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Autore: GiusyWriter    25/07/2020    1 recensioni
Un tempo lontano...
Una terribile guerra che logora due antichi alleati nella terra di Whad...
Due sorelle in lotta per salvare e tutelare il loro regno insidiato da un nemico indomabile, potente ed oscuro...
Un torto antico che ha risvegliato una tremenda sete di sangue e di vendetta difficile da placare...
Bene e male si fondono in un'unica entità...
Riuscirà la guerriera dal fiore rosso a vincere anche questa battaglia e a portare alla luce una verità sepolta sotto un manto di segreti ed inganni?
Questa è la prima storia che pubblico.
Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni nelle recensioni.
Vi ringrazio e vi auguro una buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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OTTO L’attacco fu sferrato alle prime luci dell’alba. Le sentinelle poste sulle torrette di guardia furono assalite e trucidate rapidamente, senza avere nemmeno il tempo necessario per azzardare una qualche reazione. Il fuoco di uno spaventoso color cremisi di centinaia di torce cominciò a divorare qualunque cosa incontrasse sul suo cammino. Un pugno possente si abbatté sullo stipite della porta degli appartamenti Eileen. Il fragore fu così intenso che la guerriera balzò giù dal letto rapidamente, spaventata. Per vari istanti restò a guardare l’oscurità di fronte a sé. Dalla finestra filtravano già i primi bagliori che annunciavano la venuta di un altro giorno, ma l’alba era ancora lontana. Il rumore alla porta si ripeté, più violento di prima. Eileen raccolse la spada che aveva lasciato accanto al letto quando si era coricata, solo poche ore prima. «Chi è?» chiese con voce simile a ghiaccio che si spezza. «Comandante, aprite! Sono Emeth!» si udì la risposta gridata al di là della soglia. Solo in quel momento Eileen riuscì a percepire come una sorta di fragore, rumoroso e assordante quasi, che sembrava avvolgere l’intero palazzo reale. Allarmata, la donna si affrettò ad aprire la porta e lo spettacolo che le si presentò innanzi le agghiacciò il sangue nelle vene. Il tenente Emeth si appoggiava dolente e sfinito allo stipite della porta, una ferita dai contorni violacei gli attraversava la spalla destra. Era una freccia. «Emeth! Cosa ti è capitato!?» gridò Eileen, accostandosi al soldato e sorreggendolo. Emeth si aggrappò al braccio della donna, ma era troppo debole e cadde a terra. Eileen lo aiutò a rimettersi in piedi e lo trasportò di peso nella sua stanza, facendolo sedere sul letto. «Emeth, ti prego… parlami! Cosa ti è accaduto?» gli chiese Eileen nuovamente. «Comandante… siamo stati attaccati… Fhen è stata invasa!» boccheggiò il soldato. «I Dewuh sono qui? Sono entrati in città?» chiese la donna, allarmata. «Non sono Dewuh, Comandante… Sono gli… eserciti della Confederazione di Hannar… Ci hanno tradito… ci hanno teso un’imboscata…» raccontò confusamente Emeth. A quelle parole il sangue abbandonò il volto della guerriera di Imska. Ora tutto cominciava ad avere un senso, specialmente la fuga precipitosa di Agaton da Fhen dopo che Nazick l’aveva oltraggiato. Agaton non se ne era mai andato. E ora era entrato a Fhen. Meredith e Ferydir erano in pericolo. Il suo popolo stava morendo. Agaton non si sarebbe fermato di fronte a nulla. Era capace di tutto. «Dobbiamo approntare subito la difesa!» esclamò Eileen in tono contratto per la tensione. «Non sarà facile, Comandante… I nemici hanno sfondato le nostre linee difensive e hanno massacrato le sentinelle sulle torrette di guardia orientali… Abbiamo tentato di opporre resistenza, ma il loro numero è superiore al nostro e sono ben… ben armati. La porta di Wer sul lato orientale delle grandi mura è… persa. Io sono stato ferito lì…» disse ancora Emeth, con il viso stretto in una maschera di dolore e terrore. Eileen gli strinse il braccio con gratitudine e prese delle bende in una cassetta che teneva riposta sotto il letto. «Devi andare in infermeria, ma prima devo estrarre la freccia, altrimenti rischi di perdere il braccio, Emeth. Farà un po' male, ma ti salverà la vita» gli disse poi. Il soldato annuì brevemente e chiuse gli occhi per concentrarsi. Eileen gli strinse le bende intorno alla spalla per tamponare il sangue vivo che sgorgava dalla ferita. Poi, con un colpo secco, estrasse la freccia, scagliandola a terra. Emeth si lasciò sfuggire un lungo gemito. «Il peggio è passato, Emeth. Ora devi andare subito in infermeria. Io devo organizzare la difesa di Fhen e assicurarmi che la regina e il principe ereditario siano portati al sicuro!» esclamò Eileen, dopo aver stretto un bendaggio pulito attorno alla ferita del soldato. «Comandante, fate attenzione! C’è qualcosa di molto strano in tutto questo» disse Emeth. Mentre il soldato parlava, Eileen indossò in fretta la sua armatura di pelle. Legò attorno alla vita l’elsa della sua spada e imbracciò l’arco. Il fragore attorno al castello non faceva che crescere d’intensità. Non c’era un minuto da perdere. «Che vuoi dire?» chiese rapidamente la guerriera al soldato. «Una parte dei soldati era restia ad obbedire agli ordini… Voi stessa non siete stata avvisata subito per assumere il comando. Ci sono stati errori e ritardi nelle comunicazioni. Molti… di noi… sono morti per questo». «Non capisco…» balbettò Eileen, ma il rumore agghiacciante di grida improvvise squarciò l’aria. Senza pensarci un solo istante, la guerriera si catapultò fuori dalla stanza e corse a perdifiato per la galleria reale, ingombra di nobili in gonnella che erano stati svegliati dal fragore dell’attacco e che, presi dal panico, si erano riversati nei corridoi. «Comandante! Cosa dobbiamo fare!?» gridò una donna della servitù ad Eileen, tirandola per un braccio, in preda al panico più totale. La guerriera la afferrò per le spalle. «Dovete rifugiarvi subito nella sala comune sotterranea di Farther, solo lì avremo qualche possibilità! Andate, presto!» le gridò poi, dandole una spinta decisa verso il rifugio. Nella galleria regnava la confusione più totale. Le persone erano in preda al panico. Eileen correva in quella fiumana di gente, facendosi largo fra tutti. Doveva assolutamente trovare Meredith e Ferydir e portarli al sicuro nella sala comune di Farther. Poi avrebbe pensato al resto. Un bagliore rosso screziato dai contorni ambrati catturò la sua attenzione da una finestra che si affacciava sul lato orientale del palazzo reale e da cui si dominava tutta Fhen. La città era in fiamme. Le linee difensive erano crollate. Il nemico era penetrato nella capitale. La visione dell’amata patria in fiamme provocò lampi sferzanti di dolore ad Eileen, ma la guerriera si riscosse e riprese la sua corsa. Non poteva perdere altro tempo. Una volta entrato nel palazzo, Agaton si sarebbe diretto negli appartamenti privati della regina e del re e questa sarebbe stata la rovina. Bisognava organizzare la fuga dei sovrani e del principe ereditario da Fhen, perché approntare una difesa, ora che gli eserciti di Hannar erano entrati in città, sembrava solo una labile possibilità. Possibilità che naufragò del tutto quando Eileen rammentò a sé stessa che il grosso dell’esercito di Fhen era partito per la foresta la sera prima, dividendo così le loro forze. Jean era con loro. Con un minimo di fortuna, pensò Eileen, se la sarebbe cavata. Se da un lato la guerriera sperava ardentemente che l’esercito regolare facesse ritorno in patria per contrastare l’offensiva di Hannar, dall’altro pregava che Jean si salvasse da quella che si preannunciava essere una carneficina. Un mondo senza Jean non poteva esistere. Non sarebbe stato giusto. Per quanto riguardava la sua vita, Eileen non aveva garanzie da offrire, né a sé stessa, né tantomeno ad altri. Tutto passava in secondo piano. Sarebbe rimasta a Fhen e a Fhen sarebbe morta. Per difendere la fuga della sorella. Per preservare la vita dell’amato nipote. Per proteggere il suo popolo e la terra in cui era nata. «Comandante!» si sentì chiamare all’improvviso. Eileen si voltò immediatamente e, nel panico generale, riconobbe la figura di un membro delle guardie reali di sua Maestà, circondato da altri ufficiali. La guerriera ebbe un fremito di sollievo in mezzo al delirio. «Comandante, temevamo per la vostra incolumità» disse uno dei soldati ad Eileen. «Dobbiamo portare al sicuro la famiglia reale e approntare una difesa. Devi portare un mio messaggio alle truppe ausiliarie della caserma. Gli altri mi seguiranno negli appartamenti della regina» gli si rivolse lei, concitatamente. L’altro scosse la testa. «Comandante, questo non è possibile. I collegamenti con le truppe ausiliarie della caserma sono stati interrotti e non c’è modo di organizzare una difesa» rispose quello. Un’ondata di ghiaccio investì Eileen, paralizzandola. Era tutto molto strano. Disarmante. Sconcertante. «Non si può nemmeno tentare di opporre resistenza?» chiese debolmente. «No, Comandante. Il nemico è penetrato in città e si sta dirigendo verso il palazzo. Ci saranno addosso a breve». «Quanto tempo abbiamo?» «Se siamo fortunati, poco meno di mezz’ora». «Non c’è più tempo allora. Dobbiamo condurre la famiglia reale alla sala comune di Farther. Da lì accederemo al cunicolo sotterraneo che ci porterà fuori Arquart, alla scuderia secondaria, dove ci sono cavalli freschi a disposizione» disse Eileen, ritrovando elasticità e stabilità. Gli uomini la guardarono allibiti. «Abbandoniamo Fhen, Comandante?» chiese uno di loro. «La regina, il re e il principe ereditario devono tenersi pronti alla fuga in ogni caso. Se saranno ancora qui quando Agaton prenderà il castello, saranno imprigionati o, peggio, giustiziati. Lo sapete bene. Noi resteremo qui a coprire la loro fuga. Darei la mia stessa vita perché loro riuscissero ad avere almeno una possibilità» disse Eileen. Gli altri ufficiali delle guardie reali strinsero le loro spade in cerchio, rivolgendole poi verso il loro comandante, in segno di omaggio. «Non diamoci per vinti, Comandante. L’esercito regolare avrà saputo dell’attacco. Sono stati inviati dei messi a tale scopo. La truppa tornerà indietro» disse uno di loro. «Abbiamo bisogno di rinforzi, questo è certo. Presto, ora! Dobbiamo trovare la regina!» esclamò Eileen, avviandosi verso la fine della galleria, seguita dal gruppo. Le grida nel palazzo aumentavano d’intensità, facendosi sempre più forti. La camera da letto del re e della regina era spalancata. Il cuore di Eileen sussultò violentemente nel petto, nel timore di essere arrivata troppo tardi, contro ogni aspettativa. Lasciò alcuni uomini di guardia alla porta ed entrò forsennatamente nella stanza. Rannicchiata gli angoli del letto c’era Meredith. Era sola. Nazick non c’era. «Meredith!» la chiamò Eileen, catapultandosi su di lei e prendendola fra le braccia. La sorella registrò il suo sguardo terrorizzato sulla sorella. Si aggrappò ad Eileen. «Eileen… Cosa sta succedendo?» chiese con un filo di voce. «Meredith, dobbiamo andare via di qui. Gli eserciti della Confederazione di Hannar ci hanno attaccato e sono penetrati a Fhen. La città è perduta, ci sono scarse probabilità di riprenderla. Non potete più restare qui, dovete andare via» le disse Eileen. «Agaton… è stato lui? Lui ha fatto questo? Ma come… perché?» chiese Meredith. «Non c’è tempo per questo, Meredith! Mettiti addosso qualcosa, dobbiamo andare!» «Feridyr… Lui è nella sua camera…» balbettò la regina, incapace di dominarsi. «Lo andremo a prendere!» esclamò Eileen. «Nazick non è qui, Eileen… non è tornato stanotte. Molto probabilmente è rimasto in biblioteca» disse Meredith, mentre indossava un mantello bordato di pelliccia sopra la sottoveste e dei calzari da viaggio. Eileen la guardò per vari istanti. «Troveremo Feridyr, poi tu e lui andrete alla sala comune di Farther. Io andrò a cercare Nazick. Ci incontreremo lì. Poi da Farther voi percorrerete il cunicolo sotterraneo che vi porterà oltre Arquart, all’imbocco della strada per la scuderia secondaria. Lì prenderete dei cavalli freschi e fuggirete. Cavalcate più in fretta e non fate soste, se non quando penserete di essere al sicuro. Procedete verso Ther a sud, Maxim dovrà accogliervi. Io resterò qui a proteggere la vostra fuga con i miei uomini» disse alla sorella. Meredith scosse il capo ritmicamente. «No, Eileen, no! Non posso permettere che tu metta a repentaglio la tua vita per…» «Meredith, è l’unico modo! Tu e mio nipote sarete messi in salvo. Se vi trovano, è finita, Meredith. Lo sai anche tu. Dovete fuggire, subito! Se Fhen è davvero perduta, Agaton non si fermerà davanti a niente e cercherà di eliminarvi. Io proverò a mettermi nuovamente in contatto con l’esercito regolare che si trova nella foresta. Potremmo tentare una controffensiva disperata» la interruppe la sorella. «Eileen… Quante probabilità abbiamo di farcela? Voi resterete qui a morire per garantire a noi una fuga che non ci porterà lontani, lo sai… Ci daranno la caccia… e se non saranno gli uomini di Hannar a farlo, ci penseranno i Dewuh. Io dovrei rimanere qui, al mio posto. Una regina non abbandona il proprio popolo. Affido Feridyr a te, alle tue cure e a quelle di Nazick, quando lo troverai. Io devo rimanere qui, sorella» disse la regina. «Maestà, non dite assurdità! Sono io il Comandante delle guardie reali! Io discuto dei piani di difesa qui, non voi! Una regina imprigionata o morta non giova a nulla, men che meno al proprio popolo! Non occorrono martiri qui, ma abbiamo bisogno di una sovrana che riesca a mettersi in salvo per cercare nuove alleanze e riprendersi di diritto quello che è suo e che le è stato tolto con la violenza coercitiva! Così si difende il proprio popolo, Maestà, non rimanendo qui a farsi macellare! È vero, le possibilità di riuscita di questo piano sono scarse, minime, forse inesistenti. Ma credete che restare qui ad attendere qualcuno che vi imprigioni o, peggio, che vi ucciderà insieme a vostro figlio e a vostro marito sia la soluzione migliore? Ognuno di noi deve fare la sua parte come può e prodigarsi quanto può per il successo finale. Dobbiamo almeno tentare. Ora andiamo!» gridò Eileen, afferrando la mano della sorella. Meredith non rispose nulla, ma seguì Eileen con energia. Eileen e gli altri ufficiali della guardia reale formarono un’ala protettiva attorno alla regina. La corsa verso gli appartamenti privati del principe ereditario sembrava eterna, ma finalmente, nel panico generale, giunsero a destinazione. Meredith si precipitò dentro, ma quello che vide le agghiacciò il sangue nelle vene. Suo figlio non c’era, ma al suo posto, seduto comodamente sul letto, se ne stava Farmus Agaton, che indossava un’armatura d’acciaio tipicamente occidentale. Sia sullo scudo che sull’impugnatura della spada campeggiava lo stemma argenteo della Confederazione di Hannar. I suoi occhi grigi scintillarono di piacere quando incontrarono quelli di Meredith. «Mia regina, che magnifica coincidenza incontrarci di nuovo qui. È delizioso notare quell’espressione di meraviglia mista ad angoscia dipinta sul vostro amabile volto. Ne deduco che le sorprese non vi siano gradite» disse lui in tono sardonico. «Agaton… Che significa tutto questo?» chiese la regina imperiosamente. In quel momento nella stanza fece irruzione anche Eileen con i suoi uomini. Nello scorgere Agaton, la guerriera estrasse una freccia e la incoccò sul suo arco, tenendo l’uomo sotto tiro. Le guardie reali sguainarono le spade simultaneamente, circondando Meredith. «Ci siete tutti, mi pare» ghignò Agaton, alzando curiosamente un sopracciglio. «Indietro, Agaton! Fai un solo passo e conoscerai una mia freccia!» gridò Eileen. «La guerriera dal fiore rosso… Finalmente… È così inebriante assaporare questa immensa soddisfazione di fronte alla tua sconfitta» le si rivolse Agaton in tono beffardo. «Forse sono così folle da voler provare a fermarti, maledetto!» gridò la guerriera. «E come potresti riuscirci… sentiamo? Hai perso, Comandante. La tua amata città è in fiamme… La casata Anxel è perduta… Voi siete il passato, noi siamo il futuro». «Voi?» chiese allora Meredith, frapponendosi fra le guardie e Agaton. L’uomo di Hannar le rivolse un sorrisino di compatimento e le si avvicinò di un passo. «Prima che il sole sorga il vostro regno sarà solo un lontano ricordo, mia regina». «Potrete annientare noi, ma sarà difficile estirpare il nostro ricordo, serpente infido!» esclamò Eileen in tono netto. A quelle parole Agaton scoppiò a ridere e tornò a guardare la regina. Gli occhi di Meredith erano distanti ma stranamente consapevoli. «Che peccato per il povero piccolo principe… così giovane…» commentò quello. «Feridyr! Dov’è mio figlio!? Dov’è, maledetto!?» urlò all’improvviso la regina, perdendo il controllo e afferrando Agaton al petto, in un gesto disperatamente materno. Agaton reagì di scatto e puntò la spada al ventre della regina. Eileen fu più veloce. La freccia sibilò nell’aria, andandosi a conficcare nella spalla dell’avversario, che cadde riverso a terra, contorcendosi dal dolore. La guerriera dal fiore rosso afferrò la sorella per un braccio e, seguita dagli altri ufficiali, la trascinò fuori dalla camera. «La vostra fuga finisce qui» si udì una voce alle loro spalle, nella galleria ora invasa da soldati nemici, che avevano accerchiato il gruppo, impedendo ogni via di fuga. Eileen e Meredith si voltarono all’unisono verso il punto dal quale avevano udito la voce. Era Nazick. Nazick, attorniato dal padre, dalla cugina e altre guardie del corpo, stava lì a fissare le due sorelle, con un’espressione indecifrabile sul volto. Lo sguardo della regina e del Comandante delle guardie reali si posò dapprima su Nazick, poi su Feridyr, che giaceva con le mani incatenate dinanzi alle ginocchia del padre adottivo, minacciato dalla spada di quest’ultimo. Nessuna parola passò tra loro in quel momento. Nazick rimase impassibile, privo di emozioni. «Feridyr…» esalò Meredith, crollando a terra, esausta e distrutta. «Madre, aiutatemi…» la implorò il bambino, sull’orlo del pianto. «Arrenditi, Meredith. È finita» esalò Nazick con voce di ghiaccio. La regina fissò i suoi occhi in quelli del marito, incapace di proferire anche solo una sillaba. Calde lacrime le rigavano le guance, senza che lei potesse fermarle. «Come… come hai potuto?» chiese alla fine la donna, passandosi una mano sugli occhi. «Ora lo sai» disse Nazick, senza nemmeno guardarla. Il suo sguardo era fisso su Eileen. La guerriera era paralizzata dall’orrore. Nazick, il marito di sua sorella, il re di Fhen… era stato per tutto il tempo in combutta con Agaton, con il benestare dei suoi famigliari, che ora guardavano lei, sua sorella e suo nipote con un sorriso di scherno e di vittoria dipinto agli angoli della bocca. Era indegno. Era abominevole. Non ci sarebbe mai stato perdono per un atto come quello. Nazick li aveva traditi tutti. Il suo sguardo verde, fiero e ferito, inchiodò il traditore là dove si trovava, poi si spostò su Meredith che piangeva sotto il peso di un dolore insostenibile. Il dolore. Il dolore. La sofferenza di Feridyr. Le lacrime di Meredith. La regina vedova tradita dal suo stesso cuore. E la rabbia… La rabbia di Eileen. Ottenebrante, assoluta, perfetta. La guerriera si morse le labbra talmente forte da sentire il spore del sangue in bocca. «Maledetto…» sibilò poi, rivolta a Nazick. Il re la fissò negli occhi per alcuni istanti, senza replicare nulla. All’improvviso dalla camera di Feridyr sbucò Agaton, dolorante per la ferita che gli era stata inferta da Eileen. Il capo di Hannar raggiunse il gruppo e si collocò accanto a Nazick, con un’espressione di sofferenza dipinta sul volto. Eileen vide Rhodyn Edherson sorridere. «Vedo che “la guerriera dal fiore rosso” ha colpito ancora» si rivolse Annelies Edherson ad Agaton in tono sornione, ammiccando alla principessa. «Tacete» le si rivolse allora Nazick in tono ostile e contratto. «Giusto, ci sono cose più importanti a cui pensare… innanzitutto sarebbe consigliabile tradurre Meredith Anxel e suo figlio in un luogo più consono» intervenne Rhodyn. A quelle parole Meredith lo guardò intensamente. «Come avete potuto fare questo… come?» chiese con un filo di voce. «Beh, ci sono mille valide ragioni, vostra Maestà. Diciamo che reputiamo molto più proficua un’alleanza con Hannar, piuttosto che asserragliarci nel vostro patetico tentativo di salvaguardare Imska dal progresso e dai vantaggi che avrebbe entrando nella Confederazione» rispose Rhodyn in tono falsamente acquiescente. «Imska è sempre stata una terra autonoma! Non ci siamo mai piegati ai compromessi untuosi e infidi di vermi come te, la tua stirpe e della feccia di Hannar!» intervenne Eileen, sguainando la spada all’improvviso. A quel gesto Nazick strinse ancor di più la spada contro il fianco di Feridyr, che tremava sconvolto e spaventato. «Abbassa l’arma o lo ammazzo. Ti giuro che lo faccio» le intimò. «Eileen, ti prego!» gemette Meredith, disperata. «Zia…» esalò il bambino trasognato. «Andrà tutto bene, Feridyr, vedrai. Non avere paura» gli disse la madre, tra le lacrime. A quelle parole, Eileen gettò l’arma ai suoi piedi, ordinando agli altri ufficiali di fare altrettanto. I suoi uomini obbedirono, a capo chino. «Dimenticavo quanto tu fossi altezzosa, Comandante. Ti diverti a guardare gli altri dall’alto della tua nobiltà, rivendicando un ruolo di prim’ordine alla tua maledetta famiglia, al tuo onore e alla tua intelligenza… Beh forse non sei poi così intelligente, se hai lasciato che ti mettessimo nel sacco così facilmente. È stato così facile per mio figlio attirarti dalla sua parte. Gli è bastato fare quel discorsetto fiammeggiante quel giorno in udienza e riservare qualche moina a quel marmocchio piangente e a quella sgualdrina che geme senza sosta…» le si rivolse odiosamente Rhodyn. Ad un suo cenno alcuni soldati nemici si avvicinarono ai prigionieri e incatenarono le loro mani. Eileen non provò a ribellarsi. Temeva per la vita del nipote e della sorella. Agaton, proteggendosi la spalla, si avvicinò a Meredith e la alzò da terra afferrandola per i capelli con violenza. «In piedi, sgualdrina! Muoviti!» le gridò con cattiveria, passandole un doppio giro di catene intorno ai polsi. Meredith lo fissava sconvolta. «Mi dispiace… ma tu hai reso le cose fin troppo semplici… Avresti potuto continuare a regnare sul tuo stolto popolo se soltanto avessi ascoltato la voce della ragione e ti fossi piegata ad Hannar. Che cosa hai guadagnato, facendo quello che hai fatto?» continuò quello, imperterrito. «Se non altro, potrò guardarmi allo specchio senza essere disgustata da me stessa» gli rispose la regina con grandissima dignità. Agaton scoppiò a ridere. Una sua mano lasciva scostò il mantello che riparava il corpo della regina e prese a risalire lungo i fianchi di lei, fermandosi proprio sul seno. Meredith cercò di sottrarsi a quel contatto, invano. «Non ti agitare tanto, tesoro. Magari Nazick mi consentirà di divertirmi con te, prima di mandarti dal boia. Non prendertela, suvvia. A lui interessa tua sorella, credo» le sibilò quel sordido individuo in tono divertito. «Lasciala stare, miserabile verme!» gli gridò Eileen, dimenandosi fra le catene. Agaton si voltò verso di lei con sguardo di fuoco e le si avvicinò, assestandole un tremendo schiaffo in pieno volto, che le fece girare il capo dall’altra parte. «No, zia…» gemette ancora il principe, tentando di andare verso la zia. «Questo è per aver cercato di uccidermi prima, insolente vipera! Ci sarà da ridere, quando decreteremo la tua sorte. Per quanto mi riguarda, spero vivamente che verrai giustiziata ancor prima che qualcuno possa posare le sue mani su di te. Sul tuo corpo c’è un nettare d’ambrosia paradisiaco ma velenoso e letale. Non meriti neppure questa misericordia» sibilò Agaton. Eileen si voltò a guardarlo e lo gelò con un sorriso di disprezzo. «Sputerei sulla tua misericordia anche se da questa dovesse dipendere la mia vita» gli disse seccamente. Il capo di Hannar alzò di nuovo la mano per colpirla. «Fermatevi, Agaton! Lasciatela stare!» gli intimò allora Nazick, intervenendo. Agaton registrò lo sguardo sul sovrano e, con aria di sufficienza, annuì. «Non sono così sciocco da anticipare il piacere che proverò nel vedere la tua preziosa testa che rotola da un patibolo, insieme a quella di tua sorella e del tuo amato nipotino» tormentò ancora Eileen con voce velenosa. Lei diede uno strattone alle catene. «La mia vendetta ti inseguirà fino al giorno della tua morte» sibilò poi, mentre Agaton, scuotendo le spalle indifferentemente, si avviò verso la porta, seguito da Rhodyn, Annelies Edherson e gli altri soldati. «Conducete i prigionieri nell’atrio del castello!» ordinò Nazick. Il fumo dell’incendio che stava consumando Fhen si era diffuso anche nelle prigioni. L’aria, nera e densa, stava lentamente diventando irrespirabile. Edwig si arrampicò alla feritoia della sua cella, per spiare la situazione. Aveva udito le urla, i pianti, i passi trafelati come di una marcia… tutta la città era nel panico più totale, ma tutto veniva come ad estinguersi in quella prigione dall’atmosfera immobile e rarefatta. Eppure qualcosa stava accadendo lì fuori. Qualcosa di grave. Nella città degli umani stava cambiando qualcosa. Dopo il colloquio con la regina, il mattino precedente, il Dewuh non aveva ricevuto più alcuna visita, né da parte dei sovrani, né tantomeno da Ohs Kevaroth, come si era aspettato. La conversazione con Meredith Anxel l’aveva provato molto più di quanto osasse ammettere a sé stesso, senza contare che la sete si era fatta insopportabile, via via che il tempo trascorreva inesorabilmente. Si era lasciato cadere a terra, sul pagliericcio della cella spoglia, sognando Elyreneh e lasciandosi trasportare dalle emozioni che quelle visioni gli regalavano. Di tanto in tanto all’immagine della vampira venivano a frapporsi quelle di Eileen e questo, se da un lato sembrava compiacerlo, dall’altro lo faceva sprofondare nell’angoscia e nella collera. Non poteva lasciarsi andare così nei confronti di una donna. Un’umana. Per di più acerrima nemica del suo popolo, figlia e nipote di assassini e macellai e cospiratori. Per Ohs Kevaroth provava una grande curiosità, sotto il manto dell’odio e del disprezzo che aveva per lei, per la sua famiglia e per quello che lei stessa rappresentava. Ma gli occhi verdi di Eileen lo tormentavano nelle sue visioni… Poi, alle prime luci dell’alba, qualcosa era cambiato. Nello stato di delirio in cui era caduto, a causa della sete, una visione gli aveva sconvolto la mente. La guerriera dal fiore rosso era distesa a terra, morente, in una pozza del suo stesso sangue, a implorare vita e vendetta. Un rombo fragoroso aveva spezzato quella fantasticheria ad occhi aperti, lasciandogli un profondo turbamento nel cuore… Cosa stava accadendo? Eileen era in pericolo? Stava davvero morendo? Fhen stava cadendo? Erano davvero fumo e fiamme quelle che vedeva serpeggiare attorno alla finestrella della sua cella? Era davvero la morte che gravava sulle grida dei cittadini di Fhen? Un rumore ovattato lo fece voltare di scatto verso l’entrata della prigione. Nessun altro avrebbe mai potuto percepirlo. Nessuno tranne un Dewuh. Edwig non si sorprese quando i suoi occhi neri come la pece incontrarono quelli pacatamente viola di Thrain. Il vampiro si trovava a Fhen, nelle prigioni reali, ad un passo dal capo del suo popolo. Senza dire una parola, Thrain diede un poderoso calcio all’inferriata della prigione, che cedette di schianto, fin troppo facilmente. In un battito di ciglia raggiunse Edwig e, facendo molta attenzione, lo liberò dalla morsa dell’oricalco attorno alle candide mani di porcellana. Sui polsi erano impressi pesanti segni violacei. «Oh hay elwrodden may tho… (Come ti hanno ridotto…)» disse Thrain. Edwig lo abbracciò. «Od halla awem ornartheryl shò?(Come mai sei venuto fin qui?)» gli chiese poi. «Fhen è caduta, Edwig. Tra poche ore tutto questo non esisterà più» rispose Thrain stendendo il braccio ad indicare la finestrella della prigione. «Erworrem vhay kostef biillòdden maynuf Fhen? (Mi avete forse disobbedito, attaccando Fhen?)» lo incalzò Edwig, avvicinandosi a Thrain. «Muyei nos gertoretom (Non siamo stati noi)» rispose l’altro in modo deciso. Edwig uscì dalla cella, lasciando che la forza riaffluisse liberamente nelle sue membra. «Allora chi è stato?» chiese ancora con la sua voce suadente. «Il re, insieme a suo padre e a sua cugina, ha tradito la regina. Era in combutta con il regno di Hannar e ha lasciato che gli eserciti occidentali invadessero la città. C’è stato un accordo. Nazick si vedrà riconosciuta una sovranità assoluta, ma, in cambio, Fhen entrerà nella Confederazione occidentale. Imska diventerà il cordone economico di Hannar». «Non mi dire…» commentò sarcasticamente Edwig. «Ieri mattina quando siamo andati a caccia nella foresta abbiamo trovato delle tracce fresche. Pensavamo fosse Ohs Kevaroth con il suo esercito. Abbiamo seguito l’aroma e abbiamo scoperto un accampamento occidentale proprio a ridosso di Arquart, guidato da Farmus Agaton. Poi, ieri sera, è giunto un distanziamento piuttosto nutrito dell’esercito regolare di Fhen, ma è stato sopraffatto. Ci sono stati pochi superstiti e sono stati tutti ricondotti a Fhen per essere rinchiusi nelle prigioni, suppongo». «Alay Ohs Kevaroth nuy vehn ur? (Fiore Rosso era nella foresta?)» chiese allora Edwig, trattenendo il respiro in attesa della risposta. Una strana ansia l’aveva colto. «No, ma in sua vece era stato mandato il suo luogotenente». «Il giovane Dhorur… Che ne è stato di lui… è morto?» domandò ancora Edwig. «No. Ha riportato una grave ferita al torace, ma è vivo. È stato ricondotto in catene qui a Fhen… Credo che lo faranno assistere…» rispose Thrain. «Utwè? (A cosa?)» lo incalzò Edwig, voltandosi a guardarlo intensamente. «Ohs Kevaroth, el regab und ehila usnos areten muhindlyà. Aretesen okneson mund lahà (Fiore Rosso, la regina e suo figlio sono stati catturati. Saranno giustiziati al sorgere del sole)». Un sorriso stanco si dipinse agli angoli della bocca del capo dei Dewuh. «Dunque è così che deve finire» commentò poi in tono basso. Thrain gli strinse un braccio. «Il nostro piano è naufragato, Edwig. So che avevi intravisto in Fiore Rosso la chiave per arrivare alla nostra vendetta, ma forse lei potrà servirci più da morta piuttosto che...» provò a dirgli, ma Edwig alzò un braccio per tacitarlo. «Non oltraggiarla, Thrain. È nostra nemica, ma sarà trucidata per mano di un infame traditore» lo redarguì fieramente. L’altro alzò un sopracciglio dalla curiosità. «Non dirmi che ora il suo destino ti sta a cuore» gli disse in tono di velata accusa. Edwig lo guardò senza proferire una chiara e semplice risposta. «Untwe orwosetom. Lund fragtarian morseton bund jang. Gherscettoren màhas ferthyar laàs (Noi vinceremo comunque. Gli umani si faranno a pezzi vicendevolmente. Approfitteremo della loro debolezza)» lo incalzò Thrain. Edwig restò a guardarlo per alcuni istanti. Infine annuì brevemente. Poi alzò una mano e fece cenno al compagno di andare via. Thrain lo precedette e uscì dalle segrete in perfetto silenzio. Edwig si voltò un ultimo istante a contemplare le catene di oricalco ai suoi piedi. «Sahfriahàn, Ohs Kevaroth (Addio, Fiore Rosso)» sussurrò quasi dolcemente. Poi spiccò un balzo in avanti, scomparendo nell’oscurità più assoluta. L’esercito di Hannar era schierato in modo disciplinato e compatto nell’enorme atrio del castello. L’alba tardava ad arrivare, quasi volesse celare alla sua vista immacolata lo scempio che era chiaramente visibile su quel selciato. Nazick era seduto su un trono di legno improvvisato ed era attorniato dal padre, da Agaton, Annelies e altri loschi figuri di Hannar. Sembrava perfettamente a suo agio, intento ad accogliere gli omaggi dei suoi nuovi ministri, di casacca apertamente occidentale e dell’esercito. Al centro della piazza campeggiava un sinistro patibolo. Poco lontano, in ginocchio sulle dure pietre del selciato, stavano la regina e suo figlio, seguiti da Eileen e dai suoi ultimi soldati fedeli della guardia, tra cui Emeth, che era stato catturato in infermeria e trascinato dal letto giù con gli altri. Ad un cenno del re lungo la piazza furono fatti sfilare gli altri prigionieri. Eileen li riconobbe con una stretta al cuore. Erano i pochi superstiti della truppa regolare che quella notte era stata mandata con uno stratagemma ad Arquart per essere trucidata silenziosamente. All’improvviso, in mezzo alla folla dei feriti, Eileen distinse chiaramente Jean. Il suo cuore ebbe un sussulto di gioia mista a nostalgica e addolorata tristezza quando i loro occhi si incontrarono. Il giovane Dhorur camminava lentamente, sotto le sferzate degli avversari, trascinandosi penosamente per via di una brutta ferita che gli attraversava il torace. Aveva la divisa strappata ed insanguinata e le armi gli erano state portate via. Ai polsi aveva catene di ottone, serrate in una ferrea morsa. Quando l’uomo puntò lo sguardo sulla donna che amava, che giaceva a terra, ferita e sconvolta, si lanciò senza riflettere verso di lei, attraversando la piazza e ignorando le frustate degli aguzzini che cercavano di farlo tornare in riga. «Jean! Jean!» gridò Eileen. Jean giunse da lei e si buttò in ginocchio accanto alla sua migliore amica che amava e che avrebbe amato per sempre, anche dopo la morte. I due non potevano toccarsi, ma si slanciarono lo stesso l’uno verso l’altra e per un po' non si udirono altri che i loro sospiri disperati e le loro lacrime. «Mi dispiace così tanto, Jean… Perdonami…» gemette Eileen senza controllo. «Shh… Io sono felice, Eileen. Ti ho vista nascere e ora… ora moriremo insieme…» le disse l’amico fra le lacrime, sforzandosi tuttavia di sorriderle. «Ho pregato che tu fossi fuggito… che ti fossi sottratto a questa carneficina che ci aspetta». «Sarei tornato comunque, Eileen. Lo sai». Quella scena, così dolce e dolorosa nello stesso tempo, suscitò un’ondata di silenzio nella piazza. Nessuno aveva il coraggio di proferire parola. Un soldato di Hannar si diresse contro i due giovani per separarli. «Rimani dove sei. Lascia loro almeno un momento» lo redarguì Nazick. «Non indulgere a vani sentimentalismi, cugino. Nessuna pietà per i vermi» gli giunse alle orecchie la voce odiosa e melliflua di Annelies. «Già. Immagino che nessuno possa incorrere nel rischio di suscitare in voi alcuna traccia di pietà, cugina» la rimbrottò seccamente Nazick, senza staccare gli occhi da Jean ed Eileen. Il re si alzò in piedi e si accostò alla coppia sventurata. «Un grande re è colui che sa provare pietà anche quando è costretto a prendere decisioni drammaticamente crudeli in nome della salvaguardia del proprio regno, cugina» continuò a dire, rivolgendosi ancora ad Annelies ma scrutando Eileen da vicino. La guerriera lo gelò con uno sguardo carico di odio e di disprezzo. «La tua pietà non è necessaria a noi, traditore» gli si rivolse Jean in tono ostile. Nazick lo guardò lievemente incuriosito, poi scoppiò in una fragorosa risata. «Sei davvero divertente, giovane Dhorur. Divertente ma grossolanamente patetico… Pensi di morire accanto a lei e credi che per questo la tua vita abbia acquistato improvvisamente un qualche valore? Dimmi, Dhorur, che senso ha avuto il tuo colossale amore per lei, alla luce dei fatti? A cosa ti ha portato? Ma guardala, avanti… Nemmeno in procinto di morire è in grado di ricambiare il tuo sentimento…» lo schernì poi apertamente. «Sei solo un vigliacco. Sei tu che credi di contare qualcosa ora, quando invece hai trascorso tutta la vita a fingere di essere qualcuno che non sei e che non potrai mai essere» sputò con cattiveria Eileen, trapassandolo con lo sguardo. «Mio re, abbiamo già sprecato troppo tempo con le chiacchiere. È giunto il momento di prendere una decisione» intervenne allora nuovamente Annelies. Lo sguardo di Nazick incontrò quello disperatamente calmo di Meredith. Lui annuì gravemente. «Nazick, dimmi perché… Ho bisogno di sapere il perché. In nome dell’amore che un tempo ti ha legato a me e a Ferydir… ti supplico di dirmi almeno perché» lo implorò Meredith. La regina aveva coraggiosamente asciugato le sue lacrime e fissò intensamente Nazick negli occhi, con i bellissimi occhi neri ancora gonfi di pianto. Feridyr non parlava, ma se ne stava stretto alla madre, sentendosi così al sicuro pur in mezzo alla morte. Il re abbassò lo sguardo. Non riusciva a guardare Meredith. «Io, Nazick Edherson, invoco su di me pieni poteri regali. Dichiaro sciolto il vecchio consiglio dei ministri di Fhen in attesa che ne sia convocato uno nuovo, eletto personalmente da me. Dichiaro nulli gli editti precedenti ratificati dalla qui presente Meredith Anxel, alla quale sono stato unito in matrimonio. ma che ora non esito a ripudiare per condotta scandalosa e contraria all’interesse pubblico del regno di Ismka» recitò poi con voce malferma ed insicura. Feridyr si strinse ancor di più alla madre. «Nazick, ti prego… Fermati» gli disse Meredith in un sussurro. «Annuncio inoltre pubblicamente, alla presenza dei due eserciti di Hannar e di Imska, la nuova alleanza fra i due regni e l’entrata di Imska nella Confederazione occidentale di Hannar come membro onorario. Imska rivendicherà come propri qualsiasi diritto e qualsiasi dovere avanzati dall’alleata Hannar» continuò lui imperterrito. «Non farlo!» gridò Eileen. Nazick la guardò. «Decreto inoltre, in seguito a decisione unanime, una sentenza di morte in seguito a decapitazione per la deposta regina Meredith Anxel, per il principe ereditario Feridyr Anxel-Dhen, i cui diritti sono ormai decaduti e per tutti quelli che si professano loro sostenitori e protettori e che non si dichiarino disposti a giurare fedeltà al nuovo sovrano assoluto di Fhen» concluse poi seccamente. «No!» gridò Eileen. A quelle parole, Meredith si alzò improvvisamente in piedi. Sembrava stranamente serena. Con le mani legate dietro la schiena, mosse qualche passo in direzione di Nazick. «La mia morte ti conferirà dunque il potere?» gli chiese pacatamente. «Questa è la vita, Meredith. Hai giocato male le tue carte» rispose lui. «Se la mia morte potrà essere di qualche giovamento ad Imska, io consegnerò spontaneamente la mia vita nelle mani del boia. Ti prego di risparmiare mio figlio, mia sorella e Jean. Concedi loro di ritirarsi a vita privata. Non dovrai temere vendette contro il tuo trono, ma… lascia che mio figlio viva» parlò la regina. «Il figlio di Nahler Dhen non ha diritto di vivere!» gridò Farmus Agaton. «Nazick, ti prego… dammi ascolto. So che in fondo al tuo cuore c’è del buono. So che hai amato, forse anche solo per un istante, me e mio figlio. Cerca di dare valore a quel sentimento» disse Meredith, rivolgendosi ancora al marito. «Oh avanti Nazick, dille la verità» celiò allora Annelies con irriverenza. Meredith ripiegò lo sguardo su di lei, con una certa apprensione. Nazick guardò la cugina e poi tornò a fissare la regina, ritraendo il labbro inferiore in un sorriso di scherno. «Sai, donna… è stato davvero facile convincerti della mia devozione. Eri così affamata d’amore dopo la morte di Nahler che avresti dato via il tuo stesso regno pur di ricevere una mia carezza… Eri così cieca e ottusa che non ti sei mai accorta di quanto fosse penoso per me starti anche solo accanto per sopportare le tue lamentele su quanto crudele e ingiusta fosse stata la tua vita per quel grande amore che avevi e che ti era stato strappato all’improvviso… Dapprima pensavo che sarebbe stato difficile fare i conti con una piccola fetta di rimorso che qualche volta – l’avevo pur messo in conto – sarebbe venuta a farmi visita. Ma con te è stato fin troppo facile passare sopra ad ogni scrupolo, per quanto minuscolo fosse… E vedere la tua freddezza nei confronti di quel povero smidollato di Maxim… quello sì che era uno spasso, anche di fronte al fatto che per cinque anni hai condiviso il letto – beatamente inconsapevole come sei sempre stata – nientemeno che… con l’assassino di tuo marito!» le rivelò lui con incredibile sadismo. Un silenzio tombale scese sull’atrio del palazzo reale. Finalmente l’alba era sorta, bruciando con i suoi raggi anche tutte quelle riprovevoli menzogne e quegli atti vergognosi, vecchi di anni. Meredith era paralizzata. Gli occhi di Feridyr erano pieni di lacrime. Eileen era agghiacciata. «Nahler è… è morto di febbre…» balbettò la regina incoerentemente. «Questo è quello che hai sempre creduto, mia regina. Quello che noi ti abbiamo lasciato credere» intervenne la voce stridula di Rhodyn Edherson. «La famiglia Edherson è sempre stata un’esperta conoscitrice di erbe medicinali e sostanze venefiche. È stato molto semplice. È bastato mescolare alcune radici speciali ai pasti di sua Maestà il re» disse Annelies malignamente. «Siamo giunti da Ther insieme a Nahler proprio con questo scopo. Maxim ci odiava e, per colpa sua, eravamo oramai invisi a tutta la corte meridionale. Tuttavia, la notizia delle nozze del secondogenito della casata reale di Zewia con la regina di Fhen ha riacceso le nostre speranze per una rapida ascesa politica e abbiamo seguito il futuro re qui, a Imska. Siamo riusciti ad entrare nelle sue e nelle vostre grazie. Il suo assassinio, in realtà, era del tutto facoltativo, in quanto sentivamo già di avere Fhen in pugno. Non ci è voluto molto» disse ancora Nazick. «Gli Edherson non sono fatti per servire. Gli Edherson sono nati per regnare» disse Rhodyn, raggiungendo il figlio e poggiandogli una mano sulla spalla. «Avete ucciso mio padre…» parlò per la prima volta Feridyr, inchiodando Nazick con lo sguardo più grave e consapevole che potesse avere. L’altro non riuscì a sostenere il suo sguardo a lungo e abbassò il capo. «Non è stato molto difficile, mio principe. Ringrazia tua madre per questo» lo canzonò Annelies. A quelle parole Meredith cadde a terra. Il macigno di quella rivelazione le era caduto addosso togliendole il respiro. «Nahler… mio amore… sto arrivando» mormorò fra le lacrime. «Maledetti bastardi! Possa la morte raggiungervi ovunque voi siate! Potete ucciderci, farci a pezzi, annegarci… ma questo non seppellirà né cancellerà mai l’ignominia di cui vi siete macchiati!» urlò all’improvviso Eileen, balzando in piedi e provando a liberarsi dalle catene. Due uomini intervennero per bloccarla e le tennero le braccia premute contro la schiena. La guerriera si dimenava convulsamente. Nazick le si avvicinò. «Mi odi, vero!? Ora sai quanto possa essere marmorea la mia volontà!» le gridò. «Mi fai schifo! Sei un vile assassino!» «Non c’è niente che tu possa dirmi che mi farà cambiare idea. Io sono il re! Tu devi portarmi rispetto! Devi giurarmi obbedienza!» «Uccidimi presto, perché altrimenti la mia spada reclamerà la tua misera vita!» A quelle parole Nazick le afferrò il volto, avvicinando la sua bocca a quella della fanciulla. «Mi basta una tua parola, Eileen! Una tua parola potrebbe risparmiarti la vita! Mi vuoi? Posso ancora salvarti. È te che ho amato per tutti gli anni della mia vita. Accetta di sposarmi e io ti offro la mia intera esistenza, la mia corona, il mio regno!» la implorò. «Nazick! Sei forse uscito di senno!?» gridò Rhodyn Edherson. «Tacete!» lo redarguì freddamente il figlio. «Eileen… di cosa sta parlando?» si udì la voce disperata di Meredith. La sorella la guardò con amore, poi reclinò lo sguardo su Nazick e proruppe in una risata altissima. «Tu sei pazzo. Preferirei morire piuttosto che accettare di essere tua moglie. Hai distrutto la vita della mia amatissima sorella. Hai derubato mio nipote del padre, che l’avrebbe amato per tutti i giorni della sua esistenza. Hai devastato la mia terra, la mia patria. Hai calpestato il mio orgoglio, la mia dignità. Ti sei preso tutto. Prenditi anche la mia vita. La mia vendetta ti raggiungerà anche dopo la mia morte» gli disse poi con odio. «Ti prego…» la supplicò Nazick. «Stai sprecando il tuo tempo con me, verme». «Ti prego, Eileen! Ti prego, accetta! Vivi! Vivi per me!» gridò allora Meredith. La regina corse verso la sorella. Eileen si slanciò verso di lei, ma i soldati la bloccarono. Nazick afferrò Meredith e la tenne stretta a sé per trattenerla. «Nazick, ti prego… Concedile di vivere e prendi con te Feridyr! Puoi ancora riparare al male che hai fatto a Nahler e a me, ti prego!» lo supplicò lei accoratamente. Lui diede uno strattone alla regina, che cadde a terra di nuovo. Nazick si rivolse ancora una volta ad Eileen, che cercava di raggiungere Meredith. «Per l’ultima volta… Vuoi essere mia?» le chiese. Eileen gli sputò addosso. Nazick la guardò. Un lampo di furia assassina gli attraversò gli occhi. «Procedete!» gridò ai soldati che erano lì vicino. Quelli afferrarono Meredith, le tolsero le catene e la trascinarono verso il patibolo. «Guarda! Guarda tua sorella che va a morire! Ti assicuro che la prossima sarai tu… ma prima ti costringerò a guardare tuo nipote mentre viene ucciso» sibilò Nazick ad Eileen avvicinandosi a lei e togliendole a sua volta le catene. «Meredith! No!» gridò Eileen. «Madre!» urlò Feridyr, slanciandosi verso Meredith. La regina si ribellò improvvisamente e sfuggì ai suoi aguzzini, ricongiungendosi al figlio. Jean osservava la scena, con le lacrime agli occhi. Per un istante le braccia della regina di Fhen circondarono il suo bambino. Le loro mani si incontrarono, senza avere il coraggio di sciogliere quell’ultimo abbraccio mortale. «Madre, ti prego! Non lasciarmi!» gridò Feridyr, stringendosi alla madre. «Sono qui… Sono qui Feridyr. La mamma sarà sempre con te. La mamma ti ama tanto, Feridyr. Ti ha sempre amato e ti amerà per sempre, così come tuo padre ti amerà in eterno. Non dubitare mai di questo. Sarò sempre con te» gli sussurrò Meredith, baciandolo dolcemente sulla fronte. Il bambino chiuse gli occhi e le si avvinghiò ancor di più. La loro gioia durò un istante. Robuste braccia separarono la madre dal figlio. La regina fu brutalmente spinta verso il patibolo, Feridyr fu trattenuto a viva forza, nonostante le sue urla. «Meredith! No! Meredith!» gridò Eileen. Ai piedi del patibolo, sua sorella si fermò. Si voltò verso di lei. I suoi occhi erano calmi e tranquilli. Non aveva più lacrime. «Il mio spirito è con te, Eileen. Vivi, Eileen, ti prego. Vivi per me, a qualunque costo… e ricordati che nulla è come sembra. Sei forte, Eileen. Cerca la verità e affrontala. Sei forte. Il mio spirito è con te» le disse con estremo amore. «Ti prego, ti prego non lasciarmi… Ti prego» gemette la guerriera. «Non ti sto lasciando, sorella. Forse, dopo oggi, mi avrai ancor più vicina a te. Ti affido Feridyr, Eileen. Te lo affido con tutto il mio cuore. Veglia su di lui. Proteggilo. Solo con la tua guida riuscirà a diventare un buon re per questo popolo» le disse la regina. «Lui non sarà mai re. La tua stirpe muore con te» sibilò allora Nazick. Meredith si voltò verso di lui. Il suo sguardo, calmo e vivido, lo inchiodò al suo posto. «Sei ancora in tempo, Nazick. Sei ancora in tempo per troncare sul nascere questa tremenda giostra infernale che hai concepito» gli disse. «Il tempo degli Anxel sta per concludersi» ribatté Nazick. «Se mai ti ho amato, non me ne ricordo più… Tu stesso hai scelto il tuo destino» sussurrò lapidariamente Meredith. Nazick annuì brevemente, poi rivolse un cenno al boia. Come se avesse compreso tutto, Meredith, regina di Fhen, si inginocchiò senza opporre resistenza. Il boia guidò il suo collo, posizionandolo sulla fascina ai suoi piedi. Gli occhi di Meredith e quelli di Eileen si incrociarono. Per l’ultima volta. Il boia calò la sua pesante scure. Sangue. Sangue. Morte. Meredith, regina di Fhen, era morta. La sua testa cadde con macabra precisione nella cesta posta accanto al patibolo. Il suo busto rimase compresso a terra, lasciando che il sangue defluisse liberamente dal corpetto della sottoveste. L’urlo di Eileen. Le lacrime di Feridyr. Jean cadde a terra, sulle sue ginocchia. L’urlo di Eileen. Poi accadde tutto velocemente. Jean si rialzò bruscamente da terra e sferrò un poderoso calcio all’unico soldato che in quel momento si trovava accanto a lui ed Eileen. L’uomo, colpito, duramente al fianco destro, stramazzò a terra come un fuscello di paglia. Un altro soldato si precipitò verso Jean, brandendo la spada, ma Eileen gli si avventò contro. Aveva le mani libere. Mandò al tappeto l’avversario con una spallata e, fulmineamente, estrasse dal calzare destro il pugnale che portava sempre con sé e glielo conficcò in gola, mentre quello era ancora a terra. La furia le impedì anche solo un minimo accenno di pietà. Il soldato annaspò sconvolto nel suo stesso sangue e iniziò a dibattersi sempre meno, fino a quando non rimase completamente immobile. Eileen sottrasse la spada al morto e con quella tranciò di netto le giunture delle catene che Jean portava ai polsi, liberandolo. «Prendi Feridyr! Scappate!» le urlò l’amico. Eileen afferrò il nipote per un braccio. Il bambino aveva gli occhi spenti, quasi vitrei. L’orrore era dipinto sul suo volto allo stato puro. Aveva visto la testa di sua madre ruzzolare in una cesta e sua zia aveva appena sgozzato un uomo come se fosse una pecora al macello. Nazick era impietrito. Non riuscì a muovere nemmeno un passo. «Muoviti, Eileen! Vattene! Cosa stai aspettando!?» urlò ancora Jean. «Cosa farai tu?» gli gridò di rimando lei. «Non preoccuparti di quel che farò io! Pensa solo a Feridyr!» Nazick gridò ai suoi uomini di attaccare. I soldati di Hannar si avventarono sui tre prigionieri, ma Jean brandì a spada con cui Eileen l’aveva liberato e mirò un fendente al torace del primo assalitore, uccidendolo sul colpo. A quel punto, come se qualcuno avesse dato loro un segnale, i soldati superstiti di Fhen attaccarono i nemici, nonostante fossero in catene. Sangue su sangue su sangue. «Eileen scappa! Raggiungete Farther e da lì oltrepassate Arquart! Fuggite!» urlò Jean. «Non puoi resistere qui da solo!» gridò Eileen, continuando a tenere fra le braccia Feridyr. Jean le diede una vigorosa spinta, intimandole di andare via. Eileen, continuando a tenere stretto a sé Feridyr, fuggì via. I suoi occhi incrociarono quelli di Jean. Ciascuno salutò nell’altro la vita. Eileen e Feridyr fuggirono, senza voltarsi più indietro. Eileen si aprì un varco a colpi di spada, tentando di arrivare in fondo all’atrio principale, dove si apriva una vasta botola sotterranea che li avrebbe condotti alla sala comune sotterranea. Feridyr era distrutto. Annientato. Annichilito dal dolore. I nemici attorniavano Eileen da ogni parte. La botola non era lontana. Feridyr toccò con la punta della sua calzatura l’anello di ferro che apriva il passaggio. Eileen si voltò. Vide arrivare la freccia. Nazick aveva sulla spalla l’arco che era appartenuto a lei forse un milione di morti prima. Tese l’arco con precisione. Scoccò la freccia. Il dardo saettò in direzione di Feridyr. Eileen urlò. “Ti affido mio figlio” le aveva detto la sorella prima di essere massacrata. Fu un attimo. Le mani di Eileen agguantarono il cappuccio dell’abito del nipote. Feridyr fu sbalzato all’indietro. La freccia si conficcò nell’incavo superiore della spalla destra di Eileen. Il dolore arrivò, lento e inesorabile, sferzante come un’ondata di gelo. Da lontano, Jean urlò. Eileen voltò il capo verso di lui. Il suo migliore amico. La colonna portante della sua vita. Il pilastro fondamentale della sua forza. Nazick scoccò un’altra freccia. Feridyr gridò di puro terrore. Eileen chiuse gli occhi. Li riaprì spasmodicamente meno di due secondi dopo. Era in ginocchio. A terra. Il dolore aveva cambiato rotta. Ora avvertiva una fitta cocente verso il basso. Si portò una mano al ventre. La ritrasse. Era sporca di sangue. Il suo sangue. Urlando di rabbia, Jean si slanciò verso Nazick. Un soldato di Hannar gli mirò un fendente alla schiena. Jean cadde a terra. Una fitta nebbia lo avvolse, precipitandolo nell’oblio. I rumori ora giungevano ad Eileen ovattati. Si accorse che la sensibilità iniziava a sparire lentamente dai suoi polpastrelli. Aveva molto freddo. Riusciva a percepire quasi per sbaglio il pianto del nipote accanto a lei. Feridyr era accanto a lei, in ginocchio. Eileen alzò una mano insanguinata verso di lui, adagiandola sul volto rigato di lacrime. «Zia… zia, ti prego… Non lasciarmi anche tu…» gemette il bambino. «Mi dispiace… Mi dispiace, amore mio… Non… Non ho saputo proteggerti…» esalò Eileen lentamente. La sofferenza era immane. All’improvviso due forti braccia strapparono il nipote dalla zia. Eileen vide le gambe di Feridyr scalciare nel vuoto. Poi il bambino scomparve dal suo campo visivo, mentre le sue urla risuonavano alte nel cielo mattutino grigio e spento. La guerriera dal fiore rosso avvertì due mani che la afferrarono alle caviglie e la spinsero lontano dalla botola, trascinandola lontano… molto lontano, non sapeva nemmeno lei dove la stessero portando. Il buio calò sui suoi occhi. Lampi di visione… Sangue. Morte. Sangue e morte. Vendetta. Sangue e morte e vendetta. Edwig si voltò indietro e iniziò a correre… Eileen riaprì confusamente gli occhi. Era a terra. Lentamente si mise in ginocchio. Sangue dappertutto. Sulle sue ginocchia, sulle sue mani, sui suoi capelli... Qualcuno le strappò brutalmente le frecce dalla pelle, rigirandole prima nella ferita. Eillen urlò dal dolore. Serrò gli occhi, sforzandosi di tenerli aperti. Vide Nazick. «Non avrei mai voluto tutto questo» le disse lui. Eileen faticava a tenersi in equilibrio. Un sorriso sprezzante le solcò il volto di porcellana. «La mia vendetta ti seguirà fino al giorno della tua morte» gli disse in un sibilo. «Vai da lei» le disse Nazick. Fu un attimo. Il despota affondò la spada nel suo ventre fino all’elsa. Un silenzio tombale cadde su quel crimine efferato. Eileen cadde a terra sulla sua schiena, senza un grido. «Avrei potuto amarti. Avrei amato la guerriera dal fiore rosso» le disse Nazick. «La mia… vendetta ti… seguirà fino al… giorno della tua morte…» esalò Eileen. «Addio, Fiore Rosso» disse Nazick. Voltò le spalle alla donna e andò via, lasciandola lì, sul limitare del bosco, accanto alle scuderie reali. Una sottile brezza si alzò. Poi, dal bosco emerse Edwig. Il vampiro avanzava prudentemente, circospetto e attento. Alle sue spalle stava Thrain. Edwig seguì l’aroma del sangue nell’aria. Avanzò ancora annusando la traccia fresca e trovò Eileen. La donna giaceva in una pozza di sangue. Aveva gli occhi chiusi ma respirava ancora affannosamente. Era viva. Ancora per poco. Stava per morire. La sua mano destra era appuntata al petto, là dove campeggiava sempre il tulipano, simbolo della sua passione ardente. Edwig lo sapeva bene. Il Dewuh attese pazientemente alcuni istanti, aspettando che la morte cogliesse la sua acerrima nemica e che la soddisfazione che tanto aveva bramato nel vederla morta ai suoi piedi affiorasse da qualche parte nel suo cuore che pure non batteva più da vari secoli. Meredith Anxel era morta. Suo figlio non aveva speranze e il suo destino avrebbe seguito quello della madre in una caduta verso sangue e barbarie. Eileen Anxel giaceva nel suo stesso sangue, ai suoi piedi. Uno dei fiori di Fhen era già caduto. L’odiata stirpe degli Anxel stava per scomparire dal Whad. La memoria di Elyreneh avrebbe avuto giustizia. Erano anni che tutti i Dewuh vivevano aspettandola. Uno dei fiori di Fhen era già morto. Per l’altro… era solo questione di tempo. Minuti. Istanti. «Fartèh uh naàas dort? (Vuoi rimanere fino alla fine?)» gli giunse alle spalle la voce pallida e incolore di Thrain. Edwig digrignò i denti. Non riusciva a staccarsi da quella vista. Avrebbe voluto ridere. Ridere di gusto. Ridere con il suo animo malvagio e corrotto. Ma non trovava le forze per farlo. Eileen, come avvertendo una presenza accanto a sé, aprì gli occhi. Edwig fissò il suo sguardo su di lei. Gli occhi profondamente verde mare della guerriera lo inchiodarono lì dove si trovava, ma non lo riconobbero. «La mia… vendetta arriverà…» mormorò debolmente la donna. Il suo cuore ebbe un violento sussulto. Edwig non conobbe esitazioni. Con un balzo si chinò su di lei. L’ultima cosa che Eileen Anxel percepì fu un marchio di ghiaccio impresso con un morso di fiamme scarlatte sulla sua pelle.
   
 
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