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Autore: Marti Lestrange    24/07/2020    10 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Per chiunque volesse approfondire la mia Hestia Jones,
vi lascio una piccola flash scritta su di lei, Daddy’s Soldier,
potete cliccare sul nome e vi condurrà alla storia; fatemi sapere cosa ne pensate ♥︎

 


 

9.

CAPITOLO NOVE

 

 

Teddy lanciò i fogli di pergamena sul tavolino basso e si passò una mano sul viso, stropicciandosi gli occhi e quell’inizio di barba che si era ripromesso di tagliare via, se solo quella mattina non si fosse alzato presto, nonostante fosse domenica e il corpo caldo di Victoire gli fosse sdraiato accanto. 

Le aveva depositato un bacio sui capelli biondi e aveva scalciato via le coperte. Si era osservato nel piccolo specchio del bagno e aveva un paio di occhiaie viola niente male. Si vedeva che quel caso gli stava portando via anche l’unica cosa che non gli era mai mancata: il sonno. Si era quindi fatto una doccia ed era rimasto per un po’ sotto l’acqua, a pensare e, allo stesso tempo, a cercare di non pensare. 

Da qualche notte a quella parte, sognava Karl Jenkins, seduto sul bordo del suo letto, che allungava le sue mani viola verso di lui e, quando faceva per parlare, dalla bocca gli usciva un fiotto d’acqua mista a fango, che finiva sul volto di Teddy, e lui rischiava di soffocare, prima di risvegliarsi di soprassalto, scosso e preda dei sudori freddi. Non gli era mai capitato di sognare una vittima, nonostante avesse già avuto a che fare con corpi e cadaveri nel corso della sua carriera di Auror, seppur ancora breve se rapportata, per esempio, a quella di Roger. Aveva anche pensato di parlarne al suo collega e di raccontargli cosa lo angustiava, ma non voleva fare la figura del patetico e del ragazzino, e soprattutto non voleva che Roger si sentisse in dovere di fare rapporto ad Hestia tramite verbale riguardo il suo stato psico-fisico. Non voleva essere analizzato.

La sera prima era stato tentato di parlarne con Victoire, ma avevano passato una giornata meravigliosa, in giro per Hogsmeade come quando erano ragazzini, che non avrebbe mai potuto rovinarle così la serata, facendola preoccupare. Quella notte avevano dormito abbracciati, e Teddy non aveva fatto neanche mezzo incubo. Forse Victoire era la cura migliore, ma si rendeva conto che quella sera sarebbe ripartita, visto che il lunedì mattina avrebbe ripreso a lavorare, quindi non avrebbe potuto fare troppo affidamento sulla sua presenza. Aveva pensato di chiedere consiglio alla professoressa Simson su una qualche pozione non troppo aggressiva per aiutarlo a dormire, e quel pensiero lo aveva in parte consolato. 

Poi aveva sentito la porta del bagno aprirsi e, qualche secondo dopo, Victoire si era infilata nella piccola doccia insieme a lui, completamente nuda, e Teddy per qualche tempo aveva pensato ad altro, a tutto tranne che a Jenkins, al suo corpo storpiato dall’acqua, alle pozioni sonnifere e al caso. Victoire lo aveva spinto contro le piastrelle e lo aveva baciato con urgenza, come se non si vedessero da ore e ore e come se non lo baciasse da anni, quando invece avevano fatto l’amore durante la notte, quando lei gli era salita sopra e lo aveva spogliato lentamente. Era scesa a baciargli il petto, mentre l’acqua scorreva addosso ad entrambi, ed era scesa sempre più giù, pericolosa e sicura di sé, fino alla sua ormai evidente erezione, e Teddy si era aggrappato alle sue spalle e aveva conficcato le unghie nella sua pelle e i loro gemiti si erano mischiati finché Victoire non si era alzata e lui l’aveva spinta contro la parete della doccia ed era entrato dentro di lei, baciandola e mordendole le labbra, le gambe di Victoire strette intorno a lui, i corpi resi scivolosi dall’acqua e dal sapone. L’orgasmo li aveva travolti insieme e Teddy aveva depositato a terra il corpo di Victoire con cautela, baciandola nuovamente ma con tenerezza, questa volta, e succhiandole via il sangue che le sue unghie le avevano fatto uscire dalla carne rosea delle spalle magre. 

«Scusa», le aveva sussurrato sul collo. «Ti fa male?»

Lei aveva scosso la testa. «Non potresti mai farmi male, tu.»

Davanti allo specchio, Victoire si era curata da sola e gli aveva sorriso, ma Teddy non era riuscito a non sentirsi in colpa per aver sfogato su di lei le sue preoccupazioni, mischiate al piacere che lei gli stava facendo provare in quel momento.

Ora, seduto sul divano, cercava di dividere le idee che gli vorticavano in testa, confuse e caotiche, mentre Victoire era in cucina a preparare loro la colazione. Roger aveva lasciato un biglietto sul tavolino del piccolo salotto, con scritto che era andato a fare colazione ai Tre Manici di Scopa e che si sarebbero visti più tardi. 

«Dovresti smetterla di studiare il caso, vedo il fumo che ti esce dalla testa fin da qui», gridò Victoire dalla cucina, ridendo. 

«Hai ragione, non dovrei.»

La testa bionda della sua fidanzata sbucò dalla porta e lui alzò gli occhi e le sorrise. 

«È domenica, Teddy.»

«Lo so. Ma sai bene che non esiste domenica, per gli Auror», aggiunse.

Victoire alzò gli occhi al cielo. «Ma esiste la colazione, ed è sacra, quindi vieni a mangiare.»

«Vieni tu qui», rispose lui battendo la mano sul posto vuoto sul divano accanto a lui. 

Victoire sbuffò. «Viziato.»  

Mangiarono pancake con fragole e panna (la specialità di Victoire) e bevvero caffè con tanto zucchero, seduti vicini sul divano, lei accoccolata contro il suo fianco. Sbirciava nei fogli che Teddy leggeva e rileggeva, e lui la lasciava fare. Tante volte, Victoire gli aveva dato una mano con qualche caso, facendogli notare dettagli interessanti e sbrogliando qualche matassa. Aveva una mente brillante e acuta e sapeva guardare oltre l’apparenza. Sapeva che non era professionale, ché lei non avrebbe dovuto saperne nulla, ma gli era sempre piaciuto violare qualche regola, e poi si fidava ciecamente di Victoire, lei non sarebbe andata a parlarne in giro. Anzi, quando spesso la cugina Molly capitava a cena da loro, Victoire era capacissima di dissimulare e di fare la finta tonta, fingendo di non saperne assolutamente nulla, di ciò che Teddy faceva al lavoro, e asserendo che nemmeno le interessava. E tutti ci credevano.

«Posso dire una cosa?» iniziò Victoire masticando un pezzo di pancake. 

«Ah-ah.»

«Quel Jenkins non era molto simpatico, a mio parere.»

Teddy si girò a guardarla e lei inghiottì il boccone che aveva in bocca. «Voglio dire, con questo non dico che si sia meritato di morire in quel modo, e lo sa Godric quanto dev’essere stato orribile, sia per lui, ma anche per voi, ritrovare il suo corpo ridotto… be’, ridotto nello stato in cui sicuramente sarà stato ridotto dopo essere stato a mollo nel Lago Nero per ore…, sia quanto dev’essere dura per i suoi amici, quel Rucey e l’altro… com’è che si chiama?… Pocey, o una cosa così… » Teddy trattenne a stento una risata: non era professionale e non era nemmeno etico, «…però insomma, era davvero un coglione!»

«Vic!» esclamò Teddy, ora scoppiando a ridere, senza riuscire più a trattenersi. Si girò a guardarla e lei gli restituiva lo sguardo, gli occhi sbarrati e innocenti. «Era un ragazzo, ed è morto…»

Victoire agitò una mano. «Lo so, scusa, sono stata inopportuna, ma so che pensi che abbia ragione, solo che non vuoi ammetterlo perché vuoi comportarti in modo professionale.»

«Quello che penso io di Jenkins ha ben poca importanza, sai? La realtà dei fatti è che è morto un ragazzo di sedici anni, e io devo scoprire come.»

«Be’, il come lo sai, no? Ritorno di fiamma. Seppur arcaico, e raro, ormai le bacchette sono talmente ben fatte e calibrate che è difficile succeda, ma comunque Jenkins, oltre che un coglione, era anche evidentemente sfigato, quindi…»

Teddy scosse la testa. Non c’era verso di moderare le opinioni della sua fidanzata, quindi ci rinunciò. Avrebbe cercato di ignorare la parole con la “c” messa in relazione con la vittima del suo caso.

«Sì, il come lo sappiamo, certo, ma il corpo è stato Trasfigurato, e occultato, qui non si tratta più di un banale e assurdo incidente, si tratta di qualcosa di più grosso.»

Ora fu il turno di Victoire di annuire, mentre beveva del caffè. Teddy fece altrettanto e rimasero in silenzio, e intanto lui sfogliava altre pergamene. Non si era ricordato che, lì in mezzo, c’era anche quella ricoperta di appunti, sotto forma di mappa concettuale, dove aveva scarabocchiato i suoi sospetti e le sue teorie, e il nome di Albus Potter era cerchiato numerose volte, e spiccava nel margine superiore del foglio, manco fosse un’insegna luminosa di qualche negozio Babbano. Teddy socchiuse gli occhi, imprecando tra sé e sé, contro Tosca, tutti gli altri fondatori, e persino il vecchio Merlino.

Sentì Victoire irrigidirsi contro il suo fianco. Si girò a guardarla e notò che aveva gli occhi fissi sul foglio. 

«Vic…» iniziò lui.

«Sospetti di Albus.» E non era una domanda, la sua. 

«No, non sospetto di Albus, è solo che…»

Victoire allungò un dito e colpì il foglio proprio nel punto in cui Teddy aveva scribacchiato “sospetti”, e accanto aveva annotato il nome del cugino. Quasi nessuno era in grado di decifrare la sua calligrafia, per la quale veniva preso in giro praticamente da sempre, e per la quale le sue insegnanti si erano dannate, nel tentativo di correggere i suoi compiti, ma Victoire lo conosceva meglio di quanto lui conoscesse se stesso, quindi no, lei non aveva problemi a leggere quello scarabocchio sottile e sgraziato. Poco sotto il nome di Albus, si poteva leggere quello di Scorpius Malfoy e, ancora più sotto, in parentesi quadra, quelli di Rose Weasley, Caitlin Finnigan e Roxanne Weasley, ma ovviamente, il nome di Albus era quello scritto più grande di tutti, ed era cerchiato con enfasi ripetuta, e non dava adito a dubbi.

Teddy posò la pergamena sul tavolino insieme alla sua tazza ormai vuota, sperando così di nasconderle il nome di James Potter, annotato in tutta frutta sul fondo del foglio. Accanto al nome aveva scritto data e ora dell’interrogatorio al quale avrebbe sottoposto il cugino, e non voleva che Victoire vedesse anche quello. Si girò verso di lei, sistemandosi meglio sul divano, in modo da riuscire a guardarla in viso. 

«Non sospetto di Albus, d’accordo?»

Una fitta acuta gli attraversò il petto. Sapeva che stava dicendo una bugia, e si sentiva tremendamente in colpa.

Victoire alzò gli occhi su di lui. Lo guardava, e non sembrava arrabbiata, ma solo triste.

«Purtroppo, tra Albus e Scorpius e Jenkins non scorreva buon sangue, ed era una cosa pubblica, ho chiesto in giro e quasi tutti sapevano che quei tre non si sopportavano, e aggiungici anche Rosier e Pucey e formiamo una pozione dai risultati esplosivi.»

Un lampo di divertimento balenò negli occhi azzurri di lei, forse perché si era resa conto del suo errore con i nomi di Rosier e Pucey fatto poco prima. 

«Insomma, quello che voglio dirti è che questa antipatia mette Albus in una posizione scomoda, sommata al fatto che non sembrava minimamente turbato o dispiaciuto per la morte del suo compagno. Nè lui né Scorpius.»

«Però è il nome di Albus quello che hai cerchiato…»

«Sì, perché mi sembra in una posizione predominante nei confronti di Malfoy, ecco tutto. È un po’ come se Albus fosse la mente e Scorpius il suo braccio destro.»

Victoire non sembrava convinta e, ripensando alle sue parole e cercando di analizzarle dall’esterno, Teddy si rese conto che non dovevano essere suonate come particolarmente convincenti e “autorevoli”, almeno non come le parole di chi sapeva il fatto suo. 

Tolse di mano la tazza a Victoire e la poggiò sul tavolino, accanto alla sua, e poi le prese la mano e la tenne stretta tra le sue, e ne baciò il dorso, e il polso. Lei allungò le dita e gli carezzò una guancia teneramente. Gli sorrise.

«Sei arrabbiata con me?»

Scosse la testa. «Quando mai succede, Teddy Lupin?»

«Avevo paura che questa cosa avrebbe rovinato la nostra giornata insieme…»

«Voglio godermi questa domenica con te», rispose lei baciandolo. Sapeva di caffè. «È per questo che sei ancora più preoccupato? Riguardo al caso, dico.»

Teddy aggrottò le sopracciglia.

«Stanotte sembravi inquieto…» spiegò lei. «Ti agitavi nel sonno, e straparlavi…»

«Ah, è per questo motivo che—»

«Teddy», lo interruppe lei, scuotendo la testa. «No.»

«Okay, ti credo. Comunque sì, sono un po’ preoccupato, ma non voglio che lo sia anche tu», aggiunse lui perentorio. «Nel modo più assoluto.»

«Mi sforzerò di non esserlo, ma sai che è difficile non preoccuparmi quando tu sei preoccupato.»

Teddy la baciò e lei si lasciò andare, aggrappandosi alle sue spalle e sedendoglisi addosso, mentre Teddy reclinava la testa sul divano e si lasciava baciare.

Cercò però di rimanere lucido e si sentì un po’ un cretino a pensare che fosse meglio fermarsi, prima di fare sesso sul divano, magari con il rischio che Roger piombasse in casa da un momento all’altro. Fu Victoire a interrompersi e a ritrovare la ragione, ché lui non sarebbe riuscito a farlo.

«Basta, o so come finirebbe», disse lei risedendosi al suo posto. Teddy si passò una mano sul viso e sospirò. Si guardarono e scoppiarono a ridere e tutta l’inquietudine che aveva provato quando era uscita fuori la faccenda di Albus sembrava essersi volatilizzata. 

 


Quella domenica mattina, Roxanne scese a colazione prima del solito. Era da giorni che dormiva male, sia per via di ciò che era successo con Jenkins, sia per il litigio con Elena di tre giorni prima. 

Riguardo il loro “incidente di percorso”, Teddy non sembrava essere arrivato ad una soluzione, per loro fortuna. Dopo aver interrogato Caitlin, venerdì, non aveva convocato più nessuno, per quanto ne sapeva, ma questo non le impediva di essere preoccupata, visto che l’Auror andava in giro per il castello a fare domande, appuntando cose su un taccuino e grattandosi il mento con aria interessata. Rose lo aveva visto parlare con Yann Fredericks1, un Grifondoro del loro anno, nonché Prefetto, e Roxanne sapeva che Yann faceva e diceva tutto quello che Polly Chapman gli diceva di fare e dire - e questo non era per nulla incoraggiante. Polly era sempre stata notoriamente in competizione con Rose, questo lo sapevano tutti, e avrebbe fatto e detto di tutto per screditarla, soprattutto ad occhi esterni. Roxanne sperava solo che Teddy non si facesse influenzare da lei, più che altro per via della posizione della madre come Capo Ufficio Auror, cosa per cui Polly si vantava ogni singolo giorno della sua vita. Conosceva Teddy, però, ed era certa che avrebbe agito in modo imparziale e professionale. Inoltre, James aveva raccontato loro del modo in cui Teddy aveva rimesso al suo posto Polly, una mattina a colazione, e questo forse poneva fine alla questione. Certo, Roxanne non smetteva di sentirsi preoccupata, per lei e per i suoi cugini e amici, ma cercava allo stesso tempo di vivere come al solito, continuando a sperare che la faccenda si sgonfiasse da sé. 

Nella Sala Comune di Grifondoro, venne fermata da un paio di alunni del primo anno particolarmente piccoli. Non si ricordava di essere mai stata così piccola, al suo primo anno2.

«Scusa», disse il ragazzino biondiccio pieno di brufoli. «Tu sei… Tu sei Roxanne, vero?»

«Roxanne Weasley?» specificò l’altro, più basso e mingherlino e dai capelli scuri.

«Quante altre Roxanne esistono?» bofonchiò lei incrociando le braccia al petto. Aveva fame e non vedeva l’ora di fiondarsi su un piatto di uova e salsicce. 

I primini parvero sobbalzare, e il biondo annuì. «Scusa, scusa, hai ragione…»

«Insomma, mi avete fermata solo per sapere come mi chiamo?»

«No no no», rispose in fretta il secondo bambino. «Intanto, volevamo farti i complimenti.»

Roxanne alzò lentamente il sopracciglio destro. Cominciava a spazientirsi, ma poi ricordò le parole di Rose: «Devi essere più paziente con i ragazzini più piccoli, Rox, in fondo lo siamo state anche noi.» Mandò sua cugina a quel paese e fece un sospiro profondo.

«Tuo padre e tuo zio sono due geni», esclamò ancora il moro. «Sono dei miti, per noi. Degli eroi.»

«Oh», disse solo lei, spiazzata. Per Godric. «Be’, be’… grazie?» E così dicendo cercò di superarli per uscire dalla Sala Comune, ma i due la rincorsero e l’accerchiarono di nuovo.

«Ci chiedevamo», iniziò il biondino abbassando la voce e guardandosi intorno, nonostante la stanza fosse vuota, a parte loro tre, «se fossi ancora alla ricerca di cavie per tu-sai-cosa?»

Roxanne si sforzò di non ridere. Ecco il perché di tutto quel mistero e quei sotterfugi. Da un paio d’anni a quella parte, portava avanti un traffico illecito di scherzi e altre diavolerie dei Tiri Vispi, e ingaggiava studenti dei primi anni come cavie sulle quali testare le novità e i prototipi del negozio in anteprima, e poi scriveva accurate e dettagliate relazioni che inviava a suo padre, il quale a sua volta le mandava del denaro col quale ripagare gli studenti, e doveva ammettere che la maggior parte di questi si accontentava di poco, erano quasi tutti estremamente dediti alla causa, tanto da considerare pagamenti in denaro delle vere e proprie offese personali. Una volta, una coppia di gemelli del secondo anno di Tassorosso aveva piantato sù un casino talmente immane nella Sala d’Ingresso che avevano quasi rischiato di farsi scoprire dal professor Thomas, che passava di lì in quel momento. Da quel giorno, Roxanne si era ripromessa di “reclutare” solo studenti di Grifondoro. 

«Al momento non abbiamo nulla, in cantiere, ma vi terrò in considerazione per eventuali test, d’accordo?» rispose quindi.

I due annuirono, entusiasti. 

«Mille grazie, Roxanne», esclamarono in coro.

«Okay, ora smammate, devo andare a colazione.»

Come se avesse appena detto loro che l’aspettavano urgenti questioni di sicurezza nazionale da discutere col Ministro Granger in persona (sua zia, e la cosa la faceva sempre ridere), i due si fecero da parte per lasciarle spazio e si inchinarono leggermente mentre passava loro davanti. Divertita, e sempre cercando di non scoppiare a ridere loro in faccia, Roxanne superò il buco nel ritratto e corse in Sala Grande di volata. Il suo stomaco borbottava prepotente, ora.

Giunta al piano di sotto, si precipitò al tavolo di Grifondoro e prese posto accanto a Caitlin, ansimando leggermente per la corsa. 

«Tutto okay?» le chiese l’amica guardandola con occhi sbarrati mentre afferrava il piatto delle salsicce e ne svuotava quasi metà nel suo. 

«Ah-ah», rispose lei agguantando le uova strapazzate. 

«Non si direbbe, a guardarti.»

«Ho solo molta fame.»

«Sì, questo lo avevo notato.»

Passarono alcuni minuti in silenzio, durante i quali Roxanne sbranò le uova e le salsicce e, mentre si girava verso Michael McLaggen per chiedergli di passargli la torta di melassa, vide James entrare nella Sala Grande e raggiungerle. Accanto a lei, Caitlin si sistemò meglio a sedere sulla panca. 

«Buongiorno, ragazze», esclamò il cugino prendendo posto di fronte a loro.

«Buongiorno», rispose Cait premurosa, sorridendogli.

«’orno», rispose invece lei, la bocca piena di torta.

Cait le lanciò un’occhiata disgustata e alzò gli occhi al cielo.

«Ma che hai, Rox?» le chiese James servendosi a sua volta della torta di melassa, la sua preferita. 

«Non credo di volerlo sapere», commentò la sua amica scuotendo la testa. «È arrivata e si è fiondata sul cibo.»

«Dev’essere tutto merito dell’allenamento di Quidditch di ieri sera, vero? Li sto facendo sgobbare come matti», aggiunse James a mo’ di spiegazione, rivolgendosi a Caitlin quasi ghignando.

«Ho sentito la parola “sgobbare”?», esclamò Alexander Baston poco lontano.

«Non vi lamenterete quando avrete vinto la coppa del Quidditch anche quest’anno», proruppe James ingoiando un boccone di torta.

«Uff», sbuffò Baston agitando una mano e mandandolo a quel paese. James si alzò e gli assestò una pacca dietro la nuca che quasi lo mandò a finire a capofitto nel suo piatto. 

«Lo so che mi amate, in realtà», concluse il capitano risedendosi. 

Roxanne notò McLaggen aprire la bocca, ma gli fece cenno di “no” con la testa e lui la richiuse, tornando a bere il suo succo di zucca. Lei fece lo stesso, e sotto il bicchiere vide che vi era appuntato un foglietto di pergamena ripiegato.

«Che cos’è?» chiese ad alta voce.

Caitlin aveva appena riso per qualcosa che le aveva detto James, chinata in avanti verso di lui sul tavolo, e si riscosse sentendo la domanda di Roxanne, girandosi a guardarla. Roxanne si chiese per un fugace momento se suo cugino e la sua migliore amica stessero segretamente insieme. James sembrava affrontare a meraviglia la situazione, e dal suo viso non traspariva la benché minima preoccupazione in merito al caso Jenkins e alle indagini che Teddy stava svolgendo. Roxanne si domandava come facesse a dissimulare così bene. 

Lei e Cait non ne avevano quasi parlato, nemmeno con Rose, sembrava che nessuna delle tre volesse affrontare l’argomento per prima, così come nessuna delle tre aveva voglia di pensarci, quand’erano insieme, come se nulla fosse successo. 

Roxanne abbassò lo sguardo e tornò a studiare il misterioso foglietto.

«Ah, sì, lo ha lasciato Elena prima che tu scendessi», le spiegò Cait. «Non mi ha spiegato niente, mi ha solo fatto promettere di assicurarmi che lo avresti trovato.»

«E perché non me l’hai detto subito, si può sapere?» sbottò aprendolo.

«Ho pensato che prima o poi ti saresti quasi strozzata col cibo e allora avresti avuto bisogno di bere», spiegò ancora battendo le ciglia e guardandola furbescamente. Le sorrise.

Roxanne assottigliò gli occhi ma non rispose, e si dedicò al messaggio di Elena, mentre Cait tornava a flirtare con James. Fece una smorfia suo malgrado.

 

Vediamoci alle quattro davanti alla quarta porta a sinistra della Statua di Boris il Basito al quinto piano.
Vieni sola. E.

 

Roxanne rilesse il messaggio tre volte. Sapeva bene cosa c’era in corrispondenza della quarta porta a sinistra della Statua di Boris il Basito al quinto piano. Il Bagno dei Prefetti. Cos’aveva in mente Elena? 

«Allora?» si sentì chiedere da James. «Possiamo saperlo anche noi?»

«Certo che no», rispose lei riponendo il biglietto nella tasca posteriore dei jeans che aveva indossato quella mattina.

James parve offendersi e Caitlin le venne in aiuto. «Dài, James, sono cose tra loro.»

«Infatti, hai detto bene.» Roxanne si alzò e si scrollò di dosso alcune briciole. «Penso che andrò a finire il ripasso per il test di Erbologia di domani, visto che ho il pomeriggio impegnato…»

Cait le sorrise e allungò una mano a stringere la sua. Le aveva raccontato del litigio con Elena e Cait l’aveva consolata assicurandole che si sarebbero presto chiarite. «Buona fortuna», le sussurrò senza farsi sentire da James, che si era buttato sulla sua fetta di torta. 

«Ti farò sapere.»

Fu con animo decisamente più leggero che Roxanne affrontò il resto della mattinata e del pranzo. Finì il ripasso di Erbologia per il test che il professor Paciock aveva loro fissato per l’indomani e controllò ancora una volta la relazione sugli Antidoti che avrebbe dovuto consegnare alla Simson sempre lunedì e che aveva finito di scrivere solo la sera prima. 

A pranzo non vide Elena, ma pensò che fosse meglio così: almeno non sarebbe stata tentata di andare lì e chiederle cos’avesse in mente.

Passò in Sala Comune il tempo che la divideva dalle quattro, ma verso le tre salì in dormitorio, intenzionata a vestirsi carina e a cercare di disciplinare i suoi capelli, che quel giorno non volevano saperne di stare buoni. Rose non si vedeva da nessuna parte e lei e Cait avevano dedotto che si fosse imboscata da qualche parte con Scorpius, e Roxanne lasciò Cait di sotto, seduta accanto ad Alexander Baston e Michael McLaggen (lei e Alex stavano cercando di aiutare Michael a finire la relazione per la Simson, ma con scarsi risultati). 

Roxanne trovò il dormitorio deserto, per fortuna. Si inginocchiò davanti al suo baule e cominciò a frugarci dentro, tirandone fuori vari vestiti e lanciandoli di qua e di là, con il risultato di riempire il pavimento di camicette, gonne e magliette con stampe di band musicali Babbane. 

Alle tre e mezzo, non aveva ancora trovato un bel niente. Voleva vestirsi non nel solito modo-alla-Roxanne, che comprendeva t-shirt scolorite, jeans strappati sulle ginocchia e scarpe da ginnastica, ma si accorse di non essere particolarmente fornita di capi d’abbigliamenti “alternativi”. Fu come al solito Caitlin a venirle in soccorso. Si affacciò alla porta del dormitorio e sbirciò dentro e Roxanne intercettò il suo sguardo stupito, seduta sul pavimento in mezzo ad un groviglio di pantaloni e calzettoni. 

«Sono appena scoppiati degli Spari Deluxe, qui dentro?»

«Forse», rispose Roxanne guardandosi intorno. 

Cait entrò e richiuse la porta alle sue spalle.

«La vuoi una mano?»

Roxanne annuì. Cait le sorrise. 

Nel giro di venti minuti, Caitlin l’aiutò ad indossare un vestitino rosso rubino dalle spalline sottili, di raso leggero, le sistemò i riccioli pettinandoglieli all’indietro e fissandoli con una forcina, e le truccò gli occhi con una leggera linea di un prodotto chiamato eye-liner (Roxanne si vantava di conoscere il mondo Babbano, ma quella diavoleria le era nuova) e le labbra con un rossetto molto simile al colore del vestito. Cait le permise di specchiarsi solo alla fine e quello che Roxanne vide la colpì: non sembrava neanche più lei, il maschiaccio in jeans e t-shirt che la faceva sentire se stessa e al sicuro. Il fatto era che anche in quella veste, si sentiva se stessa, e la cosa la colpì talmente tanto che Cait dovette accorgersene, perché la fece girare per guardarla in viso. 

«Va’ e riprenditela», le disse solo.

Roxanne annuì e le sorrise, un groppo in gola le impedì di dire altro. Si nascose sotto il mantello della divisa - non voleva dare spettacolo nella Sala Comune affollata - ed uscì. Passando accanto a Baston e McLaggen si sentì osservata, e girò la testa dall’altra parte. Non salutò nessuno e si arrampicò fuori dal buco nel ritratto. Raggiunse il quinto piano in un baleno, ma lo trovò deserto. Un po’ delusa, si avvicinò alla statua di Boris il Basito (un mago dall’aria smarrita con i guanti infilati sulle mani sbagliate) e localizzò la quarta porta alla sua sinistra. Attaccato alla porta c’era uno stralcio di pergamena e Roxanne si avvicinò per leggere. 

 

Rox, la parola d’ordine è il nome della scopa sulla quale hai imparato a volare.
E.

 

Roxanne sorrise tra sé e sé. A quanto pare, Elena aveva cambiato la parola d’ordine del bagno apposta per loro. Si stupì di quel gesto molto poco da Prefetto. Si avvicinò alla porta e sussurrò la parola d’ordine: «Tornado Sette3».

La porta si aprì cigolando e Roxanne entrò nel bagno. Ci era già stata una volta, un paio di anni prima, quando Lucy aveva portato lei e Rose durante il suo quinto anno, dopo essere diventata Prefetto. In quell’occasione, Lucy era stata stranamente poco ligia al dovere, e loro tre si erano godute un pomeriggio di scherzi e bagnoschiuma profumati e relax. Non era più accaduto, dopo, e Lucy era tornata seria e attenta alle regole com’era sempre stata.

Il bagno non era cambiato per niente: un trionfo di marmi bianchi, candelieri accesi e, al centro, una grande piscina rettangolare incassata al centro del pavimento. Tende bianche e candide erano appese alle finestre, dalle quali non filtrava neanche un raggio di sole dall’esterno. Elena era seduta accanto ad una pila di morbidi asciugamani bianchi e alzò lo sguardo quando la sentì entrare. Si guardarono per alcuni istanti, poi Roxanne la raggiunse.

«Temevo che non saresti venuta», iniziò Elena. Indossava la divisa e Roxanne per un momento temette di essersi vestita in modo troppo elegante. Si sentì improvvisamente ridicola. 

«Non avrei dovuto?»

Elena scosse la testa. «Ci speravo tanto. Ti sei truccata?» esclamò subito dopo, sbarrando gli occhi, sorpresa.

Roxanne alzò gli occhi al cielo. «È tutta colpa di Cait… Mi ha truccata, e mi ha messo un vestito ridicolo addosso…»

«Posso vederlo?» le chiese Elena inclinando le belle labbra in un sorrisino furbo e accattivante che Roxanne adorava. 

«Be’, immagino di averlo messo proprio per questo, quindi…» Così dicendo, Roxanne si lasciò scivolare di dosso il mantello e vide Elena trattenere il respiro. 

Si sentì ancora più stupida, ma lo sguardo che le lanciò la sua ragazza bastò a rincuorarla.

«Sei bellissima…» disse, la voce bassa. 

Allungò una mano a giocherellare con una spallina e finì per carezzarle una spalla nuda, disegnando cerchi concentrici sulla sua pelle. Roxanne lanciò un’occhiata alla sua mano e poi tornò a guardarla. 

«Elena, io…»

Ma l’altra alzò una mano a zittirla e Roxanne si rimangiò ciò che stava per dire. «Vorrei iniziare io, Rox.»

Lei annuì, senza aggiungere altro.

«Mi dispiace per quello che ti ho detto l’altro giorno», cominciò Elena scuotendo la testa. «Sono stata malissimo per come ti ho trattata, non ho dormito e continuavo a ripetermi quanto fossi stata insensibile…» Le prese una mano e cercò il suo sguardo. «Non sei obbligata a dirmi nulla, Rox. Stiamo insieme, e stiamo bene, e immagino che farei di tutto per aiutarti, o per alleviare la tua pena e le tue preoccupazioni, ed è solo per questo che ho insistito perché tu me ne parlassi. Non volevo farti pressioni e tantomeno litigare con te… Mi credi?»

Roxanne la carezzò dolcemente una guancia e le sorrise. «Ma certo che ti credo. E avevo capito perfettamente perché mi stessi chiedendo chiarezza, e perché avessi insistito per sapere, e ora vorrei solo chiederti se hai capito il motivo per cui non te ne ho voluto parlare…»

Elena annuì. «Non volevi coinvolgermi, sì, l’ho capito. Dopo. Stavi cercando di proteggermi, e mi sono sentita ancora peggio, per questo motivo, vista la scenata che ho tirato su…»

«Sei sempre stata un po’ teatrale, sai?» commentò Roxanne ridendo sotto i baffi.

«Hei, guarda che lo so», rispose l’altra ridendo apertamente, «ma ciò non toglie che sia stata antipatica e mi sia comportata da isterica. Il fatto è che ho cominciato a farmi i peggiori pensieri, in questi giorni, su quello che poteva essere successo… in cosa potevi essere stata coinvolta… se qualcuno poteva averti minacciata, o ti aveva fatto del male… E speravo così tanto di vederti, qui, oggi, perché non voglio sapere cos’è successo, Rox», sospirò, «voglio solo dirti che sono qui, e sono qui per te, e se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti… per risollevarti il morale, o darti una mano in qualsiasi cosa… be’, ci sono, okay? Ci sarò sempre, per te».

Roxanne la guardò intensamente. Nessuno le aveva mai rivolto parole di quel tipo, e di quell’importanza. 

L’abbracciò di slancio, gettandolesi al collo e stringendola a sé. Elena ricambiò l’abbraccio e Rox si chinò sul suo collo a respirare il suo buon profumo, e si sentì a casa.

«Facciamo un bagno, ti va? Ma ti avverto: ho preparato la vasca con talmente tanti bagnoschiuma diversi che non so cosa ne sia venuto fuori…» propose Elena.

Roxanne rise e si asciugò via alcune lacrime che le erano scese sulle guance ed Elena si girò, molto probabilmente per non darle l’idea che l’avesse vista, nonostante fosse sicura che l’avesse vista, ma non le importava: la sua fidanzata le aveva rivolto parole talmente belle che non le importava più di nulla, nemmeno di Jenkins. 

La guardò spogliarsi lentamente, togliersi la gonna, sbottonarsi la camicia e sfilarsi le calze spesse, finché il suo corpo da capogiro non rimase coperto solo dalla biancheria intima. Elena si girò a guardarla e le si avvicinò. Le prese il viso tra le mani e la baciò, senza fretta, e dolcemente. Roxanne rispose al bacio, poggiando le mani su quelle di Elena. 

Si staccarono solo quando Elena le poggiò le mani sulle spalline sottili del vestito e glielo fece scivolare lungo il corpo, e questo si andò a raccogliere ai suoi piedi, come una macchia scarlatta e lucente. Lo fissarono entrambe, finché non rialzarono gli occhi per guardarsi. 

«Ti amo», sussurrò Elena baciandola ancora.

«Ti amo anch’io», replicò Roxanne scostandole i capelli dalla fronte. «Ti amo e ti voglio raccontare la verità. Mi vuoi ascoltare?»

Elena la guardò stupita, ma annuì. «Lo voglio.»

 


Teddy sedeva sul divano. Al buio. Si sentiva il russare sommesso di Roger e fuori, nel cuore oscuro della notte, non si sentiva volare una mosca. L’unica luce era quella della luna che filtrava dalle finestre. 

Si era alzato perché non riusciva ad addormentarsi e quel letto era troppo vuoto, dopo aver ospitato Victoire per due giorni. Si era aperto una Burrobirra fredda e si era lasciato cadere sul divano. Non riusciva a togliersi dalla testa il caso Jenkins, ormai era diventato un tarlo molesto, per lui, e non c’era istante di pace in cui la sua mente non andasse lì, sempre lì, a quella dannata sera del due gennaio - e a quello che doveva o non doveva essere successo. 

Quel pomeriggio aveva interrogato James e, quando il cugino era uscito da quell’aula, lui era rimasto solo, confuso e spiazzato e pensieroso. Confuso perché James era rimasto calmissimo, e sembrava come aver dimenticato la scenata di venerdì, era entrato e lo aveva salutato come al solito, come se nulla fosse successo. Spiazzato perché, oltre la sua disinvoltura, James aveva fatto sfoggio di una spiccata sicurezza, non aveva esitato neanche un secondo parlando di quella sera, di lui che era rimasto a studiare fino a tardi in Sala Comune, di lui che era andato a dormire ancora più tardi ché era stanchissimo, e non si era svegliato fino alla mattina successiva. Pensieroso perché non riusciva a cavare un ragno dal buco da quella storia e aver parlato con James non gli aveva affatto chiarito le idee, anzi, forse gliele aveva incasinate ancora di più. 

Pensava che potesse essere stato lui, ne era quasi sicuro, se lo sentiva, quasi, come una netta premonizione o sensazione materiale nello stomaco, dritto dritto nelle viscere, e invece, osservando James Sirius Potter uscire da quell’aula, tutto si era volatilizzato, era sparito in un nugolo di niente, e lui era tornato al punto di partenza. 

Sorseggiò la sua Burrobirra fresca e sospirò. Appoggiò la testa al divano e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, fissò con determinazione il muro di fronte a lui, dov’era appeso un quadretto raffigurante un paesaggio marino. Gli ricordò improvvisamente Villa Conchiglia. 

Avrebbe scoperto la verità. Sarebbe arrivato al fondo di quella storia.

Non aveva mai fallito, finora, non c’era stato caso irrisolto, per l’Auror Teddy Lupin. E non avrebbe fallito proprio ora.

Avrebbe scoperto cos’era successo a Karl Jenkins. 

C’era una sola, grossa domanda che spiccava su tutte le altre, ingombrante e vivida: qual era, però, la verità?

Già. Qual era la verità?

Si alzò dal divano e sbadigliò. 

Sarebbe arrivata una risposta anche a quella domanda. Per Tosca, se sarebbe arrivata. A tutti i costi.

 

FINE PARTE SECONDA​


 


 

Note:

1. Yann Fredericks: Grifondoro del sesto anno.
2. Non si ricordava di essere mai stata così piccola, al suo primo anno: credo di non dover specificare a cosa rimandi questa frase. 
3. Tornado Sette: è stata la scopa di George, e ho pensato che Fred II e Roxanne abbiano imparato a volare proprio sulla vecchia Tornado del padre.

 

Eccoci qui con un altro capitolo di questa storia, che ormai ha battuto qualsiasi altro mio record personale di pubblicazione, qui, dove non sono mai andata oltre quattro o cinque capitoli, e dove non ho mai concluso mezza storia. Insomma, come vi dicevo, un record, e ne sono felice perché ormai mi sono affezionata tantissimo a questi personaggi, e a Teddy in particolare, che non potrei mai lasciarli senza un finale. E non potrei lasciare voi senza un finale.

 

In questo capitolo, ritroviamo Victoire e Teddy insieme, Roxanne alle prese con i primini e le cavie per i Tiri Vispi e poi con Elena, alla quale decide di raccontare la verità (è la prima persona esterna al gruppo a venire a sapere cos’è accaduto quella sera, ma non temete, Elena ama troppo Roxanne per farne parola ad anima viva - o morta), e infine ritroviamo Teddy, solo con i suoi pensieri, in riflessione, confuso ma fermamente convinto a risolvere questo caso.

 

Vi informo che non manca moltissimo alla fine di questa storia, siamo veramente alle battute finali. Non so dirvi quanti capitoli manchino di preciso, ma ho già scritto il 10 e organizzato l’11 e il 12, e sicuramente arriverò ad aggiungerne un paio, poi valuterò e farò il punto della faccenda. Ovviamente, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando ♥︎

Vi ricordo la serie dedicata alla mia Nuova Generazione, GENERATION WHY].

Alla prossima settimana, Marti.

 
   
 
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