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Autore: mask89    20/07/2020    11 recensioni
Naruto è in esilio auto inflitto, ma un omicidio, legato a delle circostanze misteriose, lo costringe a ritornare a Konoha, dove sarà costretto ad affrontare il suo passato.
Genere: Azione, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Jiraya, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno | Coppie: Minato/Kushina, Naruto/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Chapter VIII
 


L’aula dove si teneva la lezione era al piano inferiore. Corse più velocemente che poteva. Si gettò a rotta di collo giù per le scale, non voleva certo perdere tempo con quei lenti ascensori. Quando giunse al piano aveva il fiatone. Non era da lei. Ogni mattina si alzava alle sei, per andare a fare la sua consueta corsa di un ora al parco cittadino. Ma, tutto quell’allenamento quotidiano sembrava essere sparito all’improvviso. Il miscuglio di emozioni che aveva provato, nel vedere chi fosse immortalato in quella foto, l’avevano mandata in confusione totale, facendole anche dimenticare la tecnica di respirazione da usare durante la corsa. Era arrivata finalmente presso l’aula. Aprì la porta violentemente. Una smorfia di delusione si fece largo sul suo viso. Il vuoto più totale regnava in quel posto. Si guardò intorno disperata. Provò a cogliere il più piccolo indizio che le fosse d’aiuto, per cercare di rintracciare l’uomo al centro dei suoi pensieri. Notò il piccolo gabbiotto; si avvicinò nella speranza di trovarvi qualcuno.  Fu fortunata, seduta comodamente sulla poltrona vi era una vigilante che, con aria alquanto annoiata, sfogliava una rivista di cronaca rosa.
«Ehm, buongiorno.»
«Buongiorno», rispose la donna corpulenta, senza staccare gli occhi dal giornale.
«Per caso ha visto passare di qui un uomo?»
La donna alzò gli occhi dalla rivista e la guardò come se fosse una imbecille, ma quel giorno si sentiva particolarmente ligia al suo lavoro; decise di risponderle.
«Ragazza cara, direi che da qui ne passano centinaia al giorno…», proferì con ovvietà.
Sakura si sentì stupida. Doveva essere molto più dettagliata, specifica.
«Cerco un uomo, della mia stessa età. Biondo, occhi azzurri, dal sorriso disarmante. Dovrebbe aver finito da poco una lezione in quell’aula lì, sulla sinistra», e la indicò.
Vide gli occhi della donna illuminarsi e un sorriso apparire sulle sue labbra.
«Oh, quell’uomo!», disse sardonica e le fece un occhiolino. «Un autentico dio greco. Si, l’ho visto poco fa…»
Sentì un pizzico di rabbia, del tutto irrazionale, farsi largo dentro di lei. Va bene, Naruto era un bel ragazzo e col tempo, doveva ammetterlo, era diventato un uomo molto affascinante; ma, definirlo un dio greco, le sembrava un pochino esagerato, dopotutto era sempre Naruto, no? E poi, tutte quelle donne che sembravano prostrarsi ai suoi piedi, cominciavano ad infastidirla, e non poco. Cercò di mantenere la calma.
«Mi sa dire, per favore, che direzione ha preso? Dove sia andato?»
«Mi ha consegnato le chiavi dell’aula poco fa», proferì con aria trasognante la vigilante. «Che uomo, che sorriso…»
Sakura sentì una vena pulsare all’altezza della tempia destra. Stava perdendo del tempo prezioso e quella donna non le era molto d’aiuto. 
«E non mi sa proprio dire che direzione abbia preso?»
«Ci stavo arrivando», sibilò stizzita la donna. «Dopo avermi consegnato il mazzo, mi ha ringraziato e ha detto che sarebbe tornato nell’ufficio.»
«E mi sa dire dov’è?»
La donna controllò sul pc.
«Al quinto piano del dipartimento d’informatica, situato qui di fronte.»
Il medico ringraziò a malapena l’operatrice e fuggì via. Non si curava degli sguardi che gli studenti le rivolgevano, mentre si muoveva velocemente tra i corridoi della facoltà di medicina. Tutti i suoi pensieri erano concentrati verso la ricerca di quell’unica persona. Tutte le sue energie erano canalizzate in quello sforzo, per farla arrivare al suo ufficio il più presto possibile. Percorse rapidamente, per quanto le sue ballerine glielo permettessero, il viale che separava la sede in cui di solito operava, dalla facoltà d’informatica. Si scontrò con diverse persone durante il tragitto, ma non le aiutò a rialzarsi, mormorando soltanto delle scuse di circostanza; la sua mente era altrove. Ignorò, anche del tutto, i ripetuti richiami, allibiti, della sua professoressa. Non aveva tempo per lei, ora. Le avrebbe presentato le sue scuse più tardi.
Era giunta finalmente davanti all’ingresso. Si sentiva prossima all’infarto. Costrinse le sue gambe a proseguire, nonostante tremassero per lo sforzo. Entrò nella hall. Si guardò intorno alla ricerca di un punto informazioni. Sapeva il piano, certo, ma a prima vista quel posto le sembrava un dedalo. Lo trovò e si avvicinò. Questa volta il guardiano si mostrò più gentile e molto più celere nel dare informazioni. Almeno lui, non era caduto nella trappola del fascino che sembrava emanare Naruto Prese l’ascensore, voleva conservare più energie possibili. Quanto ci impiegava quel dannato aggeggio ad arrivare? Stava rimpiangendo amaramente di non aver preso le scale. Finalmente i battenti si aprirono. Una volta tanto la fortuna sembrava arriderle, era vuoto. Schiacciò, con tutta la forza che aveva, il pulsante che segnava il numero del piano che le interessava. Durante l’ascesa, batté a terra il piede destro nervosamente. Quel mezzo era maledettamente lento, sarebbe arrivata al piano “incriminato”, quando ormai sarebbe stata prossima al pensionamento. Finalmente, lo schermo lcd segnò il quinto piano. Si catapultò fuori. Guardò intorno, per fare mente locale su ciò che il custode le aveva detto. Camminò alla massima velocità possibile; non voleva fare pessime figure anche lì. In quanto, ormai, alla facoltà di medicina la sua reputazione, dopo la corsa a ostacoli, che l’aveva vista protagonista qualche minuto prima, era decisamente compromessa. Per sua fortuna, madre natura l’aveva dotata di un ottimo senso dell’orientamento. Infatti, nonostante quel posto fosse labirintico, aveva raggiunto in poco tempo l’ala che le interessava. Si ritrovò a ringraziare mentalmente l’operatore, che l’aveva messa sulla buona strada. Fece scattare il maniglione della porta antipanico, che consentiva l’accesso agli uffici del corpo docente. Al contrario dei vari passaggi che aveva dovuto affrontare per arrivare li, trafficati da rumorosi studenti, in quel posto regnava la pace più assoluta. Soltanto il ronzio del condizionatore rompeva quella monotonia. Cominciò a percorrere il corridoio, voltando la testa a destra e a manca, cercando di scorgere la porta con la targa che portava il nome che cercava. Non ne ebbe bisogno; era di spalle, indaffarato a sistemare dei documenti sulla scrivania, ma avrebbe potuto riconoscere quella zazzera bionda fra mille. Con un pizzico di nostalgia constatò che, nonostante fossero passati diversi anni, quei capelli erano ancora difficili da domare, ribelli, come il suo proprietario. I battiti del suo cuore, che poco prima si erano regolarizzati, ricominciarono ad aumentare. Si sistemò i capelli al meglio delle sue possibilità e, nervosamente, con le mani stirò la gonna e il maglioncino che indossava, cercando di darsi un aspetto accettabile. Aspetto che, era sicura, esser stato stravolto da quell’esercizio fisico imprevisto. Raccolse tutto il coraggio che aveva a disposizione e si decise a chiamarlo.
«Naruto» pronunciò con delicatezza.

 
La lezione era andata meglio di quanto si augurasse. Fortunatamente, la classe, afferente al corso di medicina, che gli era capitata era tranquilla. Certo, non che si aspettasse degli scapestrati ragazzini, tipo alunni delle superiori. Ma, capiva perfettamente che una materia come la sua, in quel corso di laurea, poteva essere alquanto ostica. Invece, con sua autentica sorpresa, quel gruppo di studenti, sembrava interessato alle sue spiegazioni; soprattutto le ragazze, che intervenivano spesso, facendo, doveva ammetterlo, domande abbastanza pertinenti. Posò la ventiquattr’ore sulla scrivania. Quella borsa non era il massimo della praticità per uno come lui, avrebbe preferito la sua fida tracolla, che lo aveva accompagnato sin dai tempi dell’università. Ma, quella valigetta, era un regalo dei suoi “per il suo nuovo impiego” e non gli sembrava opportuno non utilizzarla. Non riusciva ancora a sentirsi a suo agio in quell’ufficio; non aveva ancora avuto l’occasione per dargli il suo tocco personale, ovvero un po’ di sano disordine. Però, dopotutto, era lì solo da qualche giorno e non aveva molto tempo a disposizione, e poi…non era ancora sicuro di voler rimanere, quindi, perché cercare di rendere sua, una cosa che ancora non era sicuro di volere? Scosse leggermente la testa. Cominciò a trafficare con gli oggetti presenti nella borsa. Dove diavolo si erano cacciate le sue chiavette usb? Sentì un rumore di passi provenire dal corridoio ed un fruscio di abiti, ma non se ne curò; era troppo concentrato nel trovare quei maledetti aggeggi che, avevano la brutta abitudine, di sparire nei momenti meno opportuni.
Sentì pronunciare il suo nome. Un brivido attraversò la sua schiena. Avrebbe riconosciuto quel timbro vocale fra milioni. Cosa diavolo ci faceva lei lì? Avrebbe voluto non voltarsi, il suo cervello gli ordinava di rimanere immobile, fermo, come una statua; ma il suo corpo, accidenti a lui, sembrava non obbedirgli, seguiva una volontà del tutto sua. Quegli istanti, gli sembrarono interminabili. Finalmente la guardò.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta? Come minimo dieci anni. Ma, a quanto pare, l’effetto che lei riusciva ad avere su di lui, in tutto quel lasso di tempo, era rimasto immutato. La sua bocca emise un suono strano, a causa del risucchio d’aria che, involontariamente, aveva fatto, appena l’aveva vista.
Era bellissima. Come sempre. La ragazzina diciannovenne era completamente sparita, per lasciare spazio ad una donna. Un esemplare, a suo dire, perfetto: un corpo magro ma tonico, gambe lunghe e sottili ed il seno, nonostante non fosse così prosperoso, ben si adattava alla sua fisionomia; al contrario, se fosse stato diverso, il tutto non sarebbe risultato armonioso. Ma, tutto passava in secondo piano, rispetto a quegli occhi, di un verde talmente intenso da sembrare innaturale.   
Si era sbagliato, non era bellissima, era sublime. Il tempo, aveva trasformato quell’opera d’arte vivente, in un capolavoro.
«Sakura», balbettò incredulo.
«Naruto» ribatté la donna, mentre lentamente si avvicinava a lui. Poi fulminea, guidata da quell’istinto, gli mollo uno schiaffo sul volto.   
L’uomo, allibito, si toccò la guancia dolorante. Era incapace di articolare una frase che avesse senso.
«Si può sapere dove cazzo sei stato per tutto questo tempo?» urlò.
Il biondo, come ridestatosi da uno stato di trance, si affrettò a chiudere la porta. Non gli sembrava il caso di dare spettacolo, già nei suoi primi giorni di lavoro. Poi si preparò mentalmente ad affrontare quella furia che, un tempo, dalle elementari alle superiori per la precisione, era stata la sua migliore amica e, in cuor suo, anche qualcosa di più. Sicuramente, non sarebbe stato un colloquio facile. Quelle iridi, che tanto lo avevano tormentato la notte durante l’adolescenza, se avessero potuto, lo avrebbero fulminato seduta stante.
Si avvicinò con circospezione; il ceffone che aveva ricevuto qualche secondo prima, pulsava sulla gota ancora dolorosamente. Cercò di temporeggiare un paio di secondi, il tempo necessario per ritrovare la calma interiore che, quel tornado umano, gli aveva letteralmente spazzato via.
«Ciao, Sakura.»
«Ciao Sakura? È tutto quello che hai da dire?» inveì la donna.
«Bhe, dopo tutto questo tempo, direi che salutarci è il minimo…»
Sentiva le mani che le prudevano, ma si trattenne dall’uccidere il malcapitato.
«Brutto idiota, rientri a Konoha, hai un lavoro come professore e non ti viene in mente di cercarmi?»
«E che sono stati giorni intensi…è successo tutto così in fretta…» cercò di giustificarsi.
«A quanto pare, nonostante i dieci anni e passa che sono intercorsi, sei rimasto la solita testa quadra!» E la mano destra saettò velocemente verso il volto del biondo che, questa volta, non si fece cogliere impreparato. La bloccò saldamente. Il gesto sorprese Sakura. Mai, in tutti i loro anni di conoscenza, lui aveva cercato di parare una sua carezza. Quel gesto sembrò spiazzarla, facendola calmare leggermente. Naruto ora la guardava con una intensità, negli occhi, che non gli aveva mai visto prima. Cercò di darsi un contegno, effettivamente, non doveva essere un bello spettacolo.
Era riuscito a tranquillizzarla, quella era la parte facile. Ora cosa le avrebbe dovuto rispondere? Che si era informato sul fatto che lei era lì e che sperava di non incontrarla? Che, volutamente, non aveva provato a cercarla? Temeva che rivedendola certi ricordi sarebbero, inevitabilmente, riaffiorati? Che era bellissima? Nonostante ora fosse un uomo, forgiato da diverse esperienze, appena l’aveva rivista, si era sentito un ragazzino? Che le era mancata? Nulla di tutto questo uscì dalla sua bocca. Le parole si erano perse, chissà in quali meandri della sua testa. La sorpresa era ancora tanta, per fargli riuscire a formulare un pensiero coerente, che non peggiorasse la situazione.
«Mi dispiace…è che mi sono trasferito qui appena qualche giorno fa…è successo tutto all’improvviso…neanche ci speravo più di vincere quel concorso!» Disse, cercando di essere il più convincente possibile.
«Non ti credo!» sentenziò “Il Naruto che conoscevo io, che conosco io, avrebbe trovato un attimo per venirmi a cercare. Avrebbe fatto di tutto per farmi sapere che tornava a casa.» A stento riuscì a trattenere le lacrime. Quella menzogna l’aveva ferita, profondamente. Non riusciva a credere che lui le stesse mentendo. Non lo aveva mai fatto. Tutti cambiano e tutti mentono, ma credeva che, almeno per lui, questa affermazione non valesse.
Il biondo si torturò, fino a far sanguinare, il labbro interno con i denti. Nonostante tutto, non riusciva ad odiarla, a non provare più sentimenti. Si sentì un verme, non riusciva a sopportare di vederla in quello stato; tutto desiderava, fuorché essere la causa del suo dolore. Con la mano destra le accarezzo la guancia, fino a scendere fin sotto al mento. Con estrema delicatezza le sollevò il viso, per permettergli di guardarla negli occhi.
«Sakura devi credermi, quando dico che non ho avuto il tempo di pensarci. Sono stato letteralmente trascinato dagli eventi. È successo talmente tutto in fretta. Ancora faccio fatica a credere di essere qui. La chiamata all’improvviso, il trasferimento, preparare le lezioni… A malapena sono riuscito a vedere i miei genitori.»
«Mi sei mancato, terribilmente.» E lo abbracciò.
Naruto non si aspettava quel gesto, almeno non da lei. Non che in passato non si fossero mai sfiorati o toccati; ma, l’atto più vicino ad un abbraccio che lei avesse fatto nei suoi confronti, era un pugno. Meccanicamente, ricambiò quel gesto. Avvertì il suo corpo sussultare, poi delle lacrime che inumidivano la sua camicia. Non sapeva come comportarsi, non l’aveva mai vista in quello stato, almeno per lui; era nell’imbarazzo e nell’impasse più totale.
Fortunatamente, il bussare alla porta lo tirò fuori da quella situazione. Se da un lato era dispiaciuto nello sciogliere quell’abbraccio, dall’altro era grato a quel disturbatore; gli aveva impedito di fare qualcosa di stupido o di cui si sarebbe pentito. Le diede il tempo necessario per darsi una sistemata, prima di aprire la porta.
«Avanti», pronunciò ad alta voce. Vide una figura entrare. «Ah, Kakashi, sei tu!»
L’uomo di soffermò a guardare la donna presente in quella stanza, con malcelato interesse. Non gli capitava molto spesso. Osservò che gli occhi erano rossi e lucidi. Doveva aver pianto. Spostò la sua attenzione su Naruto, riservandogli un’occhiata incuriosita.
«Kakashi lei è Sakura», e indicò la donna, «Sakura lui è Kakashi.»
«Piacere!» dissero all’unisono.
«Naruto, mi dispiace disturbarti, ma devo parlarti urgentemente.»
«Tolgo il disturbo!» pronunciò prontamente la donna.
La vide avanzare verso l’uscita della stanza. Prima di chiudere la porta, incrociò il suo sguardo. Gli fu sufficiente per capire, che lei non avrebbe demorso. Sarebbe ritornata alla carica, per farsi dare tutte le spiegazioni che riteneva necessarie. L’uscio si chiuse ed uno strano silenzio calò in quel luogo.
«Quindi lei è la famosa Sakura» proferì sardonicamente Kakashi «La descrizione che mi hai fatto, non le rende lontanamente giustizia.»
«Stai zitto», sibilò il biondo.
«Certo, però, fare piangere una donna…»
«Non una parola in più!» soffiò furioso in risposta.
L’agente si limitò a fare un sorriso ironico.
«Sono qui perché Jiraiya ci vuole vedere. Ha delle novità.»
«Va bene. Però, prima di andare…ho un favore da chiederti.»
 


Spazio autore:

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Grazie a chi leggerà e vorrà lasciarmi un commento
.
A presto!
Mask
   
 
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