebbero andati, anche se sapeva benissimo che entrambi erano in ferie.

 

E, con un sospiro, iniziò a raccontargli tutto per filo e per segno.

 

“E quindi… e quindi immagino che la giurisdizione competente sia quella spagnola, dottore, ma… ho pensato che fosse meglio consultarla prima di decidere il da farsi e-”

 

“E magari avrebbe dovuto consultarmi prima di decidere di andarsene in vacanza alle Baleari. A Maiorca poi! Immagino che sappia che è una meta gettonata anche dai paparazzi, che le è saltato in mente?! Alla faccia del basso profilo!”

 

La gentilezza, reale o percepita, era già del tutto svanita.


“Dottore, ho prenotato questa vacanza a dicembre. Non ho doti profetiche e non avevo idea che qualche fotografo potesse interessarsi tanto alla mia vita privata a Roma, figuriamoci all’estero! E comunque-”

 

“E comunque ora dobbiamo risolvere questa situazione. Sua figlia come sta? Mi rendo conto che sia una cosa potenzialmente molto traumatica, sapere di essere stati seguiti e spiati e la prospettiva di… di avere foto del genere rese pubbliche.”

 

“Dottore…” sospirò, perché, dopo il cazziatone, Mancini era tornato ad avere una certa dolcezza e preoccupazione nella voce, sebbene per Valentina e non certo per lei, “guardi… non so se sia l’incoscienza dei vent’anni o… la botta ancora fresca, ma per ora lei e la sua amica sembrano stare abbastanza bene, per fortuna.”

 

“Meglio così, anche se spero che non commettano imprudenze, dottoressa.”

 

“Non si preoccupi, non le perdo di vista, dottore, letteralmente,” spiegò, mentre continuava ad osservare il bar dalla finestra.

 

“D’accordo. Allora, senta, facciamo così. Mi consulto con Brian, il mio amico dell’interpol, che su diritto internazionale ha decisamente la memoria più fresca della mia e la richiamo tra poco, va bene?”

 

“Va bene…” sospirò, perché sapeva fosse la cosa più ragionevole da fare, anche se non era per niente entusiasta che altre persone venissero a conoscenza di quella storia.

 

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“Quindi deve fare la denuncia al commissariato lì a Palma. E poi chiederemo di spostare la giurisdizione in Italia, vista la sua posizione, dottoressa. Per intanto, se mi dà il numero dal quale le è arrivata la richiesta, posso fare un po’ di ricerche su a chi è intestato.”

 

“Dottore, la ringrazio ma… è un numero anonimo, purtroppo.”

 

“Allora, se mi dà l’autorizzazione, chiedo alla compagnia telefonica di verificare. Così accorciamo i tempi. Sicuramente gliela chiederanno anche i colleghi spagnoli, ma li sentirò io, se dà loro il mio numero. E al limite li faccio parlare con Brian.”

 

“Va bene, dottore… per l’autorizzazione e per tutto il resto. La ringrazio,” disse, perché gli era seriamente grata per come aveva reagito rapidamente e preso a cuore quella vicenda, nonostante sicuramente ce l’avesse con lei per l’imprudenza commessa.

 

“Invece di ringraziarmi, cerchi di mantenerlo veramente il basso profilo da ora in poi. E… per caso ci sono altre foto che potrebbero uscire di cui dovrei essere a conoscenza? Tipo sue o del maresciallo, che presumo sia lì in vacanza con lei?”

 

Imma sospirò: non aveva menzionato esplicitamente Calogiuri a Mancini, ma ovviamente non ci voleva Sherlock Holmes per capire che non fosse lì solo con la figlia e con Penelope.

 

“Non lo so, dottore. Non ci siamo accorti di nulla, ma diciamo che siamo andati a ballare in qualche locale, e poi in spiaggia, in tenda, a cavallo, insomma-”

 

“Non so se complimentarmi con lei per l’energia o rimanere esterrefatto dalla sua mancanza totale di prudenza, dottoressa. In tenda? Con il mestiere che fa? Al di là dei possibili paparazzi!”

 

“Dottore, se permettessi a dei criminali, perché questo sono di fatto, di condizionarmi la vita, è come se avessero già vinto.”

 

“C’è non farsi condizionare e poi c’è fare i kamikaze, dottoressa.”

 

“Comunque ho capito che… che devo essere più prudente, dottore. Semplicemente non pensavo sarebbero arrivati fin qui: sembravano pure essersi un attimo dati una calmata in Italia.”

 

“Lo spero che l’abbia capito, pure se mi sembra un po' tardi. Mi faccia sapere come va. Ci vediamo al suo rientro in Italia.”

 

La chiamata si chiuse e cercò gli occhi di Calogiuri, che però sembrava concentrato soltanto su cosa stava accadendo al di fuori dalla finestra.

 

Sapeva benissimo che in realtà così non era, affatto. E non poteva nemmeno biasimarlo del tutto: pure a lei avrebbe dato fastidio se lui avesse dovuto chiedere l’aiuto di Irene e raccontarle tutti i fatti loro.

 

Anche se una cosa non di poco conto gliel’aveva tenuta nascosta a Mancini. Non era solo per pudore o per timore di perdere il posto, ma soprattutto perché non voleva rigirare ancora di più il dito nella piaga.

 

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“So they are blackmailing you. It could be a pap or a journalist, but you seem to have a lot of enemies and a lot of media attention, now that I have looked you up online.”

 

Per fortuna il commissario - quando avevano esibito il distintivo di Calogiuri e lei si era qualificata, l’agente di turno in guardiola li aveva portati direttamente da lui - parlava un ottimo inglese, per quanto con accento spagnolo, e sembrava pure un tipo sveglio.

 

Del resto, avere più nemici che amici non era una novità per Imma. E si chiedeva quali delle notizie su di lei il commissario avesse trovato su internet.

 

In quel momento, squillò il suo telefono e, estrattolo dalla borsa, vide che era Mancini.

 

“My… my boss… the… head prosecutor?” spiegò, non essendo certa della traduzione.

 

“¿El fiscal General?” chiese il commissario, rivolgendosi a Calogiuri, e lui annuì, anche se manco lui pareva convinto al cento per cento.

 

“Dottore, mi dica.”

 

“Dottoressa, dove si trova?”

 

“Sono in commissariato, davanti al commissario e-”

 

“Va bene. Me lo può passare o mi può mettere in viva voce, che forse facciamo prima? Il commissario sa l’inglese?”

 

“Sì, dottore,” spiegò, facendo come chiesto.

 

“This is Giorgio Mancini, head prosecutor here in Rome. I do not know if prosecutor Tataranni explained to you who I am or what happened.”

 

“I know what happened. But why are you calling?”

 

E così Mancini gli spiegò, nel suo inglese da Oxford, che aveva cercato il numero che aveva inviato foto e messaggi ricattatori e che risultava intestato a un ottuagenario di Latina. Sicuramente un prestanome.

 

“So it is probably someone who is used to do this kind of things…” dedusse il commissario, ed in effetti Imma non poteva dargli torto: sicuramente il ricattatore era un professionista e non solo delle foto.

 

“Have there ever been other cases of blackmailing to… celebrities?” chiese Mancini, anticipando la sua domanda.

 

“Not that I know of. But celebs usually pay up, instead of risking compromising pictures being published. And they would not come to me anyway.”

 

Il commissario tutti i torti non li aveva: la maggior parte degli pseudo vip su quell’isola avrebbero o pagato o comunque sarebbero tornati nel paese natale prima di denunciare.

 

“I want to ask for the proceedings to be transferred here in Rome, considering prosecutor Tataranni’s position and the fact that the blackmailer seems to be Italian. Since we are at a dead end, I would suggest for her to pretend to be willing to pay the blackmailer. We may gain some more information that way.”

 

Non capiva perfettamente tutto, ma aveva intuito che Mancini avesse chiesto il trasferimento del caso a Roma e, soprattutto, che lei avrebbe dovuto fingere di voler cedere al ricatto, in modo da poter magari ottenere qualche prova, visto che in quel momento latitavano e che dal telefono non ne avrebbero cavato nulla.

 

“We already have enough crimes to take care of. I have no objections to the transfer. I will ask the judge. In the meantime, I authorize you to proceed with the set-up.”

 

Per fortuna il commissario pareva ragionevole, anche se mo arrivava la parte più difficile per lei e la più rischiosa.

 

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“Calogiuri, qua non concludiamo niente. Mi sa che non c’abbiamo scelta! Matera, Roma o Palma, sempre degli incapaci sono!”

 

Forse era un po’ esagerato, ma temeva di essere seguita e fingere di essere in conflitto con la polizia spagnola era l’unico modo per non far mangiare troppo la foglia a chi l’aveva spiata e ricattata.

 

“Ne sei sicura?” chiese Calogiuri, sempre più pacato di lei anche nella recitazione. E lei annuì.

 

Si allontanarono un po’ dal commissariato e, quando fu arrivata quasi in albergo, prese il cellulare e digitò semplicemente:

 

Come e quando?

 

Sperava davvero di riuscire, per il bene di Valentina, e di non cadere in una trappola ancora peggiore.

 

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In contanti, ti scriverò il posto. Entro domani.

 

Stava preparando la valigia, che sarebbero poi anche dovuti andare a recuperare le tende e l’attrezzatura da campeggio delle ragazze, quando finalmente arrivò la risposta.

 

Devo tornare in Italia per poter prelevare e mi ci vorranno più giorni per mettere insieme la somma. 

 

L’attesa le parve interminabile, ma infine il telefono fece un altro trillo.

 

Quattro giorni, non uno di più. Scrivimi quando hai i soldi e ti dirò dove.

 

Imma sospirò. Il tempo era poco e probabilmente non avrebbero saputo il luogo del deposito fino all’ultimo. Ma l’opzione di fallire non era nemmeno contemplata. E poi le venne un ultimo dubbio e si arrischiò a scrivere un altro messaggio.

 

Se sono foto digitali, come faccio a sapere che non ne avrai altre copie e non le pubblicherai?

 

Se fai la brava non avrete problemi né tu né tua figlia.

 

Una promessa molto credibile. E poi quando sentiva quelle tre parole, fai la brava, le montava un’incazzatura inarrestabile, fin da quando era bimba.

 

Ma gliel’avrebbe o giel’avrebbero pagata, con gli interessi.

 

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Un lieve tremore al braccio. Si rese conto dopo qualche istante che non era il suo.

 

Girò di scatto la testa verso Valentina, incastrata tra lei e Penelope sul taxi che li stava portando all’aeroporto e che aveva per sicurezza fatto prenotare a quelli dell’hotel. Calogiuri stava accanto al guidatore.

 

Valentina aveva uno sguardo che le aveva visto poche volte nella vita: quando l’avevano ritrovata alla fermata del bus e quando avevano cominciato con le minacce di morte sotto casa sua e di Pietro.


Sollevò la mano, per abbracciarla, ma si scontrò con quella di Penelope, che evidentemente aveva avuto la stessa idea.

 

Si scambiarono uno sguardo d’intesa e la ragazza ritrasse la sua, lasciandole la precedenza, anche se Imma non era affatto sicura che fosse l’idea migliore.

 

Almeno fino a quando Valentina non le si buttò quasi tra le braccia, stringendola forte.

 

“Non devi avere paura. Ce la caveremo come sempre, vedrai.”

 

“Ma tu ci sei abituata, mà, io no… e… voglio vedere se quelle foto fossero le tue, se staresti così tranquilla!”

 

E che le poteva dire? Che lei rischiava uscissero foto di gran lunga peggiori, visto che lei e Calogiuri non si erano limitati a fare il bagno nel loro momento naturista, anzi, tutt’altro?

 

“Prima di tutto non è detto che escano, Valentì. Farò di tutto perché non succeda, e poi-”

 

“E poi non è solo quello. Se sta gente sta a Roma… che devo fare? Stare chiusa in casa in quell’appartamento da sola?”

 

Imma sospirò, perché effettivamente il rischio a Roma era forte e non sapeva quanto ci sarebbe voluto per individuare i colpevoli.

 

“Se… se ti senti più tranquilla puoi stare da noi per un po’: il divano letto non è troppo scomodo.”

 

Alzò lo sguardo, incredula, ed incrociò gli occhi rassicuranti di Calogiuri, almeno fino a che la vista non se le appannò: un giorno lo avrebbero fatto santo, come minimo! Martire, per essere precisi.

 

Sentì Valentina rimanere per un attimo come bloccata, ma poi li squadrò entrambi, sembrando molto colpita, “guarda, ti ringrazio per l’offerta e sei fin troppo gentile, Calogiuri, ma… magari con voi due sarò pure al riparo da certi traumi, ma ne rischio molti altri. E poi non voglio fare la terza incomoda.”

 

Stava per protestare che era sempre sua figlia e a casa sua sarebbe sempre stata la benvenuta, quando Penelope intervenne con un, “Vale potrebbe venire a stare da me, finché non ricominciano gli esami o le lezioni. Il mio condominio ha il portiere ventiquattr’ore su ventiquattro e sto in una zona tranquilla. Mio padre su queste cose è fin troppo apprensivo. E la mia coinquilina di sicuro fino a fine settembre non rientra, che sta al mare dai suoi in Calabria.”

 

“Sì, ma pure a Milano ci stanno i giornalisti, fin troppi! E poi voi due da sole, se qualcuno provasse ad aggredirvi… non so se è una buona idea.”

 

“Ma potremmo uscire il meno possibile, farci consegnare la spesa ed il mangiare. Sempre se Valentina ha voglia di venirci, ovviamente.”

 

“Ma che scherzi, Penelope? Certo che ne avrei voglia! Mamma, posso? Se sono con lei starò più tranquilla. E poi non ho mai visto Milano.”

 

“E manco stavolta la dovresti vedere! Che se mi vai in giro nei luoghi della movida, tanto vale che te ne stai a Roma ed esci con un cartello luminoso in testa con scritto fotografatemi!”

 

“Ma no, mà, saremo prudenti, veramente. E poi dopo queste vacanze un po’ di giorni a divano e serie televisive non mi dispiacerebbero per niente.”

 

Imma cercò di nuovo lo sguardo di Calogiuri che annuì leggermente. Non era forse la situazione ideale da un punto di vista della sicurezza ma, o metteva sua figlia sotto scorta, cosa impossibile, o la costringeva ad abitare con loro, o doveva accettare il rischio. E con Penelope sicuramente le conseguenze psicologiche per sua figlia di doversene stare rintanata in casa, e di quello che sarebbe potuto seguire ad un’eventuale pubblicazione, sarebbero state minori che per conto suo o con loro due.

 

E poi Valentina era maggiorenne ormai e non aveva bisogno del suo permesso in ogni caso.


“Siate prudenti, mi raccomando!” intimò ad entrambe e si ritrovò avvolta in un altro abbraccio.

 

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“Sono qui!”

 

Mariani, bella come il sole, con quel sorriso luminoso da principessa Disney e l’aria da ragazzina, li salutò non appena uscirono con i bagagli.

 

Notò l’occhiata sorpresa di Penelope e pure di Valentina, che probabilmente non si aspettavano che il maresciallo Mariani fosse così.

 

“Venite,” si affrettò a dire, avviandosi verso una delle porte.

 

Vista la fretta, Imma si chiese se Mariani sapesse già tutto.

 

Ed ebbe la sua risposta pochi minuti dopo, quando arrivarono ad una specie di mini bus, di quelli da navetta coi vetri oscurati e, salendo, si trovò Mancini in borghese, seduto nell’ultima fila di posti.

 

“Dottore…” sussurrò, rimanendo turbata da qualcosa di indefinito nello sguardo di lui.

 

“Salite in fretta e partiamo,” ordinò lui, asciutto, mentre Penelope sembrava ancora più stranita.


Valentina no: probabilmente lo aveva riconosciuto.

 

Calogiuri, invece, rimase in silenzio, sedendosi accanto a lei e fissando un punto davanti a loro. Non servivano parole per capire il suo stato d’animo.

 

“Sto raccogliendo i fondi necessari, dottoressa. E preparando l’operazione. Ci deve comunicare appena possibile il luogo dell’appuntamento e poi ci pensiamo noi,” proclamò Mancini, deciso, non appena il veicolo ebbe iniziato a muoversi.

 

“Noi chi, dottore?” chiese, voltandosi verso di lui e trattenendo a stento un’occhiataccia.

 

“Ho chiesto aiuto a De Luca, oltre che a Brian e-”

 

“E l’ultima volta che ci sono stati di mezzo i ROS, con tutto il rispetto per De Luca che è bravissimo, sappiamo com’è finita, dottore!”

 

“Ho coinvolto solo lui e Brian, dottoressa. E Mariani e Conti, di cui mi pare lei si fidi. Ce la faremo, vedrà.”

 

“Lo spero, ma vorrei capire come si svolgerà quest’operazione, dottore, visto che c’è di mezzo mia figlia oltretutto.”

 

Mancini le rivolse un’occhiataccia, ma poi si voltò verso Valentina e Penelope ed il suo sguardo parve addolcirsi, “non vi preoccupate: vedrete che riusciremo a prenderlo o a prenderli. Però dovete essere prudenti d’ora in poi e stare al riparo il più possibile finché questa storia non sarà finita.”

 

“Ma come fa a finire? Mia madre resta un magistrato! E poi cos’è? Vuole farci la predica su cosa abbiamo fatto in vacanza e che non è stata una buona idea e-”

 

“La predica, come la chiami tu, Valentina, giusto?” chiese, interrompendola, ma in un modo paziente, specie considerando il tono di Valentina che era tornato quello da schiaffi dell’adolescenza, “l’ho già fatta a tua madre. Lo so che siete giovani e… sapeste che ho combinato io alla vostra età! Ma per qualche tempo purtroppo dovete fare anche voi un sacrificio e stare più attente del solito, finché non riusciamo a prendere queste persone. Qua non si tratta soltanto di fotografi, ma penso ci sia dietro un’associazione a delinquere vera e propria.”

 

Valentina si ammutolì, colpita, e pure Imma lo era, le toccava ammetterlo. Sia dalle parole di lui, sia dal modo in cui le aveva pronunciate. Sarebbe stato un buon padre, Mancini, se avesse avuto una vita meno sfortunata. E poi una parte di lei si chiese come doveva essere stato in gioventù. Di sicuro il tipo da fare stragi di cuori.

 

“Va… va bene,” sospirò Valentina, scambiandosi un’altra occhiata d’intesa con Penelope.

 

“Dove vi lasciamo, ragazze?” chiese Mariani, mentre superava con abbastanza facilità il traffico ridotto della capitale ad agosto.

 

Ed Imma comprese che Mancini voleva probabilmente discutere dei dettagli dell’operazione ma senza che ci fossero loro due presenti.

 

Valentina e Penelope si lanciarono un’altra specie di segnale e poi Valentina rispose, “alla stazione Termini.”

 

“Come a Termini?!” intervenne Mancini, sbigottito.

 

“Dottore, vede, le ragazze vogliono stare a Milano, a casa di Penelope. Mi hanno garantito che usciranno il meno possibile e… e forse è meno peggio lì che qui.”

 

Il procuratore capo sembrò rifletterci un attimo e poi annuì.

 

“Se state in casa va bene. Ma comunque chiederò ad un paio di uomini di fiducia che ho a Milano di rimanere di sorveglianza, almeno fino alla fine dell’operazione. Se mi dai l’indirizzo, Penelope.”

 

Il tono di Mancini era gentile, ma di fatto era un mezzo ordine.

 

Valentina e Penelope spalancarono gli occhi, sembrando sull’orlo di protestare ma le precedette, “sentite… forse… forse è più prudente. Almeno, in caso di problemi, c’è qualcuno che può intervenire subito. E così potete stare più tranquille anche quelle volte in cui dovrete uscire. Sarà solo per qualche giorno, no, dottore?”

 

“Spero di sì. Questa cosa o in un modo o nell’altro dovrebbe chiudersi in un paio di settimane al massimo.”

 

Sapeva che cosa intendesse dire: o riuscivano a prenderli o le foto sarebbero comunque uscite in un tempo non lunghissimo. Dopodichè la sorveglianza sarebbe stata in ogni caso inutile.

 

Sua figlia guardò l’amica e poi, quasi all’unisono, annuirono entrambe.

 

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“Finalmente!”

 

Mollò la valigia e lo zaino in camera e si liberò subito dalle scarpe, i piedi che si lamentavano dopo due giorni di quasi non stop, salvo quattro ore scarse di sonno.

 

Udì un tonfo e vide che pure Calogiuri aveva depositato i suoi di bagagli.

 

Ma c’era qualcosa in quel rumore, o forse nel modo in cui lui teneva le spalle ed evitava il suo sguardo, che le fece venire un campanello d’allarme.

 

“Calogiuri?” chiese, ma non ottenne risposta, ed il campanello suonò ancora di più, “che c’è?”

 

“Ma no, niente, non ti preoccupare, che… che ne hai già abbastanza di pensieri,” rispose, facendo per avviarsi verso il bagno, ma Imma gli si parò davanti e lo bloccò.

 

“Calogiuri, se non mi dici entro due secondi che cos’hai, altro che preoccupazione o averne abbastanza!” esclamò, mettendogli una mano sul petto. E poi le venne un’intuizione, “ma… è per Mancini?”

 

E, dall’ombra che passò sull’azzurro, capì di averci preso in pieno.

 

“Non… non mi piace il suo atteggiamento, Imma: per carità, lo so che è capace e che… e che ha tanti mezzi e tante conoscenze, ma-” si bloccò, scuotendo il capo, prima di aggiungere, con un tono amaro, “forse… forse la verità è che… che vorrei poter fare io di più per te e per Valentina e invece-”

 

“Ma sei matto?! Hai fatto tantissimo, Calogiuri! Se non ci fossi stato tu non so come avrei fatto… sarei andata in panico. E pure in commissariato, te la sei cavata benissimo!”

 

“Ma non abbastanza da… da non aver bisogno del salvataggio di Mancini. Lo so che non sono e non sarò mai al suo livello e-”

 

“E questa è una grandissima cavolata, Calogiuri! E se lo ripeti mi incazzo! Nemmeno io ho i contatti che ha Mancini, Calogiù, o la sua esperienza, ma… ma la persona di cui mi fido di più di tutti sei tu. Solo che in questa situazione… dobbiamo per forza avere l’aiuto di qualcuno che sia meno coinvolto, visto quanto ci tengono d’occhio.”


“Scusami, tu sei preoccupata per Valentina e-”

 

“Se ti scusi di nuovo ti faccio dormire sul divano, Calogiuri!” intimò, abbracciandoselo forte forte. Poi però si staccò, realizzando improvvisamente una cosa, “devo… devo avvertire Pietro, prima che le foto possano uscire sui giornali.”

 

A giudicare dallo sguardo di lui, sapeva benissimo come lei che difficilmente sarebbe andata bene.

 

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“Che cosa?! Lo sapevo che non dovevo far venire Valentina appresso a te, Imma!”

 

“Veramente tu non volevi farla andare in interrail, Pietro!”

 

“E ci mancava solo quello, visto tutto quello che ha combinato. Dove sta mo, che le voglio parlare?”

 

“Dovrebbe… dovrebbe quasi essere a Milano. Le ragazze sono andate a stare a casa di Penelope, finché la situazione non si sgonfia un poco e-”

 

“E magari parlarmene prima di farla andare ancora in giro da sola con quella Penelope? L’ho sempre detto che è una pessima influenza su Valentina e avevo ragione: non avrebbe mai fatto cose del genere se non ci fosse stata pure lei appresso!”

 

“Pietro, ma che non conosci più tua figlia? Mi sembra che sia sempre stata… abbastanza vivace, per non dire altro, e poi è una ragazzata e-”

 

“Una ragazzata?! Io non mi sono mai buttato nudo in mare a Metaponto e-”

 

“Ma in una cabina sì. O mi ricordo male?” sbottò, perché non ne poteva più.

 

Ci fu un attimo di pausa, tanto che pensò pure che Pietro avesse buttato giù il telefono.

 

“Soltanto per cercare di mantenere vivo il nostro rapporto, come lo scemo che ero, che sentivo che ti stavi allontanando da me, Imma. E poi non ti riconosco più: una volta avresti messo su un caso di stato anche solo per il bagno a mezzanotte e mo invece… la giustifichi in tutti i modi. Anche se so che Valentì è una vittima e che andrebbe protetta, come tu però non mi pare stia facendo.”

 

“E dove dovevo dirle di stare, Pietro? Qua a due passi da casa mia e dalla procura? O a Matera che c’ha più comari e occhi che Sassi?”

 

“Non lo so. Ma una volta ti saresti consultata con me, Imma. Valentina resta mia figlia e mi pare che te ne sia scordata!”

 

“E tu mi pare che ti sei scordato che è maggiorenne, Pietro. E, se vuole andarsene a Milano a spese sue e di Penelope, non posso impedirglielo. E poi sarà sorvegliata da alcune persone di fiducia.”

 

“Va beh… tanto con te è inutile stare a discutere, lo so. La chiamerò più tardi per sentire come sta. C’era altro che dovevi dirmi?” le chiese, con un tono strano, tanto che per un secondo si chiese se fosse veggente e sapesse delle possibili foto sue e di Calogiuri.

 

Ma non voleva tirare troppo la corda.

 

“No, Piè, non c’è altro. Ti faccio sapere appena ho notizie.”

 

E mise giù, sentendo di essersi levata di dosso un peso.

 

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Ho i soldi. Dove e quando?

 

L’ansia salì non appena il messaggio fu inviato. Erano passati tre giorni ed aveva fatto varie visite in banca, per rendere credibile il fatto che stesse prelevando. In realtà i soldi li aveva appena finiti di raccogliere Mancini ed era ora di fare scattare il piano.

 

Sotto questa panchina al Pincio. Tra un’ora.

 

Vide una panchina di pietra, accanto ad un busto.

 

Due, devo prima trovare la panchina.

 

Un’ora e mezza. Non fare scherzi e vieni da sola o le foto escono tutte.

 

“Senti Mancini e io sento MarianI?”

 

Sorrise a Calogiuri, vedendolo così pronto all’azione, pure tra le mura domestiche.

 

“Lo sai che ci devo andare da sola al Pincio, vero? Almeno in apparenza.”

 

“Lo so…” sospirò lui, mentre la preoccupazione di entrambi sobbolliva, come un sugo pronto ad esplodere loro in faccia non appena avessero osato sollevare il coperchio.

 

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“Ci siamo… ha lasciato il sacchetto. Dottoressa, cammini con calma fino all’uscita del parco e torni verso casa. Da qui ci pensiamo noi.”

 

Vide Imma ravviarsi i capelli dietro le orecchie, il segnale convenuto per fare loro capire che l’auricolare invisibile ancora funzionava. E continuò a camminare, come se niente fosse.

 

L’investigazione non era fatta solo di azione, intuizioni geniali e adrenalina.

 

Era fatta anche di attese: lunghe, lunghissime attese. Soprattutto con i tempi italiani.

 

Ma quegli attimi trascorsi a guardare lo schermo gli parvero infiniti, per tutta una serie di ragioni alle quali non poteva e non doveva pensare.

 

Perché, sotto alla rabbia per come aveva gestito malissimo tutta quella situazione e per la presa in giro, a quella donna che procedeva sui ciottoli a passo marziale, su quei tacchi vertiginosi ai quali pure in quella circostanza non aveva rinunciato, lui teneva ancora maledettamente.

 

Si era fidata di lui per uscire da quella situazione e non voleva deluderla, anche se lei per primo l’aveva deluso come poche altre persone al mondo. Ma, soprattutto, non voleva che fosse in pericolo, né lei né la figlia.

 

La dottoressa, anzi, Imma, come pensava a lei in privato, era già sparita dalla ripresa quando, dopo alcuni minuti, un senzatetto, un po’ claudicante, entrò nell’inquadratura.

 

Inizialmente non ci fece troppo caso: purtroppo i parchi erano pieni di persone sfortunate che non avevano un tetto sopra la testa.

 

Ma, quando si avvicinò alla panchina in questione, temette che tutto sarebbe andato in fumo.

 

L’uomo si sedette sulla panchina ed udì una voce femminile che gli chiese, “che facciamo ora?”

 

Era Mariani che, con un cane addestrato al guinzaglio, stava passeggiando nel parco.

 

Stava ancora scervellandosi per trovare un modo di fare allontanare il senzatetto di lì, che non destasse sospetti, quando l’uomo si rialzò, ma in mano teneva il sacchetto che la dottoressa aveva depositato.

 

“Che facciamo?” ripeté e Mancini ebbe pochi secondi per rifletterci su.

 

Magari il senzatetto aveva solo colto un’occasione al volo. Ma, in entrambi i casi, doveva farlo seguire per capire, anche perché poteva essere in pericolo.

 

“Alpha, seguilo a piedi. Beta, tieniti pronto con l’auto. Chi rimani in posizione, continuando a passeggiare.”

 

Vide dalle telecamere che Alpha, cioè Brian, che stava nei pressi del parco in completo da runner, si era avviato come da lui richiesto. De Luca gli fece un cenno di ok da sopra al volante.

 

La tensione che saliva, fissò l’area di schermo che rimandava il feed della telecamera di Brian che, seppure a distanza, seguiva l’uomo che zoppicava oltre l’uscita, dirigendosi verso Piazza del Popolo.

 

Con una lentezza esasperante, l’uomo percorse alcune stradine laterali alla piazza, fino ad arrivare vicino alla fermata della metro Flaminio. E, in un lampo, gettò il sacchetto dentro a un cestino dei rifiuti ed iniziò ad allontanarsi.

 

“Qui Alpha. Ordini?”

 

Erano ad un bivio: potevano fermare il senzatetto o attendere lì per vedere cosa sarebbe successo.

 

“Alpha, resta in posizione. Delta, convergi e seguilo. Sta procedendo su Via di Villa Ruffo, verso il parco.”

 

“Ricevuto!” rispose Conti, avviandosi dalla sua posizione.

 

Mentre era ancora intento a fissare il vecchietto, improvvisamente sentì la voce di Brian sibilare, “l’ha preso!”

 

Spostò lo sguardo verso il cestino e vide un uomo che pareva uscito da Gomorra con il sacchetto nero in mano.

 

Alto, muscoloso, con su una maglietta attillatissima, una catena al collo e gli occhiali da sole a specchio, oltre all’abbronzatura e alla pettinatura da tamarro, si stava già avviando verso Via Flaminia.

 

“Seguilo, Alpha,” ordinò, anche se era l’unica cosa logica da fare, ed infatti Brian aveva già fatto qualche passo.

 

Il ragazzo sembrava molto cauto, guardandosi spesso alle spalle e facendo un mezzo giro dell’oca. Per fortuna Brian negli inseguimenti era più che capace e, dopo un po’, finalmente l’erede di Savastano si fermò di fronte ad un’auto decisamente anonima. Forse rubata.

 

Lo vide aprirla ed a quel punto seppe che non c’era altro tempo da perdere.

 

“Beta e Gamma, convergete ai lati di Via Flaminia, seguitelo col GPS, mi raccomando state a distanza!”

 

Per fortuna il rilevatore di posizione nascosto tra le banconote non era stato individuato, almeno per il momento.

 

De Luca e… e il maresciallo fecero segno di ok dai loro veicoli e si spostarono dai due angoli del parco nei quali erano rimasti parcheggiati in attesa.

 

All’inizio era stato contrario a fare partecipare Calogiuri alla missione ma, a parte De Luca, al volante era il migliore. Ed avevano bisogno di tutti gli uomini di cui si potevano fidare.

 

Almeno per quanto riguardava il lavoro ed il non essere a rischio fuga di notizie, perché per il resto… lui del maresciallo si fidava molto poco, anzi.

 

Ma non era quello il momento di pensare alle vicende private.

 

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“Qui Beta, tutto regolare. Gamma, come va?”


“Qui Gamma. Sono in zona Farnesina, procedo in parallelo alla vettura.”

 

Sentiva il battito rimbombargli nel petto, l’adrenalina a mille. Per fortuna era agosto e a quell’ora non c’era tanto traffico, ma gli inseguimenti in auto erano sempre un’incognita.

 

Soprattutto visto quello che era capitato l’ultima volta.

 

E poi… e poi stavolta in collegamento non c’era Imma, che se ne era dovuta tornare a casa per non destare sospetti. Ma forse era meglio così.

 

Stava sfrecciando verso nord, cercando di mantenersi sempre vicino alla vettura che, seppur con qualche cambio di direzione improvviso, probabilmente per depistare eventuali inseguitori, continuava a seguire a grandi linee Via Flaminia.

 

Qualche istante dopo il puntino sul GPS rallentò e si fermò. Mise la freccia e si accostò nel primo posto disponibile, anche se in doppia fila, attendendo di vedere cosa sarebbe successo.

 

“Beta, Gamma, mi ricevete? Si è fermato. Attendete un attimo prima di procedere, che potrebbe essere un altro trucco.”

 

La voce di Mancini, come al solito decisa, da uomo abituato a dare ordini e a prendere decisioni per gli altri, un po’ lo infastidì, come gli capitava sempre di più negli ultimi mesi.

 

Ma non poteva fare altro che sperare che il suo piano funzionasse, per il bene di Imma e di Valentina.

 

“Si muove, si muove ma molto lentamente… che succede?” chiese De Luca, ed in effetti il puntolino procedeva a passo d’uomo.

 

“Magari è sceso dalla macchina ma dobbiamo esserne certi. Gamma, procedi in auto verso quella via e verifica. Beta, se fosse a piedi, preparati a lasciare la vettura e seguirlo.”

 

“Agli ordini!” rispose, inserendo la prima ed avviandosi quanto più rapidamente consentissero le altre vetture, essendo in borghese.

 

Infine riuscì a raggiungere il puntino e lo vide, inconfondibile visto com’era conciato, che continuava a camminare sul marciapiede come se nulla fosse.

 

“Lo vedo, è a piedi.”

 

“Beta, seguilo. Gamma, rimani in zona in auto, ma fuori dal campo visivo.”

 

Sapeva che l’inseguimento a piedi era meglio che non lo facesse lui, sapeva che avrebbero potuto riconoscerlo, ma gli pesava dover rimanere così defilato.

 

Non poteva fare altro che aspettare.

 

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“Qui Beta, è entrato in un condominio. Istruzioni?”

 

“Aspettiamo. Sorveglia che non esca. Chi e Delta, raggiungete Beta in modo da darvi il cambio. Abbiamo un po’ di immagini del sospettato e faremo qualche ricerca. Beta, dammi l’indirizzo preciso.”

 

“Qui Chi. Con il primo sospettato come facciamo?”

 

“Non conviene interrogarlo ora. Gli scatti una foto e cerchi di procurarsi le impronte. Magari offrendogli qualcosa. Così se serve lo rintracciamo. Di solito le persone che vivono in strada restano principalmente in una zona sola.”

 

“Ai comandi. Passo e chiudo.”

 

“Qui Beta. Sei sicuro di non voler procedere?” si inserì De Luca, osando fare la domanda che probabilmente si stavano ponendo tutti.

 

“Qui Alpha. Se c’è da fare irruzione posso raggiungervi.”

 

“No, meglio attendere e verificare che il ricattatore sia davvero lui. C’è qualcosa che non mi convince.”

 

Sapeva di starsi prendendo un’enorme responsabilità. Ma quel ragazzotto non gli sembrava il tipo da gestire un giro di ricatti internazionali e, se fosse stato a Maiorca, Imma lo avrebbe notato sicuramente.

 

Aveva più l’aria da manovalanza. Sperava solo di non sbagliarsi ma, se avessero agito troppo presto, rischiavano di non cavarne niente, perché i tipi come quello non parlavano. Li conosceva troppo bene.

 

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“Ti piace?”

 

“Buonissimo! Altro che il sushi da all you can eat che mangiavo a Roma. A Milano vi trattate bene!”

 

“Eh… diciamo che ormai il sushi è molto più diffuso della cucina milanese,” rise Penelope, afferrando con le bacchette l’ultimo pezzo di uramaki che le era rimasto nella confezione di plastica.

 

Valentina annuì, bevendo un altro sorso di vino, pure quello eccezionale. Aveva intuito che il padre di Penelope fosse abbastanza abbiente, ma aveva mandato loro la cena a domicilio, non badando a spese. Sua madre al massimo le avrebbe inviato un trancio di pizza ed una bibita in lattina.

 

Non potè evitare di chiedersi dove sarebbe stata Penelope in quel momento, se non fosse stato per lei. Probabilmente con chissà quale giro di amicizia figo a fare serata in qualche locale alternativo. Ed invece erano lì chiuse in quell’appartamento ormai da quattro giorni.

 

“Che c’è, Vale? Qualcosa che non va?”

 

Sollevò lo sguardo dagli ultimi due nigiri rimasti ed i loro occhi si incrociarono. Per qualche motivo, le venne un lieve brivido lungo la schiena.

 

“No… è che… mi dispiace di averti trascinata in tutto questo casino. Soprattutto se… se quelle foto alla fine dovessero uscire,” ammise, anche se una parte di lei si rifiutava anche solo di considerare quell’ipotesi. Ma la realtà non cambiava.

 

“Vale, guarda che per me non è un grosso problema se pubblicano quelle foto. Essere inseguita e spiata ovviamente mi fa incazzare, ma…  hanno fatto un mio nudo in accademia, poi col lavoro che voglio fare sai che me ne frega. A me spiace per te che… che lo so che avrai più problemi, tra la famiglia, Matera e l’università.”

 

“Che fine ha fatto?” chiese prima di potersi trattenere.

 

“Che cosa?”

 

“Il nudo che hai fatto.”

 

“Ce l’ho ritirato in un cassetto, credo, perché?”

 

“No, per capire se stava in qualche mostra.”

 

“Come no! I miei compagni d’accademia ne devono fare di strada prima di essere esposti, Vale. E anche io.”

 

“Lo… lo potrei vedere? Se non ti imbarazza?” le uscì di nuovo, forse era il vino a darle coraggio.

 

“Veramente mi hai vista nuda dal vivo, quindi perché dovrebbe imbarazzarmi? Ma-”


“No, è che… mi è sempre piaciuto quel genere di ritratti, quindi ero curiosa.”

 

“Va bene, vedo se lo trovo,” rispose, alzandosi dal divano ed avviandosi verso la camera da letto.

 

Il cuore che sembrava un tamburo, Valentina attese col fiato sospeso, fino a che Penelope tornò con un foglio arrotolato, sciolse il nastro che lo legava e glielo porse.

 

Penelope era stata ritratta di fronte, seduta, abbracciandosi le ginocchia che le coprivano il petto. Era una posa raffinata, pareva uscita da qualche dipinto antico, non fosse stato per la chioma ed i piercing.

 

“Sei… bellissima…”

 

Si rese conto di che cosa aveva detto solo quando ormai lo aveva già fatto e Penelope, stranamente, divenne di un colore quasi ciliegia, lei che era sempre così tranquilla.

 

“Sì… va beh… devi vedere certe modelle che abbiamo in accademia! Loro sì che sono bellissime.”

 

Ed a quella frase un qualcosa le si rimestò nello stomaco, come un fastidio. E non era il sushi.

 

“Vorrei… vorrei averlo anche io un ritratto così,” disse infine, per rompere il silenzio.

 

“Sì. Con tutti i casini che hai, Vale, ti ci manca solo il ritratto nuda e poi tua madre vedi che ti fa!”

 

“Ma non da… da esporre in giro. Da tenere per me.”

 

“Se… se vuoi te lo posso fare io. Ma… ma ci vorrà un bel po’ di tempo e di pazienza a posare.”

 

Le palpitazioni che ormai non si contavano, le mani sudate, Valentina annuì, con un, “tanto il tempo non ci manca, no?”

 

“No, infatti….” rispose Penelope, con un sorriso, “aspetta che vado a prendere la carta da disegno e il carboncino.”

 

Prima che le mancasse il coraggio, Valentina si levò i vestiti, rimanendo in intimo. Ma, quando Penelope tornò con l’attrezzatura, improvvisamente si sentì molto più intimidita che in spiaggia. Forse perché almeno là erano al buio, mentre lì con quei led c’era fin troppa luce.

 

“Ti… ti dispiace se… se resto così?”

 

“No, però… dovresti abbassare le spalline. Poi tanto il resto nel ritratto sarà più o meno coperto e vado per intuizione. Prova a metterti in posa così,” le disse, sedendosi e mostrandole come doveva posizionarsi: seduta con le braccia incrociate intorno al seno, le gambe semipiegate lateralmente in modo da coprire il resto.

 

“Per… per quanto devo resistere in questa posizione?”

 

“Tranquilla che facciamo delle pause, possiamo pure fare in più giorni se ti stanchi. Tanto, appunto, chissà per quanto tempo ci tocca stare qua.”

 

Penelope si piazzò sul tavolino di fronte al divano ed iniziò a scarabocchiare qualcosa sul foglio.

 

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“Com’è… com’è andata?”

 

Calogiuri, sulla porta, per poco non fece un salto, “Imma! Prima o poi mi farai davvero prendere un colpo!”

 

“E dai, Calogiù! Lo sai che… tutte queste ore a non sapere niente. Che è successo?”

 

“Abbiamo due sospettati. Principalmente uno, che pare un mezzo mafioso come atteggiamento e che si è portato i soldi in un condominio. Mancini lo sta facendo sorvegliare e… e sta facendo ricerche su di lui. Ma mi ha detto che era meglio che io rientrassi che… che il mio volto è troppo noto e rischio di farmi riconoscere.”

 

Coglieva perfettamente la frustrazione di Calogiuri, anche se da un lato era più tranquilla così, per quanto si fidasse delle capacità di lui. Ma non voleva un altro agguato come quello nel quale quasi ci aveva lasciato la pelle.

 

Allungò una mano per dargli una carezza, ma lui le disse, “aspetta!” ed estrasse una lettera dalla tasca interna della giacca leggera, porgendogliela.


“Era nella buca giù all’ingresso.”

 

Imma per un attimo si spaventò, temendo che potesse essere un altro messaggio ricattatorio. Poi, girandola, vide come mittente l’indirizzo del tribunale di Matera.

 

Con mano un po’ tremante, si avviò verso la cucina, cercando una forbice, ed infine fu Calogiuri a passargliela.


“Vuoi che la apra io?”

 

“No, tranquillo, Calogiuri.”

 

Riuscì a strappare solo di poco la carta e ad estrarne un foglio piegato in tre.

 

Udienza di Divorzio

 

Quelle parole emersero dal foglio chiare e nitide, sovrastando tutte le altre.

 

E poi vide la data: mancavano soltanto due settimane.

 

L’efficienza della cancelleria del tribunale e la solerzia dei giudici erano come sempre encomiabili. Dopo averla fatta aspettare esattamente un anno dalla separazione, oltretutto, pure se era stata consensuale.

 

Ma ora… con tutto quello che stava capitando… poteva andarsene a Matera proprio in quel momento?

 

Guardò Calogiuri che evidentemente aveva capito benissimo di cosa si trattasse e forse pure di più, a giudicare dal modo in cui abbassò lo sguardo e si allontanò verso il bagno, senza dire una parola.

 

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“A… a che punto sei?”

 

“Sei scomoda, Vale?”

 

Non sapeva esattamente che dire, perché la scomodità non era quella che si immaginava Penelope. Sentiva come una tensione crescente nell’aria, ogni volta che Penelope la guardava e poi riprendeva a disegnare, sempre più forte, ed un senso di agitazione mai sentito prima.

 

Si chiedeva se fosse lo stesso anche per Penelope o se non provasse niente, visto che sembrava tutto sommato tranquilla.

 

“Comunque ho finito la bozza iniziale, da qua devo lavorare sui dettagli.”

 

“Posso?” le chiese, rimettendosi seduta normalmente sul divano e sporgendosi verso di lei per spiare oltre al blocco di fogli.

 

E fu un altro colpo al cuore.


“Ma… ma è bellissimo. Io… io non sono così bella!” disse, ammirando con stupore la forma del corpo e del viso che c’erano tratteggiate sul foglio.

 

“Mi stai dando dell’incapace, Vale? Guarda che io i ritratti li faccio realistici! Tu sei bella,” esclamò, decisa, ma poi si bloccò per un attimo, come se trattenesse il fiato o le parole.

 

Solo in quel momento, sollevando gli occhi, Valentina si rese conto che il viso e, soprattutto, la bocca di Penelope erano a pochi centimetri. Il respiro di lei le solleticava la guancia.

 

E, prima di capire del tutto cosa stesse succedendo, si trovò con dei capelli tra le dita, il busto che, quasi da solo, si estendeva ancora di più, fino ad avere quelle labbra morbide sulle sue.



Nota dell’autrice: Ed eccoci qua, alla fine di questo trentanovesimo capitolo che mi rendo conto essere leggermente più corto del mio solito. Ma se non mi fossi interrotta qui sarebbe venuto infinito, per gli argomenti da trattare.

Nel prossimo capitolo, il quarantesimo, cifra tonda, ci saranno Milano, Roma e Matera, alcune cose che arrivano a conclusione ed altre che iniziano. La situazione molto particolare in cui sono i personaggi potrebbe creare delle tensioni tra Imma e Calogiuri ma… tra un salto temporale e l’altro… chissà come se la caveranno, mentre alcuni soggetti che tramano nell’ombra si delineeranno sempre di più.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto nonostante la connotazione più gialla e vi ringrazio di cuore per avermi seguita fin qui ormai per quasi quaranta capitoli.

Come sempre le vostre recensioni sono una motivazione immensa per me, oltre ad aiutarmi a tarare meglio la storia, e quindi vi ringrazio se vorrete farmi sapere che ne pensate.

Un grazie a chi ha messo la mia storia tra le preferite o le seguite.

Il prossimo capitolo arriverà domenica prossima, 26 luglio.

Grazie ancora!

 
   
 
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