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Autore: Emmastory    20/07/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
Capitolo VIII 
 
L’aria e il suo silenzio 
 
Da qualche giorno, mancava il vento. Ne erano passati cinque, Sky era ancora a casa con noi, e se ero riuscita ad accorgermene era stato guardando il calendario. Era inverno, di solito lo sentivo accarezzarmi i capelli o le guance e muovere le pagine, ma ormai non sembrava più succedere. In piedi davanti alla finestra, restavo in silenzio ad osservare il panorama appena oltre il vetro, lasciando che il mio sguardo cadesse su cumuli e cumuli di neve prossimi a sciogliersi. Il mattino ci aveva fatto visita da poco, bussando alla nostra porta e poi a tutte quelle del villaggio come un gradito ospite, o come Cosmo sembrava deciso ad imparare. Scivolando nel silenzio, si sedeva di fronte alla porta chiusa, e dopo una passeggiata, la sfiorava con la zampa, ben attento a non rovinarla né sporcarla di fango. Una scena comica e tenera al tempo stesso, che guardavo passare davanti ai miei occhi come in un film. A sei mesi era più grande di altri suoi simili che avevamo visto giocare nell’erba gelata o trotterellare nella neve, ma nonostante tutto ancora non sembrava capire che se Chris ed io eravamo con lui, nessuno gli avrebbe aperto, o almeno non subito. Era allora che tiravo fuori le chiavi di casa, e fra una risata e l’altra, esaudivo il suo desiderio. È presto, purtroppo o per fortuna non ancora il momento per quel rilassante rituale, e senza una parola, aspetto. Oggi sono sfortunata, e a riprova di ciò, il vento non si muoveva. Era ormai ora di colazione, e fermandomi a pensare, conclusi che dovevo aspettarmelo. Pigra come al solito, o forse soltanto pensierosa, mia sorella non si era ancora alzata, e dopo un breve giro dell’intera casa, il mio Arylu tornò da me, drizzando le orecchie e assumendo una goffa posizione di punta, proprio come un vero soldatino.  “Che c’è, l’hai trovata?” gli chiesi, divertita dal suo modo di fare. Una sorta di strano trucchetto che non ricordo di avergli insegnato, e che anzi sembra aver imparato da solo. Forse da Lucy e Lune mentre giocavano insieme a palle di neve, forse dal loro cucciolo Rover che non vedevo da un pò e che ormai doveva essere cresciuto, non lo sapevo, ma ad essere sincera, non importava. L’unica cosa a contare era che fosse divertente, e che mi strappasse un sorriso mentre mi preparavo a sorseggiare il mio caffè. “Credo di sì. Ancora chiusa nella sua nuova stanza, sai?” in quel momento, fu una voce alle mie spalle a parlare, e colta alla sprovvista, trasalii. “Chris! Santo cielo, mi hai quasi spaventata!” esclamai, con il cuore già in tumulto. “Quasi?” replicò lui, con in volto un sorriso beffardo. “Già, quasi.” Risposi soltanto, per nulla incline ai suoi soliti scherzi. Non che mi avesse davvero offesa, ovvio, pensavo solo che a volte il modo che aveva di puntualizzare ogni cosa fosse come superfluo. “Dicevi?” tentai poco dopo, stringendo la presa sulla mia tazza di ceramica già colma di quella deliziosa bevanda scura. Come al solito, lui neanche la toccava, ma lasciandomi fare, parlò. “Nulla. Silenzio radio, come diremmo noi umani. Chiusa nella camera degli ospiti. Non vuole vedere nessuno.” Seppur tranquillo, il suo tono mi colpì come una delle tante palle di neve che avevo visto, creato e soltanto in pochi casi lanciato a mia volta. “No, non di nuovo.” Pensai, sconvolta. Non era possibile. Dopo tutto questo tempo mia sorella ritornava nella mia vita, riusciva a calmarsi, e poi? Stando alle parole del mio amato, questo. Una posizione di stallo, una nave che viene colpita e affonda, abbandonandosi alle profondità prima di raggiungere un faro e poi un porto. Nervosa, mi mordicchiai senza volerlo il labbro inferiore, e prendendo un altro sorso di caffè, sperai di ritrovare la calma ormai persa. Accorgendosene, Cosmo mi strofinò il naso umido contro la gamba, e abbassando lo sguardo, sospirai. Non proferendo parola, lo ignorai, e non riuscendo a tollerare quella quiete tanto lugubre, azzardai una sola domanda. “Credi che uscirà? Ormai è ora di colazione.” Chiesi, completando quella frase con quella forse inutile ovvietà. “Lo so Kia, ma per come si sente finirà per saltarla.” Rispose Christopher, calmo come sempre. “Perché? Come si sente?” non potei evitare di chiedergli, insistendo senza accorgermene. “Sta bene, tranquilla. Solo... è molto silenziosa, ecco.” Si limitò a spiegarmi, il tono sincero mentre prendeva il primo morso di un toast appena pronto. Frugale come pasto, dovevo ammetterlo, ma per sua fortuna insaporito da un misto di burro d’arachidi e marmellata. Simile alla mia strana fissazione per i Fairy O’s, che a volte ancora assaggiavo e che ricordavo di aver mangiato per quasi tutta la mia gravidanza, una delle poche abitudini che non aveva perso neanche dopo la fanciullezza, e che sorprendendomi, mi faceva sorridere. Tiranno e incapace di perdono, il tempo era spesso crudele, e il suo scorrere non si sarebbe certo mai arrestato, ma era bello sapere di poterci provare, tenendo vivi ricordi e rimembranze come quella. Semplice eppure colmo di significato, quel pensiero mi accese un sorriso sul volto e una nuova, piccola speranza nel cuore. Per un attimo quello di Sky mi scivolò fuori dalla mente, e abbassando lo sguardo, lo fissai sulla sua mano libera, che senza esitare, presi delicatamente. “Tutto bene, signorina?” azzardò poco dopo, deglutendo prima di parlare. “Ora sì, grazie, custode.” Replicai, felice e più calma, sentendo la sua stretta farsi più salda attorno alle mie dita già intrecciate alle sue. “Dì, vuoi andare dai piccoli?” propose, sicuro che una distrazione fosse ciò che più mi serviva. Sorridendogli, mi ritrovai ad annuire, e seguendolo, non dissi altro. Il passo lento e felpato di Cosmo ci accompagnò per tutto il corridoio, tradito soltanto dal costante ticchettio delle sue unghie sul pavimento. Camminando, mi voltai a guardarlo, e portandomi un indice alle labbra, lo vidi prima sedersi, poi sdraiarsi in terra. Tornando a comportarsi da vero soldato, strisciò sul pavimento senza il minimo rumore, e non appena le nostre due piccole sfere di luce entrarono nel suo campo visivo, si rialzò, pregando mutamente di essere preso in braccio. “Dolce Dea, ti prego!” sussurrai, esasperata. Grande o piccolo era sempre adorabile, non lo negavo, e capivo le sue buone intenzioni nel di vedere e salutare quelli che credeva suoi fratellini, ma quando avrebbe capito che alla sua età non era poi più così piccolo e leggero? Speravo accadesse presto, ma non appena uggiolò, la realtà finì per farmi alzare gli occhi al cielo. Probabilmente mai, era quella la vera risposta. Con un altro sospiro, mi voltai fino a dargli le spalle, ma lui non demorse, e facendosi più vicino al nostro letto, e così alle lanterne, si alzò su due zampe. “Trova sempre un modo, visto?” commentò Christopher, facendosi quasi sfuggire una piccola risata. “E come si fa a non notarlo?” non tardai a rispondere, ormai abituata alle stramberie di quel cane. Nel farlo, per poco non risi a mia volta, e toccando lievemente le due catenine d’oro, vidi le due lanterne aprirsi. Secondo Amelie reagivano alla mia magia, mentre Aster era pronta a sostenere che percepissero quella e il mio amore per i bambini, e in totale onestà pensavo che entrambe avessero ragione. Certo, una guardava i fatti e la verità nella sua nuda e cruda essenza, l’altra dava al mondo uno sguardo più ingenuo e gioioso, e pensandoci, mi scoprivo simile a lei. In fin dei conti, Aster ed io avevamo quasi la stessa età, e come se non bastasse condividevamo anche lo stesso elemento, e felice a quel solo pensiero, ne rivolsi uno a lei al suo amato Carlos, che come Danny e Leara non vedevo da tempo, ma al quale speravo la vita stesse sorridendo. Respirando a fondo, tornai ad essere me stessa, e avvertendo il mio calore e la mia presenza, il mio piccolo Darius fu il primo a tentare di avvicinarsi, svolazzandomi intorno, o almeno provandoci come era solito fare. Ancora addormentata, Delia tardò ad imitarlo, e sorridendo, Christopher le offrì un palmo su cui posarsi. “Buongiorno, dolce fatina.” Le sussurrò, riservandole ogni volta la solita premura. A pensarci, la stessa che regalava a me nei nostri momenti di quiete e intimità, dando vita a una scena che rischiò di farmi versare calde lacrime di gioia. Sempre in piedi e in equilibrio su due zampe, Cosmo si sporse per osservare ciò che accadeva, e pasticcione come al solito, starnutì. In un solo istante, decine di piccoli fiocchi di neve volteggiarono per la stanza, dissolvendosi in una cascata di luci azzurre come parte del suo pelo non appena si ridusse al silenzio, portandosi una zampa accanto al muso come a voler scacciare quella magia. Del tutto ignari di quello scoppio luminoso, i piccoli non si mossero, e anzi, tornarono al sicuro nelle proprie lanterne solo dopo averci deliziati con una sorta di balletto. A spettacolo finito, battei le mani, e pronta alle solite faccende da mamma, diedi loro qualche goccia di latte per far colazione. Come sempre, il loro pasto non durò molto, e non appena furono sazi, Christopher ed io lasciammo la stanza. Ora avevano appena due settimane, quindici giorni per l’esattezza, ma avendo già cerchiato una data esatta sul calendario, non vedevo l’ora che la raggiungessero, così da compiere due mesi e subire la loro prima trasformazione. Mi toccava aspettare, ed era vero, ma già immaginavo come sarebbe stato bello tenerli davvero fra le mie braccia, stringerli a me e continuare a fare tutto ciò che faceva una mamma. Lenta, attraversai di nuovo il corridoio seguita da Christopher e Cosmo, e ancora una volta, il mio pensiero andò ad Isla. A quanto sembrava, il fato ci stava ignorando, e nonostante lo volessi, non avevo ancora avuto modo di rivederla. Pensosa, mi mordicchiai di nuovo un labbro, e scuotendo brevemente la testa, aiutata anche da Cosmo e da uno dei suoi soliti uggiolii, accompagnato stavolta da uno sbadiglio, mi riscossi. Erano tante le persone che avevo in mente, e poche, ma buone e giuste, quelle che avevo accanto. In breve, il mattino divenne pomeriggio, e quei pensieri svanirono nel vento invernale e nel rumore dei miei passi nella neve in parte sciolta e tuttavia ancora presente, nascosta sotto gli alberi o nei punti più ostici dei vialetti di alcune case, le cui porte erano ancora decorate nonostante il Natale fosse ormai passato. Ad essere sincera non sapevo se questo mese portasse con sé qualche altra festività, ma in cuor mio speravo che fosse così. Era strano a dirsi, forse perfino infantile, ma la mia parte umana sembrava parlarmi ogni volta che scorgevo dettagli del genere, lasciandomi sempre avida di conoscenza e novità. Non avevo la minima idea di cosa avrei scoperto con l’andar del tempo, e con o senza l’aiuto di Christopher, non vedevo l’ora di scoprirlo. Ad ogni modo, contrariamente a ciò che pensavo, la passeggiata del mio amico Arylu fu più breve del previsto, e quando in mezzo al verde gelato dal bianco scorsi una piuma nera, sentii piovere su di me, una per una, piccole e deboli gocce di speranza. Secondo le credenze di noi fate, veder nero era una sorta di maledizione, ma almeno ora, io non ci credevo. Curioso, Cosmo annusò in terra, e sedendosi davanti a me, mi porse qualcosa. Stranita, rigirai quel morbido oggetto fra le dita. Per altri esseri magici diversi da me nero significava sfortuna, dolore e cattivo auspicio, e nonostante una parte di me fosse d’accordo, un’altra dissentiva, riportando alla mia mente una sola parola, o per meglio dire, un nome. Midnight. Il fido merlo di mia sorella, che solcando i cieli ancora candidi come la neve che aveva ormai smesso di cadere, di sicuro la cercava, comunicando forse con lei in un modo che solo lei riusciva davvero a capire, squarciando con ogni battito d’ali l’aria e il suo silenzio.  
 
 
Sera a tutti, lettori miei. Ancora una volta, un capitolo serale con leggero ritardo rispetto al solito, ma di nuovo, come ripeto per chi non ne abbia idea, il motivo della mia assenza non è certo voluto. Qui abbiamo calma e preoccupazione insieme racchiusa in uno splendido quadretto familiare, e mentre aspetto di sapere cosa pensate del capitolo, posso solo sperare che vi sia piaciuto. Il prossimo vedrà la luce solo fra circa dieci giorni, ma intanto grazie ad ognuno di voi e a tutto il vostro supporto, e a presto,
 
Emmastory :)
   
 
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