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Autore: Master Chopper    22/07/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 29: Sine Die, Sine Deo

L’Arma derivata dalla Sefirot Hod era stata capace di trasformarsi in qualcosa al di fuori di qualsiasi aspettativa, sia divina che mortale.

Quando il fumo si fu diradato del tutto, la terra ancora tremava, e nell’aria si percepiva un certo eco, o un ronzio infestante. Venne innanzitutto appurato che gli spettatori stessero bene, e nonostante le tribune inferiori fossero quasi state inghiottite dal terreno, nessuno era rimasto ferito.

Ladies and gentlemen…” St.Peter e Adramelech ancora non riuscivano a realizzare quanto fosse successo, e per tanto la loro voce continuava ad interrompersi: “La barriera posta attorno al campo di battaglia è stata distrutta… m-ma… ne faremo erigere un’altra!”

Nessuno sembrava davvero interessato da questo dettaglio: infatti, lo sguardo collettivo era posato sull’arena, o almeno ciò che ne era rimasto dopo la tremenda esplosione.

I cancellieri allora deglutirono a vuoto per bagnarsi la gola, e ripartirono con la loro classica foga:

“Dunque…! Come si sarà concluso questo settimo scontro?!”

Era questo il quesito più importante. La sopravvivenza della razza umana, così come l’orgoglio delle divinità, dipendevano dalle prossime parole che sarebbero state pronunciate.

 

Charlotte Corday si strinse forte al braccio di Boudicca, che digrignando i denti mormorava: “Forza… forza… Monsieur Fawkes!”

Anche Shakespeare e Lord Cecil aspettavano con sommo timore, assieme, sorprendentemente, alle  stesse guardie in carica che avevano arrestato Guy Fawkes. Per quanto la reputazione che quell’uomo aveva guadagnato al loro tempo fosse stata tremenda, in quei pochi minuti di scontro si era rivelato una persona così coraggiosa e votata alla sopravvivenza della razza umana da aver dato il tutto e per tutto.

Dall’altra parte, due figli tremavano per la preoccupazione, aspettandosi di rivedere il padre sorgere dalle ceneri. Erano Hati e Skǫll, che abbracciati dallo zio Jormungandr, condividevano la sua stessa apprensione struggente.

“Si intravede qualcosa!” Strillarono gli annunciatori, facendo balzare sull’attenti tutti gli spettatori.

 

Per la prima volta dopo diverso tempo, fu possibile individuare una figura nel cratere nero. Giaceva con la schiena poggiata su di una lastra di pietra sollevata a mo’ di lapide, con il corpo pesante, simile ad uno straccio insanguinato che gocciolava stille rosse ed emetteva fumo dalla carne ormai bruciata.

“Papà…” Sussurrarono i figli del Lupo del Ragnarok. Le prime lacrime però iniziarono a sgorgare dagli occhi serpentini di Jormungandr.

Il corpo del Lupo era parzialmente intatto, probabilmente grazie alla sua forma potenziata, tuttavia sembrava solo un guscio svuotato della potente bestia che era stato un tempo. Frammenti del suo corpo si staccavano come foglie in autunno da un albero, sgretolandosi e liberandosi in aria, trascinati da un vento inesistente e che profumava di nulla assoluto.

“Il Nilfhel…” Mormorò Odino, e poi Thor continuò, freddo: “Dove vanno le anime distrutte qui nel Ragnarok…”

Di Guy Fawkes ormai non rimaneva più niente, essendosi dissolto per trasformarsi nella vera lancia che poi aveva trafitto il Lupo, uccidendolo. Un’Arma a doppio taglio, ma che aveva evitato l’ennesima sconfitta totale.

“È…” La voce di Adramelech e St.Peter aveva ripreso a tremare, sconvolti da quel risultato che mai si sarebbero aspettati: “È un pareggio!”

Incerte emozioni aleggiavano nell’aria, complici di una vittoria da entrambi i lati, che tuttavia non pareva affatto tale. Il sapore dolceamaro delle lacrime piante per un martire non potevano colmare la perdita di un padre, di un fratello, o di una figura di riferimento.

Il Grande Padre Odino squadrava il corpo di Fenrir che si dissolveva, e per la prima volta il suo occhio non pareva affatto distaccato: “Hai svolto il tuo lavoro eccellentemente per tutto questo tempo. Almeno non hai perso…”

E fu quella frase che scatenò l’ira del Serpente del Mondo, il quale si avventò su di lui con tutta la sua forza colossale. Ciò che Odino riuscì a vedere fu solo un bagliore nei suoi occhi dalla pupilla acuminata, poi un luccichio di zanne ed artigli.

Il dio del tuono Thor aveva interrotto la carica di Jormungandr, ma non prima che la bestia avesse scavato un solco nelle tribune lungo diversi metri, sbalzando all’aria qualsiasi dio ci fosse sulla sua strada. Il Grande Padre nordico lo poteva così vedere, frenato a pochissima distanza dal suo viso, contorto dal dolore e dalla sofferenza. Non pareva affatto una temibile bestia.

“Lavoro eccellente?! Ma cosa stai dicendo?! È morto, e per lui non c’è niente! Nemmeno… nemmeno l’abbraccio di nostra sorella Hel!!”

“Hel…” Ripeté Thor, noncurante dell’immenso sforzo che stava impiegando nel trattenere Jormungandr.

“Sì! Hel, nostra sorella…”

“Hel.” Disse stavolta con fare più conciso, ed il serpente notò come il suo sguardo fosse rivolto verso l’arena. Anche Odino fece lo stesso, ed il suo singolo occhio si sbarrò improvvisamente.

 

Si trattava di qualcosa  che per tutto quel tempo era passato inosservato, seppur fosse stato sotto gli occhi di chiunque sin dall’inizio dello scontro. Era sopravvissuto ad ogni intemperie, e persino alle due macroscopiche esplosioni incredibilmente distruttive.

Questo era perché, in quel bozzolo di catene che Fenrir aveva portato con sé, era stata impressa la forza di ben tre tipi di catene: l’elastica Lœðingr, la pesante Drómim e l’indistruttibile Gleipnir.

Ed ora che la morte di Fenrir era giunta, e solo allora che le sue forze si dissolvevano nell’etere, i sigilli erano stati sciolti per liberare l’immenso potere che ormai chiunque stava già avvertendo.

Pareva una canzone senza musica né parole, o un’immagine per ciechi. Non si poteva sentire, cogliere, comprendere, ma era lì, e stava facendo vibrare l’aria con un’intensità mai vista prima. Era come se il creato stesse non avesse atteso altro che quel momento, ed ora si stesse inchinando per accoglierlo con uno squillo di trombe fragoroso più che mai.

Il cielo sopra il colosseo si riempì di nuvole nere grandi quanto l’universo, eppure qualcosa nell’oscurità tumultuosa brillava, e si muovevano. Erano tante, tantissime, infinite: stelle cadenti.

Piccole e dalla sembianza di fiocchi di neve, colorarono il buio di un bianco splendente, per poi posarsi sul campo di battaglia dove fin troppo sangue era stato versato.

 

Solamente un mantello copriva la donna che ora levitava a mezz’aria, sopra il proprio riflesso nel sangue: un lato bianco, ed uno nero, così come erano divisi i suoi lunghi capelli che discendevano sul suo viso, mascherato in parte da un largo diadema dorato attorno agli occhi. Una corona di ossa le adornava la testa, facendo però scorrere rivoli di sangue nero sulla maschera, poi lungo le guancie ed infine al centro del petto, dove un vortice scavava la carne.

La dea, rivelatasi nella prima ed ultima notte dall’inizio di quel torneo, era così spaventosa quanto aggraziata e dolce, avvolta da quel manto di polvere luminosa.

“Hel…” La riconobbe Jormungandr, tuttavia non si fermò lì la sua sorpresa, perché di colpo sua sorella parlò.

“Temo sia stato riportato un risultato sbagliato.” La sua voce, così ferma, aveva rimbombato in modo che nessun potesse ignorarla, insinuandosi così fino nel profondo dei cuori di tutti.

Il gelo nell’aria sembrò aumentare, stringendo i cuori dei meno coraggiosi, ma facendo sussultare i più impavidi.

Adramelech e St.Peter sarebbero pure intervenuti, se qualcos’altro non si fosse mosso, nell’arena.

All’inizio parve quasi un’illusione, un inganno, un colpo basso portato dalla stanchezza e dalla troppa tensione. Poi però, quel qualcosa continuò a muoversi: si rialzò da terra, con movimenti lenti, seppur decisi.

Qualcosa era un corpo sanguinante e ferito, ma intatto e vivo: l’occhio integro di Fenrir non splendeva più, segno che fosse stato reso anch’esso cieco, tuttavia brillava di una sinistra luce.

“Lo stavo fiutando lontano un miglio…” Ammise Loki, padre di quei due che oramai avevano rubato la scena. A dimostrazione di quanto aveva detto, il dio degli inganni non aveva pianto una lacrima, né mosso un dito, dalla morte del figlio.

Presunta morte, a quanto sembrava.

“Fenrir è… è…” Balbettò l’annunciatore demoniaco, mentre quello angelico afferrò il microfono ed esclamò: …vivooo?!!”

Com’era possibile tutto ciò? Il mondo intero sembrava danzare sul palmo della mano di Hel: uno spettacolo organizzato da lei stessa per coinvolgere e stravolgere gli spettatori attraverso emozioni inaspettate.

La Dea della Morte sorrise da entrambi i lati del suo viso.

 

“Avrai un dominio, come qualsiasi altra dea. Gli umani ti rispetteranno, ti adoreranno, e potrai far visita a tutti i nove mondi liberamente, se lo vorrai.”

Con quelle parole Odino, il Padre degli Dèi Nordici, l’aveva allontanata da suo padre e dai suoi fratelli, per poi condurla verso l’aldilà. L’oscuro Nilfheim era tra i più antichi mondi mai generati, dove tutti i mordi venivano indirizzati sin dall’alba dei tempi.

In quel mondo sotterraneo, che nessun dio avrebbe mai dovuto vedere, si vedevano solo anime di uomini e donne. Al suo primo arrivo, avanzando tremante di paura, le venne da chiedersi come mai gli uomini dopo la morte non venissero tutti spediti a banchettare nel Valhalla, come quelli visti ad Asgard. Apprese la risposta, a malincuore, semplicemente ascoltando cosa avessero da dire quelle anime lì segregate, costrette a lunghi cammini tra il ghiaccio ed il buio.

Sentì storie di vite miserabili, di uomini inabili che non avevano mai potuto combattere, di assassini giustiziati, di genitori che avevano preferito sfamare i loro figli piuttosto che partire per la guerra, di morti di vecchiaia o di malattia: tutti loro che dannavano la vita trascorsa, ripudiando qualsiasi azione avessero commesso, e che li avesse portati lì.

Il Nilfheim veniva infatti chiamato “Il Regno dei Morti Disonorati”, ovvero dove finivano le anime di chi in vita non era stato un eroe, o degno dell’ammirazione degli dèi.

Quando Hel pensava che il dolore non fosse abbastanza, infine, vide loro: i bambini.

Erano piccole, fragili creature che strillavano e piangevano, condannati a soffrire in eterno senza poter conoscere nemmeno un giorno nella luce solare, essendo morti ancora in fasce.

Ne prese uno, macchiandosi le braccia di sangue. Lei, nata con un volto deforme capace di disgustare persino gli orribili giganti, e che non aveva conosciuto l’amore se non dalla famiglia che l’aveva accettata sin dalla sua nascita. Quel bambino smise di piangere proprio tra le sue braccia, e le lacrime di entrambi si fermarono di colpo.

Faceva un po’ meno freddo, ora, nell’aldilà.

Lo depositò di nuovo sul suolo, dopodiché proseguì per il suo cammino senza guardare più nessun’anima.

Tremò di paura alla sola vista del gigantesco mastino Garmr, il quale faceva la guardia alla grande magione del suo nuovo regno, dove avrebbe abitato: Eljudnir, la Casa della Morte.

“Ma guarda un po’ chi abbiamo qui!” La accolse una voce maschile, e subito dopo una femminile: “Il mostro che Odino ci ha mandato!”

Quelle due figure, agghindate di nero con decorazioni di teschi ed ossa, immediatamente la accerchiarono.

“Certo che per spedirti fin quaggiù, vuol dire proprio che non vuole farti vedere da nessuno!” Rise sguaiatamente Ganglati, un servitore della morte ed addetto a quel regno.

Hel, spaventata dalle loro espressioni maligne, si ritrasse come un piccolo animale in pericolo.

“Lo capisco… guarda un po’ questa cosa che ha in faccia!” Quando Ganglot sfiorò con le sue unghie il lato distorto del volto della figlia di Loki, questa sobbalzò, generando ancor più ilarità tra i due.

“C-Chi siete voi? I-Io sono stata mandata qui dal Grande Padre Odino per dominare questo regno!” Mormorò tremante la piccola, indietreggiando fin quando non si sentì schiacciata con la schiena ad una parete.

A quel punto non poté distogliere lo sguardo dalle due minacciose figure che le si erano avvicinate, sogghignando macabramente.

“Ma sentila! Ancora non ha capito…”

“No, è una stupida povera ingenua! Non ha proprio capito…”

Hel esplose in un grido, disperata: “Capito cosa?!” ma tutto quel fiato le morì presto in gola, lasciando la sua voce sospesa a mezz’aria.

Era stata pugnalata all’unisono da due pugnali, facendo sgorgare sangue nero al di sotto del suo vestito grigio. Il volto, già pallido, divenne smunto e quasi trasparente, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

“Non ha ancora capito…” Risero i due servitori “Che era solo una scusa per toglierti di mezzo!”

Il corpo della bambina ricadde al suolo, o meglio, nella pozzanghera del suo stesso sangue.

“O forse ora l’ha capito!” Le risate di Ganglati e Ganglot riempirono l’aria, rimbombando in quell’oscuro antro. Era l’unica cosa che le orecchie di Hel riuscì a sentire, in punto di morte.

Non percepiva il dolore delle ferite, tantomeno quello della vergogna per esser stata ingannata. Tutto ciò che riusciva a provare era una grande sensazione di vuoto, proprio lì dove era stata pugnalata: le mancava la felicità che, seppur vivendo come un tabù, aveva conosciuto assieme a qualcuno che l’amasse.

-Padre… Jorm… Fenrir… addio.-

 

“E se non dovesse andare così la nostra storia?”

Quella voce era parsa come una luce all’interno dell’enorme, denso e petrolifero buio, dentro la quale Hel stava annegando. Immobile, non poteva che rivolgersi a quella luce.

“Nostra… storia?” Le parole le fuoriuscirono senza pensarci.

“La storia di noi dèi. Così potenti, invincibili, capaci di scuotere il destino dei nostri simili, tanto quanto quello degli umani che ci servono, venerano e temono. Non possiamo di certo permetterci di sparire nel nulla.”

Quando la luce aumentò di intensità, capì che era la sua fonte ad avvicinarsi a lei. Si trattava di una focolare ardente, con fiamme danzanti.

“Il Sole è Fuoco. E quando tramonta il Sole per gli dèi, ha fine anche la loro vita. Di tutti loro, all’unisono. L’estinzione di una singola luce può condurre a tutto questo: un collasso delle energie più potenti di tutto il creato, che per quanto possano radunarsi e farsi forza l’un l’altro, hanno un solo punto debole. Tu sai qual è?”

E mentre la voce parlava, Hel guardò dentro quel fuoco e vide l’intera esistenza di due tipi di creature: il dio e l’uomo.

Dèi che disprezzano e calpestano gli uomini, dèi che riconoscono gli uomini come loro simili, uomini che bestemmiano gli dèi, uomini che temono gli dèi. Dèi che uccidono uomini e uomini che uccidono dèi.

Sembrava una storia di finzione, come i racconti di suo padre, eppure c’era qualcosa di estremamente importante in ciò che riusciva a comprendere. Non si trattava di una finzione, bensì della storia.

La storia del passato, del presente e…

“Il futuro. La grande debolezza degli dèi è che non possono controllare il futuro, e non possono nemmeno prevenire la loro estinzione. Come ogni cosa in natura, esiste un ciclo vitale che inesorabilmente termina con… la morte.”

Attorno ad Hel si formò un abbraccio di fango nero, il quale tuttavia mostrava un sorriso su di un volto femmineo.

“E tu, Hel, vuoi avere il dominio sulla morte? La morte… degli dèi?”

Il Record of Ragnarok, quella fiamma brillante pregna di una verità innegabile, risplendeva più intensamente di un sole che non sarebbe mai tramontato.

 

“Sei stata tu a dare ad Hel questo potere!”

La porta per la più inaccessibile stanza era stata aperta, e così anche Prometheus, il Titano, ottenne la stessa visuale di Gaia, lì sulla sua tribuna speciale.

Madre Terra voltò appena il capo, riconoscendo con la coda nell’occhio quell’insolente titano che aveva ottenuto una vittoria nel quarto round.

“Il Record of Ragnarok, il fuoco della conoscenza!” Proseguì lui: “Hel non sarebbe dovuta diventare una dea, ma ciò nonostante tu… le hai mostrato la possibilità di vendicarsi su tutte le divinità!”

“E così hai portato il Ragnarok… il Tramonto degli Dèi.” Anche il Grande Padre Odino, seguito da suo figlio Thor, fece il suo ingresso.

“Quella profezia che lei non avrebbe dovuto conoscere.” Terminò Zeus, il più potente del pantheon greco.

Gaia rimase in silenzio per qualche secondo, come in riflessione.

“Anche se io avessi messo a conoscenza Hel di questa profezia, permettendo di utilizzare i suoi poteri sopiti contro altri dèi… perché mi state dando la colpa del Ragnarok? Non l’ho certo richiesto io.”

“All’apparenza no!” Esclamarono all’unisono due voci, appartenenti a qualcuno che tutti gli dèi avevano imparato a conoscere durante quel torneo.

Fobetore ed Ammit, con alle spalle Nyx, Erebo e Ptah, dichiararono: “Però conosciamo colui che ha richiesto espressamente questo scontro… ed anche se l’intenzione principale era salvare gli umani dall’estinzione, in realtà lo scopo sembrerebbe essere lo stesso: distruggere gli dèi!”

Infine, tutti gli sguardi delle divinità si puntarono sull’orchestratrice, messa alle strette.

“Tu sei solo una traditrice!”

Gli occhi di Madre Terra osservavano l’arena, ma non palesavano alcuna emozione. Tutto di lei era annegato in un fango denso e scuro, persino ogni sua bontà o paura.

“Hai una bella faccia tosta per rivolgerti così a me…” Solo allora si voltò, infiammando di colpo quegli stessi occhi con un inquietante bagliore. “E anche tutti voi… ne pagherete le conseguenze!”

Ma Prometheus non batté ciglio neppure di fronte ad un’aura di pericolosità così intensa. Al suo fianco, tutte le divinità radunate si strinsero per farsi forza.

Ben dieci divinità, contando una delle dee organizzatrici ed in carica nel Concilio degli Dèi, erano pronte ad affrontare l’ira di Gaia.

Prometheus strinse i pugni: “Sarai tu a pagare, maledetta doppiogiochista!”

“Non osate fare un altro passo!”

Due figure piombarono di fronte al trono di Gaia, frapponendosi tra lei e la schiera di dèi pronti a punirla.

Il primo a farsi avanti fu un uomo dalla stazza colossale, capace di far impallidire persino Prometheus. Indossava un’armatura d’acciaio bardata e decorata da un lungo mantello blu. La sua testa era coperta da un elmo, cinto da una corona d’oro che faceva parte anch’essa dell’armatura.

Nonostante avesse assunto una posa difensiva, da combattimento, non estrasse la sua arma: si limitò piuttosto a poggiare la mano sull’impugnatura della spada, pronto a sguainarla da un momento all’altro.

Il dio del tuono Thor solitamente, di fronte ad un invito di sfida così palese, sarebbe balzato in avanti assieme al suo Mjölnir. Tuttavia, dal momento in cui si era palesato il rischio che quel cavaliere potesse estrarre la sua spada,  una minacciosa pressione lo aveva inchiodato al suolo.

“Quell’arma… non è frutto di una Sefirot, però è comunque capace di uccidere un dio.” Dichiarò, allertando gli altri.

“Riposo, Arthur… non credo che ci sia il bisogno di scontrarsi.” La seconda figura si rivolse al cavaliere con tono rilassato, quasi giocoso.

Si trattava di un giovane avvolto da un mantello di vari colori, quali lilla, azzurro e bianco, con una morbida pelliccia attorno al suo collo. Lì terminavano anche i suoi capelli, lunghi e sottili come filamenti di nuvole.

Nei suoi occhi gioiosi d’ametista erano riflessi tutti e dieci le divinità, i quali al momento lo volevano morto.

“Tu…!” Ruggì Prometheus, riconoscendolo.

“Tu, tu… chi diavolo saresti tu?” Inizialmente preoccupato, Erebo sembrò essere parecchio confuso sul chi si stesse trovando davanti.

Per fortuna sua sorella Nyx gli rispose prontamente: “È l’idiota che ha proposto questo torneo!”

“Ohoh… perdonate questo povero vecchio, però io non ho ancora capito chi sia.” Ridacchiò Zeus, arrossendo per l’imbarazzo.

“Già…” Ptah si accigliò, incrociando le braccia “Dicci sul serio chi saresti! È finito il tempo di fare il dio misterioso!”

Odino la guardò, scettico: “Chi ti dice che sia un dio, e non un demone?”

“Bingo!”

L’inaspettata apparizione di Baal, altro presidente del Concilio degli Dèi, sorprese tutti, senza esclusione. Il signore dei demoni, barcollando con la sua strana andatura ondeggiante, entrò nella stanza per poi appoggiarsi ad una parete, in disparte.

Schioccò la lingua, socchiudendo le palpebre: “Lui è Merlino, figlio di un potente demone che lo generò per distruggere il Concilio degli Dèi.”

Lo shock fu generale, men che per il cavaliere in armatura e Gaia, i quali non si smossero.

“Aaah! Così mi fai arrossire!” Gongolò il semidio, strofinandosi la nuca con un sorriso da ebete in viso.

“Per tutto questo tempo avete fatto finta di essere avversari… quando in realtà avevate lo stesso obbiettivo…” Ruggì Ptah, stringendo i pugni.

Madre Terra a quel punto contorse il volto in un ghigno raccapricciante, simile ad un disegno nel fango: “Nostro obbiettivo? Non si tratta del nostro obbiettivo… si tratta della fine che sicuramente farete voi tutti! È una profezia inevitabile, il vostro destino, ed il Record of Ragnarok non è stato nient’altro che l’ultimatum per tutto questo tempo.”

“Ma voi tutti avevate troppa paura di riconoscerlo.” Proseguì Merlino, anch’egli con un sorriso da serpe: “Per questo motivo avete sempre tenuto in considerazione l’idea di distruggere l’umanità, ovvero coloro che vi avrebbero spodestati, un giorno.”

La tensione era alle stelle, sembrava che l’aria stessa, in un concentrato di potenze così ferocemente in lotta, potesse emanare fuoco e scintille. La vera battaglia finale si sarebbe potuta tenere lì, in quella stanza, in quel preciso momento.

 

“M-Ma che succede, ladies and gentlemen?!” Le urla degli annunciatori però interruppero ogni cosa, portando l’attenzione su di un evento alquanto sorprendente.

In pochi avevano potuto seguire i suoi movimenti.

Quella figura si era mossa così velocemente da apparire come un’immagine sfocata, saettando giù dagli spalti per poi lasciare dietro di sé un grande solco, nell’arena. Quel turbine, quel lampo, quella furia si era poi abbattuta su di Hel.

La dea della morte assaporò una visione chiara e nitida del pugno che le era stato scagliato contro, come se il tempo si fosse fermato: vide quelle dita e quelle nocche indurite e contratte, segnate da cicatrici, così come vide la chioma rossa che sventolava dietro la testa della donna davanti a sé.

E, più dettagliatamente, vide proprio il volto di lei: era contratto dalla sofferenza, trasformata però in rabbia attraverso lacrime che ne scavavano le guance, e denti serrati in un’espressione di violenta ferocia.

“BRUTTA…”

Il pugno di Boudicca centrò Hel in piena faccia, generando un’onda d’urto talmente forte, che per poco non sbalzò gli spettatori fuori dagli spalti.

“…PUTTANA!!”

 
 

Angolo Autore:

Welcome back!

Perdonate il ritardo rispetto al giorno promesso, cercherò in futuro di non creare aspettative che poi non posso mantenere.

Intanto, in questo capitolo è stato svelato tutto il flashback dei figli di Loki, mostrando il punto di vista di Hel. In questo modo, senza più troppe interruzioni di trama, l’ottavo combattimento potrà scorrere liscio come l’olio fino alla sua conclusione, tra tre capitoli.

Il prossimo aggiornamento sarà domenica 26, sperando di concludere questo scontro entro il mese di Luglio.

Alla prossima!

   
 
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