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Autore: shana8998    28/07/2020    1 recensioni
Dimenticate il solito cliché del ragazzo bello e dannato che stravolge la vita della povera ed ingenua protagonista. Dimenticate la ragazza vergine che perde la testa per il cattivo ragazzo.
Se per una volta fosse la bella e dannata a stravolgere la vita perfetta del protagonista?
Fra Gabriel e Cécile è successo proprio così. Lui ricco, di ottima famiglia , studioso , diligente e fidanzato.
Lei una ribelle piena di tatuaggi e piercing , dalla vita sregolata e disastrata.
Gabriel avrebbe potuto dimenticarla dopo il primo incontro.
Ma forse , sapevano entrambi che sarebbe stato impossibile.
«Tu ed io, siamo colpa del destino»
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Universitario
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 “Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce.”
GIULIO ANDREOTTI


                                                                                         Cécile 18.
Tutti nascondiamo qualche segreto.
Chi per se stesso, chi per altri, chi per tutti.
Io li mantenevo per tutti loro...


«Hai esagerato un'altra volta» Victor mi sfila gli anfibi mostrando un po' di fatica e li lancia sul pavimento della mia stanza.
«Questo non si chiama esagerare, si chiama non pensare» dico in un singhiozzo sollevando lo sguardo a lui.
Storce un labbro.
«Questo si chiama ubriacarsi. Avevi detto che ci avresti dato un taglio...» mi afferra il jeans per le caviglie ed io separo il bottone dall'asola così da permettergli di sfilarmelo.
«Senti un po', quanti anni hai? Sei diventato mio padre?» 
Con i muscoli appesantiti e la mente impastata dall'alcol sprofondo maggiormente nella morbidezza del materasso.
«Vado a prenderti un bicchiere d'acqua. Credo sia il caso» dice monocorde e si allontana.
Fisso la parete. 
In questo momento l'unica persona che vorrei su questo letto è Gabriel. Se non fossi un danno che cammina, a quest'ora lui sarebbe qui. Ma purtroppo sono buona solo a scacciare via le persone. Non riesco a parlare con lui dalla notte in cui abbiamo fatto sesso. Non capisco nemmeno il perché.
«Ecco a te» Victor torna in stanza con un bicchiere stracolmo d'acqua e me lo porge. Mi costringo a sollevarmi e lo afferro.
«Non avevo sete» borbotto mantenendo lo sguardo su di lui mentre mando giù, ugualmente, qualche sorso.
Sospira sollevando gli occhi al cielo.
«Oh mio Dio! Allora anche tu sei in grado di muovere i muscoli del viso!» lo sfotto «Fallo di nuovo! Ti prego»
«Oh, finiscila» sbuffa nascondendo una risata e si accascia a sedere sul materasso.
Oscillo assieme alle molle.
«Sai persino ridere! Wow...tu si che mi stupisci» 
Mi da una spinta «E smettila! Sei veramente antipatica!»
Sbotto a ridere. E' la prima volta che mi succede con lui.
«Detto da te è quasi un complimento.» Mi sporgo per appoggiare il bicchiere sul comodino.
«E' per quell'invito che hai deciso di bere questa sera?» per un momento mi si contrae lo stomaco.
«Non sono affari tuoi» 
«Sai perfettamente che sono, anche, affari miei» Incalza lui.
Socchiudo le palpebre per un istante «Possiamo...Non parlarne? Si tratta di una cerimonia qualsiasi. Finirà in fretta.»
Noi sapevamo che segreto stavamo nascondendo...
«Non sei obbligata a venire» 
Getto lo sguardo alle mie gambe nude.
«Sai, credo di voler sapere come sta Allison»
Sospira e poi, d'improvviso, mi avvicina la testa alla sua con la mano «Che tenerona» cinguetta.
Lo scaccio via «Oh, adesso smettila tu! Non prendermi in giro!»

                                                                                       *********
16:00 il giorno della cerimonia.
«Sai cosa mi da tremendamente fastidio?» cerco di infilare le mani sotto lo strascico dell'abito «Le mutande che ti entrano nel sedere.»
Jece borbotta una risata mentre cerca di fare un fiocco al nastro di raso che stringe il bustino dell'abito.
«Sei agitata per caso?» 
«Affatto. Passerò questo schifoso pomeriggio a bere fino a scordarmi di essere stata invitata al matrimonio -al secondo matrimonio- di mio padre e di quella putt-» Jace stringe forte il nastro di raso togliendomi quasi il fiato.
«Cazzo, fa più piano!»protesto.
«Non è colpa mia se hai messo più chili sulle tette che sul resto del corpo!»
Da quando ho tentato di darci un taglio con le droghe ed il poco sonno devo aver messo su almeno due chili. Non che si noti, quanto meno, non nei miei panni consueti. Ma in questo dannato bustino, il mio seno sta soffrendo parecchio.
«Perfetta» mormora facendomi voltare verso l'anta specchiata dell'armadio.
Non sono mai stata un tipo da abito, ne mai avevo pensato di vedermi con qualcosa del genere addosso, ma stranamente mi sento...bella.
Bella come una persona pulita e non come Cécile.
«Ti presenterai sola?»
«Si.»
Mi lancia uno sguardo apprensivo.
«Jace, sta tranquillo. Sto bene» dico voltandomi verso lui e quasi sospirando.
Mugugna d'incertezza.
«Sul serio!»
Agguanto i lembi della gonna lunga oltre la punta dei miei piedi e cerco di sorpassare lui, le mie scarpe e gli svariati abiti sparsi fra materasso, pavimento e ante dell'armadio.
Mi afferra per un braccio costringendomi a voltare lo sguardo.
«Non voglio che succeda nulla li, intesi?»
Sorrido tiepidamente «Non permetterò che succeda nulla.»
Si dice "le ultime parole famose" quando, proprio ciò che rifiuti, che non vuoi che accada,  succede.
«Adesso vado.» Jace mi lascia il braccio, ma la sua espressione pensierosa non lascia me.
Afferro un copri spalle in pelle nera e la pochette «C'è altro che devi dirmi?» chiedo un momento prima di abbandonare la stanza.
Conosco sin troppo bene Jace ed il suo modo vano di nascondere le cose.
«In realtà» si muove verso me e si ferma davanti alla porta «Volevo dirti che la questione di farti uscire dai guai è passata in secondo piano da parecchio». Sbatto le palpebre confusa. 
«Mi sono affezionato a te e non voglio che ti succeda più nulla di male-»
«Ma non mi succederà» lo interrompo «So quello che faccio.»
Solleva lo sguardo dritto nel mio.
Di colpo mi sento strana...a disagio.
«Non smettere di fidarti di me proprio ora.» mormoro.
Fa un altro passo verso me «No, non lo farei...».
Le sue mani mi accarezzano il viso e prima che possa rendermene conto, lo sto baciando.
Lo stomaco che si stringe, le mani che mi tremano. All'improvviso, mi sento in colpa, perchè è come se avessi sempre desiderato questo momento, ma non ricordavo affatto di saperlo.
C'è una parte di me tremendamente rassicurata da quello che sta succedendo e l'altra...L'altra che, bè, ha in mente solo gli occhi di Gabriel. Il fatto che ci siamo allontanati, tutte quelle frasi non dette, quelle paure malcelate.
E poi penso che con Jace questo non è mai capitato, ma che le emozioni che mi da Gabriel non me le da nessuno. Ma la sicurezza che sento quando Jace è con me, non la ho con lui.
«Jace. Jace, aspetta.» Gli prendo i polsi e li allontano da me.
«Non voglio. Non posso.» faccio un passo indietro e poi un altro. Alla fine, capisco cosa voglio fare.
Fuggo via, letteralmente, dalla mia stanza. Spalanco la porta d'ingresso e cerco velocemente di scendere le scale del palazzo.
Mentre lo faccio sfilo il cellulare dalla pochette e compongo il numero di Victor alla velocità della luce.
«Pronto?» Risponde monocorde come al solito dopo qualche squillo.
«Dove sei?» Prendo una storta mentre a falcate percorro le scale sui tacchi.
«Sono quasi arrivato.»
«Torna indietro» ordino «Vieni sotto casa mia»
Cosa diavolo mi è capitato mentre Jace mi baciava?
Anche se la domanda da porsi non sarebbe affatto questa è l'unica che mi martella la testa.
«Che è successo questa volta?» domanda seccato.
«Non rompere. Ti aspetto qui.» Riattacco e spingo via l'anta del portone in vetro.
Finalmente riesco a respirare. Grandi respiri che escono fuori asfissianti.
Proprio mentre il panico si sta prendendo quasi totalmente gioco di me, lo vedo arrivare a bordo dell'auto di Raul.
«Grazie a Dio.» Raggiungo lo sportello e mi calo dentro.
Victor si immette sulla strada senza saper bene dove svoltare.
«Spero che questa volta sia per qualcosa di serio»
Mi mordo un labbro «Accosta al primo bar»
                                                                                             *******
Ci stanno fissando tutti. Non hanno torto, sono appena le cinque del pomeriggio e Victor ed io siamo gli unici, in questo postaccio di periferia, a sorseggiare vino in bicchieri di plastica vestiti da serata di gala.
«Va meglio?» 
Appoggia i gomiti alla superficie del tavolino circolare e si sporge verso me con il viso.
«Credo sia stata solo un po' d'ansia.» Mando giù tutto d'un fiato l'ultimo sorso del mio secondo bicchiere di vino.
«Ti capita un po' spesso ultimamente, intendo di avere l'ansia» Lui fa lo stesso e lo poggia davanti a se.
«Sono parecchio...stressata.» Spero che se la beva. In fin dei conti è vero, lo stress non manca.
Solleva le sopracciglia sottraendo lo sguardo al mio «Sarà. Spero solo che la tua ansia non ti farà fare qualche cavolata proprio questa sera»
Fisso il display del mio cellulare che non la smette di illuminarsi all'arrivo dei messaggi di Jace.
«Di questo passo arriveremo per l'ora del dolce» dico.
Scendo dal mio trespolo a fatica «Togliamoci dai piedi questa cerimonia di merda.»
                                                                                          *******
17:45 
Non riesco a provare che un miscuglio di sensazioni indistinte mentre percorro il viale brecciato, illuminato da faretti, di casa Pestillo.
Ho le gambe leggermente instabili e ci metto un bel po' per riuscire a trovare l'equilibrio adatto per raggiungere l'ingresso maestoso della villa di mio padre.
Mi da il voltastomaco calpestare il terreno di casa sua. Se potessi, sparirei proprio in questo istante.
Sfilo il telefono dalla pochette ancora una volta, ormai sono quasi arrivata e so che una volta sorpassata la soglia di casa loro, ogni persona che conosco all'esterno diventerà off-limits.
Sblocco lo schermo. Non ho il coraggio di aprire i messaggi Whatsapp di Jace, non voglio sapere cosa mi ha scritto o perché. Non voglio sapere neanche cosa gli è saltato in mente mentre diceva di tenerci a me. Ma so che in qualche modo ha suscitato qualcosa nel mio petto.
Clicco sulla chat di Gabriel. Risulta offline. Mi sono ridotta a guardare i suoi accessi...che pena.
«Charlotte! Che bello, sei qui!» Una zaffata di Chanel numero 5 mi frusta le narici e due braccia esili mi circondano le spalle stritolandomi in un abbraccio a dir poco stucchevole.
«Zia Abbey...» mormoro a fatica.
Con il suo pomposo abito pesca ed i capelli freschi di messa in piega, la zia Abbey -che non vedo tipo da una vita- appare trionfale dal nulla spazzando via tutti quegli anni dove mi ha messa nel dimenticatoio come se non fossi mai stata messa al mondo.
«Quanto tempo, come stai? Come va l'Università?» mi chiede strizzandomi una guancia. Vorrei darle una sberla e staccarle la testa.
«Andrebbe meglio se mi lasciassi la faccia, zia» Dico a denti stretti cercando di sopportare il dolore di quel pizzico.
Lo sta facendo apposta. In realtà lei mi odia. Essendo la sorella più anziana della madre di Allison, non ha mai considerato me come nipote effettiva.
Abbey mi lascia andare la guancia -finalmente- ed i suoi occhi si fanno subito affilati come quelli di una viscida serpe.
«Speravo che venissi anche tu. Sarà un matrimonio stupendo» Credo che lei abbia sempre saputo quanto e perché odio mio padre. Tutti lo sanno in famiglia, e si ostina a rimarcare quanto sia entusiasta di questa nuova, stupenda, meravigliosa, coppia del cazzo.
«Ne sono certa. Non potrebbe essere altrimenti» dico. Mi scappa la voce metallica ma non me ne preoccupo.
«I miei fratelli sono dentro?» chiedo fingendo un sorriso cordiale.
«Credo proprio di si.» Sorriso, che lei ricambia allo stesso identico modo.
Si fa da parte e mi invita a proseguire sul brecciato.
«Fa attenzione con quei tacchi, rischi di inciampare!»
Ci speri brutta vecchia zitella!
Ad un passo dalla gradinata principale, mi rendo conto di non potercela fare.
Ho di nuovo quella sensazione di vuoto nel petto e più mi rendo conto che c'è gente all'esterno della villa, più mi sembra di perdere il controllo di me stessa.
Sto soffocando.
Sto...morendo.

Mi siedo sul primo gradino. Non riesco nemmeno a riprendere fiato.
Due lacrime isolate si sganciano dalle guance infrangendosi sulle mani tremanti.
Ho bisogno...Ho bisogno....
Non trovo il cellulare, oppure, ce l'ho davanti agli occhi ma non lo vedo: svuoto la pochette gettando tutto sul gradino finché le mie dita non intercettano l'apparecchio.
Si muovono da sole pigiando sulla sezione "chiamate".
«Cécile?...»
Sentire la sua voce mi fa rallentare il battito per un secondo.
«Vieni a casa di mio padre. Ti prego.»
C'è un momento di silenzio «Sai che non posso. Drake ed io stiamo facendo...quella cosa.»
Poi realizzo che sto per far scoppiare un disastro.
«No, infatti. Non venire è solo un attacco di panico, starò bene.» Cerco di dire con il tono più rassicurante che riesco a ricacciare.
«Che ti succede, Cècile?» sembra sconsolato.
Da quanti giorni è che non ti parlo? Che non ti cerco?
Che hai costantemente da fare per risolvere i miei guai?
«Cécile...» Una voce alle mie spalle mi fa irrigidire tutti i muscoli.
«Devo andare, Gabriel.» Attacco senza attendere la risposta, raccolgo le poche cose da terra e mi sollevo.
«Sei qui...»
Chiudo la pochette.
«Papà»
Scende i gradini lentamente, esitando appena, e mi abbraccia.
Non lo ricordavo così. Non l'ho mai visto in tiro, piuttosto, ricordo tutte le volte che ubriaco picchiava mia madre e litigava con lei.
«Ho pregato così tanto perché venissi anche tu...» 
Gli strattono via le braccia «Sono qui, visto?» e salgo i gradini fino all'ingresso di casa.
Appena varco il corridoio principale, accanto alla scalinata, per fortuna, vedo Victor.
«Ti è venuto a salutare?» Il vizio di tenere le mani in tasca non lo toglie nemmeno quando indossa giacca e cravatta.
«Non lo hai visto?» faccio ironica.
La sua espressione contratta la dice lunga.
Varchiamo il salone principale. Ci sono mazzi di fiori sparsi ovunque e la puzza della casa che odio che sferza stoccate ogni passo che faccio.
Sul lato opposto della sala, l'immensa porta scorrevole di vetro è coperta da tendaggi candidi e semi-trasparenti che chiudono la visuale al giardino ed alla piscina sul retro.
«Non hanno badato a spese i tuoi genitori...» forse è un'affermazione poco felice nei suoi confronti, ma è l'odio a parlare non io. 
Victor, di fatti, non risponde nulla e si limita a seguirmi.
«Sono tutti nel salone oltre la cucina» dice solamente quando mi vede incerta su dove dirigermi.
Svolto verso la cucina. Ho ricordi pessimi di questa stanza. Solo urli e strilli e parolacce fra me Allison e sua madre -la loro madre.
A conti fatti, ho vissuto meno di un o due anni da loro. Giorni terribili, fatti di cattiverie, rimproveri gratuiti e scene che -francamente- avrei risparmiato a Victor. Era ancora troppo ragazzino per poter capire, o almeno, questo credevo io.
Ad un tratto, mi si pianta davanti impedendomi di passare.
«Che c'è?» aggrotto la fronte.
«D-Dovremmo andare via. Non è una buona idea, ci ho ripensato»
Che gli prende ora?
«Togliti dai piedi» Cerco di spingerlo via.
«Dico sul serio. Non è il caso. Non è-» Lo fulmino con lo sguardo e con una spinta decisiva mi avvento sulla maniglia della porta.
Fra tutti gli invitati sorridenti con i flute di champagne per mano, scorgo solo un paio di occhi castani. Al centro della sala, fra sorrisi e chiacchiere, ci sono loro due: Marcus ed Allison.
Sento troppi sguardi su di me, ora, da parte di tutti.
Allison spalanca le palpebre, sembra non credere ai suoi occhi. Si volta di scatto verso il tavolo da buffet ed ancor prima che le occorra cercare sua madre, lei le sia avvicina.
«E' tutto apposto. Sono stata io ad invitarla.»
Allison torna a fissarmi lanciandomi uno sguardo torvo. E' un vero peccato che abbiano preferito tenerla lontana dalla verità.
Cerco di ricompormi come meglio posso.
«Che bello rivederti, Allison» 

Quanti di noi sarebbero riusciti a mantenere il segreto e quanti sarebbero rimasti all'oscuro di tutto?
   
 
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