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Autore: Deruchette    20/07/2020    1 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 10

In the still of the night

 

 

 

 

 

 

10.

 

Verrebbe da pensare che due giovani fidanzati, due giovani innamorati in procinto di sposarsi, siano felici di prendere parte a tutto quello che concerne l’organizzazione di un matrimonio, soprattutto se si tratta del proprio matrimonio. Verrebbe da pensare che due giovani innamorati, due giovani futuri sposi, non vedano l’ora di scegliere i dettagli più frivoli ed insignificanti che possano rendere il loro grande giorno davvero indimenticabile. La mente di una giovane, futura sposa dovrebbe essere totalmente concentrata sull’abito che desidera indossare per le sue nozze. Abito lungo o corto? Con o senza velo? Gonna ampia o stretta? Pizzo o raso?
Quella che ho appena descritto, però, non è il genere di situazione che vogliamo vivere io e Peeta. Nessuno di noi due vuole un matrimonio in grande stile a Capitol City, come ci ha proposto il presidente Snow. Nessuno di noi due vuole sposarsi perché obbligato dalle circostanze. Nessuno di noi due è abbastanza grande da sposarsi. Siamo decisamente troppo giovani per sposarci, punto. Peeta ha compiuto diciassette anni il 16 gennaio1, io li compirò l’8 maggio.
Come possono permettere a due diciassettenni di sposarsi?
Abbiamo protestato una volta giunti a casa: abbiamo entrambi provato a spiegare ad Haymitch che il nostro matrimonio non avrebbe risolto un bel niente, ormai, visto il modo in cui si sono conclusi i nostri tentativi di controllare le proteste nei Distretti.
- Ormai è fatta, non potete rimangiarvi la parola. Sposatevi e basta: prima è, meglio è – è stata la sua saggia risposta.

Prima è, meglio è. Alla fine dell’anno al massimo, io e Peeta saremo già sposati. Forse addirittura entro la fine dell’estate… ma escludo fortemente questa ipotesi. L’estate è da sempre riservata agli Hunger Games e non credo che, di punto in bianco, decidano di farli passare in secondo piano solo perché ci sono due ragazzini che si devono sposare. Non possono, semplicemente perché non possono farci dimenticare la ricorrenza che questi giochi si trascinano dietro, e che ricade proprio quest’anno.
È la settantacinquesima edizione. È l’Edizione della Memoria, la terza.
Ogni quarto di secolo, Capitol City organizza un’edizione speciale per ricordare e commemorare i Giorni Bui, le rivolte dei Distretti e la vittoria che il governo ha avuto su di essi. Ogni venticinque anni, gli Hunger Games si tingono di nuovi orrori, come se le edizioni classiche che si organizzano ogni anno siano una passeggiata al confronto.
Di nuovo, la paura si impadronisce del mio corpo; sono più che mai consapevole del fatto che non ho mai smesso di provare paura da quasi un anno a questa parte, da quando il nome di Prim è uscito alla mietitura ed io mi sono offerta volontaria per salvarla da morte certa.
Ho avuto paura per lei, ho avuto paura per gli Hunger Games. Ho avuto paura di non sopravvivere. Ho temuto il ritorno a casa, la nuova vita nel Distretto, il logorarsi della mia amicizia con Gale e l’evolversi della mia relazione con Peeta. Ho temuto il Tour della Vittoria, ho temuto le minacce del presidente… è una lista infinita, ed ogni giorno ci sono sempre nuove paure da annotare. Adesso, temo l’avvicinarsi dell’Edizione della Memoria. Temo il mio debutto come mentore. Temo il mio matrimonio.
Temo, ancora una volta, di non poter sopravvivere.
Scappare: questa è stata una delle prime scappatoie a venirmi in mente. Fuggire nei boschi, darsi alla macchia, cercare di sopravvivere al di fuori della recinzione. Questo è stato anche il consiglio che Gale mi diede la mattina della mietitura, ma all’epoca la esclusi completamente. Portare mia madre e Prim nei boschi? La madre di Gale, Hazelle, ed i suoi tre figli più piccoli? Come avremmo fatto a restare vivi? All’epoca non sapevo che di lì a poche ore la mia vita sarebbe cambiata per sempre… non sapevo che avrei firmato con le mie stesse mani la mia condanna a morte.
Adesso, però, sembra l’unica cosa plausibile da fare. Io e Gale sappiamo cacciare, Peeta se la cava e può solo che migliorare. Convincere gli altri sarà difficile: la mia famiglia, quella di Gale, Haymitch. La famiglia di Peeta… sta diventando un gruppo molto numeroso e, di certo, non passerebbe inosservato, contando che tre di essi sono vincitori degli Hunger Games.
A nessuno sfuggirebbe mai un gruppo di vincitori in fuga.
- Dovremo scappare – ho detto una volta a Peeta. Stavamo andando verso la piazza per una passeggiata, noi due da soli e basta. Dopo interi giorni trascorsi tra la gente, il silenzio quasi totale del Distretto era tutto sommato piacevole.
Alle mie parole si è fermato di colpo, e visto che ci stavamo tenendo per mano, ha fatto fermare anche me. – Perché dici così?
- Lo sai il motivo – ho risposto; non mi sono azzardata a dire altro, anche se ci trovavamo per strada. Dal ritorno a casa, ho cominciato a temere che le mie parole, ma anche quelle degli altri, venissero controllate. Non mi sono più sentita al sicuro, nemmeno dentro il rifugio sicuro di casa mia.
- Per andare dove? Nel bosco? – ha aggiunto Peeta; e poi, alla mia muta risposta: - Sai che non è più una buona idea andare nei boschi.
Sì, lo sapevo bene. Ma i boschi rappresentavano ancora il luogo incontaminato in cui poter trascorrere qualche ora senza pensieri, senza avere costantemente la mente ottenebrata dalla paura e dall’ombra della Morte che sembrava non volerci più abbandonare, ostinata com’era.

 

La prima domenica dopo la festa del raccolto, finalmente, incontro Gale proprio nel bosco. Lui ha già ucciso un tacchino quando mi imbatto nella sua persona. Mi ha sicuramente sentita arrivare, ma mi ignora. Conosco fin troppo bene il motivo per cui lo fa: è a causa del mio fidanzamento. Non se lo aspettava lui come non me lo aspettavo io. Almeno, ed è una magra consolazione a pensarci, stamattina non ho con me l’anello: ho paura di perderlo, quindi ogni volta che vengo qui, o faccio qualcosa che prevede l’uso delle mani, lo tolgo e lo lascio sulla mia toeletta in camera, al sicuro.
Gale continua ad ignorarmi mentre comincia a spostarsi nel folto della vegetazione, ma io lo seguo lo stesso. Comincio a fargli un resoconto del Tour partendo dalla visita che ho ricevuto a casa da parte del presidente Snow: gli racconto delle minacce, dei rivoltosi, degli episodi a cui ho assistito personalmente. I suoi passi ad un tratto si arrestano, il suo corpo si volta nella mia direzione, mi sta ad ascoltare. Gli spiego che il fidanzamento faceva parte di un piano per fermare il tutto, ma che non è servito allo scopo. E che, purtroppo, non si può annullare. Tutto quello che accadrà da qui in avanti sarà percorribile solamente su una strada senza ritorno.
La sua voce rompe il silenzio che si è creato dopo essere arrivata alla fine del mio racconto. - Sta succedendo, alla fine – mormora. Sembra speranzoso, e questo non mi piace.
- Dobbiamo andarcene prima che possa succedere l’irreparabile – gli dico. – Dobbiamo fuggire come mi hai detto mesi fa, ricordi? Nei boschi, prima che ci uccidano tutti quanti.
- Ucciderci? Katniss, non ti uccideranno mai. Hanno un matrimonio da organizzarti… non ucciderebbero mai la loro sposa preferita – la sua voce è carica di risentimento, si sta facendo beffe di me.
Gli di un pugno sulla spalla. – Dico sul serio, ce ne dobbiamo andare! A causa mia, il presidente si vendicherà su tutte le persone che amo. Se mi fossi limitata a uccidermi con quelle bacche, non sarebbe successo niente del genere. Peeta avrebbe potuto tornare a casa e vivere la sua vita, e…
- E invece stai per sposarlo. Non mi sembra che ci perda molto.
Trattengo un urlo per la frustrazione. Batto i piedi sul suolo gelato. – Perché non vuoi capire? Dobbiamo andare via da qui! Gale, se scoppia una rivoluzione moriremo tutti quanti!
- Ma è proprio per questo che dobbiamo restare! Non capisci, Catnip? Tu non hai fatto nulla di sbagliato, anzi. Hai dato a questa gente un’occasione, una speranza. E adesso stanno sfruttando questa speranza per provare ad uscire dall’oppressione! Se ne è già parlato, nelle miniere. C’è chi vuole combattere.
- Non sai quello che dici.
- Perché, tu invece sì?
- Io so solo che ce ne dobbiamo andare! – urlo, di nuovo. – Prima che muoia un sacco di gente! Prima che le nostre famiglie…
- E le altre famiglie, Katniss? Quelle che non possono scappare? Non capisci?
- No, sei tu quello che non vuole capire! – sto quasi per mettermi a piangere per la rabbia, ormai. Appoggio le spalle contro un albero, esausta. Inizio a sentire freddo e mi stringo le braccia contro il petto nel tentativo di provare un minimo di calore, ma invano.
Sta cominciando a nevicare. Gale mi osserva con una strana espressione impressa sul viso, un tipo di espressione che non gli avevo mai visto addosso prima d’oggi. È come se provasse disgusto nei miei confronti. – E dire che potresti fare così tanto – dice, poi se ne va.
- Gale – provo a chiamare il suo nome, ma tutto quello che riesco a fare è emettere uno strano respiro. Sconsolata, scivolo contro il tronco dell’albero e mi accascio al suolo. Batto la testa sulla corteccia, e mi abbandono alle lacrime.
Non sono riuscita nemmeno a convincere Gale. Che altro posso fare?

 

Sta facendo buio quando riprendo la strada di casa. Sono così intirizzita che fatico a camminare. Ho saltato il pranzo, quindi oltre ad essere mezza morta di freddo, sto anche morendo di fame. Muovendomi lentamente, spero di arrivare a casa oltre l’ora prevista per la cena. Sono così demoralizzata che non ho voglia di parlare di alcunché con nessuno. Non posso parlare del litigio tra me e Gale con la mia famiglia, e non voglio farlo con Peeta. Spero che si trovi già a casa della sua famiglia per la cena… so già cosa direbbe se mi vedesse in questo stato. E non ho bisogno di una ramanzina al momento.
Quando sono vicina alla piazza, una strana sensazione si impadronisce di me. Sento dei rumori, delle voci concitate, dei sospiri. C’è anche un gran via vai di persone che se la danno a gambe, spaventati, ed altre che si dirigono verso la direzione opposta. Non c’è mai tutta questa gente in giro la domenica sera, d’inverno, soprattutto con questo freddo che ti penetra nelle ossa dopo pochi minuti all’aria aperta.
Che sta succedendo?
Ignorando i miei piani iniziali, vado verso la piazza. Devo farmi largo tra la calca di persone che si è riunita ad assistere a qualcosa – perché sta effettivamente accadendo qualcosa – prima che alcune di queste mi riconoscano e comincino a bisbigliare, a sospingermi, a dirmi di andare via. Oppongo resistenza, non le ascolto, faccio ancora una volta di testa mia. Non seguo nessun consiglio e, a forza, raggiungo la parte sgombra della piazza.
Smetto di respirare quando vedo cosa sta accadendo davanti ai miei occhi.
È Gale, ed è legato per i polsi ad un palo di legno. La sua schiena, o quella che dovrebbe essere la sua schiena, è un ammasso di sangue e pelle a brandelli. Credo che sia svenuto, perché non si muove e non emette un fiato quando la frusta di un Pacificatore lo colpisce di nuovo sulla pelle martoriata. Il tacchino che ha preso stamattina nel bosco è inchiodato al palo sopra la sua testa.
- NO! – urlo.
Quello che accade negli istanti successivi me lo ricordo a malapena. Devo essere corsa verso il corpo del mio migliore amico, devo essermi fermata in modo da proteggerlo col mio, di corpo. Ma non ricordo come io sia finita a terra, distesa, con un dolore accecante interamente concentrato sul lato sinistro del viso. Non ricordo il colpo, o i colpi, che devono avermi fatto perdere conoscenza, anche se solo per pochissimi, brevi istanti. Registro solo il dolore, ed il terreno freddo sotto la mia schiena.
La prima persona che riesco a vedere, in maniera molto confusa, è Haymitch che parla al Pacificatore. Lui non riesco a riconoscerlo, invece: non fa parte della squadra che è incaricata di pattugliare il Distretto 12. Ha la faccia cattiva, orribile, sporca del sangue di Gale. Sposta lo sguardo tra me, che riesco a mettermi seduta con non poca fatica, e l’uomo che ha davanti.
- La prossima settimana deve fare un servizio fotografico di abiti da sposa. Cosa dovrei raccontare al suo stilista? – esclama Haymitch, indicando me. Poi capisco che sta indicando il mio viso. Fa un male cane, ed ho paura di sollevare la mano per toccarlo. Non ho bisogno di farlo, però, per capire che è già gonfio, pulsante, e che è a causa del gonfiore che vedo poco dall’occhio sinistro.
- Ha interrotto la punizione di un criminale reo confesso – dice il Pacificatore. Persino la sua voce è orribile da ascoltare.
- È suo cugino! E poi non mi interessa!
- Gale… - mormoro. Cerco di avvicinarmi a lui, cerco di chiamarlo, ma non si muove. Non mi sente. Se non ci fossero le corde che ha legate ai polsi a sorreggerlo, sarebbe già con la faccia sepolta nella neve. – Gale…
Delle mani mi prendono per le braccia, mi fanno rialzare. Colgo di sfuggita le voci adirate di Haymitch e del Pacificatore che si inveiscono contro mentre Peeta, che mi ha raggiunta da non so dove, rimane senza parole davanti al mio viso. – Che ti ha fatto? – dice in un soffio.
- Non quello che ha fatto a me. Guarda Gale – dico, sconsolata. Sto piangendo di nuovo, e la prima lacrima che inizia a scorrere sulla guancia lesa mi fa vedere le stelle per il dolore.
Il resto della squadra dei Pacificatori si è avvicinato ad Haymitch e all’uomo e si sono inseriti nella discussione; credo che abbiano convinto Thread – il loro nuovo capo, che sembra abbia preso il posto del vecchio Cray - che ha somministrato a Gale il numero di frustate necessarie per un primo reato. L’uomo non è per nulla convinto di ciò che gli dicono i suoi sottoposti, ma dà comunque ad Haymitch l’ordine di portare via Gale. Con uno scatto, pulisce la frusta dal sangue e minaccia alla folla di disperdersi.
Aiuto Peeta a liberare Gale dalle corde mentre qualcuno riesce a recuperare un asse di legno su cui farlo stendere. A portarlo ci sono solo Haymitch, Peeta, Bristel e Thom, due uomini che fanno parte della sua squadra di lavoro in miniera; tutti quelli che si erano riuniti nella piazza a vedere la sua fustigazione si sono completamente volatilizzati per la paura. Leevy, una ragazza del Giacimento, va a chiamare Hazelle su mia richiesta; le dico che lo stiamo portando a casa da mia madre per curarlo.
Afferro una manciata di neve da terra e la premo sul viso, cercando di placare il dolore sordo che mi investe ad ondate. Con l’occhio così chiuso fatico a vedere bene, ma le voci di chi mi precede, in qualche modo, mi mostrano la strada da seguire per raggiungere casa mia.
Sono l’ultima a entrare nella cucina, che si trasforma in infermeria ogni volta che vi compare un malato. Solo che stavolta il malato lo conosco troppo bene per poterlo ignorare come faccio di solito. Non posso scappare via adesso che c’è Gale al posto di tutti gli altri che lo hanno preceduto. Resto sulla porta ad osservare mia madre che impartisce ordini a Prim, che prepara acqua e bende sterili e recupera tutto il necessario. Mi avvicino tremando, osservando la carne sanguinolenta che solamente poche ore fa era una schiena forte e muscolosa.
Mia madre mi osserva l’occhio, mi ordina di metterci sopra della neve per evitare che si gonfi ulteriormente, ma non riesco a muovermi. I miei occhi sono fissi sulla schiena di Gale, incapaci di staccarsi da quell’orrore. È Peeta quello che mi fa spostare su una sedia lì accanto e mi preme con estrema delicatezza un sacchetto gelato sul viso.
- Va un po' meglio? – mi chiede, preoccupato.
- Se la caverà? – chiedo a mia volta. – Puoi aiutarlo? – aggiungo, rivolta a mia madre.

- Non preoccuparti – dice Haymitch. – C’erano un sacco di fustigazioni una volta, prima di Cray. E i condannati li portavamo da lei. Ha guarito di peggio, te lo garantisco.
Mi viene difficile pensare ad un periodo come quello che mi sta descrivendo Haymitch, così come non riesco ad immaginare qualcosa di peggio di quello che sto vedendo ora. Eppure, ho già visto di peggio.
Resto a guardare mia madre che lava via il sangue dalle ferite di Gale in silenzio. Resto a guardare Hazelle che entra di corsa e si avvicina al figlio privo di sensi, prendendogli la mano. Resto a guardare il mio amico che pian piano riprende conoscenza e inizia ad agitarsi per il dolore insopportabile che sta provando. Ma non resto a guardare la sua sofferenza: imploro mia madre di dargli qualcosa per il dolore, qualcosa di più forte delle solite erbe o dello sciroppo per dormire. Urlo quando le mie richieste non vengono accolte, urlo talmente forte che devono trascinarmi fuori dalla cucina.
Peeta ed Haymitch mi sollevano di peso e mi portano in camera, mi fanno sdraiare sul letto e mi immobilizzano sul materasso. Continuo ad urlare, ad agitarmi, ignorando il peso che mi schiaccia contro le coperte e il dolore alla guancia. Alla fine, però, mi arrendo al pianto; mi blocco, singhiozzando, e allora mi lasciano andare. Rimane Peeta al mio fianco, che cerca di tranquillizzarmi con le sue parole e con le sue mani, che mi accarezza i capelli nel tentativo di placare le mie lacrime.
Tutto quello che poteva andare storto, in questa giornata, è accaduto. Ho cercato di convincere Gale a scappare invece di prendere parte alla rivolta, e adesso è di sotto con la schiena a pezzi. Ho cercato di fare del bene, e invece quello che ho ottenuto è stato altro dolore. Dolore, solo dolore: sono buona solo a questo.
Prim è rimasta con Gale e Hazelle quando mia madre sale da me per dare un’occhiata più attenta alla frustata che ho preso sulla faccia. Niente tagli, per fortuna: c’è solo il dolore, ed il gonfiore. L’unica cosa che può fare è rimediare a quest’ultimo con impacchi freddi. Peeta si assume il compito di sorvegliarmi affinché questo accada, ed è talmente risoluto nelle sue intenzioni che la mamma lo lascia fare. Tiene il sacchetto pieno di neve contro la mia guancia.
Seduta contro la testiera del letto, lo lascio fare. L’occhio sinistro si è chiuso completamente, e sono sicura che entro domani mattina avrà assunto una bella sfumatura viola. Ma il destro è aperto e attento, e lo scruta nel semibuio della stanza. Abbiamo lasciato accesa solo la lampada del comodino; sia Haymitch che la mamma sono scesi al piano di sotto dopo che hanno suonato alla porta, lasciandoci da soli. Non corriamo rischi – c’è la porta aperta! – ma anche volendo, cos’altro potremmo fare? Ho il morale sotto i piedi, la testa che mi scoppia per il troppo piangere ed il dolore al viso, lo stomaco vuoto da stamattina e serrato dalla nausea. Mi è persino passata la fame. Non ho la voglia né la possibilità di fare alcunché, all’infuori che sentire la presenza di Peeta accanto a me.
- Non dovevi andare a cena dalla tua famiglia? – gli chiedo. Lo fa tutte le sere, e adesso per colpa mia non è con loro.
Scuote la testa. – Tu sei più importante adesso – mormora, scostando il sacchetto per osservare il lato ferito del mio viso. – Sei un disastro.
Soffoco una risata, pentendomene subito dopo. – Non farmi ridere – mi lamento, spingendolo piano per la spalla.
- Dico sul serio, la tua faccia è orribile. Ma è il mio disastro – mormora ancora, sfiorando appena la mia guancia con le labbra. È talmente flebile, il bacio, che appena lo percepisco.
- Ho parlato con lui stamattina – odio dover vertere i nostri discorsi su Gale, ma devo metterlo al corrente. – Gli ho spiegato tutto, anche dei miei piani, ma lui non ha voluto saperne. Non… vuole – sussurro.
- Non possiamo farlo, Kat. Non possiamo sparire all’improvviso, è troppo pericoloso. Tutto sta diventando troppo pericoloso. Non solo per noi, ma anche per tutti quelli che conosciamo – sussurra Peeta di rimando. – Possiamo solo aspettare che tutto passi. Dobbiamo aspettare che si calmino le acque, e sperare che avvenga il più pacificamente possibile.
- Ho paura che accadrà il contrario, invece.
- Dobbiamo solo avere fiducia.

Fiducia. Speranza. Quante volte ancora dovrò ascoltare queste parole?
- Se vuoi andare a casa, puoi farlo. Non sarò da sola – è una bugia, in realtà, anche se lo è solo in parte. La verità è che non voglio che vada via: sono la ragazza più egoista del mondo, perché ho paura di affrontare il momento in cui dovrà lasciarmi per tornare a casa sua.
La notte è tornata ad essere di nuovo troppo difficile e spaventosa da affrontare, senza di lui.
- No, rimango. Non ti lascio sola – mi rassicura. Si sistema meglio sul letto, mi accarezza il ginocchio. – Katniss?
Mugugno, ad occhi chiusi, segno che sto ascoltando.
- Non andare più a caccia. – apro l’occhio buono, incrociando i suoi. – Sono in pensiero ogni volta che ci vai e, dopo oggi, non riuscirei a stare tranquillo sapendoti là fuori. Non voglio… che… - si blocca.
Alle volte anche Peeta, che è così bravo con i discorsi ed a convincere le persone, non sa come esprimersi su certe questioni. Non voglio vederti al palo come Gale: ecco cosa non riesce a dirmi. La sola idea lo terrorizza. Non posso fargli questo.
Poggio la mano sulla sua, ancora ferma sul mio ginocchio, e la stringo forte. – Va bene. Non ci andrò più. Te lo prometto.

 

 

 

 

 

_________________________

1Katniss e Peeta hanno la stessa età, ma la Collins ci ha fornito solo la data di nascita di Katniss, l’8 maggio; quindi per Peeta ne ho scelta una a caso: il 16 gennaio. È un po' più grande di lei, ed ha come giorno di nascita un multiplo di 8. Perfetto, no?

 

Eccoci qui, di nuovo di lunedì e con il decimo capitolo. Decimo! Come passa il tempo!
Avrete sicuramente fatto caso ad un paio di cose: nella mia versione Katniss non ha idea dei disordini che si sono svolti nel Distretto 8 e, cosa ancora più importante, ha scelto di non andare più a caccia su consiglio di Peeta. Ergo: niente incontro con Bonnie e Twill che le parlano dell’esistenza del Distretto 13. Non è qualcosa che stravolge lo svolgimento degli eventi futuri: anche nel film non erano presenti, e si è comunque giunti allo scopo, no?
No?
Non fateci caso, sto perdendo tempo come al solito!
Carissimi, vi voglio tanto bene! Vi abbraccio, e vi do appuntamento a lunedì prossimo!

D.

   
 
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